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Paolo e gli altri discepoli, tra cui Luca, lasciata Mileto, riprendono la via del mare, toccando Cos, Rodi, Patara: qui trovano una nave per la Siria. A Cipro, una delle mete del primo viaggio, non si fermano.

Approdati a Tiro, ove la nave doveva scaricare, vi restano una settimana e alcuni discepoli, della cui comunità s'ignora l'origine, consigliano Paolo di non andare a Gerusalemme, perché avrebbe rischiato di morire. Che non siano gli stessi discepoli della partenza è chiaro laddove si parla di "mogli e figli" (v. 5); sappiamo però che già ai tempi della persecuzione contro Stefano si erano rifugiati in Fenicia (l'odierno Libano) alcuni ellenisti che sicuramente conoscevano Paolo, visto che quando si chiamava Saulo era stato l'artefice di quella persecuzione (cfr 11,19).

Qui Luca cerca di essere un po' ambiguo proprio a motivo dei trascorsi di Paolo, per cui si limita a dire, molto genericamente, che avevano "ritrovato i discepoli"(v. 4).

Il consiglio dato a Paolo è stato "mosso dallo spirito"(v. 4) - scrive Luca - cioè è stato dato in buona fede e non per misurare il suo livello di coraggio, anche se non è da escludere che su Paolo già pendesse un mandato di cattura da parte del sinedrio, forse non ancora formalizzato ufficialmente; qui comunque Luca, avendo prima sostenuto la tesi che Paolo cercava il martirio, "in nome dello spirito", non può ora sostenere il contrario, e cioè che il consiglio di non recarsi a Gerusalemme era mosso da uno spirito diverso. Lo "spirito" è uno solo, solo che mentre a Paolo consiglia di cercare il martirio, nei discepoli, che ignorano le motivazioni recondite dell'apostolo, consiglia la prudenza.

Paolo in realtà aveva già preso la sua decisione e non avrebbero potuto far nulla per trattenerlo: la loro convinzione era che lui sarebbe sicuramente morto.

Ripresa la navigazione, arrivano a Tolemaide, poi a Cesarea, ove incontrano un personaggio autorevole, Filippo, uno dei sette diaconi, qui chiamato con l'appellativo di "evangelista", cioè di "predicatore del vangelo", il che forse riflette una certa rivalità tra "apostoli" ed "ellenisti", essendo quest'ultimi culturalmente più ebrei di quello che l'appellativo lasci pensare.

Il termine "apostolo" indicava semplicemente un predicatore mandato in missione in un determinato luogo, per un tempo circoscritto, e a tale compito Paolo assegnava chiunque meritasse la sua fiducia, indipendentemente dall'origine etnica, tribale o religiosa.

L'uso di questo termine era in palese contrasto con quello voluto dai Dodici, i quali si ritenevano "apostoli" (loro che un tempo erano stati dei "nazareni") in quanto seguaci diretti del Cristo e nel contempo ideatori della tesi della resurrezione o della "morte necessaria", mentre tutti gli altri erano discepoli per così dire di seconda mano, fossero essi giudei, galilei o ellenisti, dunque discepoli che svolgevano funzioni di evangelizzazione o di servizio amministrativo, come p.es. i diaconi, e che, in ogni caso, dovevano rendere conto del loro operato ai Dodici, almeno finché anche questa struttura rimase in piedi.