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Sabra e Chatila

Ultimo Aggiornamento: 16/10/2007 09:43
15/10/2007 12:38
 
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LA VERITA'

Visto le reiterate insistenze di alcuni foristi a voler parlare di quest'argomento, ( evidentemente ignoranti della verità e manovrati da organizzazioni politiche o società pseudoreligiose), per loro informazione quanto segue.
So bene che non basterà, perchè non c'è maggior sordo di chi non vuol sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere.
In questo caso poi si sommano due fattori, l'odio per Israele e il puerile tentativo di spostare l'attenzione dagli argomenti proposti nelle altre sezioni.



Dall'Unità del 13-02-2003.
La corte suprema del Belgio avrebbe dovuto mettere la parola fine ad un improponibile processo contro il premier israeliano Ariel Sharon promosso da alcuni cittadini arabo libanesi per presunti crimini contro l'umanità relativi alla strage di profughi palestinesi dei campi di Sabra e Chatila perpetrata nella notte tra il 16 e il 17 settembre 1982.
Al vero colpevole circa un anno fa i siriani hanno chiuso la bocca per
sempre usando il metodo che lui stesso aveva brevettato in Libano.
Elie Hobeika, l'uomo che guidò le stragi di inermi palestinesi nei campi
profughi di Sabra e Chatila il 16 settembre del 1982, era stato infatti
dilaniato da una carica di esplosivo a Beirut nella propria abitazione,
iperprotetta dai servizi segreti siriani, nel quartiere Hazmiyeh.
Hobeika stranamente non era stato citato neppure come testimone nel processo
farsa.
Come sono invece andate veramente le cose a Sabra e Chatila chi vuole può
leggerselo nei capitoli 7 e 8 del libro "From Israel to Damascus", scritto
dalla ex guardia del corpo di Hobeikah, Robert Hatem, in codice "Cobra"
Il tutto su licenza dell'editore "Pride international publications" di La
Mesa in California. Quel libro fu infatti bandito in Libano e lo stesso
Hobeikah è riuscito a non farlo pubblicare nemmeno in Francia pagandosi i
migliori avvocati con i soldi dell'attuale governo fantoccio di Beirut,
telecomandato dal sanguinario dittatore di Damasco Assad.
Ci si dimentiche che Hobeikah in Libano è stato fino a due
anni orsono un ministro molto importante: prima a capo del dicastero
dell'elettricità, poi di quello per la sistemazione dei profughi (visti i
precedenti, ndr), infine responsabile dell'aiuto agli handicappati.
Secondo il suo ex braccio destro, che adesso vive in luogo segreto, gli
eventi di quel maledetto 16 settembre 1982, all'indomani dell'attentato che
aveva fatto secco il presidente Bashir Gemayel, "uno che doveva durare 6
anni e che invece restò in carica 20 giorni", sarebbero andate così: "erano
stati gli uomini di Maroun Mashaalani, sconvolti dal loro uso regolare e non
modico di eroina e cocaina, quella mattina a perpetrare uno dei peggiori
macelli che la storia ricordi nel campo di Sabra e Chatila."
L'ordine sarebbe partito per iniziativa di Hobeika, che faceva il doppio
gioco tra Israele e la Siria. Hobeikah aveva convinto Sharon che in quei
campi profughi c'erano "almeno 2000 terroristi dell'Olp".
Sharon aveva dato ordine di evacuare i civili e di arrestare i terroristi,
se del caso ricorrendo alla forza.
Lui invece trasmise al suo sicario e alla banda di miliziani drogati che
quest'ultimo comandava un altro comando: "cancellare tutti dalla faccia
della terra".
Sharon, avuta notizia della strage, alle 6 del mattino - racconta Cobra -
"convocò immediatamente me e Hobeikah al quartiere generale".
"Lo raggiungemmo - dice oggi Hatem - sul terrazzo di quell'alto edificio
prospiciente l'ambasciata del Kuwait... gli ufficiali israeliani intorno a
Sharon erano furiosi con Hobeikah, attribuendogli l'iniziativa della strage.
Lui rispose che tutto era successo per via dell'oscurità. Sharon urlò:
nessuno ti aveva detto di fare questa carneficina, se avessi voluto potevo
procedere da solo con i miei carrarmati... qualche minuto dopo, Hobeika ebbe
un messaggio sul proprio walkie talkie da uno che disse di essere Paul. Gli
chiedeva istruzioni: ci sono donne e bambini che devo fare? E Hobeika
rispose, senza sapere che potevo sentirlo, è un problema tuo, non mi
chiamare più."
"Vista la mala parata e le insignificanti scuse di Hobeikah, Sharon ordinò
agli israeliani di aprire il fuoco da quel momento su chiunque si fosse
avvicinato a quei campi profughi, ma ormai era troppo tardi."
Così finisce il racconto di "Cobra", il guardaspalle di Hobeiklah.
"Non posso provarlo - dice oggi "Cobra" - ma per me il piano diabolico era
stato concepito dai siriani per fare cadere il governo di Begin in cui
Sharon era ministro della difesa". Cosa che puntualmente accadde.

Il 24 gennaio 2002 Elias Hobeika muore a Beirut in un attentato. Meno di 36 ore prima di saltare in aria con la sua Jaguar blindata, Hobeika aveva avuto un incontro "confidenziale" con due senatori belgi e si era detto pronto a fare "rivelazioni" sui massacri di Sabra e Shatila e sui rapporti che aveva avuto durante quei giorni con i generali israeliani che dipendevano dal ministro della difesa israeliana.
ps
Amnon Kapeliouk, Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro, Roma, Corrispondenza Internazionale, 1983 (trad. ital. dell'originale Sabra et Chatila: Enquete sur un massacre, Parigi, Ed. du Seuil, 1982).




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I veri responsabili del massacro di Sabra e Chatila
Giornali e TV hanno dato ampio risalto alla decisione della Corte Suprema belga di ammettere un processo a Sharon per crimini contro l'umanità. In merito a questo argomento riportiamo l'articolo di Dimitri Buffa pubblicato su L'Opinione giovedì 13 febbraio 2003 e rinviamo il lettore anche alla nostra analisi del pezzo dell'Unità del 13-02-2003.
La corte suprema del Belgio avrebbe dovuto mettere la parola fine ad un improponibile processo contro il premier israeliano Ariel Sharon promosso da alcuni cittadini arabo libanesi per presunti crimini contro l'umanità relativi alla strage di profughi palestinesi dei campi di Sabra e Chatila perpetrata nella notte tra il 16 e il 17 settembre 1982.
Al vero colpevole circa un anno fa i siriani hanno chiuso la bocca per
sempre usando il metodo che lui stesso aveva brevettato in Libano.
Elie Hobeika, l'uomo che guidò le stragi di inermi palestinesi nei campi
profughi di Sabra e Chatila il 16 settembre del 1982, era stato infatti
dilaniato da una carica di esplosivo a Beirut nella propria abitazione,
iperprotetta dai servizi segreti siriani, nel quartiere Hazmiyeh.
Hobeika stranamente non era stato citato neppure come testimone nel processo
farsa.
Come sono invece andate veramente le cose a Sabra e Chatila chi vuole può
leggerselo nei capitoli 7 e 8 del libro "From Israel to Damascus", scritto
dalla ex guardia del corpo di Hobeikah, Robert Hatem, in codice "Cobra",
pubblicato integralmente su internet nel sito "fromisraeltodamascus.com".
Il tutto su licenza dell'editore "Pride international publications" di La
Mesa in California. Quel libro fu infatti bandito in Libano e lo stesso
Hobeikah è riuscito a non farlo pubblicare nemmeno in Francia pagandosi i
migliori avvocati con i soldi dell'attuale governo fantoccio di Beirut,
telecomandato dal sanguinario dittatore di Damasco Assad.
Ci si dimentiche che Hobeikah in Libano è stato fino a due
anni orsono un ministro molto importante: prima a capo del dicastero
dell'elettricità, poi di quello per la sistemazione dei profughi (visti i
precedenti, ndr), infine responsabile dell'aiuto agli handicappati.
Secondo il suo ex braccio destro, che adesso vive in luogo segreto, gli
eventi di quel maledetto 16 settembre 1982, all'indomani dell'attentato che
aveva fatto secco il presidente Bashir Gemayel, "uno che doveva durare 6
anni e che invece restò in carica 20 giorni", sarebbero andate così: "erano
stati gli uomini di Maroun Mashaalani, sconvolti dal loro uso regolare e non
modico di eroina e cocaina, quella mattina a perpetrare uno dei peggiori
macelli che la storia ricordi nel campo di Sabra e Chatila."
L'ordine sarebbe partito per iniziativa di Hobeika, che faceva il doppio
gioco tra Israele e la Siria. Hobeikah aveva convinto Sharon che in quei
campi profughi c'erano "almeno 2000 terroristi dell'Olp".
Sharon aveva dato ordine di evacuare i civili e di arrestare i terroristi,
se del caso ricorrendo alla forza.
Lui invece trasmise al suo sicario e alla banda di miliziani drogati che
quest'ultimo comandava un altro comando: "cancellare tutti dalla faccia
della terra".
Sharon, avuta notizia della strage, alle 6 del mattino - racconta Cobra -
"convocò immediatamente me e Hobeikah al quartiere generale".
"Lo raggiungemmo - dice oggi Hatem - sul terrazzo di quell'alto edificio
prospiciente l'ambasciata del Kuwait... gli ufficiali israeliani intorno a
Sharon erano furiosi con Hobeikah, attribuendogli l'iniziativa della strage.
Lui rispose che tutto era successo per via dell'oscurità. Sharon urlò:
nessuno ti aveva detto di fare questa carneficina, se avessi voluto potevo
procedere da solo con i miei carrarmati... qualche minuto dopo, Hobeika ebbe
un messaggio sul proprio walkie talkie da uno che disse di essere Paul. Gli
chiedeva istruzioni: ci sono donne e bambini che devo fare? E Hobeika
rispose, senza sapere che potevo sentirlo, è un problema tuo, non mi
chiamare più."
"Vista la mala parata e le insignificanti scuse di Hobeikah, Sharon ordinò
agli israeliani di aprire il fuoco da quel momento su chiunque si fosse
avvicinato a quei campi profughi, ma ormai era troppo tardi."
Così finisce il racconto di "Cobra", il guardaspalle di Hobeiklah.
"Non posso provarlo - dice oggi "Cobra" - ma per me il piano diabolico era
stato concepito dai siriani per fare cadere il governo di Begin in cui
Sharon era ministro della difesa". Cosa che puntualmente accadde.


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"Nell'inferno di Sabra e Chatila"
di Bruno Marolo*

*Bruno Marolo, giornalista italiano, è stato testimone degli eventi più drammatici prima come inviato della "Gazzetta del Popolo" di Torino e poi come corrispondente dell¹Ansa. Inviato in Libano nel 1973 ha assistito nell¹ottobre seguente alla guerra arabo-israeliana sul fronte del Golan. Nel 1980 ha assunto la direzione, a Beirut, dell¹ufficio di corrispondenza dell¹Ansa per il Libano e il Medio oriente. Nel 1985 gli è stato assegnato il premio Ischia per i servizi sulle stragi di Sabra e Chatila.



Cominciamo dunque da Sabra e Chatila: La prima strage poteva essere evitata? La forza multinazionale intervenuta nell¹Agosto 1982 per sovrintendere all¹esodo dei combattenti palestinesi lasciò il Libano tra il 10 e il 13 settembre. Il massacro nei campi palestinesi cominciò tre giorni dopo.

Il 23 Agosto il Parlamento libanese, riunito nel settore Est di Beirut controllato dagli israeliani e dai loro alleati falangisti, aveva eletto Beshir Gemayel presidente della repubblica.
Trentaquattro anni, corporatura tozza, una predilezione per le tute mimetiche e un¹abilità notoria nel maneggiare mitra e coltello, Beshir era il figlio più giovane del capo storico falangista Pierre Gemayel e si era affermato come uomo forte del partito. Aveva poche idee ma chiarissime. Una soprattutto: non un solo palestinese armato doveva rimanere nei 10452 chilometri quadrati del Libano. "I palestinesi devono capire", mi diceva in quei giorni uno dei suoi portavoce, che in Libano per loro non c¹è più posto e se partiranno sarà meglio per tutti. Prenderemo in mano la situazione a Sabra e Chatila, questi focolai di sovversione sfuggiti per troppo tempo a ogni controllo. Replicai che stringendo il tizzone ardente anche la mano del potere rischiava di bruciarsi. Risposta: "No, perché sarà una mano di ferro".
Questo programma spaventava non soltanto i palestinesi, ma gli stessi libanesi musulmani che avevano combattuto contro Beshir. Non mancavano naturalmente i notabili che correvano a giurare fedeltà al nuovo padrone ma neppure i gruppi armati che si preparavano a vendere cara la pelle. Anche dopo la partenza dei fedayin nel settore ovest di Beirut rimanevano milizie potenti: i "Morabitun", nasseriani, gli sciiti del movimento "Amal", i comunisti, i drusi del partito socialprogressista di Walid Jumblat avevano blindati e mortai. Prima di andarsene i palestinesi avevano consegnato loro le armi pesanti. Non era poi detto che le "Forze libanesi" le milizie cristiane di Beshir, avrebbero avuto facilmente partita vinta. Per imporre la sua autorità su Beirut ovest il presidente eletto aveva ancora bisogno dell¹aiuto di Israele: La forza di interposizione gli era d¹intralcio.
Del resto, neppure i paesi che avevano mandato le truppe erano entusiasti all¹idea di lasciarle ancora a lungo nella gola del lupo. L'evacuazione delle forze dell OLP fu conclusa il primo settembre, in anticipo sul programma stabilito da Philip Habib, e nei giorni successivi i tre contingenti della forza multinazionale preparavano i piani per andarsene tra il 10 e il 16 settembre, una settimana prima cioè della scadenza (rinnovabile) del 21 prevista in origine.
Mentre la polizia di Beshir Gemayel affilava le armi, anche i più moderati tra i musulmani mostravano di aver paura. Nei quartieri in cui probabilmente ci sarebbe stata battaglia si trovavano le loro famiglie. Il 6 Settembre il primo ministro Shafiq Wazzan e una delegazione di notabili sunniti chiesero ai comandanti della forza multinazionale che rimanessero fino a quando le truppe israeliane non avessero tolto l¹assedio a Beirut. Il 10 Settembre, cedendo alle insistenze dei musulmani, il ministro degli esteri cristiano conservatore Fuwad Butros dichiarò Il governo libanese desidera la presenza a Beirut della forza multinazionale almeno fino al 21 Settembre. Era una richiesta ufficiale? No, si schermì il ministro, "questo è soltanto il nostro desiderio". Wazzan e Butros erano allora le massime autorità in Libano. Secondo la costituzione, Beshir Gemayel non avrebbe assunto la presidenza fino al 23 settembre, un mese dopo l¹elezione.
Ma l¹uomo del momento era lui Beshir Gemayel e prevalse la sua volontà. Il rinnovo del mandato della forza multinazionale, desiderato dal governo, non venne chiesto ufficialmente. In questa fase una ferma politica degli Stati Uniti e dei loro alleati europei avrebbe forse potuto evitare il massacro, salvare il Libano e porre le premesse per un negoziato in cui il problema libanese avrebbe potuto essere affrontato insieme con quello palestinese. Bastava che le truppe israeliane si ritirassero di qualche chilometro e la forza multinazionale si assumesse il compito di pacificare Beirut ponendo come condizione il disarmo di tutte le milizie comprese quelle cristiane. Ma nessuno osò prendere l¹iniziativa. Tra il 9 e il 10 Settembre si imbarcarono i marines. Il giorno dopo se ne andarono i bersaglieri e il 13 Settembre anche i francesi presero il largo. Per l¹invasione di Beirut ovest il campo era libero. Nei prossimi giorni assisterete a un bello spettacolo, una cosa veramente grossa², confidò Beshir a un giornalista suo amico. Le milizie cristiane si concentrarono a Shweifat, sulla collina che domina l¹aeroporto di Beirut.
Ai loro piedi si stendevano, facile preda, i campi di Sabra e Chatila indifesi dopo la partenza dei fedayin. Anche la forza multinazionale che avrebbe potuto e dovuto difenderli se n¹era andata. Il 12 Settembre le Forze libanesi cominciarono ad ammassare a Shweifat non soltanto i camion per il trasporto delle truppe ma anche i bulldozer che sarebbero serviti per demolire i campi e scavare le fosse comuni. Beshir Gemayel sapeva, allora, in quale spaventosa strage di innocenti si sarebbe risolta la conquista di Sabra e Chatila? Se anche egli aveva pianificato il massacro, non visse abbastanza per vederlo. Il 14 Settembre una carica di tritolo esplose nella roccaforte cristiana di Ashrafie ed egli fu tra i ventuno morti. Scoperto ed arrestato dalle "Forze libanesi" una settimana dopo, l¹attentatore, Habib Shartuni, confessò di appartenere al Partito social nazionalista siriano, un movimento libanese collegato con Damasco, e di aver agito in nome dei suoi ideali politici. Soltanto con il tempo sarebbero emersi i particolari della congiura. Il padre di Shartuni, un cristiano nemico dei falangisti, era stato ucciso dalle squadre di Beshir Gemayel nei primi anni della guerra civile.
Un lavoro durato tre anni. Il ³Partito social nazionalista siriano gli aveva procurato un detonatore con radiocomando di fabbricazione giapponese, abbastanza perfezionato perché le onde della radio falangista, che trasmetteva dallo stesso quartiere, non provocassero l¹esplosione nel momento sbagliato. Quando Beshir Gemayel venne eletto presidente, Habib Shartuni decise di agire.
Bisognava liberare il Libano dal dittatore prima che fosse troppo tardi. Da un bar presso casa telefonò alla sorella, l¹attirò fuori con un pretesto per salvarle la vita e fece scoppiare la bomba. La morte del presidente eletto fece precipitare la situazione.
Alle cinque di sera del 16 Settembre i falangisti entrarono in Sabra e Chatila.
Veniva buio e gli israeliani dai bordi dei campi sparavano razzi illuminanti per facilitare l¹irruzione. Alle sette un gruppo di donne palestinesi corse achiedere aiuto ai soldati del generale Drori, uno dei quali avrebbe poi testimoniato davanti alla commissione d¹inchiesta: Le donne gridavano che i falangisti stavano ammazzando la gente a caso. Avvertii i miei ufficiali ma mi risposero che era tutto in regola" Una prima ondata di civili in fuga si riversò nella "foresta dei pini", un parco che era l¹orgoglio della città prima di essere ridotto dalle bombe israeliane ad una distesa di tronchi senza vita. Fu qui che si diffusero le prime notizie del massacro. Un giovane palestinese, Zakaria Sheikh, soccorse una donna piangente e da lei seppe quello che stava avvenendo. Sull' unica grande strada, sempre piena di polvere o fango, che attraversa Chatila c¹era il negozio di bicicletta di un tale Abu Walid Harb.
La donna abitava nella baracca accanto. Il marito e il figlio più grande si erano messi in salvo qualche ora prima, quando era giunta voce che stavano arrivando le milizie cristiane. Ma lei era rimasta, con il figlio più piccolo. Gli arabi, in genere, non ammazzano donne e bambini. Sono le mogli che restano a custodire la casa quando gli uomini scappano. Una legge non scritta della guerra impone di rispettarle. Ma quella sera le Forze libanesi volevano vendicare Beshir Gemayel e non avevano più legge.
Quando tre miliziani sfondarono la porta, la donna strinse più forte il bambino, come cercando di nasconderlo tra le vesti. Un uomo l¹afferrò per il collo mentre gli altri le strappavano il figlio dal petto. Ridevano. Sbatterono il bambino in un angolo e presero la mira con i fucili. ³Non uccidetelo², gridò la donna, ³per amor di Dio, no!². Si buttò avanti per ripararlo con il suo corpo, fu ricacciata con il calcio del fucile nel petto. E ridevano. Il bambino cominciò a strisciare, piano paino, tremando, verso la madre. Uno dei tre miliziani l¹afferrò per un piede, come si afferra un pollo, e lo ributto nell¹angolo. ³Uccidete me invece², gridava la donna, "in nome di Dio, pietà". "No, è lui che vogliamo. Tra pochi anni diventerebbe un terrorista". Adesso non ridevano più. Il bambini gridava "Mamma, mamma" quando una raffica gli crivellò il corpo. Nella stessa strada abitava il vecchio Abu Diab con la figlia di diciassette anni, Aida.
Pensava di non aver nulla da temere perché era cristiano. Palestinese, ma cristiano. La sua morte ebbe una testimone, Umm Wisam, una vecchia che viveva nella stanza accanto e che nascosta dietro un mobile in cucina, udì, attraverso una parete sottile, lo schianto della porta sfondata e subito dopo una raffica di mitra. Alcuni proiettili bucarono il muro. Anche qui gli intrusi ridevano. Ci fu un rumore come di lotta, ma come avrebbe mai potuto lottare il settantenne Abu Diab contro un manipolo di miliziani in armi?
Poi un grido, inconfondibile, e allora Umm Wisam capì: stavano violentando Aida, Aida che adesso gemeva debolmente mentre il padre ripeteva con voce bassa e fremente un¹unica frase: "Dio vi maledica". Un nuovo urlo, terribile, si spense tra il crepitare di altre raffiche. Un breve, profondo silenzio sullo sfondo del cannone che in lontananza continuava a tuonare, poi i passi dei miliziani che se ne andavano. Umm Wisan osò uscire soltanto il giorno dopo, quando ormai le milizie si erano spostate verso altri quartieri di Sabra e Shatila. Il corpo di Abu Diab era sull¹uscio, braccia e gambe legate, un grande squarcio sulla spalla sinistra, vicino al collo.
Lo squarcio di un¹accetta. Aida, seminuda, stava sul pavimento, il petto e il collo profondamente graffiati, due fori di pallottola vicino al cuore. La vecchia cercò di ricomporle le vesti e soltanto allora si accorse che dal ventre spuntava il manico di una baionetta. Dal tetto di un caseggiato che domina Chatila gli ufficiali israeliani seguivano l¹operazione. Per tutta la notte e per tutto il giorno seguente le ³Forze libanesi² si abbandonarono ad un macello sistematico. Mentre alcune compagnie procedevano al rastrellamento, altre bivaccavano in un edificio abbandonato presso l¹ambasciata del Kuwait pronte a dar loro il cambio.
Gli israeliani fornivano i viveri: sul posto venne poi trovato un mucchio di scatolette di carne con le etichette in caratteri ebraici. I palestinesi in età di portare un¹arma venivano concentrati in uno stadio in rovina al margine di Chatila.
Molti vennero uccisi prima di arrivarci. I morti venivano seppelliti nei crateri aperti dalle bombe dell¹aviazione durante l¹estate e coperti dalla terra smossa dai bulldozer. Molti non vennero più ritrovati. Selma, tredici anni, è scampata per caso al massacro. "Eravamo in cinque", racconta, "mio padre, mia madre, mio fratello, la nonna ed io. Rimango soltanto io.
Era la sera del 16 Settembre. Stavamo da ore nascosti in un rifugio e siamo usciti perché non potevamo più respirare. I falangisti scendevano dalle dune al bordo del campo di Chatila. La mia gente è corsa loro incontro, agitando fazzoletti bianchi e implorandoli di non sparare. Hanno cominciato a far fuoco sugli uomini. Poi, anche sulle donne e i bambini. Mi sono nascosta in un gabinetto e di lì ho visto ammazzare la mia famiglia e quasi tutti i miei vicini. "Il quartiere veniva rastrellato casa per casa. Gli uomini venivano uccisi subito, le donne e i bambini venivano portati in uno spiazzo, davanti a casa mia. A un certo punto ho messo il naso fuori dalla finestra e un falangista mi ha sparato, senza colpirmi. Poi ha detto a una vicina di venirmi a chiamare. Ero stata chiusa cinque o sei ore nel gabinetto, soffocavo. Sono uscita nel buio e il falangista ha puntato una torcia elettrica per vedere se ero una ragazza o un ragazzo. ³Sei palestinese?", ha gridato, "voi palestinesi volevate rubarci il Libano". "Sullo spiazzo c'era la famiglia di mio zio. Mio cugino di nove mesi piangeva.
Il falangista ha gridato: "Perché piange? Mi ha rotto le scatole", e gli ha sparato in una spalla. Io ho supplicato di risparmiarlo e allora lui lo ha afferrato per una gamba e con una baionetta lo ha ucciso. "In qul momento è arrivato mio zio Feisal. Un tipo picchiatello, che rideva o parlava da solo, oppure si metteva a cantare all¹improvviso. Ho implorato i falangisti che non gli sparassero: "Avete ucciso tutta la mia famiglia, mi resta soltanto lui". Siamo rimasti così tutta la notte, mentre i razzi illuminanti esplodevano alti sopra di noi. "Al mattino sono arrivati camion e furgoni per raccogliere i cadaveri. I falangisti hanno detto a mio zio Feisal di aiutarli. Tra i mucchi di corpi senza vita Feisal ha trovato sua madre. Per tutta la notte aveva canterellato senza capire cosa stava succedendo ma allora si è messo a piangere, perché sua madre era morta. ³Hanno portato i cadaveri nello stadio e li hanno messi nelle buche scavate dai bombardamenti aerei di quell¹estate. Poi hanno condotto nello stadio anche noi e ci hanno detto di aspettare.
Ci hanno tenuto lì fino alla mattina di sabato 18 Settembre. Ho visto un bambino di due anni, figlio dei miei vicini, sepolto vivo sotto il corpo di sua madre. L¹ho tirato fuori, ho trovato una coperta e gliel¹ho buttata addosso. Non so cosa ne è poi stato di lui. ³Il sabato i falangisti se ne sono andati ordinandoci di non muoverci. Dopo un po¹ sono scappata, ho chiesto aiuto ad alcuni soldati israeliani, che mi hanno portata verso il centro con un¹auto e mi hanno lasciata andare. Ho dormito nel parco dell¹Università americana. Domenica sera sono tornata a Chatila, con altri vicini, per cercare le nostre famiglie.
Le strade del campo erano coperte di cadaveri. Sono tornata a casa. Ho trovato mio zio Feisal, quello che li aveva aiutati a raccogliere i corpi dei morti. Prima di andarsene avevano ammazzato anche lui." La notizia della strage cominciò a circolare venerdì 17 Settembre e alcune ambasciate informarono i loro governi. Le "Forze libanesi" adesso dovevano fare in fretta. Spararono allora su tutto ciò che ancora si muoveva a Chatila, alla rinfusa, senza più curarsi di raccogliere i cadaveri che rimasero accatastati nella polvere dei vicoli. Intanto altri reparti rastrellavano i quartieri di Sabra e Fakhani, ammassando centinaia di prigionieri tra le macerie dello stadio bombardato presso i campi palestinesi.
Di questi ostaggi non si sarebbe saputo più nulla: soltanto una parte venne ritrovata nelle fosse comuni. La mattina di sabato 18 Settembre l¹operazione era conclusa. Un plotone di soldati israeliani entrò finalmente in Sabra e Chatila. Fece cessare la strage
Le fosse comuni scavate dalle "Forze libanesi" non vennero mai più aperte. L¹esercito libanese, che intervenne qualche giorno dopo, si limitò a sgomberare in fretta e furia i corpi rimasti insepolti a Chatila: soprattutto libanesi sciiti, uccisi a caso dalle milizie ebbre d¹odio. La preoccupazione principale dei soldati libanesi non era certamente di far luce sul massacro. L'ordine era di distruggere il maggior numero possibile delle baracche i cui abitanti erano morti o scappati, prima che fossero riparate e servissero a perpetuare l¹odiata presenza palestinese.
I superstiti fuggirono atterriti lasciando il campo libero ai conquistatori. Soltanto donne e bambini troppo poveri per sapere dove andare rimasero accampati tra le rovine. Ed erano loro, testimoni che l¹inchiesta ufficiale non volle mai ascoltare, a raccontare che sotto le case demolite dai militari, sotto il terreno spianato dai bulldozer, erano rimasti molti cadaveri che nessuno aveva interesse a contare. I corpi recuperati venivano gettati in una buca all¹ingresso di Chatila, presso l¹unica fontana cui le donne del campo potevano allora attingere l¹acqua. Soltanto dopo l¹insurrezione dei musulmani di Beirut ovest nel Febbraio 1984 fu costruita qui una sorta di sacrario. Finchè la forza multinazionale, tornata dopo il massacro, rimase a Beirut per sostenere le autorità libanesi, queste non permisero che fosse posta una lapide sulla fossa comune, riconoscibile perché la terra ammucchiata in fretta sui morti formava una montagnola. Le delegazioni parlamentari europee che durante quel periodo venivano a spendere belle parole di circostanza sulla tragedia del popolo palestinese non mancavano mai di farsi scortare fino a questo Monte Calvario che per gli stranieri era diventato quasi un¹attrazione turistica. Ma i passanti libanesi non lo degnavano di uno sguardo e se i bambini palestinesi, che avevano madri e fratelli sottoterra, volevano ogni tanto portare un fiore, dovevano farlo prima dell'alba, quando ancora non circolavano le pattuglie dell'esercito libanese sempre solerti nel reprimere questi atti sediziosi. L¹inchiesta ufficiale fu affidata al procuratore militare Asaad Germanos. Il massacro, secondo i testimoni, era stato compiuto da 1500 uomini che parlavano il dialetto di Beirut e indossavano l¹uniforme delle ³Forze libanesi². Beirut non è così grande da rendere impossibile l¹identificazione, tanto più che le indicazioni dei superstiti erano precise: tra gli assassini si erano distinti i reparti dei comandanti Elias Hobeika, Dib Anastas, Joe Edde, Pussy Ashar. Ma quando gli domandai se avrebbe interrogato questi personaggi, il magistrato rispose con altera dignità: ³Non posso lasciarmi influenzare dalle voci². No, il procuratore Germanos non andò a Sabra e Chatila, e i palestinesi superstiti che dalla "legalità" libanese avevano tutto da temere si tennero ben lontani dal suo ufficio .

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Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato il massacro con la risoluzione 521 del 19 settembre 1982.
L'8-2-1983, la commissione d'inchiesta istituita dalle autorità israeliane e presieduta da Itzhak Kahan e composta da un altro magistrato, Aharon Barak, e dal generale di divisione Yona Ephrat, giunge alla conclusione che il diretto responsabile dei massacri era stato Elias Hobeika, nemico giurato dei palestinesi sin dall’inizio della guerra civile in Libano (1975-1990).
Elias Hobeika, dopo la fine della guerra, nel 1990, è stato nominato ministro senza portafoglio nel governo di Omar Karami. Il 6 giugno 1991, è uno dei 40 deputati di nomina governativa che sono entrati a far parte del Parlamento Libanese.
Nel 1992, Elias Hobeika è stato eletto deputato e lo stesso anno è stato nominato ministro per gli affari sociali nel primo governo del premier Rafiq Hariri. Fu poi rieletto nel 1996, e nominato ministro per le risorse idriche ed elettriche (comparto strategico in quell'area), carica che ha ricoperto sino alla fine del 1999.
Nel giugno del 2001 la Corte di Cassazione belga, apre il processo su Sabra e Shatila in base alla legge del 1993, che assegna competenza universale ai tribunali belgi per i crimini di guerra e contro l'umanità. È chiamato a testimoniare sui rapporti che intercorrevano fra i falangisti e gli israeliani Elias Hobeika ritenuto il responsabile dell'eccidio.





[Modificato da Aialon 15/10/2007 12:56]
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Aialon, 15/10/2007 12.38:


Visto le reiterate insistenze di alcuni foristi a voler parlare di quest'argomento, ( evidentemente ignoranti della verità e manovrati da organizzazioni politiche o società pseudoreligiose), per loro informazione quanto segue.
So bene che non basterà, perchè non c'è maggior sordo di chi non vuol sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere.
In questo caso poi si sommano due fattori, l'odio per Israele e il puerile tentativo di spostare l'attenzione dagli argomenti proposti nelle altre sezioni.



Dall'Unità del 13-02-2003.
La corte suprema del Belgio avrebbe dovuto mettere la parola fine ad un improponibile processo contro il premier israeliano Ariel Sharon promosso da alcuni cittadini arabo libanesi per presunti crimini contro l'umanità relativi alla strage di profughi palestinesi dei campi di Sabra e Chatila perpetrata nella notte tra il 16 e il 17 settembre 1982.
Al vero colpevole circa un anno fa i siriani hanno chiuso la bocca per
sempre usando il metodo che lui stesso aveva brevettato in Libano.
Elie Hobeika, l'uomo che guidò le stragi di inermi palestinesi nei campi
profughi di Sabra e Chatila il 16 settembre del 1982, era stato infatti
dilaniato da una carica di esplosivo a Beirut nella propria abitazione,
iperprotetta dai servizi segreti siriani, nel quartiere Hazmiyeh.
Hobeika stranamente non era stato citato neppure come testimone nel processo
farsa.
Come sono invece andate veramente le cose a Sabra e Chatila chi vuole può
leggerselo nei capitoli 7 e 8 del libro "From Israel to Damascus", scritto
dalla ex guardia del corpo di Hobeikah, Robert Hatem, in codice "Cobra"
Il tutto su licenza dell'editore "Pride international publications" di La
Mesa in California. Quel libro fu infatti bandito in Libano e lo stesso
Hobeikah è riuscito a non farlo pubblicare nemmeno in Francia pagandosi i
migliori avvocati con i soldi dell'attuale governo fantoccio di Beirut,
telecomandato dal sanguinario dittatore di Damasco Assad.
Ci si dimentiche che Hobeikah in Libano è stato fino a due
anni orsono un ministro molto importante: prima a capo del dicastero
dell'elettricità, poi di quello per la sistemazione dei profughi (visti i
precedenti, ndr), infine responsabile dell'aiuto agli handicappati.
Secondo il suo ex braccio destro, che adesso vive in luogo segreto, gli
eventi di quel maledetto 16 settembre 1982, all'indomani dell'attentato che
aveva fatto secco il presidente Bashir Gemayel, "uno che doveva durare 6
anni e che invece restò in carica 20 giorni", sarebbero andate così: "erano
stati gli uomini di Maroun Mashaalani, sconvolti dal loro uso regolare e non
modico di eroina e cocaina, quella mattina a perpetrare uno dei peggiori
macelli che la storia ricordi nel campo di Sabra e Chatila."
L'ordine sarebbe partito per iniziativa di Hobeika, che faceva il doppio
gioco tra Israele e la Siria. Hobeikah aveva convinto Sharon che in quei
campi profughi c'erano "almeno 2000 terroristi dell'Olp".
Sharon aveva dato ordine di evacuare i civili e di arrestare i terroristi,
se del caso ricorrendo alla forza.
Lui invece trasmise al suo sicario e alla banda di miliziani drogati che
quest'ultimo comandava un altro comando: "cancellare tutti dalla faccia
della terra".
Sharon, avuta notizia della strage, alle 6 del mattino - racconta Cobra -
"convocò immediatamente me e Hobeikah al quartiere generale".
"Lo raggiungemmo - dice oggi Hatem - sul terrazzo di quell'alto edificio
prospiciente l'ambasciata del Kuwait... gli ufficiali israeliani intorno a
Sharon erano furiosi con Hobeikah, attribuendogli l'iniziativa della strage.
Lui rispose che tutto era successo per via dell'oscurità. Sharon urlò:
nessuno ti aveva detto di fare questa carneficina, se avessi voluto potevo
procedere da solo con i miei carrarmati... qualche minuto dopo, Hobeika ebbe
un messaggio sul proprio walkie talkie da uno che disse di essere Paul. Gli
chiedeva istruzioni: ci sono donne e bambini che devo fare? E Hobeika
rispose, senza sapere che potevo sentirlo, è un problema tuo, non mi
chiamare più."
"Vista la mala parata e le insignificanti scuse di Hobeikah, Sharon ordinò
agli israeliani di aprire il fuoco da quel momento su chiunque si fosse
avvicinato a quei campi profughi, ma ormai era troppo tardi."
Così finisce il racconto di "Cobra", il guardaspalle di Hobeiklah.
"Non posso provarlo - dice oggi "Cobra" - ma per me il piano diabolico era
stato concepito dai siriani per fare cadere il governo di Begin in cui
Sharon era ministro della difesa". Cosa che puntualmente accadde.

Il 24 gennaio 2002 Elias Hobeika muore a Beirut in un attentato. Meno di 36 ore prima di saltare in aria con la sua Jaguar blindata, Hobeika aveva avuto un incontro "confidenziale" con due senatori belgi e si era detto pronto a fare "rivelazioni" sui massacri di Sabra e Shatila e sui rapporti che aveva avuto durante quei giorni con i generali israeliani che dipendevano dal ministro della difesa israeliana.
ps
Amnon Kapeliouk, Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro, Roma, Corrispondenza Internazionale, 1983 (trad. ital. dell'originale Sabra et Chatila: Enquete sur un massacre, Parigi, Ed. du Seuil, 1982).




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I veri responsabili del massacro di Sabra e Chatila
Giornali e TV hanno dato ampio risalto alla decisione della Corte Suprema belga di ammettere un processo a Sharon per crimini contro l'umanità. In merito a questo argomento riportiamo l'articolo di Dimitri Buffa pubblicato su L'Opinione giovedì 13 febbraio 2003 e rinviamo il lettore anche alla nostra analisi del pezzo dell'Unità del 13-02-2003.
La corte suprema del Belgio avrebbe dovuto mettere la parola fine ad un improponibile processo contro il premier israeliano Ariel Sharon promosso da alcuni cittadini arabo libanesi per presunti crimini contro l'umanità relativi alla strage di profughi palestinesi dei campi di Sabra e Chatila perpetrata nella notte tra il 16 e il 17 settembre 1982.
Al vero colpevole circa un anno fa i siriani hanno chiuso la bocca per
sempre usando il metodo che lui stesso aveva brevettato in Libano.
Elie Hobeika, l'uomo che guidò le stragi di inermi palestinesi nei campi
profughi di Sabra e Chatila il 16 settembre del 1982, era stato infatti
dilaniato da una carica di esplosivo a Beirut nella propria abitazione,
iperprotetta dai servizi segreti siriani, nel quartiere Hazmiyeh.
Hobeika stranamente non era stato citato neppure come testimone nel processo
farsa.
Come sono invece andate veramente le cose a Sabra e Chatila chi vuole può
leggerselo nei capitoli 7 e 8 del libro "From Israel to Damascus", scritto
dalla ex guardia del corpo di Hobeikah, Robert Hatem, in codice "Cobra",
pubblicato integralmente su internet nel sito "fromisraeltodamascus.com".
Il tutto su licenza dell'editore "Pride international publications" di La
Mesa in California. Quel libro fu infatti bandito in Libano e lo stesso
Hobeikah è riuscito a non farlo pubblicare nemmeno in Francia pagandosi i
migliori avvocati con i soldi dell'attuale governo fantoccio di Beirut,
telecomandato dal sanguinario dittatore di Damasco Assad.
Ci si dimentiche che Hobeikah in Libano è stato fino a due
anni orsono un ministro molto importante: prima a capo del dicastero
dell'elettricità, poi di quello per la sistemazione dei profughi (visti i
precedenti, ndr), infine responsabile dell'aiuto agli handicappati.
Secondo il suo ex braccio destro, che adesso vive in luogo segreto, gli
eventi di quel maledetto 16 settembre 1982, all'indomani dell'attentato che
aveva fatto secco il presidente Bashir Gemayel, "uno che doveva durare 6
anni e che invece restò in carica 20 giorni", sarebbero andate così: "erano
stati gli uomini di Maroun Mashaalani, sconvolti dal loro uso regolare e non
modico di eroina e cocaina, quella mattina a perpetrare uno dei peggiori
macelli che la storia ricordi nel campo di Sabra e Chatila."
L'ordine sarebbe partito per iniziativa di Hobeika, che faceva il doppio
gioco tra Israele e la Siria. Hobeikah aveva convinto Sharon che in quei
campi profughi c'erano "almeno 2000 terroristi dell'Olp".
Sharon aveva dato ordine di evacuare i civili e di arrestare i terroristi,
se del caso ricorrendo alla forza.
Lui invece trasmise al suo sicario e alla banda di miliziani drogati che
quest'ultimo comandava un altro comando: "cancellare tutti dalla faccia
della terra".
Sharon, avuta notizia della strage, alle 6 del mattino - racconta Cobra -
"convocò immediatamente me e Hobeikah al quartiere generale".
"Lo raggiungemmo - dice oggi Hatem - sul terrazzo di quell'alto edificio
prospiciente l'ambasciata del Kuwait... gli ufficiali israeliani intorno a
Sharon erano furiosi con Hobeikah, attribuendogli l'iniziativa della strage.
Lui rispose che tutto era successo per via dell'oscurità. Sharon urlò:
nessuno ti aveva detto di fare questa carneficina, se avessi voluto potevo
procedere da solo con i miei carrarmati... qualche minuto dopo, Hobeika ebbe
un messaggio sul proprio walkie talkie da uno che disse di essere Paul. Gli
chiedeva istruzioni: ci sono donne e bambini che devo fare? E Hobeika
rispose, senza sapere che potevo sentirlo, è un problema tuo, non mi
chiamare più."
"Vista la mala parata e le insignificanti scuse di Hobeikah, Sharon ordinò
agli israeliani di aprire il fuoco da quel momento su chiunque si fosse
avvicinato a quei campi profughi, ma ormai era troppo tardi."
Così finisce il racconto di "Cobra", il guardaspalle di Hobeiklah.
"Non posso provarlo - dice oggi "Cobra" - ma per me il piano diabolico era
stato concepito dai siriani per fare cadere il governo di Begin in cui
Sharon era ministro della difesa". Cosa che puntualmente accadde.


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"Nell'inferno di Sabra e Chatila"
di Bruno Marolo*

*Bruno Marolo, giornalista italiano, è stato testimone degli eventi più drammatici prima come inviato della "Gazzetta del Popolo" di Torino e poi come corrispondente dell¹Ansa. Inviato in Libano nel 1973 ha assistito nell¹ottobre seguente alla guerra arabo-israeliana sul fronte del Golan. Nel 1980 ha assunto la direzione, a Beirut, dell¹ufficio di corrispondenza dell¹Ansa per il Libano e il Medio oriente. Nel 1985 gli è stato assegnato il premio Ischia per i servizi sulle stragi di Sabra e Chatila.



Cominciamo dunque da Sabra e Chatila: La prima strage poteva essere evitata? La forza multinazionale intervenuta nell¹Agosto 1982 per sovrintendere all¹esodo dei combattenti palestinesi lasciò il Libano tra il 10 e il 13 settembre. Il massacro nei campi palestinesi cominciò tre giorni dopo.

Il 23 Agosto il Parlamento libanese, riunito nel settore Est di Beirut controllato dagli israeliani e dai loro alleati falangisti, aveva eletto Beshir Gemayel presidente della repubblica.
Trentaquattro anni, corporatura tozza, una predilezione per le tute mimetiche e un¹abilità notoria nel maneggiare mitra e coltello, Beshir era il figlio più giovane del capo storico falangista Pierre Gemayel e si era affermato come uomo forte del partito. Aveva poche idee ma chiarissime. Una soprattutto: non un solo palestinese armato doveva rimanere nei 10452 chilometri quadrati del Libano. "I palestinesi devono capire", mi diceva in quei giorni uno dei suoi portavoce, che in Libano per loro non c¹è più posto e se partiranno sarà meglio per tutti. Prenderemo in mano la situazione a Sabra e Chatila, questi focolai di sovversione sfuggiti per troppo tempo a ogni controllo. Replicai che stringendo il tizzone ardente anche la mano del potere rischiava di bruciarsi. Risposta: "No, perché sarà una mano di ferro".
Questo programma spaventava non soltanto i palestinesi, ma gli stessi libanesi musulmani che avevano combattuto contro Beshir. Non mancavano naturalmente i notabili che correvano a giurare fedeltà al nuovo padrone ma neppure i gruppi armati che si preparavano a vendere cara la pelle. Anche dopo la partenza dei fedayin nel settore ovest di Beirut rimanevano milizie potenti: i "Morabitun", nasseriani, gli sciiti del movimento "Amal", i comunisti, i drusi del partito socialprogressista di Walid Jumblat avevano blindati e mortai. Prima di andarsene i palestinesi avevano consegnato loro le armi pesanti. Non era poi detto che le "Forze libanesi" le milizie cristiane di Beshir, avrebbero avuto facilmente partita vinta. Per imporre la sua autorità su Beirut ovest il presidente eletto aveva ancora bisogno dell¹aiuto di Israele: La forza di interposizione gli era d¹intralcio.
Del resto, neppure i paesi che avevano mandato le truppe erano entusiasti all¹idea di lasciarle ancora a lungo nella gola del lupo. L'evacuazione delle forze dell OLP fu conclusa il primo settembre, in anticipo sul programma stabilito da Philip Habib, e nei giorni successivi i tre contingenti della forza multinazionale preparavano i piani per andarsene tra il 10 e il 16 settembre, una settimana prima cioè della scadenza (rinnovabile) del 21 prevista in origine.
Mentre la polizia di Beshir Gemayel affilava le armi, anche i più moderati tra i musulmani mostravano di aver paura. Nei quartieri in cui probabilmente ci sarebbe stata battaglia si trovavano le loro famiglie. Il 6 Settembre il primo ministro Shafiq Wazzan e una delegazione di notabili sunniti chiesero ai comandanti della forza multinazionale che rimanessero fino a quando le truppe israeliane non avessero tolto l¹assedio a Beirut. Il 10 Settembre, cedendo alle insistenze dei musulmani, il ministro degli esteri cristiano conservatore Fuwad Butros dichiarò Il governo libanese desidera la presenza a Beirut della forza multinazionale almeno fino al 21 Settembre. Era una richiesta ufficiale? No, si schermì il ministro, "questo è soltanto il nostro desiderio". Wazzan e Butros erano allora le massime autorità in Libano. Secondo la costituzione, Beshir Gemayel non avrebbe assunto la presidenza fino al 23 settembre, un mese dopo l¹elezione.
Ma l¹uomo del momento era lui Beshir Gemayel e prevalse la sua volontà. Il rinnovo del mandato della forza multinazionale, desiderato dal governo, non venne chiesto ufficialmente. In questa fase una ferma politica degli Stati Uniti e dei loro alleati europei avrebbe forse potuto evitare il massacro, salvare il Libano e porre le premesse per un negoziato in cui il problema libanese avrebbe potuto essere affrontato insieme con quello palestinese. Bastava che le truppe israeliane si ritirassero di qualche chilometro e la forza multinazionale si assumesse il compito di pacificare Beirut ponendo come condizione il disarmo di tutte le milizie comprese quelle cristiane. Ma nessuno osò prendere l¹iniziativa. Tra il 9 e il 10 Settembre si imbarcarono i marines. Il giorno dopo se ne andarono i bersaglieri e il 13 Settembre anche i francesi presero il largo. Per l¹invasione di Beirut ovest il campo era libero. Nei prossimi giorni assisterete a un bello spettacolo, una cosa veramente grossa², confidò Beshir a un giornalista suo amico. Le milizie cristiane si concentrarono a Shweifat, sulla collina che domina l¹aeroporto di Beirut.
Ai loro piedi si stendevano, facile preda, i campi di Sabra e Chatila indifesi dopo la partenza dei fedayin. Anche la forza multinazionale che avrebbe potuto e dovuto difenderli se n¹era andata. Il 12 Settembre le Forze libanesi cominciarono ad ammassare a Shweifat non soltanto i camion per il trasporto delle truppe ma anche i bulldozer che sarebbero serviti per demolire i campi e scavare le fosse comuni. Beshir Gemayel sapeva, allora, in quale spaventosa strage di innocenti si sarebbe risolta la conquista di Sabra e Chatila? Se anche egli aveva pianificato il massacro, non visse abbastanza per vederlo. Il 14 Settembre una carica di tritolo esplose nella roccaforte cristiana di Ashrafie ed egli fu tra i ventuno morti. Scoperto ed arrestato dalle "Forze libanesi" una settimana dopo, l¹attentatore, Habib Shartuni, confessò di appartenere al Partito social nazionalista siriano, un movimento libanese collegato con Damasco, e di aver agito in nome dei suoi ideali politici. Soltanto con il tempo sarebbero emersi i particolari della congiura. Il padre di Shartuni, un cristiano nemico dei falangisti, era stato ucciso dalle squadre di Beshir Gemayel nei primi anni della guerra civile.
Un lavoro durato tre anni. Il ³Partito social nazionalista siriano gli aveva procurato un detonatore con radiocomando di fabbricazione giapponese, abbastanza perfezionato perché le onde della radio falangista, che trasmetteva dallo stesso quartiere, non provocassero l¹esplosione nel momento sbagliato. Quando Beshir Gemayel venne eletto presidente, Habib Shartuni decise di agire.
Bisognava liberare il Libano dal dittatore prima che fosse troppo tardi. Da un bar presso casa telefonò alla sorella, l¹attirò fuori con un pretesto per salvarle la vita e fece scoppiare la bomba. La morte del presidente eletto fece precipitare la situazione.
Alle cinque di sera del 16 Settembre i falangisti entrarono in Sabra e Chatila.
Veniva buio e gli israeliani dai bordi dei campi sparavano razzi illuminanti per facilitare l¹irruzione. Alle sette un gruppo di donne palestinesi corse achiedere aiuto ai soldati del generale Drori, uno dei quali avrebbe poi testimoniato davanti alla commissione d¹inchiesta: Le donne gridavano che i falangisti stavano ammazzando la gente a caso. Avvertii i miei ufficiali ma mi risposero che era tutto in regola" Una prima ondata di civili in fuga si riversò nella "foresta dei pini", un parco che era l¹orgoglio della città prima di essere ridotto dalle bombe israeliane ad una distesa di tronchi senza vita. Fu qui che si diffusero le prime notizie del massacro. Un giovane palestinese, Zakaria Sheikh, soccorse una donna piangente e da lei seppe quello che stava avvenendo. Sull' unica grande strada, sempre piena di polvere o fango, che attraversa Chatila c¹era il negozio di bicicletta di un tale Abu Walid Harb.
La donna abitava nella baracca accanto. Il marito e il figlio più grande si erano messi in salvo qualche ora prima, quando era giunta voce che stavano arrivando le milizie cristiane. Ma lei era rimasta, con il figlio più piccolo. Gli arabi, in genere, non ammazzano donne e bambini. Sono le mogli che restano a custodire la casa quando gli uomini scappano. Una legge non scritta della guerra impone di rispettarle. Ma quella sera le Forze libanesi volevano vendicare Beshir Gemayel e non avevano più legge.
Quando tre miliziani sfondarono la porta, la donna strinse più forte il bambino, come cercando di nasconderlo tra le vesti. Un uomo l¹afferrò per il collo mentre gli altri le strappavano il figlio dal petto. Ridevano. Sbatterono il bambino in un angolo e presero la mira con i fucili. ³Non uccidetelo², gridò la donna, ³per amor di Dio, no!². Si buttò avanti per ripararlo con il suo corpo, fu ricacciata con il calcio del fucile nel petto. E ridevano. Il bambino cominciò a strisciare, piano paino, tremando, verso la madre. Uno dei tre miliziani l¹afferrò per un piede, come si afferra un pollo, e lo ributto nell¹angolo. ³Uccidete me invece², gridava la donna, "in nome di Dio, pietà". "No, è lui che vogliamo. Tra pochi anni diventerebbe un terrorista". Adesso non ridevano più. Il bambini gridava "Mamma, mamma" quando una raffica gli crivellò il corpo. Nella stessa strada abitava il vecchio Abu Diab con la figlia di diciassette anni, Aida.
Pensava di non aver nulla da temere perché era cristiano. Palestinese, ma cristiano. La sua morte ebbe una testimone, Umm Wisam, una vecchia che viveva nella stanza accanto e che nascosta dietro un mobile in cucina, udì, attraverso una parete sottile, lo schianto della porta sfondata e subito dopo una raffica di mitra. Alcuni proiettili bucarono il muro. Anche qui gli intrusi ridevano. Ci fu un rumore come di lotta, ma come avrebbe mai potuto lottare il settantenne Abu Diab contro un manipolo di miliziani in armi?
Poi un grido, inconfondibile, e allora Umm Wisam capì: stavano violentando Aida, Aida che adesso gemeva debolmente mentre il padre ripeteva con voce bassa e fremente un¹unica frase: "Dio vi maledica". Un nuovo urlo, terribile, si spense tra il crepitare di altre raffiche. Un breve, profondo silenzio sullo sfondo del cannone che in lontananza continuava a tuonare, poi i passi dei miliziani che se ne andavano. Umm Wisan osò uscire soltanto il giorno dopo, quando ormai le milizie si erano spostate verso altri quartieri di Sabra e Shatila. Il corpo di Abu Diab era sull¹uscio, braccia e gambe legate, un grande squarcio sulla spalla sinistra, vicino al collo.
Lo squarcio di un¹accetta. Aida, seminuda, stava sul pavimento, il petto e il collo profondamente graffiati, due fori di pallottola vicino al cuore. La vecchia cercò di ricomporle le vesti e soltanto allora si accorse che dal ventre spuntava il manico di una baionetta. Dal tetto di un caseggiato che domina Chatila gli ufficiali israeliani seguivano l¹operazione. Per tutta la notte e per tutto il giorno seguente le ³Forze libanesi² si abbandonarono ad un macello sistematico. Mentre alcune compagnie procedevano al rastrellamento, altre bivaccavano in un edificio abbandonato presso l¹ambasciata del Kuwait pronte a dar loro il cambio.
Gli israeliani fornivano i viveri: sul posto venne poi trovato un mucchio di scatolette di carne con le etichette in caratteri ebraici. I palestinesi in età di portare un¹arma venivano concentrati in uno stadio in rovina al margine di Chatila.
Molti vennero uccisi prima di arrivarci. I morti venivano seppelliti nei crateri aperti dalle bombe dell¹aviazione durante l¹estate e coperti dalla terra smossa dai bulldozer. Molti non vennero più ritrovati. Selma, tredici anni, è scampata per caso al massacro. "Eravamo in cinque", racconta, "mio padre, mia madre, mio fratello, la nonna ed io. Rimango soltanto io.
Era la sera del 16 Settembre. Stavamo da ore nascosti in un rifugio e siamo usciti perché non potevamo più respirare. I falangisti scendevano dalle dune al bordo del campo di Chatila. La mia gente è corsa loro incontro, agitando fazzoletti bianchi e implorandoli di non sparare. Hanno cominciato a far fuoco sugli uomini. Poi, anche sulle donne e i bambini. Mi sono nascosta in un gabinetto e di lì ho visto ammazzare la mia famiglia e quasi tutti i miei vicini. "Il quartiere veniva rastrellato casa per casa. Gli uomini venivano uccisi subito, le donne e i bambini venivano portati in uno spiazzo, davanti a casa mia. A un certo punto ho messo il naso fuori dalla finestra e un falangista mi ha sparato, senza colpirmi. Poi ha detto a una vicina di venirmi a chiamare. Ero stata chiusa cinque o sei ore nel gabinetto, soffocavo. Sono uscita nel buio e il falangista ha puntato una torcia elettrica per vedere se ero una ragazza o un ragazzo. ³Sei palestinese?", ha gridato, "voi palestinesi volevate rubarci il Libano". "Sullo spiazzo c'era la famiglia di mio zio. Mio cugino di nove mesi piangeva.
Il falangista ha gridato: "Perché piange? Mi ha rotto le scatole", e gli ha sparato in una spalla. Io ho supplicato di risparmiarlo e allora lui lo ha afferrato per una gamba e con una baionetta lo ha ucciso. "In qul momento è arrivato mio zio Feisal. Un tipo picchiatello, che rideva o parlava da solo, oppure si metteva a cantare all¹improvviso. Ho implorato i falangisti che non gli sparassero: "Avete ucciso tutta la mia famiglia, mi resta soltanto lui". Siamo rimasti così tutta la notte, mentre i razzi illuminanti esplodevano alti sopra di noi. "Al mattino sono arrivati camion e furgoni per raccogliere i cadaveri. I falangisti hanno detto a mio zio Feisal di aiutarli. Tra i mucchi di corpi senza vita Feisal ha trovato sua madre. Per tutta la notte aveva canterellato senza capire cosa stava succedendo ma allora si è messo a piangere, perché sua madre era morta. ³Hanno portato i cadaveri nello stadio e li hanno messi nelle buche scavate dai bombardamenti aerei di quell¹estate. Poi hanno condotto nello stadio anche noi e ci hanno detto di aspettare.
Ci hanno tenuto lì fino alla mattina di sabato 18 Settembre. Ho visto un bambino di due anni, figlio dei miei vicini, sepolto vivo sotto il corpo di sua madre. L¹ho tirato fuori, ho trovato una coperta e gliel¹ho buttata addosso. Non so cosa ne è poi stato di lui. ³Il sabato i falangisti se ne sono andati ordinandoci di non muoverci. Dopo un po¹ sono scappata, ho chiesto aiuto ad alcuni soldati israeliani, che mi hanno portata verso il centro con un¹auto e mi hanno lasciata andare. Ho dormito nel parco dell¹Università americana. Domenica sera sono tornata a Chatila, con altri vicini, per cercare le nostre famiglie.
Le strade del campo erano coperte di cadaveri. Sono tornata a casa. Ho trovato mio zio Feisal, quello che li aveva aiutati a raccogliere i corpi dei morti. Prima di andarsene avevano ammazzato anche lui." La notizia della strage cominciò a circolare venerdì 17 Settembre e alcune ambasciate informarono i loro governi. Le "Forze libanesi" adesso dovevano fare in fretta. Spararono allora su tutto ciò che ancora si muoveva a Chatila, alla rinfusa, senza più curarsi di raccogliere i cadaveri che rimasero accatastati nella polvere dei vicoli. Intanto altri reparti rastrellavano i quartieri di Sabra e Fakhani, ammassando centinaia di prigionieri tra le macerie dello stadio bombardato presso i campi palestinesi.
Di questi ostaggi non si sarebbe saputo più nulla: soltanto una parte venne ritrovata nelle fosse comuni. La mattina di sabato 18 Settembre l¹operazione era conclusa. Un plotone di soldati israeliani entrò finalmente in Sabra e Chatila. Fece cessare la strage
Le fosse comuni scavate dalle "Forze libanesi" non vennero mai più aperte. L¹esercito libanese, che intervenne qualche giorno dopo, si limitò a sgomberare in fretta e furia i corpi rimasti insepolti a Chatila: soprattutto libanesi sciiti, uccisi a caso dalle milizie ebbre d¹odio. La preoccupazione principale dei soldati libanesi non era certamente di far luce sul massacro. L'ordine era di distruggere il maggior numero possibile delle baracche i cui abitanti erano morti o scappati, prima che fossero riparate e servissero a perpetuare l¹odiata presenza palestinese.
I superstiti fuggirono atterriti lasciando il campo libero ai conquistatori. Soltanto donne e bambini troppo poveri per sapere dove andare rimasero accampati tra le rovine. Ed erano loro, testimoni che l¹inchiesta ufficiale non volle mai ascoltare, a raccontare che sotto le case demolite dai militari, sotto il terreno spianato dai bulldozer, erano rimasti molti cadaveri che nessuno aveva interesse a contare. I corpi recuperati venivano gettati in una buca all¹ingresso di Chatila, presso l¹unica fontana cui le donne del campo potevano allora attingere l¹acqua. Soltanto dopo l¹insurrezione dei musulmani di Beirut ovest nel Febbraio 1984 fu costruita qui una sorta di sacrario. Finchè la forza multinazionale, tornata dopo il massacro, rimase a Beirut per sostenere le autorità libanesi, queste non permisero che fosse posta una lapide sulla fossa comune, riconoscibile perché la terra ammucchiata in fretta sui morti formava una montagnola. Le delegazioni parlamentari europee che durante quel periodo venivano a spendere belle parole di circostanza sulla tragedia del popolo palestinese non mancavano mai di farsi scortare fino a questo Monte Calvario che per gli stranieri era diventato quasi un¹attrazione turistica. Ma i passanti libanesi non lo degnavano di uno sguardo e se i bambini palestinesi, che avevano madri e fratelli sottoterra, volevano ogni tanto portare un fiore, dovevano farlo prima dell'alba, quando ancora non circolavano le pattuglie dell'esercito libanese sempre solerti nel reprimere questi atti sediziosi. L¹inchiesta ufficiale fu affidata al procuratore militare Asaad Germanos. Il massacro, secondo i testimoni, era stato compiuto da 1500 uomini che parlavano il dialetto di Beirut e indossavano l¹uniforme delle ³Forze libanesi². Beirut non è così grande da rendere impossibile l¹identificazione, tanto più che le indicazioni dei superstiti erano precise: tra gli assassini si erano distinti i reparti dei comandanti Elias Hobeika, Dib Anastas, Joe Edde, Pussy Ashar. Ma quando gli domandai se avrebbe interrogato questi personaggi, il magistrato rispose con altera dignità: ³Non posso lasciarmi influenzare dalle voci². No, il procuratore Germanos non andò a Sabra e Chatila, e i palestinesi superstiti che dalla "legalità" libanese avevano tutto da temere si tennero ben lontani dal suo ufficio .

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Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato il massacro con la risoluzione 521 del 19 settembre 1982.
L'8-2-1983, la commissione d'inchiesta istituita dalle autorità israeliane e presieduta da Itzhak Kahan e composta da un altro magistrato, Aharon Barak, e dal generale di divisione Yona Ephrat, giunge alla conclusione che il diretto responsabile dei massacri era stato Elias Hobeika, nemico giurato dei palestinesi sin dall’inizio della guerra civile in Libano (1975-1990).
Elias Hobeika, dopo la fine della guerra, nel 1990, è stato nominato ministro senza portafoglio nel governo di Omar Karami. Il 6 giugno 1991, è uno dei 40 deputati di nomina governativa che sono entrati a far parte del Parlamento Libanese.
Nel 1992, Elias Hobeika è stato eletto deputato e lo stesso anno è stato nominato ministro per gli affari sociali nel primo governo del premier Rafiq Hariri. Fu poi rieletto nel 1996, e nominato ministro per le risorse idriche ed elettriche (comparto strategico in quell'area), carica che ha ricoperto sino alla fine del 1999.
Nel giugno del 2001 la Corte di Cassazione belga, apre il processo su Sabra e Shatila in base alla legge del 1993, che assegna competenza universale ai tribunali belgi per i crimini di guerra e contro l'umanità. È chiamato a testimoniare sui rapporti che intercorrevano fra i falangisti e gli israeliani Elias Hobeika ritenuto il responsabile dell'eccidio.








No amico mio .
Nessun odio verso Israele e nessun puerile tentativo.
I post che metti qui li hai gia' messi nell'altra sezione. Cercare di scappare da una sezione all'altra non e' che cambia le cose.
Parliamo( sono giorni che stai scappando ) dei falangisti e della strana alleanza con Israele.
Mi sa che e' qualcun altro che non vuole affrontare certi argomenti.
La verita' fa male.
Meglio parlare degli eccidi(quando sono successi?) dei tdg. Vero?


[Modificato da descubridor 15/10/2007 15:52]
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