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Le beatitudini - il sermone sul monte

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2005 21:08
15/11/2005 21:04
 
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Le Beatitudini


Un’approssimativa definizione della parola “Beatitudine” è “Felicità” nel più alto grado, perfetto godimento spirituale, unito a pace libera da ogni ansietà. Ripetiamo è approssimativa definizione. Solo lo Spirito Santo può e sa spiegare.
“E vedendo le turbe (folle), salì sopra il monte. E postosi a sedere, i Suoi discepoli si accostarono a Lui.”
Se non comprendiamo l’introduzione, non sarà possibile partecipare dello spirito delle beatitudini. Il Signore ha sempre amato, ed ama le moltitudini; ma il migliore modo di beneficarle è di preparare i discepoli, perché essi, ripieni di Lui, possano a sua volta servire gli altri.
Gesù, senza licenziarle o invitarle, Si pose a sedere. Solamente i discepoli Lo seguirono; e tutti gli altri rimasero nella pianura. Vi è un tempo in cui bisogna essere in pochi. Gesù si pose a sedere: l’informazione non è per dirci che Egli fosse stanco o no, o per appagare la curiosità nostra in che posizione Egli fosse mentre parlava. “Sedere, nel linguaggio dello Spirito indica “riposo”. Questa è la prima lezione a preparare i discepoli affinché ascoltino attentamente.
“Ed Egli, aperta la bocca, li ammaestrava dicendo.”
Anche questa informazione è importante. La bocca del savio è, di regola, chiusa per lungo e meditativo silenzio; si apre soltanto per sgorgare parole agli uditori. Prima che ci mettiamo ad ascoltare Gesù, è necessario che anche noi ci stacchiamo dalle folle, sia di uomini che di pensieri, e con Lui saliamo in alto.
Dopo, dobbiamo disporci ad ascoltarLo.
Non in fretta, ma in calmo riposo, affinché Lui parli e noi assorbiamo le Sue parole. Gesù disse:

“Beati i poveri in ispirito perché il Regno dei cieli è loro.”

Con queste parole, il Signore, applicò la scure alla radice del male. Il primo uomo cadde per orgoglio. Il secondo Adamo annunziò che alla base della redenzione vi è l’opposto del crederci importanti. E’ impossibile udire, e molto meno comprendere, tale principio di ammaestramento, quando siamo con la folla o nella pianura, o non ascoltiamo con calma. Soli, nell’altura del Signore, avendo lasciato dietro di noi il mondo, ed anche le masse religiose, di fronte al Signore solo, cominciamo ad udire le leggi fondamentali del Regno di Dio.
Come per ogni edificio sono necessari gli scavi, così è dell’edificio spirituale. Prima di vederlo eretto in su, è necessario che vi siano scavi in giù. Nella proporzione che il Signore scende negli abissi di sotto, Egli forma i cieli di sopra (Proverbi 8:28 ).
Povero in spirito è colui che non è occupato di sé stesso. Mentre in passato aveva il suo io al centro dell’universo, da quando è entrato nella povertà spirituale, egli non si considera affatto meritevole di cosa alcuna. Tale sentimento non genera in lui nemmeno l’ombra della disperazione. Si vede un nulla eppure non si agita come se fosse meravigliato od oppresso (preso) da disinganno. La disperazione, infatti, è una forma di superbia. Il povero in spirito sorride alla rivelazione della propria nullità.
Se qualche sentimento lo invade, non è per quello che egli abbia perduto come diritto, perché non si preoccupa più di sé se non di ciò che è da lui dovuto al Creatore ed alle creature. Lui non si appartiene più. Sente che ha contratto un debito immenso, e no sa come pagarlo: Cosi ridotto povero in se stesso, geme e sospira. Egli sta per entrare nel secondo piano - quello sovrapposto alla povertà in spirito - a fare parte di quelli che fanno cordoglio.

“Beati quelli che fanno cordoglio, perché saranno consolati”

Solo i poveri in spirito entrano davvero nel piano del cordoglio. Non lamentano ciò che hanno perduto perché sentono che mai hanno meritato cosa alcuna. Infatti nessuno perde ciò che non gli è mai appartenuto. Tutt’al più scopre la propria vanità, che un tempo abbia immaginato che qualche cosa gli era dovuta. Non rimpiange diritti immaginari. Non ne vede, anche se nel passato abbia preteso di averne. Però, mentre ha perduto il sentimento dei diritti, si genera in lui la coscienza del dovere. Sente di avere offeso, con peccati di commissione e di omissione, Dio, creature e creazione. Il senso dei peccati commessi è il primo ad invadere l’anima ma, ad esso segue il dolore per ciò che avremmo dovuto e non abbiamo compiuto. Piano piano, la coscienza del fatto, ingrandisce il nostro debito. La lista dei peccati commessi si allarga, perché la luce del Signore rivela anche i più leggeri errori, ma non vi è proporzione a ciò che si scopre nel lato negativo dell’esistenza.
Verso il Creatore è stato ingrato e dimentichevole; non ha apprezzato né la vita, né gli aiuti giornalieri; anzi, ha fatto peggio: spesso ha mormorato. E’ recente la memoria di continui lamenti verso le creature, non ha considerato che sono fatture di Dio, e che deve amarle se davvero si cura del Creatore. La creazione stessa e divenuta sua creditrice, perché egli non ha veduto in essa l’impronta del suo Fattore e la gloria di Lui.
Da qualunque lato egli si considera, si vede mancante. Un pianto interiore lo fa genere come una colomba, ed entra in uno stato che si chiama “cordoglio”. Letteralmente è “doglia di cuore”. Non che abbia paura del Signore. Il povero in spirito sa che Egli lo ha perdonato e compatito. Lo Spirito Santo più volte lo ha confortato. Ma è lui stesso che non può scacciare da sé il cumulo delle proprie mancanze. Realizza l’ingratitudine passata e l’incapacità presente a vivere cosi come vorrebbe.
Fa cordoglio, piange nelle sue supplicazioni e preghiere; ed è sempre avvolto come da una nube di mestizia. Però non è triste. Il suo contegno è dolce e, a volte, sorridente, ma di un sorriso che rivela un’afflizione interiore.
Il Signore, però, lo visita con ondate di gioia, che all’uomo contrito paiono irragionevoli. Vi è infatti una relazione fra cordoglio e conforto spirituale. Il Signore va in cerca di un popolo di cordoglio. Infatti si legge nel capitolo 61, al verso 3 di Isaia: “...a quelli di Sion che fanno cordoglio sarà data una corona di gloria in luogo di cenere, olio di allegrezza, in luogo di dolore, e un manto di lode in luogo di spirito angustiato, e saranno chiamati querce di giustizia.”
Chi fa cordoglio diventa candidato a maggiore cordoglio, che è descritto con le parole: “cenere, duolo, spirito angustiato”. Ma gli sono promesse in cambio, “corone di gloria, olio di allegrezza e manto di lode”. Per tali estreme esperienze, egli diviene una “quercia di giustizia”, e sarà dal Signore usato per riedificare luoghi desolati e raddrizzare rovine antiche.
All’uomo che fa cordoglio e non pretende nulla ed aspira solo ad amare e servire, lo Spirito Santo Si presenta quale Consolatore. Ed è per ciò che i veri penitenti, anime di cordoglio, sono nello stesso tempo quelli che conoscono le gioie del Signore. Due estreme emozioni sono in lui. Umanamente, egli sembra un idiota o povero di mente agli altri e a se stesso, ma in realtà è nel cammino del cielo.
Da questo piano, egli viene introdotto nell’altro seguente, per essere di aiuto agli altri. La mansuetudine gli è davanti.

“Beati i mansueti perché’ erediteranno la terra”.

Nell’invito che Gesù fece in Matteo 11:25-30, disse: “Prendete sopra di voi il Mio giogo e imparate da Me, perché Io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre.” Mansuetudine e umiltà di cuore vanno insieme. Nelle beatitudini, la povertà in spirito viene prima, e la mansuetudine segue al far cordoglio. L’invito di Gesù è ai travagliati ed aggravati cioè, a quelli che riconoscono la loro condizione. Il Signore vuole che entriamo nella Sua scuola per avere riposo alle anime nostre; ma ciò l’otteniamo imparando la lezione che Egli è mansueto ed umile di cuore. Contemplando Lui, diventiamo anche noi mansueti ed umili. Mansueti perché umili di cuore.
La povertà in spirito lavora in segreto: La mansuetudine è l’affetto che si manifesta fuori. Una balia che alleva teneramente i bambini ci da un’idea della mansuetudine. Mansuetudine è dunque il contegno esteriore di come appariamo agli altri. E’ una forza di attrazione, per cui quelli che ne (ci) avvicinano non hanno paura di noi, e neppure sentono ripugnanza, ma sono anche disposti a rivelarci le proprie miserie. La mansuetudine vera attira, senza che gli altri ne sappiano la ragione: Le donne presentavano i bambini a Gesù; i peccatori e i pubblicani si accostavano per udirLo: Era la forza della mansuetudine, la quale, a sua volta, era conseguenza dell’umiltà di cuore.
E’ vero che non possiamo definire l’umiltà di Gesù allo stesso modo di come abbiamo definito la povertà in spirito. Diveniamo poveri in noi stessi quando scopriamo il nostro nulla: Gesù cristo è umile perché Lui si fece di nessuna reputazione. Egli non presentò Sè stesso ma il Padre. Il povero in spirito non presenta se stesso ma Gesù Cristo: In questo senso le due qualità si somigliano.
Ai mansueti è promesso che :“possederanno la terra” . Senza le parole di Gesù nell’invito ai travagliati ci sarebbe impossibile capire in che consiste possedere la terra, perché questo mondo viene invaso dai superbi. Varie spiegazioni possono darsi, ma non sono soddisfacenti. La più ragionevole è quella contenuta nell’invito di Gesù che promette riposo alle anime: Si noti che le parole “anime vostre” si riferiscono alle nostre condizioni e rapporti durante la vita terrena. Il pellegrinaggio e pieno di conflitti ed amarezze. La sola maniera di vivere tranquilli ed in pace è di bandire da noi ambizioni e pretese. E’ affermazione che pare, ma non è assurda, che ricco non è colui che possiede, ma quello che riduce al minimo i suoi bisogni. Vince, non colui che lotta, ma colui che non desidera contrastare ed è pronto ad occupare l’ultimo posto. San Giovanni insegna che è la fede che vince il mondo- cioè, non afferrare le cose terrene, ma il rinunciarle, è vittoria.
Il mansueto possiede tutto il mondo perché non si cura del mondo e non lotta. Questo linguaggio è strano a l’uomo non ancora nato di nuovo. Tutto ciò che si riferisce al Regno dello Spirito è per lui una pazzia. E’ impossibile capire e accettare il linguaggio di Gesù Cristo se accarezziamo il cuore e la mente carnali: Il mansueto, così divenuto perché fa cordoglio ed è povero in spirito, tiene l’anima in pace; nella sua pazienza è sereno. Pur non avendo nulla, egli è contento, perché in Dio possiede tutto.

“Beati gli affamati ed assetati di giustizia.”

Noi leggiamo le parole di Gesù troppo in fretta. Ma, fra una proposizione e l’altra, c’è una grande pausa, se non nel tempo, certo nello Spirito e nella serenità di Colui che ha parlato. Dopo ogni promessa seguente a ciascuna beatitudine, il Signore, con lo sguardo e con la voce, avvertì i discepoli che vi era ancora altro. E continuò: “beati coloro che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.”
Mentre da un lato i mansueti non aspirano a nulla della terra, per un’altro verso avanzano in un desiderio intenso per conseguire qualcosa che non hanno e di cui sentono, sempre più,, assoluta necessità. Nella misura in cui scompaiono innanzi a sé stessi, anelano di rassomigliare Colui che hanno seguito sul monte. Non vogliono cose, ma Lui Stesso. Il Signore esortò più tardi che bisogna cercare il Regno di Dio e la sua giustizia. Non spiego in che consistano. Noi aspiriamo a qualche cosa che non sappiamo definire. I desideri interiori vengono prima; la luce, col tempo.
L’uomo delle beatitudini sente che c’è una giustizia, la quale non è di questo mondo: Brama possederla, non perché egli possa ottenere qualche rivincita, o qualche compenso a mali sofferti. Egli sente che è lui il debitore e che deve essere giusto con Dio e con gli uomini. Nella misura in cui comprendiamo Gesù, comprendiamo altresì la giustizia di cui dobbiamo essere affamati e assetati. Si sviluppa in noi un desiderio che diviene sempre più intenso, fino ad assumere il grido di chi ha fame e di chi ha sete. Ci si sente morire ed agonizzare come nel deserto. Dio non disprezza i santi desideri; un giorno li soddisferà. Daniele è chiamato “Uomo di desideri”, essendo questo il significato della parola “gradito”.
Il discepolo del sermone sul monte, scavato di dentro e facendo cordoglio, pretendendo nulla per sé ma aspirante alla giustizia di Cristo, diviene sempre più straniero in questo mondo. Nel suo esilio vede il Re nella Sua bellezza, desidera somigliarGli. Sente che solo così può dimostrare in qualche modo, gratitudine per il debito immenso. Affamato ed assetato, vuole possedere la giustizia di Cristo. Mentre aspetta, la fame e la sete lavorano e crescono.
E’ noto ciò che avviene nelle grandi carestie. Mentre i cibi spariscono dal mercato, diminuiscono molte malattie, le quali erano conseguenza di sovrabbondanza di vitto. La mancanza di grassi e di zucchero ha prodotto anche del bene. Alcuni acidi e veleni vengono eliminati. Nella fame e nella sete dell’uomo delle beatitudini, umori velenosi ed acidi nel senso morale vanno via, ed egli entra nell’altra condizione: purità di cuore. Ma prima:

“Beati i misericordiosi.”

Misericordia sarà fatta ai misericordiosi.
Abbiamo accennato come sete e fame di giustizia tendono a purificare il cuore. Il Signore fa seguire immediatamente la beatitudine ai misericordiosi. Vale ha dire che la fame e la sete hanno un valore preparatorio, ma non completo, per la visione di Dio. Occorre un’altro lavoro interiore, cioè quello che ci rende misericordiosi.
“Misericordia” è una delle più dolci parole dell’umano linguaggio. E’ la qualità che più avvicina l’uomo al cielo: fra i titoli più belli del Redentore, è che Lui è “misericordioso”. Il Signore è tale per natura; l’uomo diviene misericordioso per grazia, spesso attraverso dolorose esperienze ed anche cadute, nella quale ha veduto la Mano pietosa del Signore. Misericordioso deve essere l’uomo, altrimenti non vedrà il Signore: Il profeta ha detto che Dio Si diletta nella misericordia.
La parola ci fa pensare e sentire, nel cuore, dolore per gli altri sino ad immedesimarsi nelle loro miserie. Il misericordioso vede mancante non gli altri ma se stesso. Si mette nei panni e condizioni altrui, e si accusa del male degli altri, come se lo avesse commesso lui. Non che egli dichiari esternamente che ne è l’autore materiale, ma nel proprio cuore sente di dover agire verso il misero come se lui fosse quel tale e volesse che altri lo commiserasse.
Nella parabola del samaritano, il Dottore della legge fu costretto a riconoscere che il Samaritano aveva usato misericordia. Dio a manifestato il suo amore in tante maniere, ma lo ha concluso nell’incarnazione del Suo Figliolo. Vale a dire che Egli ha voluto prendere il posto dei peccatori, è perciò si è manifestato in carne.
Volendo moltiplicarSi, il Signore prepara uomini di misericordia. La promessa del Signore rivela che anche i più santi hanno bisogno di essere compatiti e perdonati in qualche cosa. San Paolo, ricordando la carità di Onesiforo, fa quest’augurio: “Che il Signore gli congeda di trovare misericordia presso il Signore in quel giorno”. (2 Timoteo 1:18 )
Nell’incoraggiamento che lo Spirito santo dà ai fedeli, di confidare in Gesù Cristo Sommo Sacerdote, Che può compatire, si leggano queste parole: “Accostiamoci dunque, con piena fiducia, al trono della Grazia affinché otteniamo misericordia , e troviamo grazia per essere soccorsi nel momento opportuno” (Ebrei 4:16 )
Bisogna però riconoscere che molte volte il prossimo non ha bisogno della nostra misericordia, ma di giustizia. Per esempio, se un tale fosse accusato di avere rubato qualche cosa e ciò non fosse vero, egli sdegnerebbe la nostra offerta di misericordia. Vi sono stati innocenti che hanno rifiutato il perdono delle autorità, perché hanno protestato: “L’innocente aspetta giustizia e non misericordia.”
Ma chi è innocente di fronte a Dio, il Quale pesa gli spiriti e non le azioni esterne, come fanno le corti giudiziarie? Dinanzi a Dio, presso Cui siamo responsabili di azioni ed omissioni, un santo soleva dire: “Qual è il peccato che io non ho commesso, o esternamente, o con la lingua, o nella mente?” E noi aggiungiamo: di quale rovina altrui non siamo noi, se pur indirettamente, responsabili del fatto che non abbiamo pregato, supplicato, ringraziato per tutti gli uomini? (1 Timoteo 2:1-8 ). E’ chiaro, dunque, che tutti abbiamo bisogno di misericordia.
Guai a colui che non è misericordioso! La parabola del creditore spietato è ben nota. Mentre per il suo grande debito egli non venne giudicato, per il fatto, poi, che si era mostrato inesorabile nei confronti di un conservo debitore di piccola somma, per quello venne giudicato “malvagio” e fu gettato in carcere. Ma vogliamo chiudere con ben altro quadro.
Nel salmo 112 è descritta la felicità di chi teme Dio. Un tale uomo è chiamato “pietoso, misericordioso e giusto”. E’ implicito che anche lui si trova, alle volte, in qualche distretta, ma c’è la promessa: “Egli non temerà alcun sinistro grido (rumore), il suo cuore è fermo, egli confida nel Signore.” Una tale confidenza è nata e si è sviluppata in Lui per grazia. Ma egli ha fatto buon uso della grazia di Dio, è lo ha dimostrato con l’agire verso gli uomini. Perciò il Signore ricorda che un tale uomo rimane sereno nelle prove, perché ha sparso, ha donato ai bisognosi. “Non occorre dire che vi sono molte maniere di fare il bene, non ultima quella prontezza di leggere le sventure e di aprire l’anima nostra ai travagliati.
Sul monte delle beatitudini, alla Scuola di Gesù, noi impariamo a diventare misericordiosi: Mentre gli spasimi della fame e della sete hanno eliminato in noi dei veleni, come a dire: la trave dell’egoismo offuscante la vista, la misericordia ha operato in senso positivo. L’occhio dell’animo purgato ha ricevuto una lente spirituale, per cui siamo resi atti ha vedere lontano.
Vedere chi? Vedere che?
Prima delle cose è necessario che vediamo l’Autore di esse. Quindi entriamo nelle seguente beatitudine:

“Beati i puri di cuore”

I puri di cuore vedranno Dio. Il Signore vuole che noi Lo conosciamo. Infatti, Egli ha detto che la vita eterna consiste nel conoscere Dio e il Suo Figliolo, ch’Egli ha mandato. Non possiamo conoscere senza vedere. Nel linguaggio scritturale, “vedere” è molto più esteso che nel linguaggio ordinario: Chi prosegue nella lettura del Sermone sul Monte, anzi in tutto l’evangelo, nota l’importanza del “vedere”. San Giovanni mette il culmine della perfezione in questo: “Quando Egli sarà manifestato, saremo simili a Lui, perché Lo vedremo come Egli è” (1Giovanni 3:3 ). Non è il vedere del senso materiale, ma la conseguenza di aver sviluppato la vista nell’uomo interiore: Infatti ci sono i sensi spirituali, di cui quelli materiali sono soltanto un’immagine . Vedere, udire, gustare, odorare, toccare, sono parole che ricorrono spesso nella Scrittura.
L’uomo delle beatitudini è pervenuto al possesso di una purità interiore. Il Signore sa che siamo deboli e come Pietro e, più che Pietro, abbiamo bisogno di avere lavati i piedi. Però, Egli dice all’uomo delle beatitudini che egli è divenuto “puro di cuore”; e ciò significa, non solo negli atti esterni, ma anche nello spirito. La radice di tale uomo è stata nettata da ogni male, ed egli aspira soltanto a ciò che è da Dio. Avrà, senza dubbio, scosse nell’anima, ma l’occhio interiore sarà senza nuvole. Egli comincia ha vedere la Causa Prima di tutto. Ad ogni cosa fa riferimento ad Essa. Vede sempre più Dio Creatore, Formatore e Padre. Vede come tutte le circostanze della sua vita furono da Lui ordinate verso un piano d’infinito amore. Non si lamenta della sorte che gli è toccata. Nel passato aveva qualche se; ma dopo essere stato a Scuola delle Beatitudini e aver cominciato a vedere Dio, i se sono scomparsi: ricordiamo le parole di uno che aveva molto sofferto, e che usa linguaggio di vittoria. E’ Davide che dice: “La sorte mi è caduta in luoghi dilettevoli; una bella eredita mi è toccata..... Io ho sempre posto il Signore davanti a gli occhi miei” (Salmo 16:6-8 ).
Vedere Dio e come camminare al Suo cospetto. Il Signore non ha detto a l’uomo delle beatitudini ciò che egli dovrà fare quando egli ha cominciato a vederLo. Il da fare verrà da sé quale conseguenza. Giacché, secondo San Giovanni, il vedere Dio porta a rassomigliarLo, l’uomo delle beatitudini comincerà ad entrare nel Piano di Redenzione. Il Signore è venuto per portarci pace con Dio ed a farci tabernacoli di pace, in modo che Dio si muova dentro e in mezzo a noi.
Ogni beatitudine prepara quella appresso : Chi ha veduto Dio si adopera per il bene di tutti, proclamando pace con Dio e pace tra uomo e uomo: L’uomo delle beatitudini entra nell’altra condizione, che gli è preparata:


“Beati i pacifici”

I pacifici saranno chiamati figlioli di Dio.
Solo dopo aver raggiunto la purità di cuore, l’uomo delle Beatitudini diviene portatore di pace. Annientato in se stesso, egli è l’immagine di Cristo che passa fra gli uomini quale rappresentante del Dio della Pace. Ha conosciuto la pace, è posseduto dalla pace di Dio, ed è, finalmente, divenuto un tabernacolo dove il Dio della Pace risiede, e per mezzo di cui Si muove. Egli vuole manifestarSi per mezzo di creature umane. Pace con Dio è la prima esperienza, per cui ci si sente avvicinati a Lui come Padre. La pace di Dio è il riposo che si gode dopo aver notificato a Lui tutte le nostre cose. Tabernacolo del Dio della Pace è quando avrà concentrato la mente solo nelle cose del cielo.
Nel definire la pace, bisogna prima riconoscere ciò che essa non è. Il mondo ha una certa pace, ma Gesù Cristo ha promesso non una pace qualunque, bensì la Sua Pace, che il mondo non può ne dare ne togliere. Pace non è assenza di dolori o di turbamenti, perché altrimenti bisognerebbe chiamare “pace” la condizione dei cadaveri. Non è un aggiustare problemi per mezzo di accomodamenti, il che sarebbe pace fondata sopra accordi di tolleranza, nascondendo ire e disegni di avidità o vendetta. Tale è la politica: Pace, nel senso scritturale, è la condizione effetto dell’avere accettato la Giustizia di Dio, non solo a controllo della vita esteriore, ma quale base delle più intime affezioni: Gesù ha detto che la giustizia dei suoi discepoli deve superare quella dei farisei e degli Scribbi. Il santo deve camminare “in ogni giustizia”; ma prima è necessario che abbia cercato, con amore perseverante e diligente, il Regno di Dio e la Sua Giustizia. Il soggetto “giustizia di Dio” richiederebbe non una meditazione, ma un libro a parte. Un grande scrittore mette nella bocca di un santo uomo, il quale rimproverava un tale che, per aver sofferto gravi torti, si proponeva di fare lui giustizia, queste parole: “La conosci tu la giustizia ? “ e voleva dire: Che Dio vede non secondo l’uomo. Ritorniamo al soggetto.
Il pacifico è chiamato ad addossarsi le contese degli altri. E’ l’esempio di Colui Che è Mediatore fra l’umanità e Dio. Nel ritratto che fa Isaia del Cristo, si legge, fra l’altro, che il Signore ha fatto venire (incontrare) in (su) Lui le iniquità di noi tutti; che il castigo (prezzo) della nostra pace e sopra Lui. Tutto costa, perché ogni cosa ha un prezzo: Il pacifico è chiamato ad addossarsi le contese degli altri.
Sull’esempio del Signore, egli, per procurare pace agli altri, deve in sé stesso uccidere l’inimicizia altrui. Si affaccia alla memoria il pietoso incidente di quel tale che si precipito in mezzo a due schiere di gladiatori e, stendendo le braccia, gridò: “Pace, nel nome di Cristo!” I combattenti volsero su di lui solo le spade e lo ridussero uno straccio sanguinante; ma poi, inorriditi di tale spettacolo, buttarono le armi e non vollero più combattere: Portare pace agli altri costa!
L’uomo di Dio controlla sé stesso, difende ciascuno innanzi a ciascun altro, non ripete altro che il bene. Usa rigore con la persona che ha davanti, difende i lontani: Ma per tale modo egli corre il rischio di essere malcapito e odiato da tutti.
Nell’ultimo giorno della vita terrena di Gesù, fra gli altri eventi ci fu questo: Pilato Lo mandò da Erode e questi, dopo averLo schernito, Lo rimando da Pilato. Quei due grandi peccatori in quel giorno divennero amici tra loro. L’innocente era passato dall’uno all’altro quale offerta di pace, ed aveva, per così dire, attratto a Sé i veleni di quei due poveri cuori, di modo che essi, fino allora nemici, quel giorno si guardavano in faccia sorridentosi benevolmente.
I pacifici saranno chiamati “figlioli di Dio”. Non subito, perché per un tempo si tirano addosso odio e accusa, venendo qualificati turbatori: Però il giorno verrà, negli effetti lontani, che ogn’uno dei contendenti scoprirà che, a sua insaputa il pacifico è stato amico e difensore: Intanto i pacifici dovranno soffrire: Ci avviciniamo all’ultimo piano delle beatitudini: al martirio dei santi.


“Beati i perseguitati e vituperati”.

“Beati quelli che sono perseguitati per cagione di giustizia, perché di loro è il Regno dei cieli. Voi sarete beati, quando gli uomini vi avranno vituperati e perseguitati.... Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli.”
Nessuno si illuda: i figlioli del Regno sono chiamati a soffrire: Nella misura che ascendono, essi divengono sempre più stranieri al mondo. Fino a che non hanno agito come pacifici, hanno semplicemente destato sensi d’incomprensione e disprezzo: Ma da quando divennero ministri di pace, contrastando passioni e vendette, hanno attirato non solo odio, ma anche persecuzione.
L’uomo terreno immagina sempre che ha qualche ragione per fare il male. Non vi è nessuno che non si suggestioni che in qualche maniera abbia diritto di pensare e di agire a modo suo. Se non è stato direttamente offeso, egli si dirà che alla fine, abbia diritto alla sua opinione e a mettere mano contro altri. Si fa giudice rigoroso contro tutti ed escusatore solo di sé stesso. Per un tempo, egli ha incontrato alleati ai suoi piani, o nemici. Con i primi è venuto a patto di reciproco aiuto; coi secondi si è messo in guerra, ricevendo e facendo male. Le passioni, divenute sempre più acute, si sono manifestate con violenza. Ma un giorno egli incontra il pacifico e si accorge che con un tale egli non può venire a patti: Il pacifico è per lui, più odioso del nemico, perché lo combatte nel suo modo di pensare; gli mostra che egli, verso il prossimo, e radicalmente ingiusto. L’insieme delle sue facoltà interiori, viene messo sottosopra, vede davanti a sé un difensore di tutti, ma nemico a lui solo. Comincia a sentire lampi di odio: E stato provocato in quello che ha di più caro: “nell’egoismo”. Perciò non è meraviglia che il pacifico si vada creando sempre più nemici. Cristo ha amato Gerusalemme e Samaria, le quali erano nemiche tra loro, ma egli non fu ricevuto dai Samaritani e fu ucciso in Gerusalemme: Scribi e Farisei e vari gruppi nemici fra loro si trovarono uniti contro Gesù, perché la vita e Parola di Lui avevano affrontato i vizi e i peccati di tutti. Il pacifico deve soffrire per cagione di giustizia - la giustizia di Dio, la quale vede tutti colpevoli e tutti bisognosi di misericordia.
I persecutori, come abbiamo accennato, amano giustificarsi. Per questo, dopo che hanno vituperato, cominciano a mentire. Come se essi fossero i conoscitori della verità: Usano parole cattive. Pare che, avendo orrore dei pacifici, li qualificano con attributi odiosi. Alzano la voce, puntano il dito ed il loro agire si potrebbe tradurre: “Ecco i veri malfattori, i bestemmiatori nemici di Dio e dell’umanità!”.
Il Signore ha preparato i Suoi a patire un tale trattamento. Li ha confortati in anticipo, identificandoli a Sé Stesso. Ha detto loro: “Avranno detto di voi ogni mala parola per causa Mia.” L’agire dei pacifici ha rappresentato Cristo ed è il Cristo in loro che viene perseguitato, vituperato con menzogne.
Chi ha seguito Gesù sul monte ha concentrato il Lui affezioni e ideali. Perciò, se comprende che soffre quale rappresentante di Gesù è più che rassegnato, “lieto”. Ricorda le parole del salmista: “Beato il popolo che sa cos’è il giubilare” (Salmo 89:15 ). Il Signore incoraggia: “Rallegratevi e giubilate perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché cosi hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi.”
Le più grandi gioie e i più grandi dolori si sperimentano nel campo dello spirito. Gli estremi si toccano. Le massime angosce vengono seguite dai gaudi più intensi. Per un po’ di tempo, l’uomo delle beatitudini conosce solo l’allegrezza e non ancora quello stato d’animo per cui uno si sente come in un mondo di sogni, ed è invaso da una gioia che va al di sopra di tutte le consolazioni umane. Pare che il cielo gli sia stato aperto, proprio a mezzo di ciò che era più spiacevole. Dal fondo dell’anima sgorgano onde che il linguaggio umano, in mancanza di altra parola, chiama “giubilare”. Quel dolore intenso e quel giubilo agiscono come messaggeri dall’alto e dicono: tu sei nel Regno dei cieli.
Il principio e la fine si incontrano. Le beatitudini si aprono e chiudono con la promessa: Il Regno dei cieli è loro.

[Modificato da claudio.42 15/11/2005 21.08]

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