00 02/02/2006 19:16
Poi viene il vero e proprio pranayama.
Dopo aver praticato il nadi-shuddi ("purificazione dei nervi"),la pratica precedentemente citata,bisogna respirare normalmente da entrambe le narici per 3-4 volte,al fine di riprendere "fiato perso".
Bisogna chiudere la narice destra ed espirare per 8 secondi con la sinistra.Poi subito inspirare 4 secondi con la sinistra.Quindi chiudere entrambe le narici per 16 secondi.Quindi ripetere il medesimo processo con la radice destra chiudendo quella sinistra e così via.Si possono anche scegliere altri tempi purchè l'inspirazione sia la metà dell'espirazione e la ritenzione sia il doppio dell'espirazione cioè,per esempio:
8-4-16
16-8-32
4-2-8
2-1-4
E' bene notare che più sono lunghi i tempi,più si avranno effetti positivi.Bisogna però tenere presente la pericolosità della pratica per un principiante.Quindi non consiglio ad un principiante di andare oltre 16-8-32.Io attualmente faccio 50-25-100.
Prima è stato scritto:
51. Esiste una quarta sfera nel controllo dei respiro, che va oltre le altre tre.
52. A questo punto avviene il riassorbimento dello schermo di luce.
53. Quindi la mente non ostacola la concentrazione.

Questa quarta sfera avviene quando durante la ritenzione si avvertono esperienze estatiche.Una cosa che succede solo quando la ritenzione avviene per tempi pericolosamente lunghi.Grazie al controllo del prana,gli yogi non hanno più bisogno di respirare,un risultato ottenibile solo rischiando la vita.La ritenzione è chiamata kumbakam,recipiente.L'idea è quella di un recipiente che prima si riempe di aria (in questo caso i polmoni) e poi si svuota di essa.Il kumbakam estremo deve essere effettuato solo sotto la guida di un maestro qualificato che sia riuscito,per non dire sopravvissuto,agli stadi estremi del pranayama.

Adesso verranno descritti i seguenti stadi del raja-yoga o astanta yoga.
54. Il quinto componente dello yoga, o pratyahara - il ritorno alla fonte - è il ristabilire l'abilità della mente di controllare i sensi, rinunciando alle distrazioni degli oggetti esteriori.
55. Quindi si ha la completa padronanza su tutti i sensi.





Libro Terzo: Vibhuti
Pada dei Poteri

1. Dharana, o concentrazione, è il fissarsi della mente sull'oggetto su cui si medita.
2. Dhyana è l'ininterrotta fissità della mente sull'oggetto.
3. Samadhi si ha allorché‚ la mente si unisce all'oggetto.
4. Questi tre, applicati insieme - dharana, dhyana e samadhi - formano samyama, o equilibrio, che si consegue allorché‚ scompaiono soggetto e oggetto.
5. Padroneggiando tutto questo, [emerge] la luce della somma consapevolezza.
6. Samyama deve essere applicata nei vari stadi.
7. Questi tre - dharana, dhyana e samadhi - sono interni se paragonati ai cinque che li precedono.
8. Tuttavia questi tre sono esterni, se paragonati al samadhi senza seme.
9. Nirodha padnam è la trasformazione della mente allorché‚ essa viene permeata dallo stato di nirodha (o attimo di non mente), stato che interviene per un attimo tra la scomparsa di una impressione e l'avvento di un'impressione successiva.
10.Questo diviene stabile prolungandone e ripetendone l'esperienza con l'esercizio.
11. Samadhi padnam, o trasformazione interiore, è l'assestarsi graduale delle distrazioni e il graduale e simultaneo sorgere della concentrazione in un punto.
12. Ekagrata padnam, o concentrazione in un punto, è la condizione della mente in cui l'oggetto mentale quiescente e quello successivo sono identici.
13. Da ciò che è stato detto negli ultimi quattro sutra, si spiegano anche le proprietà, il carattere e le condizioni di trasformazione negli elementi e nei sensi.
14. Siano essi latenti, attivi o non manifesti, tutte le proprietà sono correlate alla sostanza che ne risulta.
15. La variazione nella trasformazione è prodotta dalla varietà dei processi cui soggiace.


Di seguito vengono descritti i poteri occulti ottenibili mediante il samyama.
16. Praticando il samyama -nirodh, samadhi e ekagrata - sui tre tipi di trasformazione si perviene alla conoscenza dei passato e dei futuro.
17. Il suono si percepisce confuso e sovrapposto al suo significato e all'idea. Praticando samyama sul suono lo si separa e sorge comprensione dei significati dei suoni prodotti da qualsiasi essere vivente.
18. Osservando le impressioni del passato si ottiene la conoscenza sulle nascite precedenti.
19. Grazie a samyama si può conoscere l'immagine presente nella mente altrui.
20. La percezione che si ottiene tramite samyama non porta a conoscere i fattori mentali che sostengono l'immagine nella mente altrui, in quanto quello non è l'oggetto dei samyama.
21. Applicando samyama alla forma dei corpo in modo da interrompere il potere di ricezione, si spezza il contatto tra l'occhio di un osservatore e la luce prodotta dal corpo, e pertanto il corpo diventa invisibile.
22. Questo principio spiega altresì la scomparsa del suono.
23. Praticando samyama sui due tipi di karma, attivo o assopito, oppure sui certi segni, si può predire l'esatto momento della morte.
24. Praticando samyama sull'amicizia, o su qualsiasi altra qualità, si ottengono grandi poteri su quella data qualità.
25. Praticando samyama sulla forza di un elefante, si ottiene la forza di un elefante.
26. Dirigendo la luce sulla facoltà supersensoriale, si consegue la conoscenza dei sottile, dell'occulto e di ciò che è distante.
27. Praticando samyama sul sole si consegue la conoscenza dei mondi.
28. Praticando samyama sulla luna, si consegue la conoscenza della posizione delle stelle.
29. Praticando samyama sulla stella polare, si consegue la conoscenza dei movimento delle stelle.
30. Praticando samyama sull'ombelico, si consegue la conoscenza sulla costituzione dei corpo.
31. Praticando samyama sulla gola, si ottiene l'arresto delle sensazioni di fame e di sete.
32. Praticando samyama sul nervo chiamato kurma-nadhi, lo yogin realizza l'assoluta immobilità.
33. Praticando samyama sulla luce sotto la corona dei capo, si acquista la capacità di entrare in contatto con tutti gli esseri perfetti.
34. Oppure dal potere di pratibha, l'intuizione, [si perviene a] la conoscenza di ogni cosa.
35. Praticando samyama sul cuore, si ottiene la consapevolezza della natura della mente.
36. L'esperienza è il risultato della incapacità di differenziare il purusha, o pura consapevolezza, dal sattva, o pura intelligenza, sebbene essi siano perfettamente distinti tra loro.
37. Da qui sopravvengono udito, tatto, vista, gusto e olfatto verso fenomeni sottili e la capacità d'intuizione.
38. Questi sono utili allorché la mente è rivolta verso l'esterno, ma sono ostacoli sul cammino dei samadhi.


Da notare che nel verso 38 Patanjali mette in guardia gli yogi da questi poteri.E'giusto precisare che ci sono due tipi di samadhi:quello con seme,dove si medita continuamente su un oggetto e quello senza seme,dove si medita tenendo la mente completamente libera da pensieri.
Patanjali continua a descrive i siddhi (poteri occulti):
39. Abbandonando le cause che delimitano e conoscendo i passaggi, è possibile entrare nel corpo di un altro essere.
40. Soggiogando il soffio vitale, o udana, lo yogin è in grado di levitare e di passare senza contatto sull'acqua, il fango, le spine, eccetera.
41. Soggiogando il soffio equilibrante, o samana, lo yogin è in grado di provocare il fulgore luminoso.
42. Praticando samyama sulla relazione che esiste tra l'organo dell'udito e l'etere, diviene possibile un udito soprannaturale.
43. Praticando samyama sulla relazione che esiste tra il corpo e l'etere, e al tempo stesso identificandosi con oggetti leggeri,come fiocchii di cotone, lo yogin è in grado di attraversare lo spazio.
44. Il potere di entrare in contatto con lo stato di consapevolezza esistente all'esterno dei corpo mentale, e che pertanto è inconcepibile, è chiamato mahavideha. Tramite questo potere si distrugge lo schermo luminoso.
45. Praticando samyama sopra la grossezza, la natura costante, la sottigliezza, l'immanenza e la finalità, si ottiene la padronanza sui panchabhuta, o cinque elementi.
46. Da qui conseguono le altre perfezioni, quali la perfezione del corpo e la rimozione di tutti gli ostacoli.
47. Bellezza, grazia, forza, compattezza adamantina, formano il corpo perfetto.
48. Praticando samyama sul loro potere di percezione degli organi di senso, sulla loro vera natura, sull'egoismo, sull'immanenza e sulle funzioni si ottiene la padronanza sui sensi.
49. Da qui consegue una percezione istantanea, senza l'utilizzo dei corpo, e una completa padronanza sul pradhana, o mondo materiale.


Poi Patanjali afferma:
51. Quando poi si è liberi da attaccamento rispetto a tutti questi poteri, si distrugge il seme che imprigiona. A quel punto segue kaivaiya, o liberazione.
52. Si dovrebbero evitare qualsiasi attaccamento o orgoglio nei confronti del potere delle entità divine che governano i vari livelli esistenziali, poiché questo porterebbe con sé la possibilità di risveglio del male.

Riguardo al verso 52,biogna ricordare che nel verso 33 Patanjali afferma:"Praticando samyama sulla luce sotto la corona dei capo, si acquista la capacità di entrare in contatto con tutti gli esseri perfetti."
E' bene notare che non si tratta di "demoni","spiriti maligni" ma di esseri che le scritture indù definiscono deva,"esseri celesti".
Patanjali continua a descrivere altri poteri e non solo:
53. Praticando samyama sul momento presente, sul momento passato e sul momento che verrà, si ottiene la conoscenza nata dalla consapevolezza.
54. Da qui nasce la capacità di distinguere tra oggetti simili che non possono essere indicati da specie, carattere o posizione.
55. La conoscenza superiore nata da tale consapevolezza include la cognizione di tutti gli oggetti, simultaneamente, e opera in qualsiasi direzione, nel passato, nel presente e nel futuro.
56. Si consegue la liberazione allorché esiste una eguale purezza tra il purusha e sattva.

Con Purusha si intende l'anima e con sattva (virtù,stabilità) si intende uno dei 3 guna o attributi materiali:sattva,rajas(passione) e tamas (ignoranza).
Nel quarto capitolo si trovano scritte le seguenti cose:
6. Solo con la meditazione si raggiunge l'intelligenza libera dai desideri.
7. L'azione, o karma, dello yogin non è pura né impura, mentre quella di tutti gli altri è di tre tipi: pura, impura e mista.
8. I tre tipi di karma si manifestano allorché le circostanze si rivelano favorevoli alla loro realizzazione.
9. Poiché i ricordi e le impressioni si conservano nel tempo, la relazione di causa - effetto permane, perfino allorché è separata da classe, spazio e tempo.
10. E questo processo non ha inizio, in quanto il desiderio di vivere è eterno.
11. Essendo i semi karmici legati insieme, in quanto causa e effetto, gli effetti svaniscono allorché scompaiono le cause.
12. Passato e futuro esistono nel presente, tuttavia non sono sperimentati nel presente in quanto sussistono su piani diversi.
13. Siano essi manifesti o non manifesti, il passato, il presente e il futuro partecipano della natura dei guna: sono stabili, attivi o inerti.
14. La qualità di ogni oggetto è data dalla unicità delle proporzioni dei tre guna.
15. Lo stesso oggetto è visto in modi diversi da menti diverse.
16. Un oggetto non dipende affatto da un'unica mente.
17. Un oggetto è noto oppure è ignoto a seconda che la mente sia "colorata" da esso, oppure no.
18. Le modificazioni della mente vengono sempre conosciute dal loro signore, il Purusa, o pura consapevolezza che non muta.
19. La mente non brilla di luce propria, dal momento che è essa stessa percepibile.
20. E' impossibile per la mente conoscere simultaneamente il percipiente e il percepito.
21. Se si desse per assunto che una seconda mente illumini la prima, si dovrebbe anche assumere una cognizione della cognizione, all'infinito, e una confusione dei ricordi.
22. La conoscenza della propria natura, tramite l'autocoscienza, si consegue allorché la consapevolezza assume quella stabilità per cui non passa più da uno stato all'altro.
23. Allorché la mente è colorata da colui che conosce e dalla cosa conosciuta, essa comprende tutto.
24. La mente, benché‚ variegata da innumerevoli desideri, agisce per lo scopo di un altro, in quanto agisce per associazione.
25. Allorché si è vista questa distinzione, si ha un arresto dei desideri riflessi nell'atma, o Sé.
26. A questo punto, la mente propende per la discriminazione e gravita verso la liberazione.
27. A intermittenza, sorgono altri pratyaya, o concetti, grazie alla forza delle impressioni precedenti. Anche queste vanno rimosse così come si è fatto con le altre cause di sofferenza.
28. Chi è in grado di conservare uno stato di assenza di desiderio costante, perfino nei confronti degli stati di illuminazione più esaltanti, ed è in grado di esercitare la forma di discriminazione più elevata, entra nello stato noto come 'la nube di virtù.
29 A questo punto segue la liberazione da ogni sofferenza e da ogni karma.
30. Ciò che può essere conosciuto attraverso la mente è infinitesimale se paragonato con l'infinita conoscenza che si ottiene nell'illuminazione, allorché‚ vengono rimossi tutti i veli, tutte le distorsioni e tutte le impurità.
31. Avendo adempiuto i loro scopi, il processo di mutamento nei tre guna giunge alla fine.
32. Kramaha, o il processo, è la successione dei cambiamenti che si verificano di momento in momento e che divengono percepibili allorché‚ finiscono le trasformazioni dei tre guna.
33. Kaivalya è lo stato che segue il rifondersi dei tre guna, dovuto al loro divenire privi di scopo per il Purusa.
34. Kaivalya è quando il Purusa è stabile nella sua vera natura, che è pura consapevolezza.


Se siete interessati a leggere l'opera intera di Patanjali,basta digitare Yoga-sutra su un qualsiasi motore di ricerca come Google o Virgilio.Troverete sicuramente più di una traduzione integrale.
Con questo post spero di non averi annoiato e di avervi fatto capire cos'è veramente lo yoga.
A questo punto vi lascio con uno scritto di Raphael,un filosofo italiano seguace della filosofia Advaita Vedanta.Considerando che ho trovato lo scritto in internet su www.advaita.it/testi%20e%20filosofi/Patanjali.htm sono sicuro di non commettere violazione ai diritti d'autore.

Introduzione allo Yoga Darshana
di Raphael

[da Patañjali, La via regale della realizzazione (Yogadarshana), traduzione dal sanscrito e commento di Raphael, Roma, Asram Vidya, 1992, pp. 9-26]

In questi ultimi anni si è parlato spesso, a proposito e a sproposito, di Yoga; anzi, questa parola è stata talmente profanata che oggi se ne diffida persino, anche se poi non si sa esattamente che cosa veramente voglia dire.

La parola Yoga deriva dalla radice yuj che denota l'"atto di aggiogare" e, nel nostro caso specifico, risolvere le turbolenze mentali e fisiche in modo da ottenere una perfetta unità coscienziale la quale va oltre i limiti del pensiero, quindi di là dalle categorie del tempo-spazio. Vi sono, ovviamente, molti tipi di Yoga, dall' Hatha all' Asparsha metafisico. Quello che stiamo trattando e il Raja yoga codificato da Patañjali, quello regale ( raja) che porta alla reintegrazione. Lo Yoga non è una religione, come comunemente si intende questo termine, è invece una scienza, la scienza che studia l'ente nella sua totalità; è anche filosofia perché offre una visione della vita e della natura. In quanto scienza i di ordine sperimentale, quindi è eminentemente pratico; in quanto filosofia è teoria, per cui esso consiste di teoria e prassi.

Lo Yoga, come qualunque Dottrina tradizionale, non cerca di convincere nessuno, non impone ad alcuno le proprie convinzioni Filosofiche e la propria prassi; vive e si esprime nella dignità di ciò che è. Se qualcuno ne ha un concetto errato e perché -soprattutto in Occidente- se ne è fatto una semplice professione, un mercato, una parodia, degradando ciò che è sacro, per quanto queste siano pur sempre eccezioni.

Alcuni poi, per semplice spirito di contraddizione, possono denigrare ciò che non comprendono; altri danno giudizi per "sentito dire", senza avere nozione o conoscenza diretta della materia; altri poi -per interesse di parte- hanno le loro ragioni per denigrare; taluni, avendo paura del "diverso", del nuovo, della stessa sana ricerca -psicologica, filosofica, ecc.- fuggono e cercano di far fuggire altri che si lasciano convincere per gli stessi motivi; altri ancora sono solo beghini, bigotti, in qualunque campo dell'attività umana, e temono il "diverso" anche perché pensano ingenuamente di possedere la verità assoluta; altri non hanno alcuna istanza di nessun genere, vegetano soltanto e naturalmente non possono ammettere che alcuni si avviino per qualche ricerca; altri vivono solo di istinti-sentimenti-passioni e quando vedono che un certo tipo di ricerca può frustrare la loro condizione psicologica temono, si ribellano e "condannano"; altri, essendo aggrappati al loro "io" bambino, fuggono per spirito di autoconservazione.

Gli individui vivono a diversi gradi di evoluzione, di sviluppo intellettivo e coscienziale, e spesso è difficile creare rapporti, non perché si è beceri, ma perché si è su due lunghezze d'onda diverse, si vive su due piani opposti, su stati vibratori differenti. E ciò può capitare senz'altro nello stesso nucleo familiare, fra fidanzati, compagni e amici.

Quale può essere, dunque, l'atteggiamento del ricercatore verso il mondo sociale o l'"inconscio colleltivo"? Diremo di estremo riserbo, possibilmente di silenzio; l'"inconscio collettivo" è pressato da certe esclusive e peculiari necessità: lavoro per vivere, famiglia per evitare la solitudine, acquisizione di cose materiali, divertimento, negazione di ogni tipo di ricerca che non sia finalizzata a scopi peculiarmente materiali. L'"inconscio collettivo" non vive, ma si lascia vivere; non crea, ma dipende; non pensa, ma si lascia pensare. Esso è un'enorme sedimentazione, incrostazione, detrito di credenze, opinioni, fideismi, emozioni, passioni, interessi materiali e sensoriali, convinzioni non sorrette dalla ragione, cose queste che si perpetuano da millenni e che sono sovrapposte alla pura intelligenza. Un'altra caratteristica dell'"inconscio collettivo" è che la sua credenza ( pístis per Platone), e persino la semplice immaginazione ( eikasia), è elevata a verità assoluta, quindi esso è dogmatico, e chi la pensa in modo diverso è anche deriso, spesso combattuto. II nuovo, il diverso per l'"inconscio collettivo" (e naturalmente per gli enti che vi soggiacciono) rappresentano una minaccia, per cui si difende nervosamente, a volte violentemente. Psicologicamente si può dire che sono le difese dell"'io" il quale si sente spaventato e minacciato nei riguardi della sua credenza, alla sua opinione. Uscire dal proprio alveo consolidato non è facile, né è dei più.

Un qualunque esponente di un nucleo familiare che esca un po' dal solito ménage consolidato può essere rienuto "anormale".

Il "gregge" impone determinati comportamenti, e chi vuole uscirne deve fare molta attenzione; è stato sempre così nella storia dell'umanità. Il "diverso" viene normalmente visto con sospetto e, quando è possibile, anche neutralizzato. Gesù afferma: «Appo Iddio i savi sono pazzi e i pazzi sono savi», e la stessa Bhagavad Gita recita: «Ciò che è giorno per il saggio e notte per l'ignorante».

Può sembrare veramente strano e insolito che la ricerca, qualunque essa sia, anche quella della verità filosofica, spirituale, psicologica, ecc., il vivere conforme a certi principi che esulano dal comune opinare ( doxa), l'affinamento di sé non debbano essere apprezzali dai più, purtroppo è così e bisogna arrendersi all'evidenza.

L'uomo pone sempre le sue speranze nell'oggetto (apparenza) lontano, anziché trovare nel suo ambito più immediato il sostanzialmente vero. Dice Pindaro: «La categoria più inconcludente è tra gli individui e quella di coloro che denigrano ciò che è loro vicino per rivolgersi verso ciò che è lontano, lasciando che le loro speranze irrealizzabili inseguano fantasmi».

D'altra parte, quel sincero ricercatore che sente una precisa "vocazione" e un'autentica direttiva coscienziale non può non procedere. Tradire gli altri non è lecito, ma tradire se stessi è suicidio.

Quanto si è detto è solo una semplice disamina di certi stati psicologici sia individuali sia appartenenti, secondo la psicologia, all'"inconscio collettivo", e come tale va considerato e meditato. D'altra parte non abbiamo detto niente di nuovo, tutto ciò è noto a filosofi, psicologi e pedagoghi; noi abbiamo cercato di metterlo solo in evidenza.

A chi è essenzialmente indirizzato lo Yoga? A coloro che, per esperienza diretta, per intuizione superconscia, per fede nel principio di trascendenza, per maturità coscienziale, per sete di ricerca della verità, ecc., possono sentire la "chiamata" alla comprensione di sé. Lo Yoga è la scienza del conoscersi per Essere. Lo Yoga porta l'ente a ritrovarsi unità, mentre l'individuo in genere è molteplicità, dicotomia, conflittualità. Nel suo vivere tra pensiero e azione v'è sempre contraddizione, spesso opposizione; la coscienza viene lacerata dall'irrequietezza delle energie psico-fisiche causando anche stati paranoici e nevrosi di varia natura. Il Raja yoga colma le scissure, integra il mondo della dualità abbracciando, con un colpo d'ala, la sfera del sensibile e dell'intelligibile. Il Raja yoga, perseguito con lealtà e vocazione, svela la Beatitudine e la Pienezza che sono della pura Coscienza, di là da ogni oggetto-evento di ogni ordine e grado. Dal desiderio appropriativo ed egoistico (amore di sé) lo Yoga di Patahjali porta a svelare l'Amore che si dona, si offre; Amore che non è debolezza, passività o passionalità, ma comprensione sapiente e solare.

V'è un'altra considerazione da fare ed è questa: alcuni possono pensare che solo la Tradizione orientale sia eminentemente pratica, realizzativa, interessata più al Soggetto ultimo che all'oggetto formale, più diretta alla coscienza che all'erudizione mentale fine a se stessa. Ciò però può essere molto riduttivo. In Occidente vi è stata sempre una Tradizione iniziatica la quale, per essere tale, si è proposta la trasformazione effettiva, pratica e vitale dell'ente.

Quella antica, per esempio, era una filosofia di ordine realizzativo, trasformante; aveva come finalità non la semplice speculazione concettuale, ma la realizzazione di uno stile di vita, di uno stato di coscienza. La dialettica filosofica era e dovrebbe essere un preciso processo di liberazione dell'Anima dalle illusioni mondane, dalle proiezioni dianoetiche e dai vari piaceri sensoriali; proponendo essa una visione del vero essere che è anche autentico Bene. Lungo il tempo, però, con la prevalenza della concezione materialistica e positivista, tale concezione è venuta a sfumarsi fino a perdere la stessa essenza del filosofare per essere. Nell'epoca moderna asserire di vivere, di esprimere coerentemente la filosofia di un Parmenide, Platone o Plotino potrebbe sembrare anacronistico, per cui quei pochi che vogliono perpetuare la "visione di vita" della Tradizione filosofica occidentale (l'Oriente direbbe: jñana marga = via della Conoscenza, quella che la dea propone a Parmenide) devono trovarsi in circoli chiusi e nel silenzio. [...]

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Un ultima cosa.Nella filosofia indù con la parola viveka,discriminazione,non si sintende la discriminazione razziale,ecc ma il discernimento.




[Modificato da ShivaBhakta 02/02/2006 19.18]

Mi chiamo Orlando.Per cortesia chiamatemi per nome e non per nickname.