00 08/04/2010 13:19
Il Tempo
Fuoco amico sul Papa

La linea dura di Ratzinger non piace alla Curia. Continua la campagna del New York Times ma l'impressione è che nel mirino non ci sia il Santo Padre, ma la sua idea di pontificato.
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L'ultimo attacco del New York Times è un editoriale di Maureen Dowd, penna della sinistra liberal americana, già vincitrice di un Pulitzer. Che, in un commento intitolato «Il momento di Giuda per la Chiesa», lascia la parola, provocatoriamente, a suo fratello Kevin Dowd. E l'articolo è tutto un celebrare il Concilio, che però non ha cambiato la norma del celibato, la più «sorpassata e obsoleta», che ha portato a «persone confuse sessualmente, che possono danneggiare la vita dei nostri figli».

Si tratta di un attacco che tocca solo di striscio la vicenda della pedofilia della Chiesa, e passa ad accusare una linea di pontificato. Partire dagli attacchi sulla morale per arrivare a criticare un intero Papato: se c'è una strategia nei casi di pedofilia, è questa. Un'escalation con la quale si è cercato in tutti i modi di tirare dentro lo stesso Papa: prima con i casi del coro della diocesi di Ratisbona, per anni diretti da suo fratello Georg, poi con il caso Hullerman a Monaco, infine chiamandolo direttamente in causa per il suo lavoro a capo della Congregazione per la Dottrina per la Fede. I fatti hanno dimostrato che Benedetto XVI non solo non era coinvolto, ma che è stato quello che più di tutti ha cercato di arginare il fenomeno. Rimanendo, per questo, sempre arginato all'interno della Curia.

Voci non confermate parlano di una gola profonda vicina (o addirittura interna) all'ex Sant'Uffizio, che avrebbe passato al New York Times le carte del procedimento su Lawrence Murphy, come vendetta per una mancata nomina a vescovo. L'editoriale della Dowd ora sembra alzare il tiro, per attaccare un'idea di pontificato, più che il Papa. Viene pubblicato il giorno in cui si viene a sapere del primo caso norvegese di pedofilia: Georg Mueller, vescovo di Trondheim, si è dimesso a maggio del 2009 dopo che erano state formalizzate verso di lui delle accuse di abusi per quanto riguarda il periodo in cui era ancora sacerdote.

La vittima avrebbe ricevuto tra le 400mila e le 500mila corone come risarcimento. Una notizia che giunge sul sito della tv norvegese, e che prontamente trova il riscontro «ufficiale» di padre Federico Lombardi, presidente della Sala Stampa Vaticana: «Nel maggio 2009 il vescovo presentò le dimissioni, che vennero tempestivamente accettate dal Santo Padre, e in giugno lasciò la Diocesi. Si sottopose a un periodo di terapia e non svolge più attività pastorale. Dal punto di vista delle leggi civili il caso era prescritto. La vittima, oggi maggiorenne, ha finora sempre chiesto di rimanere anonima». La replica fa il paio con le dichiarazioni dal Sudafrica di Buti Thlagale, vescovo di Johannesburg. Questi ha denunciato che nemmeno la Chiesa cattolica africana è «esente dagli scandali».

Dichiarazioni che dicono di una strategia: rispondere subito, prevenire e agire, sul solco della linea della tolleranza zero tracciata dallo stesso Ratzinger da quando era prefetto all'ex Sant'Uffizio, e sempre in qualche modo osteggiata. Ad esempio nel caso di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, che già aveva subito una visita apostolica negli Anni Cinquanta, e che era stato accusato più volte di abusi sessuali, nonché di tossicodipendenza. Maciel fu sospeso a divinis solo nel 2006, e solo recentissimamente i Legionari sono stati portati a chiedere perdono alle vittime degli abusi del loro fondatore.

La Chiesa oggi fa quadrato. Ma basta una ricerca di archivio per rendersi conto che, sin dall'inizio del pontificato, Benedetto XVI è stato lui stesso vittima di una serie di resistenze «passive»: discorsi che tardavano ad essere pubblicati e tradotti male, macchina comunicativa insufficiente, addirittura voci riguardo l'andamento del Conclave, tutte sfavorevoli all'attuale Papa. A chi dà fastidio Ratzinger? Panorama ha parlato di una «lobby omosessuale» che si regge sul «ricatto reciproco». Una lobby - si dice timidamente in ambienti vaticani - che non sarebbe stata per niente soddisfatta di uno dei primissimi provvedimenti di Ratzinger Papa.

L'Istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica del 4 novembre 2005, che conteneva questa norma: «La Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». Lungi dal voler essere omofoba, l'istruzione era intesa anche come un primo argine al problema pedofilia. Che, come ha riconosciuto lo stesso Benedetto XVI, nasce nei seminari.

Andrea Gagliarducci