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Sancito il diritto di critica delle organizzazioni religiose

Ultimo Aggiornamento: 27/06/2008 18:22
14/05/2007 14:40
 
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Ho girato per la rete a ritrovare la sentenza sottostante, di cui un forum per quanto ligio ad uno statuto non può ignorare.
Il testo è integrale poichè é vietato linkare.
***************************

Sentenza N. 108/04
del 9 dicembre 2004
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
Sezione quarta penale

riunita in camera di Consiglio e composta dai
dott. Enzo Rivellese Presidente
dott. Dario D'Onghia Consigliere
dott. Giovanni Carlino Consigliere rel.
ha emesso la seguente

SENTENZA
nei confronti di
B.C., nata a (omissis) il (omissis),
S.A., nato a (omissis) il (omissis),
O.A., nata a (omissis) il (omissis),
V.A., nato a (omissis) il (omissis).

Imputati
Del delitto p. e p. dall'art. 10, 595 c.p., 30 lg 223/90, 13 lg 47/48 perché, in concorso tra loro, mandando in onda in data 31.7.98 sull'emittente televisiva Rai Tre la puntata del programma "Format: il dilemma" dal titolo "La figlia rapita" offendevano la reputazione della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova definendola ripetutamente "setta" e consentendo la diffusione di interviste ove si affermava fra l'altro che «A.O. (di anni 16) era stata assorbita dall'organizzazione... era plagiata, quasi irrecuperabile... dicevano di non andare a scuola perché non serve... mi dicevano di lasciare la famiglia e di andare in una loro famiglia... andare da loro senza il consenso dei genitori è una scelta giusta... proibiti i rapporti all'esterno della Congregazione... fui impedita di leggere una lettera di motivazioni sulla decisione di abbandonare i Testimoni... si raggiungono livelli di fanatismo incredibile...» e che la Congregazione aveva a base «...un sistema di lucro e basta...».
In Roma, il 31.7.1998.

FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 14.6.2002 il GUP del Tribunale di Roma dichiarava non luogo a procedere nei confronti di C.B., A.S., A.O. ed A.V. in ordine al reato di diffamazione - commesso il 31.7.1998 in danno della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova nella trasmissione televisiva "Format: il Dilemma" dal sottotitolo "La figlia rapita" - perché il fatto non costituisce reato.

Il Giudice evidenziava che la fattispecie coinvolgeva i rapporti tra la Congregazione ed i suoi aderenti, posto che dall'esperienza di A.O. nascevano le critiche, che trasfuse in un servizio televisivo avevano acquistato la dimensione e la diffusione proprie di una critica globale al modo di essere e di agire della Congregazione, descritta come una formazione caratterizzata da integralismo, rigidità e dall'attitudine a condizionare in modo pervasivo la vita privata e sociale di ogni aderente.

Ripercorreva la vicenda della O., del suo ingresso nella Congregazione, dei conflitti con la famiglia per aver lasciato la scuola per dedicarsi alla predicazione, della critica maturata dopo mesi di sofferta riflessione, della sua decisione di lasciare la comunità.

Affermava che i termini di "setta" e "fanatismo" dalla stessa O. usati erano adeguati ad esprimere il senso di oppressione patito e che l'accusa di integralismo, implicita nella sua presa di posizione, rifletteva l'opinione formatasi nel corso della lunga e sofferta esperienza.

Poneva in risalto che la ragazza, pur esprimendo una critica severissima e radicale, non si era abbandonata ad alcuna espressione gratuitamente offensiva, ma aveva analizzato con estrema intelligenza quelli che considerava gravi errori dottrinali e sociali.

Sottolineato infine che la stessa non aveva riferito alcun fatto che fosse risultato smentito, riteneva essersi pienamente integrata la scriminante del diritto di critica, applicabile anche in relazione alle trasmissioni televisive.

Passando all'esame dell'altro intervistato, A.V., rilevava che questi - riuscito dopo sette anni di litigi a staccare la consorte dalla Congregazione - aveva preso posizione contro una ideologia considerata in grado di rompere i connettivi strutturali della famiglia ed in tale contesto usato l'espressione "sistema di lucro" alludendo ad interessi economici della confessione ma senza negarne la matrice religiosa.

Riteneva tale riferimento - peraltro ricorrente in posizioni critiche verso altre chiese - non sufficiente a superare i limiti della scriminante, al pari dell'accusa di aver plagiato la O.

In proposito osservava che anche la mamma della ragazza aveva usato espressioni alludenti al concetto di plagio - non più afferente a un reato ed ormai privo di portata lesiva -, espressioni costituenti manifestazione della posizione critica ed oppositiva nei confronti dello stile di vita - vero o presunto - proposto dalla Congregazione.

In ordine a C.B. - giornalista ed intervistatrice della O. e del V. - richiamava le considerazioni svolte ed assumeva che la stessa non aveva alcun obbligo di verifica né sulla veridicità delle espressioni usate, trattandosi esclusivamente di opinioni e giudizi, né sul limite della continenza, mai travalicato dagli intervistati.

Con riferimento alla posizione di A.S. - regista della trasmissione - ribadiva che il servizio dal titolo "La figlia rapita" - peraltro da analizzarsi nella sua completa formulazione "Il dilemma, storia di genitori e figli. A., la figlia rapita" - riflettevano il punto di vista soggettivo della ragazza e della sua famiglia ed alludevano al senso di perdita da questa vissuto.

La sentenza veniva impugnata dal P.G. limitatamente ai menzionati indagati.

L'appellante reputava estraneo al concetto di critica ogni apprezzamento negativo immotivato o motivato su fatti non veri.

Rilevava che il GUP aveva dato atto del discredito ricaduto sulla confessione religiosa e della sussistenza dell'aspetto oggettivo del reato di diffamazione. Assumeva che alcuni giudizi formulati dagli interventi - in particolare l'accusa di rapimento e plagio, l'essere la Congregazione costituita in setta di fanatici, il sistema di lucro su cui si fonderebbe - erano gratuiti e privi di una verifica di fondatezza: pertanto travalicavano i limiti del diritto di critica sia sotto l'aspetto della verità che quello della continenza.

Chiedeva quindi riformarsi la sentenza e disporsi il giudizio nei confronti dei menzionati imputati.

All'esito dell'odierna udienza di camera di consiglio, udite le conclusioni rassegnate dalle parti, la Corte ritiene di dover disattendere - nei limiti appresso specificati - l'impugnazione proposta.

Va preliminarmente osservato che nella querela per diffamazione sporta, la parte civile aveva mosso accuse nei confronti "dell'allora direttore di Rai Tre, nonché responsabile del programma Format, Dott. G.M., degli autori, i Sigg.ri C.B., M.B., A.S., nonché nei confronti dell'On.le I.P. e di chiunque altro, compresi A.O., i suoi genitori e i coniugi V.".

L'appello invece è limitato al proscioglimento di A.O., di A.V., della B. e del S., non fornendo oggetto di gravame le pronunce liberatorie intervenute nei confronti degli altri indagati anche se la parte querelante lamentava in via prioritaria l'impostazione ed il titolo dati alla trasmissione televisiva (cfr. la querela sporta).

Le posizioni da esaminare restano dunque quelle della O., della B., del S. e del V. - nelle more deceduto in data 13.4.2004 -.

Dalla trascrizione del programma la prima risulta aver qualificato la Congregazione come "setta", nonché caratterizzata da "fanatismo" ed "integralismo" ed accusata di "plagio".

Non sono mai stati negati il carattere e le finalità religiose della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova e le critiche alla stessa mosse - come addebitate nel capo di imputazione - , non escludono siffatto scopo e prendono le mosse dalle esperienze personali vissute dalla giovane A.O. e dalla signora V. e dalle conseguenti sensazioni percepite a seguito della loro permanenza nella comunità.

In tale contesto il Giudice ha rettamente valutato le espressioni usate dalla giovane O., se pur improntate ad un aspro spirito critico, ancorate a presupposti di fatto non smentiti e non gratuitamente offensive per la costituita parte civile.

Va in merito osservato che nella attuale accezione linguistica, i termini di "setta" e di "plagio" non hanno più quella connotazione negativa loro precedentemente attribuita: indicano ora il "carattere chiuso" di una associazione ed il "pieno coinvolgimento" degli aderenti ai suoi scopi.

L'espressione "fanatismo ed integralismo" nella circostanza alludono poi meramente alla preminenza degli interessi della comunità su quelli personali e familiari dei singoli - posposti quest'ultimi per il raggiungimento del fine comune - nonché ai rigorosi valori morali propugnati dal movimento religioso.

Si tratta comunque di espressioni comunemente usate in sede di severa critica ideologica che devono intendersi lecite sul piano penale, quale manifestazione del diritto costituzionale di opinione e di manifestazione del pensiero.

Per queste ragioni deve escludersi che gli indicati vocaboli, ribaditi il non negato carattere religioso della Congregazione e la mancata dimostrazione della falsità delle circostanze di fatto relative alle esperienze personalmente vissute (cfr. in merito la impugnata sentenza) travalichino il limite consentito dal diritto di critica.

Va rilevato altresì che il "plagio" nel nostro ordinamento non è più previsto come reato e che la parte civile non ha contestato l'episodio riferito dalla O. della non permessa lettura dello scritto che motivava le ragioni della propria fuoriuscita dalla congregazione.

Nel corso della intervista rilasciata la stessa O. non parla mai di costringimento ad abbandonare gli studi e la famiglia ma in proposito riferisce: «io fui protagonista di una profonda trasformazione, in quanto, ecco, all'epoca frequentavo le scuole medie e già alla fine delle medie paventavo (da intendersi accarezzavo l'idea, come emerge dal contesto delle dichiarazioni, n.d.r.) l'idea di non proseguire con gli studi, di darmi ad un lavoro a mezza giornata e durante l'altra mezza giornata di dedicarmi alla predicazione e quindi a tutte le attività geoviste»;

«erano riusciti attraverso lo studio ed attraverso la frequenza delle adunanze a creare un indotto intorno a me che mi entusiasmava, mi induceva a capire che stavo compiendo la cosa più giusta»;

ed ancora «all'età di quindici anni io mi sono battezzata con il rito utilizzato dai testimoni con l'immersione in acqua, ovviamente galvanizzata da chi mi stava intorno, dalle persone che conoscevo, da chi mi conduceva allo studio all'epoca, così... era diventato un passo importante»;

«il clima in casa divenne via via sempre più insopportabile. Ad esempio quando io mi battezzai già mia madre aveva preso una posizione netta... nei miei confronti, di contrasto, di obiezione. Quando vide che le cose prendevano una piega sbagliata, quando io ho cominciato a controllare i miei affetti, a progettare il mio futuro in maniera diversa, cominciò a capire che io mi stavo separando dalla famiglia, che io non stavo più investendo nella famiglia perché ormai c'era un altro gruppo nel quale investire»;

«Io mi sentivo un po' come una palla tra due fuochi: dovevo mantenere la mia integrità»;

«Qualcosa di tutto ciò che loro mi dicevano mi entrava anche nella testa e nel cuore. Capivo che in tutto ciò che loro dicevano c'era qualcosa di giusto e di vero»;

«Qualcuno tra gli anziani aveva cominciato a paventare (vocabolo ancora una volta erroneamente usato, nella specie da intendersi come prospettare, n.d.r.) la possibilità che una volta maggiorenne io avessi potuto lasciare la mia famiglia ed ottenere accoglienza presso una famiglia della congregazione»;

«la dottrina geovista penetra in tutte le sfere della vita di una persona, quindi nella sfera privata, nella vita personale, degli affetti, della vita sociale».

Né parla mai di "fine di lucro" o "sistema di lucro", espressione attribuita dal GUP al V. ma in realtà adoperata dal padre della giovane (vedi la trascrizione in atti).

Né risulta che la stessa O. e gli altri indagati abbiano preventivamente concordato le risposte da dare o le affermazioni da fare in ordine alla Congregazione.


Passando all'esame delle posizioni di C.B. ed A.S. - rispettivamente presentatrice-intervistatrice e regista della trasmissione televisiva cui intervennero la O. ed il V., nonché i rispettivi familiari e la P., va sottolineata che la stessa parte querelante addebita alla prima esclusivamente la mancata contestazione e limitazione di quanto affermato dagli intervistati.

Dalla citata trascrizione risulta che la B. nulla di rilevante aggiunse alle dichiarazioni degli ospiti né può ritenersi aver fatto cassa di risonanza delle stesse, posto che trattavasi di dichiarazioni raccolte al momento, senza alcuna prova di preventivo accordo o conoscenza.

Un vaglio verosimilmente andava fatto dai responsabili del format, cui è da ascriversi anche il titolo dato al servizio televisivo e le conseguenti scritte apparse in sovrimpressione.

Per tale motivo appare esente da responsabilità il S., non emergendo anche per quest'ultimo un preventivo accordo od una pregressa conoscenza.

Per tutte le svolte considerazioni e per quelle più diffusamente contenute nella sentenza impugnata, l'appello formulato dal P.G. va rigettato con conferma della impugnata decisione anche nei confronti del deceduto V.

Attesa l'evidenza della sua innocenza, il proscioglimento nel merito va disposto a norma dell'art. 129, II comma, c.p.p., richiamato nella sua interezza dall'art. 69 stesso codice.

Invero la parte civile addebita ad entrambi i coniugi V. esclusivamente le seguenti espressioni - senza contestare altre affermazioni-:

«manipolazione della mente... invertita la scala dei valori,,, prima la sala del Regno e poi la famiglia... trasformata la mentalità dell'individuo... si raggiungono livelli di fanatismo incredibili».

Ribadita la mancata prova di un accordo preventivo, sottolineato che il riferimento al sistema di lucro non è attribuibile ad A.V. al pari dell'affermazione "trasformata la mentalità dell'individuo" e che non è oggetto di contestazione il presunto atteggiamento oppositivo della congregazione nei riguardi del voto, il Collegio non può che ripetere quanto sopra evidenziato in ordine all'uso ed alla portata dei termini "plagio", "integralismo" e "fanatismo", ritenuti manifestazione di una consentita critica, sia pure formulata in modo severo.

P.Q.M.
visto l'art. 428 c.p.p.,
rigetta l'appello proposto dal P.G. avverso la sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Roma il 14.6.2002 e conferma l'impugnata decisione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 9.12.2004

Il Consigliere est. Il Presidente
Depositata in Cancelleria il 16.12.2004
La giustizia di ogni luogo é l'ingiustizia di ogni luogo.
Martin Luther King
14/05/2007 17:18
 
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Commento di Achille Aveta

Talvolta, si sente dire che la magistratura è molto prudente nell'emanare provvedimenti collegati all'appartenenza a un movimento religioso; sembra che, se il contesto è religioso, la cautela sia quasi sempre amplificata. I motivi di questa "prudenza" si fonderebbero in parte su una valutazione non sufficientemente approfondita del contenuto e dei confini della libertà religiosa. Inoltre, in alcuni casi, vi sarebbe il timore di dover procedere a difficili delimitazioni o di provocare reazioni sul piano legale o pubblico da parte dei gruppi interessati.

Invece, nel caso di cui intendiamo parlare, la Magistratura italiana ha tutelato la scelta di una giovane che, dopo aver sperimentato l'adesione a un movimento religioso minoritario, ha deciso di prendere le distanze da esso esercitando il diritto di critica motivata.

E' anche opportuno osservare, preliminarmente, che la pronuncia dei giudici sulla vicenda - che ci apprestiamo a riassumere - è particolarmente interessante nella parte in cui si evidenzia che, se l'ordinamento è chiamato a tutelare un gruppo religioso, altrettanto deve tutelare i soggetti appartenenti a questo gruppo, consentendo loro di esprimere anche delle critiche severe, soprattutto se la critica proviene da chi ha operato all'interno dell'associazione religiosa. Ciò significa che al riconoscimento della pari dignità tra i gruppi religiosi deve corrispondere la possibilità di critica degli aderenti a ciascun gruppo, anche se tale critica diventa di pubblico dominio attraverso l'uso del mezzo giornalistico o televisivo. Tale critica, infatti, deve considerarsi manifestazione della libertà di ciascuno di autodeterminarsi nella gestione del proprio percorso filosofico o religioso, anche all'interno delle formazioni sociali in cui tale percorso si realizza.

Veniamo ai fatti così come sono stati riassunti dinanzi al Giudice per l'udienza preliminare della 39° Sezione del Tribunale Penale di Roma.

Il 31 luglio 1998, sull'emittente televisiva nazionale RAI TRE, andò in onda, per la serie "Format", una puntata del programma "Il dilemma; storie di genitori e figli" dal sottotitolo "La figlia rapita"; la figlia menzionata era una adolescente di nome (A).

L'intera trasmissione era incentrata sulla difficoltà del rapporto genitori-figli, derivante dalla scelta di (A) di aderire alla Congregazione dei Testimoni di Geova. Tutta la prima parte del programma era dedicata al racconto della madre, la quale, dopo aver acconsentito che la figlia iniziasse uno studio biblico con i Testimoni di Geova e, successivamente, a frequentare la locale congregazione, condividendone progressivamente tutte le attività, si trovò di fronte alla scelta di (A) di lasciare la scuola e dedicarsi alla predicazione, e in ogni caso di fronte a una sua dedizione totalizzante alla Congregazione. Peraltro la vicenda va letta alla luce della personalità indubbiamente consistente della ragazza, e in considerazione dell'approccio tipicamente giovanile e appassionato che ne caratterizza i comportamenti. Tale approccio venne valutato con senso di preoccupazione e di paura da parte della famiglia, anche perché a un certo punto qualcuno degli "anziani" ventilò l'ipotesi che, una volta maggiorenne, (A) avrebbe potuto lasciare la propria famiglia e trovare ospitalità presso una famiglia della Congregazione dei Testimoni di Geova.

Seguì un periodo di aspra conflittualità, caratterizzato dal tentativo della famiglia di allontanare (A) dalla Congregazione. A un certo punto i genitori di (A) riuscirono a convincerla a prendersi un lungo periodo estivo di vacanza da trascorrere insieme. Per il loro rientro, avevano concordato un incontro con un a coppia di coniugi che aveva vissuto un'esperienza di adesione e successivo abbandono del geovismo.

(A) trovò un punto di riferimento in questa coppia rispetto al quale cominciò ad esercitare una certa critica nei confronti della Congregazione. Ottenne un colloquio con gli "anziani" (= responsabili) locali e chiese che fosse letta una lettera di critica in occasione di una riunione di Testimoni, lettera con la quale si dissociava ufficialmente dalla Congregazione. Della lettera non venne autorizzata la lettura pubblica. (A) racconta che, quando decise di scrivere la lettera, il suo atteggiamento era completamente cambiato, e nel servizio una musica di sottofondo sottolineava l'idillio del ritorno alla normalità.

Nel corso del servizio televisivo (A) ha modo di chiarire con grande lucidità il senso di solitudine e di accerchiamento da lei provato a causa del moralismo prescrittivo che caratterizza l'impostazione dottrinale della Congregazione. Con la stessa lucidità (A) espone i motivi che l'hanno spinta a uscire dalla Congregazione. La lettera di commiato, riportata nel servizio, è assai significativa dell'atteggiamento fermo e pacato tenuto dalla ragazza in tutta la vicenda. Pur esprimendo una critica severissima e radicale, ella non si abbandona ad alcuna espressione gratuitamente offensiva, ma analizza con estrema intelligenza quelli che ella considera gravi errori dottrinali e sociali. L'accusa di integralismo implicita nella presa di posizione di (A) riflette, infatti, l'opinione che essa si è formata nel corso di una lunga e sofferta esperienza personale. In definitiva, la trasmissione televisiva dipingeva la "Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova" come una formazione caratterizzata da integralismo, rigidità, nonché dall'attitudine a condizionare in modo pervasivo la vita privata e sociale di ogni aderente.

A seguito della messa in onda della trasmissione, il legale rappresentante della "Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova" di Roma querelò per diffamazione i protagonisti, il regista e il responsabile del programma televisivo. Come se non bastasse, anche gli "anziani" di una congregazione della provincia di Venezia, luogo di militanza della protagonista della storia, presentarono querela per la stessa ipotesi di reato, dando così origine ad un procedimento giudiziario presso la Procura della Repubblica di Venezia, parallelo a quello attivato presso il Tribunale di Roma.

Entrambe le controversie hanno avuto un esito sfavorevole per i Testimoni di Geova:

- il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia ha disposto l'archiviazione del procedimento (cf Ordinanza del 1/10/2002);

- l'iter del contenzioso "romano" è stato un po' più "complicato", comunque - per quel che riguarda (A) - la Quarta Sezione Penale della Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 108/04 del 9 dicembre 2004, ha confermato la sentenza di "non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato", emessa nel 2002 dal giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Roma (cf Sentenza 14 giugno - 29 luglio 2002).

Quali riflessioni si possono fare all'esito di questa complessa vicenda giudiziaria?

Innanzitutto, è evidente che, in tema di diffamazione, non solo una persona fisica ma anche un'entità giuridica o una fondazione, un'associazione di natura religiosa, può rivestire la qualifica di persona offesa dal reato, essendo concettualmente identificabile un onore o un decoro collettivo, quale bene morale di tutti gli associati, considerati come entità unitaria, capace di percepire l'offesa. Perciò, nella vicenda in esame, i giudici hanno considerato la Congregazione dei Testimoni di Geova come ente esponenziale rappresentativo di interessi collettivi, ritenendola, pertanto, soggetto passivo dei reati di diffamazione e di vilipendio.

Ciò premesso, va, però, precisato anche che occorre tenere conto del diritto di critica degli appartenenti alle aggregazioni religiose, con particolare riferimento al caso in cui l'esercizio del diritto di critica abbia l'effetto di squalificare un gruppo religioso dinanzi all'opinione pubblica. Al riguardo, la tutela dell'onore, del decoro e della reputazione di un'associazione religiosa deve trovare un punto di bilanciamento con altri diritti della persona e con valori di rango costituzionale, ed in particolare:

con il diritto di critica, inteso come espressione del principio democratico, inscindibile dalla libera espressione del pluralismo culturale e religioso,

con la libertà di manifestazione del pensiero sancita dall'art. 21 della Costituzione italiana,

con la tutela dei diritti inviolabili della persona, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, ai sensi dell'art. 2 della stessa Costituzione.
Quest'ultimo bene-interesse diventa rilevante come elemento che rafforza, nell'operazione di bilanciamento, il valore e la legittimità del diritto di critica, nella fattispecie da parte di (A), la quale ha compiuto all'interno della Congregazione geovista un percorso culturale e religioso significativo per lo sviluppo della sua personalità e ha realizzato una critica radicale alle idee e alle metodologie della stessa Congregazione. Pertanto, al riconoscimento del decoro e dell'onore della confessione religiosa, deve fare riscontro la rigorosa tutela dei diritti delle persone che, all'interno della Congregazione, svolgono un percorso di ricerca di senso dell'esistenza.

E' pacifico, quindi, che i giudici concordino sul fatto che gli appartenenti ad un gruppo religioso (nel caso specifico al movimento della Torre di Guardia) hanno il diritto di critica; chiunque esprime le proprie opinioni di dissenso o posizioni contrastanti con il dettato di un gruppo religioso, anche attraverso il mezzo radiotelevisivo, usando i toni del confronto civile, esercita il diritto di critica, un diritto tutelato dalla Costituzione italiana. Se così non fosse, si vanificherebbe la connessione tra diritto di critica e principio democratico, ben potendo l'espressione di un'opinione, che affonda le radici in una esperienza personale, contribuire alla crescita culturale della collettività. E non vi è dubbio che tale progresso può discendere solo dal rigoroso rispetto del pluralismo dell'informazione, garanzia del diritto dei cittadini alla libera formazione delle opinioni attraverso il confronto e lo scontro di idee diverse o anche contrapposte. Ecco perché i giudici hanno ritenuto non punibile (A).

Queste osservazioni possono apparire ovvie per qualche lettore, tuttavia tale ovvietà viene meno quando si parla del Movimento geovista; infatti, solo per fare un esempio abbastanza eclatante, nel 2004, la rubrica televisiva di RAIDUE "TG2 -Dossier storie" mandò in onda alcuni servizi riguardanti i Testimoni di Geova: in uno di essi fu intervistato un "anziano" dei Testimoni (che militava nel gruppo da circa 30 anni), il quale celava la propria identità al pubblico per il fatto che, a causa della radicale critica che rivolgeva al gruppo religioso di appartenenza, se fosse stato identificato, avrebbe corso il rischio di essere espulso e conseguentemente ostracizzato da familiari e amici Testimoni. Quindi, è abbastanza evidente che l'esercizio del diritto di critica nei confronti del Movimento geovista da parte degli affiliati non è un dato pacificamente garantito.

Ma entro quali limiti è legittimo l'esercizio di questo diritto di critica? Gli elementi che la giurisprudenza considera costitutivi della scriminante del diritto di critica, sono sostanzialmente tre:

l'interesse pubblico dell'argomento trattato, che altrimenti sarebbe destinato a restare appannaggio dell'interiorità della persona;

la continenza delle espressioni usate, e il non trascendere nella contumelia e nelle false attribuzioni offensive, il mantenersi cioè nei limiti di una critica che, per quanto aspra, conservi sempre le caratteristiche di una civile presa di posizione. Per illustrare, tornando alla trasmissione televisiva incriminata, secondo i giudici, la protagonista - (A) - "pur esprimendo una critica severissima e radicale, non si abbandona ad alcuna espressione gratuitamente offensiva, ma analizza con estrema intelligenza quelli che ella considera gravi errori dottrinali e sociali. ... L'accusa di integralismo implicita nella presa di posizione di (A) riflette, infatti, l'opinione che essa si è formata nel corso di una lunga e sofferta esperienza personale";

la veridicità dei fatti, posti a fondamento dell'argomentazione e delle opinioni espresse. Infatti, sempre a proposito della vicenda narrata da (A), i giudici hanno osservato: "La critica si mantiene entro i limiti di un confronto civile. Non è stato peraltro riferito alcun fatto determinato che sia risultato smentito."
E con questa riflessione ci introduciamo nell'ultimo aspetto che ci pare utile trattare: Quale valore attribuire alla testimonianza degli ex affiliati al Movimento geovista?

Sull'argomento, l'opinione della Società Torre di Guardia è decisamente esplicita: moltissimi ex Testimoni sarebbero animati da livore e disprezzo nei confronti degli ex conservi; mostrerebbero acredine e i loro giudizi avrebbero motivazioni faziose e intrise di pregiudizio; in conclusione, a tutto concedere, le dichiarazioni degli ex adepti andrebbero prese con le pinze, secondo i Testimoni!

A fronte di questa allarmante descrizione degli ex affiliati, fatta propria da tanti Testimoni (cfr www.cristianitestimonidigeova.net/art0503.htm), propongo all'attenzione di chi legge le osservazioni di una fonte che gli stessi Testimoni considerano non prevenuta nei loro confronti: parlo del dott. Massimo Introvigne. Ebbene, qualche tempo fa Introvigne scriveva a proposito di Raymond Franz (ex membro del Corpo Direttivo geovista):

"Raymond Franz è dunque nei confronti dell'organizzazione dei Testimoni di Geova un "apostata", nel senso tecnico in cui questo termine viene attualmente utilizzato dai sociologi della religione che studiano le sette, senso che non implica alcuna valutazione morale negativa oppure positiva. Sorge, allora, un quesito preliminare di carattere metodologico: è lecito usare la testimonianza di un "apostata" ... verosimilmente influenzato da un certo risentimento personale, in un accostamento al tema che vorrebbe essere scientifico?
Affrontando l'argomento degli "apostati" si devono probabilmente evitare due eccessi: da una parte, fondare lo studio scientifico di una setta sulla sola testimonianza dei membri che l'hanno lasciata; dall'altra, eliminare completamente e per principio tutte queste testimonianze. Il criterio scientifico con cui esaminare le testimonianze degli ex-membri delle sette dovrà allora essere simile al criterio giuridico con cui si esaminano le confessioni nel processo penale ... : un esame rigorosamente critico della testimonianza, e la sua verifica su altre fonti, principalmente sui documenti che emanano dal gruppo stesso (in questo caso la setta) contro cui la testimonianza è diretta. Se applichiamo questo criterio dovremo allora certo rigettare certi resoconti a sensazione, ... Ma potremo anche serenamente accettare molte testimonianze articolate e intelligenti di ex-membri di sette. E potremo perfino considerare privilegiate testimonianze come quella di Raymond Franz, che non è stato solo un membro ma uno dei massimi dirigenti dei Testimoni di Geova. .... Raymond Franz, lascia meno spazio all'elemento personale e ... inserisce nel suo testo molti documenti la cui autenticità non è stata finora contestata neppure dagli stessi TdG".

Fin qui il giudizio del dott. Introvigne, che - a proposito del valore scientifico da attribuire alle testimonianze degli ex affiliati - promuove a pieni voti l'opera di devastante critica al movimento della Torre di Guardia, compiuta da Raymond Franz con il suo autorevole volume intitolato "Crisi di coscienza", tradotto ormai in una dozzina di lingue.
Riepilogando, quindi, la critica degli ex affiliati è ineccepibile e rigorosa dal punto di vista scientifico quando soddisfa i seguenti criteri:

pone alla base un interesse pubblico;
viene espressa con continenza;
si fonda su fatti veri e documentati.
Orbene, è indispensabile che gli interessati si lascino guidare da queste indicazioni, quando si tratta di valutare la portata dell'argomentata critica che da più parti viene mossa al movimento dei Testimoni di Geova.
La giustizia di ogni luogo é l'ingiustizia di ogni luogo.
Martin Luther King
17/11/2007 12:15
 
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Re:
1x2x, 16/11/2007 14.32:

Vorrei chiedere a F.delemme o chi per lui può dirgli ... cosa pensa di questa sentenza o dichiarazione inerente alla difesa della propria religione
Grazie




Gianni , mi raccomando perchè il signore da te citato , vuole darci delle rogne , percui lo aspettiamo al varco , senza nessun timore o remore , non ci sono problemi , la cosa chiara è che questa sentenza aiuta molto la CC se non fosse per altro quello che scrivono i signori che hai chiesto sui loro forum
Questo forum non è INTOLLERANTE , VERSO NESSUNA RELIGIONE , qui esiste il contraddittorio , il resto tutte chiacchere



27/06/2008 18:22
 
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In Olanda la polizia ha fatto irruzione nella casa del disegnatore Gregorius Nekchot e lo ha trascinato in galera per alcune vignette ritenute offensive dell'Islam. Persino il direttore del suo giornale ha dato l'avallo all'arresto. La denuncia era partita da un olandese convertito alla religione musulmana.

Né in Olanda né nel resto d'Europa si è sollevata una sola critica a questo provvedimento.

Strano perché di solito gli autori di satira sono piuttosto solidali tra loro e quando qualche governo fa la voce grossa (vedi i casi italiani della Guzzanti, di Luttazzi o di altri) scatta subito la difesa d'uffico al grido "la satira non si tocca". In Olanda non solo si tocca ma si sbatte in galera e tutti tacciono.

Nello stesso momento, invece, in tutta Europa ci si sente completamente liberi di maltrattare, insultare, deridere la religione cattolica e i suoi simboli e se solo qualcuno alzasse il dito per protestare gli verrebbe tagliato con l'accusa imfamante di censore.

La foto che pubblichiamo l'abbiamo trovata per caso su Repubblica.it, faceva parte del reportage di una sfilata di moda in Austria dove si presentava la collezione di un noto produttore di lingerie inglese, Agent Provocateur. Ognuno è libero di scegliersi le mutande che vuole e anche di mostrarle in pubblico, non si capisce però la ragione di mettere due modelle in guèpiere che trascinano in catene un finto cardinale.

Forse non c'è una ragione, è solo routine di cui nessuno più si scandalizza: potevano scegliere un cardinale, un cavallo, una valkiria in motocicletta, un gregge di pecore: tutta la stessa pappa frutto del genio di qualche organizzatore di eventi. Di certo però nessuno si sarebbe azzardato a mettere in passerella, non dico un finto profeta ma neppure un imam o un ayatollah.

Invece a prendersela con i preti non si rischia nulla, neppure un po' di biasimo: anzi si passa per gente dalla mente libera e coraggiosa. Così non ci si accorge che a poco a poco ci stiamo costruendo la nostra stessa galera.

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