Il suo ultimo libro è The God Delusion - L'illusione di Dio.
Il linguaggio può contribuire a incidere sul modo con cui pensiamo il mondo.
Richard Dawkins saluta il tentativo di promuovere la consapevolezza dell'ateismo eleggendo una parola con associazioni positive.
Una volta mi è capitato di leggere una storia di fantascienza in cui degli astronauti in viaggio verso una stella lontana diventavano sempre più nostalgici:
“E pensare che là dietro sulla terra è primavera!”
Potreste non accorgervi subito di cosa c’è di sbagliato, tanto è radicato il nostro inconscio sciovinismo da emisfero settentrionale.
“Inconscio” è proprio la parola giusta.
E’ lì che subentra la presa di coscienza.
Sospetto che sia per una ragione più profonda della trovata divertente se, in Australia e Nuova Zelanda, si possono acquistare cartine del mondo col polo sud in alto.
Ora, non sarebbe una cosa eccellente da appendere nelle pareti delle nostre aule di scuola? Splendido per far prendere coscienza.
Giorno dopo giorno, i bambini si ricorderebbero che il nord non ha il monopolio dell’alto.
La mappa li incuriosirebbe e al tempo stesso aumenterebbe la loro consapevolezza.
Tornerebbero a casa e ne parlerebbero coi propri genitori.
Le femministe ci hanno fatto lezione sulla presa di coscienza.
Ero solito ridere ai «lui o lei», e ai “chairperson” [neologismo inglese delle femministe per sostituire con un neutro il titolo di presidente; NdT], e cerco ancora di evitarli per motivi estetici.
Ma riconosco il potere e l’importanza della presa di coscienza.
Ora mi ritraggo a «un uomo un voto». La mia coscienza è aumentata.
Probabilmente anche la vostra, e questo è importante.
Deploravo quello che consideravo come formalismo nei miei amici atei americani.
Erano ossessionati dall’eliminare “sotto Dio” dal Giuramento di Fedeltà (era stato inserito successivamente nel 1954), mentre io me la prendevo di più proprio per l’atto, ripugnantemente sciovinistico, di giurare fedeltà ad una bandiera.
Avrebbero cancellato il «In God we Trust» da ogni biglietto da un dollaro che gli passava tra le mani (di nuovo, era stato inserito solo nel 1956), mentre io ero più preoccupato per i dollari esentasse accumulati dai televangelisti coi capelli fonati che derubavano le vecchiette ingenue dei loro risparmi di una vita.
I miei amici avrebbero rischiato di essere allontanati dai vicini per protestare contro i cartelloni dei Dieci Comandamenti alle pareti delle aule di scuola.
“Ma sono solo parole”, avrei protestato.
“Perché mobilitarsi tanto solo per le parole, mentre c’è molto altro su cui puntare?” Ora la penso diversamente.
Le parole non sono banali. Sono importanti perché fanno prendere coscienza.
Il mio contributo preferito per la presa di coscienza è quello che ho menzionato tante volte prima (e non me ne scuso perché la presa di coscienza si basa sulla ripetizione).
Un’espressione come “bambino cattolico” o “bambino musulmano” dovrebbero far battere violentemente i campanelli di protesta nella mente, come quando indietreggiamo al sentire «un uomo un voto».
I bambini sono troppo piccoli per conoscere le loro opinioni religiose.
Proprio come non si può votare fino a 18 anni, si dovrebbe essere liberi di scegliere la propria cosmologia ed etica senza l’impertinente presunzione da parte della società che si erediteranno quelle dei genitori.
Dovremmo essere inorriditi se ci raccontassero di un bambino leninista o di uno neoconservatore o di uno monetarista hayekiano.
Così non è forse una sorta di abuso del bambino parlare di bambino cattolico o di bambino protestante?
Specialmente nell’Irlanda del nord e a Glasgow dove tali epiteti, tramandati per generazioni, hanno diviso i vicini per secoli e possono anche equivalere ad una condanna a morte.
Bambino cattolico? Orrore. Bambino protestante? Disgusto.
Bambino musulmano? Brividi.
Ognuno dovrebbe prendere coscienza a questo livello.
Occasionalmente è necessario un eufemismo, e suggerisco “Bambino di genitori ebrei (ecc.)”.
Quando ne converrete, questo è tutto quello che stiamo dicendo.
Proprio come l’alto-basso (di nuovo lo sciovinismo da emisfero nord: orrore!) delle cartine della Nuova Zelanda fa prendere coscienza sulla verità geografica, i bambini dovrebbero sentirsi descritti non come “bambini cristiani” ma come “bambini di genitori cristiani”.
Questo di per sé farebbe prendere loro coscienza, rendendoli in grado di formare le proprie menti e scegliere se o quale religione preferiscano, piuttosto che credere solo che religione significhi “stesse credenze dei genitori”.
Io posso ben immaginare che questa libertà di scegliere tradotta linguisticamente potrebbe portare a non scegliere alcuna religione.
Per piacere uscite e impegnatevi perché le persone prendano coscienza delle parole che usano per definire i bambini.
Ad una cena, per esempio, se mai udiste una persona parlare di una scuola per bambini islamici, o bambini cattolici (potete leggere frasi del genere ogni giorno sui giornali), prorompete: “Come osi? Non parleresti mai di un bambino Tory o di un bambino New Labour, per cui come potresti descrivere un bambino come cattolico (islamico, protestante, ecc.)?”
Con un pò di fortuna, tutti quelli a cena, la prossima volta che sentiranno questo tipo di frasi offensive, ne saranno disgustate, o almeno le noteranno e il meme si diffonderà.
Un successo della presa di coscienza è stato il dirottamento omosessuale verso la parola “gay”.
Lamento la perdita di gay nel (cosa penso sia ancora) suo vero senso.
Ma nel suo lato positivo [bright] gay ha ispirato un nuovo imitatore, che è l’oggetto principale di questo articolo.
Gay è succinto, leggero, positivo: una parola “alta”, dove omosessuale è una parola bassa, e finocchio, checca e frocio sono insulti.
Quelli di noi che non danno contributo a nessuna religione; quelli di noi la cui visione dell’universo è naturale piuttosto che soprannaturale; quelli di noi che sono contenti nel reale e sprezzano il falso conforto dell’irreale, abbiamo bisogno di una parola nostra, una parola come “gay”.
Potete dire “io sono un ateo” ma nel senso migliore suona borioso (come “Io sono un omosessuale”) nel peggiore infiamma il pregiudizio (come “Io sono un omosessuale”).
Paul Geisert and Mynga Futrell, di Sacramento, California, hanno convenuto di creare una nuova parola, un nuovo “gay”.
Come gay, dovrebbe essere un sostantivo derivato da un aggettivo, col suo significato originale cambiato ma non troppo.
Come gay, dovrebbe essere orecchiabile: un meme potenzialmente prolifico.
Come gay, dovrebbe essere positiva, fresca, allegra, luminosa [bright].
Bright? Sì, bright. Bright è la parola, il nuovo nome.
Io sono un bright. Tu sei un bright. Lei è una bright.
Noi siamo i bright.
Non è tempo che tu ti riveli come un bright? Lui è un bright?
Non posso immaginare di innamorarmi di una donna che non sia una bright.
Il sito
www.celebatheist.com suggerisce numerosi intellettuali e altre persone famose che sono bright.
I bright costituiscono il 60% degli scienziati americani ed uno straordinario 93% di quegli scienziati abbastanza bravi per essere eletti all’elite della National Academy of Sciences (equivalenti ai Fellow membri della Royal Society) sono bright.
Guarda un lato positivo [bright]: nonostante al momento presente non possono ammetterlo ed essere eletti, il Congresso degli Stati Uniti deve essere pieno di bright nascosti.
Come per i gay, in più si rivelano, più facile sarà per ancora più bright fare lo stesso.
Le persone restie ad usare la parola ateo potrebbero essere felici di rivelarsi come bright.
Geisert and Futrell insistono molto sul fatto che la loro parola è un sostantivo e non un aggettivo.
“Io sono bright” suona arrogante.
“Io sono un bright” suona troppo familiare per essere arrogante: è sconcertante, enigmatica, intrigante.
Fa venire la domanda, “Cosa è un bright sulla terra?”
A quel punto voi: “Un bright è una persona la cui visione del mondo è libera da elementi sovrannaturali e mistici.
L’etica e le azioni di un bright sono basate su una visione naturalistica del mondo”.
“Vuoi dire che un bright è un ateo?”
“Allora,
alcuni bright sono lieti di chiamarsi atei.
Alcuni bright chiamano se stessi agnostici.
Alcuni chiamano se stessi umanisti, altri liberi pensatori.
Ma tutti i bright possiedono una visione del mondo priva di elementi sovrannaturali e mistici”
“Oh, ho capito. E’ un pò come ‘gay’.
Allora, cos’è il contrario di bright?
Come chiameresti una persona religiosa?”
“Cosa suggeriresti?”
Certo, anche se noi bright insisteremo scrupolosamente che la nostra parola è un sostantivo, se diventasse popolare probabilmente seguirebbe gay per eventualmente riemergere come nuovo aggettivo.
E quando questo succederà, chissà, potremmo finalmente avere un presidente bright.
- Puoi firmarti come un bright su
www.the-brights.net.