Augias - Pesce : Inchiesta su Gesù

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Pagine: [1], 2, 3
Teodoro Studita
00giovedì 16 novembre 2006 13:51
Ho avuto modo nei giorni scorsi di leggere questo libretto che affolla gli scaffali di ogni libreria del regno. Ve ne propongo una recensione, vergata manu propria.



Inchiesta su Gesù.
Chi era l'uomo che ha cambiato il mondo

Autore: Augias Corrado; Pesce Mauro
Prezzo di copertina € 17,00
Dati: 263 p., rilegato
Anno: 2006
Editore: Mondadori
Collana: Varia saggistica

Mentre in Italia infuria il più grande revival pseudostorico di tutti i tempi sulla figura di Gesù, inaugurato dal fortunatissimo “Da Vinci Code”, una nota penna del giornalismo italiano incontra uno storico del cristianesimo particolarmente sensibile a tematiche antropologiche. Ne nasce questo piccolo saggio-intervista, in cui il prof.Pesce, diretto dalla abile regia di Augias, introduce il neofita nella dimensione storica dell’uomo Gesù di Nazareth.
Intento programmatico è quello di esaminare la controversa figura di Gesù sulla base dell’evidenza fontale, prediligendo gli aspetti storici e antropologici a discapito di quelli più squisitamente religiosi e teologici. Il personaggio che faticosamente ne emerge, riflette inevitabilmente la cultura di Augias, laicista più che laica, che non esita a radicalizzare la visione socio-politica di Pesce nel ricondurre Gesù a “un mistico e un grande sognatore religioso, che cerca di collocare la giustizia al centro del mondo” (p.62), fiero propugnatore di un “ideale socioreligioso di uguaglianza e di amore” (p.48 ). Augias arriva così a configurare un Gesù “sostenitore di un radicalismo egualitario che non esiterei a chiamare comunista” (p.65), ricostruzione, questa, dalla quale Pesce sembra tuttavia prendere le distanze quando afferma di Gesù che “nulla gli è più estraneo di un kibbutz” (p.73). Ancora, Augias insiste sulla possibile carica eversiva del cristianesimo, incarnata nella tendenza a “riequilibrare i rapporti fra le classi, così minando gli equilibri economici a Roma e nell’Impero” (p.187), non esitando a riesumare a servizio di questa un dato storico confutato da decenni secondo sui i primi cristiani si opponevano al servizio militare (p.188 ), argomentazioni che Pesce si guarda bene dal sostenere o anche dal commentare.
Di fatto il Gesù “storico” che emerge dalla più sobria ricostruzione del Prof. Pesce, è il portatore di un’”utopia pratica”, basata sull’abbandono totale a Dio e sull’attenzione al prossimo. Questo Gesù sarebbe agli antipodi rispetto alla visione sia paolina che giovannea. Il tutto è sintetizzato con una efficace chiusa dallo stesso Pesce: “Gesù era un ebreo che non voleva fondare una nuova religione, non un cristiano” (p.237, postfazione) “un uomo ebreo che non si sente identico a Dio” (p.28 )
Il saggio procede rifacendosi perlopiù a consunti luoghi comuni di esegesi ottocentesca, dai postulati fratelli e sorelle di Gesù (pp.112-113), alla diffusa opinione secondo cui malati e indemoniati sarebbero vittime di patologie psichiatriche (p.131, giudizio notevolmente smussato dall’analisi di Pesce, a onor del vero). Di nuovo Augias sembra riecheggiare l’esegesi di Ambrogio Donini sulle nozza di Cana e sull’appellativo “donna” con cui Gesù chiama Maria (p.119), caricato di non si sa bene quale negativo significato, fino a ipotizzare orribilmente che tra Gesù e il “discepolo amato” vi potesse essere una “vera e propria amitié amoreuse fra due uomini” (p.120). Ma il vero bersaglio della ricostruzione di Augias non è questo Gesù che veste i curiosi panni di in un sessantottino ante litteram, ma la sua istituzione visibile, in ispecie la Chiesa Cattolica, colpevole di aver manipolato i testi biblici, decretato la damnatio memoriae di Giuda e l’esclusione del suo vangelo dal canone (qualcuno dovrebbe dire ad Augias che l’omonimo apocrifo non ha nulla a che vedere con Giuda Iscariota), e di fatto di essere un’istituzione pagana: “il cristianesimo ed il cattolicesimo in particolare che si sono via via impregnati di pensiero neoplatonico, con un monoteismo solo apparente, che ha ripristinato in realtà un pantheon di entità divine attraverso il culto di figure intermedie quali la “Vergine” e i “santi” (p.200). Di più, secondo Pesce “le chiese hanno tentato di realizzare il proprio messaggio servendosi di quelle istituzioni politiche cui Gesù non aveva mai fatto ricorso. E’ [...] un tradimento del cristianesimo rispetto a Gesù” (p.68 ). Emerge, infine, una costante attenzione al delicato rapporto tra ebraismo e cristianesimo, con una malcelata vena polemica nei confronti di un certo antisemitismo di marca cattolica. A tal proposito, Pesce sottolinea come le “radici cristiane dell’antisemitismo” (sic, p.169) risiedano nella manipolazione del testo evangelico operata scientemente dal suo estensore.
In conclusione, il saggio nasce con l’evidente l’intento della divulgazione (de cathechizandis rudibus?): bibliografia ridotta all’osso, niente note in calce, generosa dimensione dei caratteri ed una forma a “domanda-risposta” che rende più agevole la lettura. L’impressione di superficialità nell’analisi viene alimentata da un linguaggio artatamente semplice, che talora sacrifica anche la sintassi, se a pag. 76 ci imbattiamo in un grottesco “la maggioranza dei suoi membri ebbero un atteggiamento...” laddove i anche nostri ragazzi delle scuole medie (che non dispongono di revisori di bozze!) sono in grado di concordare il numero di soggetto e verbo. Anche per questo, quando il volume scomparirà dai supermercati, difficilmente lo si troverà nei dipartimenti di scienze storico-religiose.


Cordialità,
giainuso
00giovedì 16 novembre 2006 14:05
Tteodoro l'ho comprato oggi e me l'hai massacrato!
Che faccio lo riporto al supermarket ?

€17,00...lo leggo lo stesso.

ciao
bruno owsr
Teodoro Studita
00giovedì 16 novembre 2006 14:11
Io l'ho rubato a mia madre, è più economico.

spirito!libero
00giovedì 16 novembre 2006 14:21
Caro Teodoro,

seguendo la tua recensione, eviterei di prendere in considerazione le deduzioni di Augias, ma mi limiterei a ciò che emerge dalle parole di Pesce che hai riportato.

“Di fatto il Gesù “storico” che emerge dalla più sobria ricostruzione del Prof. Pesce, è il portatore di un’”utopia pratica”, basata sull’abbandono totale a Dio e sull’attenzione al prossimo. Questo Gesù sarebbe agli antipodi rispetto alla visione sia paolina che giovannea. Il tutto è sintetizzato con una efficace chiusa dallo stesso Pesce: “Gesù era un ebreo che non voleva fondare una nuova religione, non un cristiano” (p.237, postfazione) “un uomo ebreo che non si sente identico a Dio” (p.28 ) “

“Di più, secondo Pesce “le chiese hanno tentato di realizzare il proprio messaggio servendosi di quelle istituzioni politiche cui Gesù non aveva mai fatto ricorso. E’ [...] un tradimento del cristianesimo rispetto a Gesù” (p.6[SM=g27989]

Queste posizioni di Pesce che, ricordiamolo, ha il seguente curriculum:

Ordinario di Storia del cristianesimo, attualmente insegna: Storia del cristianesimo, Ebraico, Introduzione alla studio delle religioni
Corso/i di laurea: Corso di laurea in scienze antropologiche, Cdl in Storia, Cdl in Storia orientale, Cdl in Lettere.

Presidente del Corso di laurea in Scienze Antropologiche,
coordinatore dottorato in studi religiosi Presidente del "Centro Italiano di Studi Superiori sulle Religioni";
membro di Society of Biblical Literature; Studiorum Novi Testamenti Societas; «International Studies in Formative Christianity and Judaism», Global Publications, New York.
Coord. nazionale: "La costruzione dell'identità cristiana tra Oriente e Occidente (I-VII secolo)" Direzione/partecipazione altri gruppi di ricerca nazionali-internazionali:
1.Group Europeen de Recherches Interdisciplinaires sur le Christianisme des origines;
2."Early Christian Families" (Society of Biblical Literature);
3."Identités religieuses d'Alexandre à Justinien" -Ecole Pratiques des Hautes Etudes;
4. "Religious Resources of Tolerance and Toleration (Amer. Univ. Cairo/Univ.Bologna/ Bard College/Univ.Rochester)";
5. Progetto Bologna-Pretoria di antropologia della famiglia;
6. "The Construction of Christian Identities" Society of Biblical Literature 2004-07.
Direttore della rivista "Annali di Storia dell'Esegesi" Edizioini Dehoniane Bologna. fondata nel 1983 Visiting professor/scholar: 1968/70 Bonn e Würzburg; 1972-73 Gerusalemme; Brown University Settembre 1986; Settembre-Novembre 1990; Settembre 1993; Aprile 1997; Yale University Aprile 1992 (Visiting Professor); Gerusalemme: Settembre 1992; Sofia e Varna (Bulgaria) (Luglio 1996); University of Yerevan (Armenia) (settembre 1997); 1-6.2004 Ecole Pratique Hautes Etudes Parigi.


sono il linea, che mi risulti, con quelle di molti altri storici e ricercatori, direi la maggioranza. Personalmente le condivido pienamente.

Saluti
Andrea

Teodoro Studita
00giovedì 16 novembre 2006 14:40
Caro Andrea,
il punto è sempre questo: quanto giova esaminare un problema da un unica prospettiva, eludendo programmaticamente i problemi che suscitano le altre? O in altre parole, esiste un Gesù-storico svincolato dal Gesù-religioso?

In questo sono d'accordo con Benedetto XVI il quale, parlando ai vescovi svizzeri, ha ricordato come la deriva antropologica dell'esegesi contemporanea, che è di fatto una radicalizzazione del metodo storico-critico, depaupera, anziché arricchire, la comprensione e la percezione del'unità del testo evangelico.

Se partiamo dal presupposto che non esiste il miracolo o la profezia e che non potranno mai esistere, cosa resta dei meri panni storici di Gesù? Se, per ipotesi, fosse stato davvero il "Figlio di Dio" quanto potrà essere misera e vana la ricostruzione del Gesù storico?

Cordialità,
spirito!libero
00giovedì 16 novembre 2006 15:48
Caro Teodoro,

“il punto è sempre questo: quanto giova esaminare un problema da un unica prospettiva, eludendo programmaticamente i problemi che suscitano le altre? O in altre parole, esiste un Gesù-storico svincolato dal Gesù-religioso? “

So cosa intendi. Però converrai che per dare un solido fondamento al Gesù religioso in primis occorrerebbe ricostruire, per quanto possibile, le gesta del Gesù storico.

“la deriva antropologica dell'esegesi contemporanea, che è di fatto una radicalizzazione del metodo storico-critico, depaupera, anziché arricchire, la comprensione e la percezione del'unità del testo evangelico”

Mi stai dicendo dunque che, non ammettendo come reali le profezie e i miracoli, si radicalizza il metodo storico ? Cioè escludento eventuali eventi metafisici si arriverebbe a verità parziali ? Questo è effettivamente ciò che fanno gli storici, ma mi chiedo: non avendo oggi evidenze che avvalorino tali eventi, come possono gli studiosi includerli nella ricerca storica ?

“Se partiamo dal presupposto che non esiste il miracolo o la profezia e che non potranno mai esistere, cosa resta dei meri panni storici di Gesù?”

Certo, ma come facciamo ad includerli se non ne abbiamo esperienza ? Se non vi sono evidenze ?

“Se, per ipotesi, fosse stato davvero il "Figlio di Dio" quanto potrà essere misera e vana la ricostruzione del Gesù storico? “

Se non ho capito male, vuoi dire che se Gesù è davvero Dio, noi possiamo fare tutte le nostre ricerche che vogliamo che non approderemmo a nulla ? Posso essere d’accordo, ma come facciamo a saperlo se è Dio o meno ? Solo con la fede, dunque la ricostruzione storica ci può dire almeno se tale fede è basata su qualcosa di razionale.

Inoltre se riuscissimo ad avere una ragionevole certezza che Gesù non si ritenne mai Dio, be, qualche passo avanti o indietro (dipende dai punti di vista), lo avremmo fatto non credi ?

Ciao
Andrea
Thommi
00giovedì 16 novembre 2006 17:04
Andrea, quello che dice Pesce e che può essere o meno condiviso è cmq già arcinoto agli studiosi ed ha già una posizione di parte nella trattazione della questione.
Pesce fà l'analisi di Cristo con un metodo storico, che per quanto condiviso, rimane limitato appunto come tu stesso affermi alle questioni storico-ideologiche dimostrabili, e questo li permette di spezzare delle lancie a favore della sue idee ateiste.
Il cristianesimo al giorno d'oggi è una religione che conta più di un miliardo di fedeli e non puoi pretendere che la figura del "Gesù Cristo Dio" si debba ancora sottomettere alle comuni posizioni di buon senso scientifico-razionale della comunità atea.
Presentare i titoli di Pesce non cambia quello che ha scritto nel suo libro; il libro è stato scritto in modo semplice per essere commerciabile ed è naturale che Pesce, per quanto sia abilitato a farlo, non affronta il tema col giusto rigore.

saluti
thommy
spirito!libero
00giovedì 16 novembre 2006 17:20
“quello che dice Pesce e che può essere o meno condiviso è cmq già arcinoto agli studiosi”

Può essere, ma tieni presente che ciò a cui è arrivato lui è frutto delle più moderne ricerche storiche.

“ha già una posizione di parte nella trattazione della questione”

Non capisco perché dici che sia di parte, pensi che Pesce non abbia, per quanto possibile, lavorato con oggettività ? Perché pensi questo ? Hai qualche elemento per dirlo ?

“Pesce fà l'analisi di Cristo con un metodo storico, che per quanto condiviso, rimane limitato appunto come tu stesso affermi alle questioni storico-ideologiche dimostrabili”

Esatto, ma gli storici lavorano sul metodo storico, non sono teologi. Lui non ha detto che Gesù non è Dio, ha detto che storicamente Gesù non si è probabilmetne mai autodefinito Dio. Ha detto qualcosa che esula dalla storia ? No. Gesù può essere benissimo Dio ma non essersi mai autodefinito tale.

“questo li permette di spezzare delle lancie a favore della sue idee ateiste”

Anche qui presumi che lui abbia detto quello che ha detto per avvalorare la sua tesi e non perché ha studiato la storia e ha desunto le sue tesi dai suoi studi. Io credo che le sue posizioni siano la naturale conseguenza della sua ricerca, ovvero che sia giunto a pensare in quel modo dopo aver studiato le fonti e la storia e non il contrario.

“Il cristianesimo al giorno d'oggi è una religione che conta più di un miliardo di fedeli e non puoi pretendere che la figura del "Gesù Cristo Dio" si debba ancora sottomettere alle comuni posizioni di buon senso scientifico-razionale della comunità atea”

Ancora presupponi che le posizioni siano ideologiche e non epistemologiche. Pesce è un ricercatore serio ed un professore emerito di Storia del cristianesimo, le sue tesi non sono ideologiche ma derivate da studi storici. Se la pensi diversamente dovresti dirmi almeno perché, ossia su quali basi ritieni ideologiche le sue posizioni.

“Presentare i titoli di Pesce non cambia quello che ha scritto nel suo libro”

No, ma avvalora la sua posizione di ricercatore e conferisce serietà e attendibilità alle sue tesi.

“Pesce, per quanto sia abilitato a farlo, non affronta il tema col giusto rigore”

Come fai a dire che non affronta il tema con il giusto rigore da cosa lo deduci ? Ma stiamo scherzando ? Un professore del suo calibro che non affronta la sua materia con rigore ? impossibile.

Ciao
Andrea
Thommi
00giovedì 16 novembre 2006 17:46
si, ok Andrea, hai ragione, ma quando il lettore vede quel libro con Gesù sulla croce (chiaro simbolo teologico cristiano) si aspetta di legger qualcos'altro, si aspetta di leggere un analisi di "Cristo Dio" e non un analisi storica atea di un "uomo come un altro".


Lui non ha detto che Gesù non è Dio, ha detto che storicamente Gesù non si è probabilmetne mai autodefinito Dio.


è quel "probabilmente" che mi preoccupa, in quanto può tranquillamente sfuggire a chi legge.


Un professore del suo calibro che non affronta la sua materia con rigore ? impossibile.


adesso non esagerare, per vendere si fà questo ed altro; per esempio lo sapevi che Dan Brown è stato insegnante d'inglese all'università e storico dell'arte?

saluti
thommy
Polymetis
00giovedì 16 novembre 2006 18:55
Per Teo

Non l'ho letto né ho intenzione di farlo perché è un'opera divulgativa. Ma da quanto scrivi ha elencato un bel po' di cliché degli anni 70', fatti fuori dalla terza ricerca sul Gesù storico americana ma che ancora vengono propinati specie in Italia e in Francia
Gesù non voleva fondare una nuova religione: un cliché della scuola di Gerusalemme(Flusser, Lapide, Vermes, ecc.)
Gesù utopista e innovatore sociale, cliché influenzato dalla teologia della liberazione: (Borg,Oakman,Horsley).
A me non interessa commentare questa ennesima ricostruzione ma solo far notare che quando si separa il Cristo della fede dal Gesù storico ognuno trova quello che vuole: il mago, il taumaturgo, l'esseno, lo zelota, il fariseo solo buon rabbi, il pacisfista, il marziano, ecc.
Io ho solo un suggerimento, andate in biblioteca e leggete il II volume di "Un ebreo marginale" del Meier che è un'analisi in chiave critica di tutte queste intepretazioni. In ogni interpretazione si finisce sempre per forzare i testi.

Ad maiora
Thommi
00giovedì 16 novembre 2006 20:47

In ogni interpretazione si finisce sempre per forzare i testi.


si ma non solo in queste, anche in quelle in chiave teologica si finisce sempre per forzare i testi.
spirito!libero
00giovedì 16 novembre 2006 22:48
“che quando si separa il Cristo della fede dal Gesù storico ognuno trova quello che vuole”

Invece quando non lo si separa no ? Certo, si danno spiegazioni teologicoo/dogmatiche alle contraddizioni e tutto è risolto ! Bell’affare, troppo semplice così !

Gesù era Dio ? tutti in coro: Siiii lo dicono alcuni agiografi !
Bene ma allora abbiamo due “Dii” ? Noooo siamo monoteisti !
E quindi ? come risolviamo la contraddizione ?

Mica dicendo che probabilmente Gesù è stato divinizzato da alcuni autori neotestamentari e quindi non era effettivamente Dio, noooo,
facciamo che siano la stessa cosa ma due persone e siamo apposto va, tanto chi può contraddirci ?

Ma se Gesù era Dio perché non conosceva un sacco di cose ? perché si comportava come un uomo ? Dio non era onnisciente ? Come risolviamo tale contraddizione ???

Mica cercando la soluzione più ragionevole ossia ipotizzando la mitizzazione di un uomo, come del resto accade spesso nella storia, deducendone quindi non che era Dio, nooooo,
inventiamoci di sana pianta che era vero uomo e vero Dio !!

E così via con tutto il resto delle contraddizioni. Man mano che si evidenziavano le contraddizioni logiche, la teologia ci metteva una pezza.

Troppo facile così aggiustare le contraddizioni !! Il Cristo della fede ha tante e tali contraddizioni che non sono nemmeno paragonabili a quelle che si possono riscontrare ricercando il Gesù storico, la cui ricerca, ricordiamolo, è molto complessa ed è stata avviata relativamente di recente.

Ciao
Andrea

[Modificato da spirito!libero 16/11/2006 22.50]

Teodoro Studita
00giovedì 16 novembre 2006 23:09
Questo è un thread sul libro di Augias non sulle postulate contraddizioni del cristianesimo.

Prego non andare offtopic
Thommi
00giovedì 16 novembre 2006 23:33
un argomento tira l'altro, per verificare le cose scritte nel libro di Augias si deve affrontare l'argomento Gesù: uomo o Dio?
Teodoro sei stato tu il primo, nella tua recensione, ad infarcire di teologia una discussione che poteva affrontare il tema "Gesù" dal solo versante storico-ideologico umano.

[Modificato da Thommi 16/11/2006 23.38]

ClintEastwood82
00sabato 18 novembre 2006 14:49

||In questo sono d'accordo con Benedetto XVI il quale, parlando ai vescovi svizzeri, ha ricordato come la deriva antropologica dell'esegesi contemporanea, che è di fatto una radicalizzazione del metodo storico-critico, depaupera, anziché arricchire, la comprensione e la percezione del'unità del testo evangelico. ||


D'accordissimo.


||Se partiamo dal presupposto che non esiste il miracolo o la profezia e che non potranno mai esistere, cosa resta dei meri panni storici di Gesù? Se, per ipotesi, fosse stato davvero il "Figlio di Dio" quanto potrà essere misera e vana la ricostruzione del Gesù storico? ||


E' quello che dico sempre anche io, se spogliamo i brani evangelici di qualsivoglia contenuto "soprannaturale" resta poco più che corteccia, e questo è purtroppo ciò che puntualmente avviene con il modernismo.



Thommi
00sabato 18 novembre 2006 19:44

E' quello che dico sempre anche io, se spogliamo i brani evangelici di qualsivoglia contenuto "soprannaturale" resta poco più che corteccia, e questo è purtroppo ciò che puntualmente avviene con il modernismo.


Magari non succederebbe se si ammettesse che ci sono state e ci sono ancora molte manifestazioni del divino, e che quindi non c'è l'avete solo voi cristiani un Uomo-Dio.
Teodoro Studita
00sabato 18 novembre 2006 20:17
Riporto la recensione allo stesso libro pubblicata da Avvenire, a firma di R.Cantalamessa




L’intervento
«Gesù non ha inteso fondare nessuna nuova religione. Era ed è rimasto ebreo»... «Verissimo, difatti neanche la Chiesa considera il cristianesimo un “nuovo” credo, ma si dichiara erede del Dio “di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. Del resto, nessuna fede è nata perché qualcuno ha inteso “fondarla”: forse Mosè voleva creare l’ebraismo o Buddha il buddhismo?»
L’esegeta Cantalamessa risponde alla recente «inchiesta su Cristo» del giornalista Augias e dello storico Pesce
«Gli apocrifi dicono proprio il contrario di ciò per cui si invoca la loro autorità: professano una rottura violenta con l’Antico Testamento»
«A forza di dissipare le “censure” su Gesù per ridurlo a uomo ordinario, si crea un mistero ancora più inspiegabile. La fede condiziona la ricerca storica? Certo. Ma assai di più lo fa l’incredulità»

I Vangeli alla prova: la storia e i fantasmi del mito
di Raniero Cantalamessa

Il ciclone Il Codice da Vinci di Dan Brown non è passato invano. Sulla sua scia stanno fiorendo, come sempre avviene in questi casi, nuovi studi sulla figura di Gesù di Nazareth con l’intenzione di svelarne il vero volto ricoperto finora sotto la coltre dell’ortodossia ecclesiastica. Anche chi ne prende a parole le distanze, se ne mostra per più versi influenzato.

Nella scia del ciclone

A tale filone mi pare appartenga il libro a quattro mani di Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù (Mondadori). Vi sono, come è naturale, differenze tra l’uno e l’altro autore, tra il giornalista e lo storico. Ma non voglio cadere io stesso nell’errore che più di ogni altro compromette a mio parere questa “inchiesta” su Gesù che è di tener conto solo e sempre delle differenze tra gli evangelisti, mai delle convergenze. Parto perciò da ciò che è comune ai due autori, Augias e Pesce. Esso si può riassumere così: Sono esistiti, all’inizio, non uno ma diversi cristianesimi. Una delle sue versioni ha preso il sopravvento sulle altre; ha stabilito, secondo il proprio punto di vista, il canone delle Scritture e si è imposta come ortodossia, relegando le altre al rango di eresie e cancellandone il ricordo. Noi possiamo però oggi, grazie a nuove scoperte di testi e a una rigorosa applicazione del metodo storico, ristabilire la verità e presentare finalmente Gesù di Nazareth per quello che fu veramente e che egli stesso intese essere, cioè una cosa totalmente diversa da quello che le varie Chiese cristiane hanno finora preteso che fosse. Nessuno contesta il diritto di accostarsi alla figura di Cristo da storici, prescindendo dalla fede della Chiesa. È quello che la critica, credente e non credente, va facendo da almeno tre secoli con gli strumenti più raffinati. La domanda è se la presente inchiesta su Gesù raccoglie davvero, per quanto in forma divulgativa e accessibile al gran pubblico, il frutto di questo lavoro, o se invece opera in pa rtenza una scelta drastica all’interno di esso, finendo per essere una ricostruzione di parte. Io credo che, purtroppo, questo secondo è il caso. Il filone scelto è quello che va da Reimarus, a Voltaire, a Renan, a Brandon, a Hengel, e oggi a critici letterari e «professori di umanità», quali Harold Bloom e Elaine Pagels. Del tutto assente l’apporto della grande esegesi biblica, protestante e cattolica, sviluppatasi nel dopo guerra, in reazione alle tesi di Bultmann, molto più positiva circa possibilità di attingere, attraverso i Vangeli, il Gesù della storia. Sui racconti della passione e morte di Gesù, per fare un esempio, nel 1998, è stata pubblicata da Raymond Brown («il più distinto tra gli studiosi americani del Nuovo Testamento, con pochi rivali a livello mondiale», secondo il “New York Times”), un’opera di 1608 pagine. Essa è stata definita dagli specialisti del settore «il metro in base al quale ogni futuro studio della Passione sarà misurato», ma di tale studio non c’è traccia nel capitolo dedicato ai motivi della condanna e della morte di Cristo, né esso figura nella bibliografia finale che pure riporta diversi titoli di opere in inglese. All’uso selettivo degli studi corrisponde un uso altrettanto selettivo delle fonti. I racconti evangelici sono adattamenti posteriori quando smentiscono la propria tesi, sono storici quando si accordano con essa. Anche la risurrezione di Lazzaro, benché attestata dal solo Giovanni, viene presa in considerazione, se può servire a fondare la tesi della motivazione politica e di ordine pubblico dell’arresto di Gesù (p. 140).

Ma gli apocrifi cosa dicono?

Ma veniamo alla discussione più diretta della tesi di fondo del libro. Anzitutto a proposito delle scoperte di nuovi testi che avrebbero modificato il quadro storico sulle origini cristiane. Esse sono essenzialmente alcuni Vangeli apocrifi scoperti in Egitto a metà del secolo scorso, soprattutto i codici di Nag Hammadi. Su di essi viene fatta un’ope razione assai sottile: ritardare il più possibile la data di composizione dei Vangeli canonici e avanzare il più possibile la data di composizione degli apocrifi in modo da poterli usare come valide fonti alternative ai primi. Ma qui si urta contro un muro non facilmente scavalcabile: nessun Vangelo canonico (neppure quello di Giovanni secondo la critica moderna) si lascia datare dopo l’anno 100 dopo Cristo e nessun apocrifo si lascia datare prima di tale anno (i più arditi arrivano, con congetture, a datarli all’inizio del III o a metà del II secolo). Tutti gli apocrifi attingono o suppongono i Vangeli canonici; nessun Vangelo canonico attinge o suppone un vangelo apocrifo. Per fare l’esempio oggi più in voga, dei 114 detti di Cristo nel Vangelo copto di Tommaso, 79 hanno un parallelo nei Sinottici, 11 sono varianti delle parabole sinottiche. Solo tre parabole non sono attestate altrove. Augias, sulla scia di Elaine Pagels, crede di poter superare questo scarto cronologico tra i Sinottici e il Vangelo di Tommaso ed è istruttivo vedere in che modo. Nel Vangelo di Giovanni si assiste, secondo l’autore, a un chiaro tentativo di screditare l’apostolo Tommaso, una vera persecuzione nei suoi confronti, paragonabile a quella contro Giuda. Prova: l’insistenza sulla incredulità di Tommaso! Ipotesi: l’autore del Quarto Vangelo non vuole per caso screditare le dottrine che già a suo tempo circolavano sotto il nome dell’apostolo Tommaso e che confluiranno in seguito nel vangelo che porta il suo nome? Così è superato lo scarto cronologico. Si dimentica, in questo modo, che l’evangelista Giovanni mette proprio sulla bocca di Tommaso la più commovente dichiarazione di amore a Cristo («Andiamo anche noi a morire con lui») e la più solenne professione di fede in lui: «Mio Signore e mio Dio!» che, a detta di molti esegeti, costituisce il coronamento di tutto il suo Vangelo. Se è un perseguitato dai Vangeli canonici Tommaso, che dire del povero Pietro con tutto quello che riferisc ono sul suo conto! A meno che non sia avvenuto, anche nel suo caso, per screditare i futuri apocrifi che portano il suo nome… Ma il punto principale non è neppure quello della data, è quello dei contenuti dei vangeli apocrifi. Essi dicono esattamente il contrario di quello per cui si invoca la loro autorità. I due autori sostengono la tesi di un Gesù pienamente inserito nell’ebraismo, che non ha inteso innovare in nulla rispetto ad esso, ma i vangeli apocrifi professano tutti, chi più chi meno, una rottura violenta con l’Antico Testamento, facendo di Gesù il rivelatore di un Dio diverso e superiore. La rivalutazione della figura di Giuda nel vangelo omonimo si spiega in questa logica: con il suo tradimento, egli aiuterà Gesù a liberarsi dell’ultimo residuo del Dio creatore, il corpo! Gli eroi positivi dell’Antico Testamento diventano negativi per loro e quelli negativi, come Caino, positivi. Gesù è presentato nel libro come un uomo che solo la Chiesa posteriore ha elevato al rango di Dio; i vangeli apocrifi al contrario presentano un Gesù che è vero Dio, ma non vero uomo, avendo rivestito solo l’apparenza di un corpo (docetismo). Per essi, ciò che fa difficoltà non è la divinità di Cristo ma la sua umanità. Si è disposti a seguire i vangeli apocrifi su questo loro terreno? Si potrebbe allungare la lista degli equivoci nell’uso dei vangeli apocrifi. Dan Brown si basa su di essi per avallare l’idea di un Gesù che esalta il principio femminile, non ha problemi con il sesso, sposa la Maddalena… E per provare questo si appoggia al Vangelo di Tommaso dove si dice che, se vuole salvarsi, la donna deve cessare di essere donna e diventare uomo! Il fatto è che i vangeli apocrifi, in particolare quelli di matrice gnostica, non sono stati scritti con l’intento di narrare fatti o detti storici su Gesù, ma per veicolare una certa visione di Dio, di se stessi e del mondo, di natura esoterica e gnostica. Fondarsi su di essi per ricostruire la storia di Gesù è come fondarsi su Così parlò Zarathustra non per conoscere il pensiero di Nietzsche, ma quello di Zarathustra. Per questo in passato, pur essendo quasi tutti già noti, almeno in ampi stralci, nessuno aveva mai pensato di potere usare i vangeli apocrifi come fonti di informazioni storiche su Gesù. Solo la nostra era mediatica, alla ricerca esasperata di scoop commerciali, lo sta facendo. Ci sono certo fonti storiche su Gesù al di fuori dei Vangeli canonici ed è strano che esse siano lasciate praticamente fuori da questa «inchiesta». La principale è Paolo, che scrive meno di trent’anni dopo la scomparsa di Cristo e dopo essere stato un suo fiero oppositore. La sua testimonianza viene solo discussa a proposito della risurrezione, ma per essere naturalmente screditata. Eppure, cosa c’è di essenziale nella fede e nei “dogmi” del cristianesimo che non si trovi già attestato (nella sua sostanza se non nella forma) in Paolo, prima cioè che esso abbia avuto il tempo di assorbire elementi estranei? Si può, per esempio, definire non storico e frutto della preoccupazione posteriore di non allarmare l’autorità romana il contrasto tra Gesù e i farisei e la stessa mentalità legalistica di un gruppo di essi, senza tener conto di quello che dice Paolo che era stato uno di essi e che proprio per questo aveva perseguitato accanitamente i cristiani? Ma su questo tornerò più avanti parlando della storia della Passione.

Gesù: un ebreo, un cristiano o tutte e due le cose?

Vengo ora al punto principale condiviso dai due autori. Gesù è stato un ebreo, non un cristiano; non ha inteso fondare nessuna nuova religione; si è considerato mandato solo per gli ebrei, non anche per i pagani; «Gesù è molto più vicino agli ebrei religiosi di oggi che non ai sacerdoti cristiani»; il cristianesimo «nasce addirittura nella seconda metà del II secolo». Come conciliare quest’ultima affermazione con la notizia degli Atti degli apostoli (11, 26) secondo cui, non più di sette anni dopo la morte di Cristo, circa l’anno 37, «ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani»? Plinio il Giovane (una fonte non sospetta!), tra il 111 e il 113 parla ripetutamente dei «cristiani», di cui descrive la vita, il culto e la fede in Cristo «come in un Dio». Intorno agli stessi anni, Ignazio d’Antiochia parla per ben 5 volte di cristianesimo come distinto dal giudaismo, scrivendo: «Non è il cristianesimo che ha creduto nel giudaismo, ma il giudaismo che ha creduto nel cristianesimo» (Lettera ai Magnesiani, 10, 3). In Ignazio, cioè all’inizio del II secolo, non troviamo attestati solo i nomi «cristiano» e «cristianesimo», ma anche il contenuto di essi: fede nella piena umanità e divinità di Cristo, struttura gerarchica della Chiesa (vescovi, presbiteri, diaconi), perfino un primo chiaro accenno al primato del vescovo di Roma, «chiamato a presiedere nella carità». Prima ancora, del resto, che entrasse nell’uso comune il nome di cristiani, i discepoli erano coscienti della identità propria e la esprimevano con termini come «i credenti in Cristo», «quelli della via», o «quelli che invocano il nome del Signore Gesù». Ma tra le affermazioni dei due autori che ho appena riportate ce n’è una che merita di essere presa sul serio e discussa a parte. «Gesù non ha inteso fondare nessuna nuova religione. Era ed è rimasto ebreo». Verissimo, difatti neanche la Chiesa, a rigore, considera il cristianesimo una “nuova” religione. Si considera insieme con Israele (una volta si diceva a torto «al posto di Israele») l’erede della religione monoteistica dell’Antico Testamento, adoratori dello stesso Dio «di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (dopo il Concilio Vaticano II, il dialogo con l’ebraismo non è portato avanti dall’organismo vaticano che si occupa del dialogo tra le religioni, ma di quello che si occupa dell’unità dei cristiani!). Il Nuovo Testamento non è un inizio assoluto, è il “compimento” (categoria fondamentale) dell’Antico. Del resto, nessuna religione è nata perché qualcuno ha inteso “fondarla”. Forse Mosè aveva inteso fondare la religione d’Israele o Buddha il buddhismo? Le religioni nascono e prendono coscienza di sé in seguito, da coloro che hanno raccolto il pensiero di un Maestro e ne hanno fatto ragione di vita. Ma fatta questa precisazione, si può dire che nei Vangeli non c’è nulla che faccia pensare alla convinzione di Gesù di essere portatore di un messaggio nuovo? E le sue antitesi: «Avete inteso che fu detto…, ma io vi dico» con le quali reinterpreta perfino i dieci comandamenti e si pone sullo stesso piano di Mosè? Esse riempiono tutta una sezione del Vangelo di Matteo (5, 21-4[SM=g27989], cioè di quel medesimo evangelista su cui si fa leva, nel libro, per affermare la piena ebraicità di Cristo! Gesù aveva l’intenzione di dare vita a una sua comunità e prevedeva che la sua vita e il suo insegnamento avrebbero avuto un seguito? Il fatto indiscutibile dell’elezione dei dodici apostoli sembra proprio indicare di sì. Anche lasciando da parte la grande commissione: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» (qualcuno potrebbe attribuirla, nella sua formulazione, alla comunità post-pasquale), non si spiegano diversamente tutte quelle parabole, il cui nucleo originario contiene proprio la prospettiva di un allargamento alle genti. Si pensi alla parabola dei vignaioli omicidi, degli operai nella vigna, al detto sugli ultimi che saranno i primi, sui molti che «verranno dall’oriente e dall’occidente per sedersi a mensa con Abramo», mentre altri ne saranno esclusi e innumerevoli altri detti…

Venuto per gli ebrei, per i pagani o per tutti e due?

Durante la sua vita Gesù non è uscito dalla terra d’Israele, eccetto qualche breve puntata nei territori pagani del Nord, ma questo si spiega con la sua convinzione di essere mandato anzitutto per Israele, per poi spingerlo, una volta convertito, ad accogliere nel suo seno tutte le genti, secondo le prospettive universalistiche annunciate dai profeti. È molto curioso: c’è tutto un filone del pensiero ebraico moderno (F. Rosenzweig, H. J. Schoeps, W. Herberg) secondo cui Gesù non sarebbe venuto per gli ebrei, ma solo per i gentili; secondo Augias e Pesce egli sarebbe invece venuto solo per gli ebrei, e non per i gentili. Va dato merito a Pesce che non accetta di liquidare la storicità dell’istituzione dell’Eucaristia e la sua importanza nella primitiva comunità. Qui è uno dei punti dove più emerge l’inconveniente segnalato all’inizio di tener conto solo delle differenze, e non delle convergenze. I tre Sinottici e Paolo unanimemente attestano il fatto quasi con le stesse parole, ma per Augias questo conta meno del fatto che l’istituzione è taciuta da Giovanni e che, nel riferirla, Matteo e Marco abbiano «Questo è il mio sangue», mentre Paolo e Luca hanno «Questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue». La parola di Cristo: «Fate questo in memoria di me», pronunciata in tale occasione, si richiama a Esodo 12, 14 e mostra l’intenzione di dare al “memoriale” pasquale un nuovo contenuto. Non per nulla di lì a poco Paolo parlerà della «nostra Pasqua» (1 Corinzi, 5, 7), distinta da quella dei giudei. Se all’Eucaristia e alla Pasqua si aggiunge il fatto incontrovertibile dell’esistenza di un battesimo cristiano fin dall’indomani della Pasqua che progressivamente sostituisce la circoncisione, abbiamo gli elementi essenziali per parlare, se non di una nuova religione, di un modo nuovo di vivere la religione d’Israele. Quanto al canone delle Scritture, è vero ciò che afferma Pesce (p. 16) che l’elenco definitivo degli attuali ventisette libri del Nuovo Testamento viene fissato solo con Atanasio nel 367, ma non si dovrebbe tacere il fatto che il suo nucleo essenziale, composto dai quattro Vangeli più tredici lettere paoline, è molto più antico; si è formato verso l’anno 130 e alla fine del II secolo gode ormai della stessa autorità dell’Antico Testamento (frammento Muratoriano). «Anche Paolo, come Gesù, si dice non è un cristiano, ma un ebreo che riman e nell’ebraismo». Anche questo è vero; non dice forse lui stesso: «Sono ebrei? Anch’io! Anzi io più di loro!»? Ma questo non fa che confermare ciò che ho appena rilevato sulla fede in Cristo come “compimento” della legge. Per un verso Paolo si sente nel cuore stesso di Israele (del «resto di Israele», preciserà egli stesso), per l’altro si distacca da esso (dall’ebraismo del suo tempo) con il suo atteggiamento verso la legge e la sua dottrina della giustificazione mediante la grazia. Sulla tesi di un Paolo «ebreo e non cristiano», sarebbe interessante sentire cosa ne pensano gli stessi ebrei…

Responsabile della sua morte: il Sinedrio, Pilato, o tutti e due?

Merita una discussione a parte il capitolo del libro di Corrado Augias e Mauro Pesce sul processo e la condanna di Cristo. La tesi centrale non è nuova; ha cominciato a circolare in seguito alla tragedia della Shoah ed è stata adottata da quelli che propugnavano negli anni Sessanta e Settanta la tesi di un Gesù zelota e rivoluzionario. Secondo essa, la responsabilità della morte di Cristo ricade principalmente, anzi forse esclusivamente, su Pilato e l’autorità romana, il che indica che la sua motivazione è più di ordine politico che religioso. I Vangeli hanno scagionato Pilato e accusato di essa i capi dell’ebraismo per tranquillizzare le autorità romane sul loro conto e farsele amiche. Questa tesi è nata da una preoccupazione giusta che tutti oggi condividiamo: togliere alla radice ogni pretesto all’antisemitismo che tanto male ha procurato al popolo ebraico da parte dei cristiani. Ma il torto più grave che si può fare a una causa giusta è quello di difenderla con argomenti sbagliati. La lotta all’antisemitismo va posta su un fondamento più solido che una discutibile (e discussa) interpretazione dei racconti della Passione. L’estraneità del popolo ebraico, in quanto tale, alla responsabilità della morte di Cristo riposa su una certezza biblica che i cristiani hanno in comune con gli ebrei, ma che purtro ppo per tanti secoli è stata stranamente dimenticata: «Colui che ha peccato deve morire. Il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio» (Ezechiele, 18, 20). La dottrina della Chiesa conosce un solo peccato che si trasmette per eredità di padre in figlio, il peccato originale, nessun altro. Messo al sicuro il rifiuto dell’antisemitismo, vorrei spiegare perché non si può accettare la tesi della totale estraneità delle autorità ebraiche alla morte di Cristo e quindi della natura essenzialmente politica di essa. Paolo, nella più antica delle sue lettere, scritta intorno all’anno 50, dà, della condanna di Cristo, la stessa fondamentale versione dei Vangeli. Dice che i «giudei hanno messo a morte Gesù» (1 Tessalonicesi, 2, 15), e sui fatti accaduti a Gerusalemme poco tempo prima del suo arrivo in città egli doveva essere informato meglio di noi moderni, avendo, un tempo, approvato e difeso “accanitamente” la condanna del Nazareno. Durante questa fase più antica il cristianesimo si considerava ancora destinato principalmente a Israele; le comunità nelle quali si erano formate le prime tradizioni orali confluite in seguito nei Vangeli erano costituite in maggioranza da giudei convertiti; Matteo, come notano anche Augias e Pesce, è preoccupato di mostrare che Gesù è venuto a compiere, non ad abolire, la legge. Se c’era dunque una preoccupazione apologetica, questa avrebbe dovuto indurre a presentare la condanna di Gesù come opera piuttosto dei pagani che delle autorità ebraiche, al fine di rassicurare i giudei di Palestina e della diaspora sul conto dei cristiani. D’altra parte, quando Marco e, sicuramente, gli altri evangelisti scrivono il loro Vangelo c’è stata già la persecuzione di Nerone; ciò avrebbe dovuto spingere a vedere in Gesù la prima vittima del potere romano e nei martiri cristiani coloro che avevano subito la stessa sorte del Maestro. Se ne ha una conferma nell’Apocalisse, scritta dopo la persecuzione di Domiziano, dove Roma è fatta oggetto di una in vettiva feroce («Babilonia», la «Bestia», la «prostituta») a causa del sangue dei martiri (cfr. Apocalisse, 13 ss.). Pesce ha ragione di scorgere una «tendenza antiromana» nel Vangelo di Giovanni (p. 156), ma Giovanni è anche quello che più accentua la responsabilità del Sinedrio e dei capi ebrei nel processo a Cristo: come si concilia la cosa? Non si possono leggere i racconti della Passione ignorando tutto ciò che li precede. I quattro Vangeli attestano, si può dire a ogni pagina, un contrasto religioso crescente tra Gesù e un gruppo influente di giudei (farisei, dottori della legge, scribi) sull’osservanza del sabato, sull’atteggiamento verso i peccatori e i pubblicani, sul puro e sull’impuro. Jeremias ha dimostrato la motivazione antifarisaica presente in quasi tutte le parabole di Gesù. Il dato evangelico è tanto più credibile in quanto il contrasto con i farisei non è affatto pregiudiziale e generale. Gesù ha degli amici tra di loro (uno è Nicodemo); lo troviamo a volte a pranzo in casa di qualcuno di loro; essi accettano almeno di discutere con lui e di prenderlo sul serio, a differenza dei Sadducei. Pur non escludendo dunque che la situazione posteriore abbia influito a calcare ulteriormente le tinte, è impossibile eliminare ogni contrasto tra Gesù e una parte influente della leadership ebraica del suo tempo, senza disintegrare completamente i Vangeli e renderli storicamente incomprensibili. L’accanimento del fariseo Saulo contro i cristiani non era nato dal nulla e non se l’era portato dietro da Tarso! Una volta però dimostrata l’esistenza di questo contrasto, come si può pensare che esso non abbia giocato alcun ruolo al momento della resa finale dei conti e che le autorità ebraiche si siano decise a denunziare Gesù a Pilato unicamente per paura di un intervento armato dei romani, quasi a malincuore? Pilato non era certo una persona sensibile a ragioni di giustizia, tale da preoccuparsi della sorte di un ignoto giudeo; era un tipo duro e crudele, pronto a stronc are nel sangue ogni minimo indizio di rivolta. Tutto ciò è verissimo. Egli però non tenta di salvare Gesù per compassione verso la vittima, ma solo per un puntiglio contro i suoi accusatori, con i quali era in atto una guerra sorda fin dal suo arrivo in Giudea. Naturalmente, questo non diminuisce affatto la responsabilità di Pilato nella condanna di Cristo, che ricade su di lui non meno che sui capi ebrei. Non è il caso, oltre tutto, di volere essere «più ebrei degli ebrei». Dalle notizie sulla morte di Gesù, presenti nel Talmud e in altre fonti giudaiche (per quanto tardive e storicamente contraddittorie), emerge una cosa: la tradizione ebraica non ha mai negato una partecipazione delle autorità religiose del tempo alla condanna di Cristo. Non ha fondato la propria difesa negando il fatto, ma semmai negando che il fatto, dal punto di vista ebraico, costituisse reato e che la sua condanna sia stata una condanna ingiusta. Una versione, questa, compatibile con quella delle fonti neotestamentarie che, mentre, da una parte, mettono in luce la partecipazione delle autorità ebraiche (dei sadducei forse più ancora che dei farisei) alla condanna di Cristo, dall’altra spesso la scusano, attribuendola a ignoranza (cfr. Luca, 23, 34; Atti degli apostoli, 3, 17; 1 Corinzi, 2, [SM=g27989]. È il risultato a cui giunge anche Raymond Brown, nel suo libro di 1608 pagine su La morte del Messia. Una nota marginale, ma che tocca un punto assai delicato. Secondo Augias, Luca attribuisce a Gesù le parole: «E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me» (Luca, 19, 27) e commenta dicendo che: «È a frasi come queste che si rifanno i sostenitori della “guerra santa” e della lotta armata contro i regimi ingiusti». Va precisato che Luca non attribuisce tali parole a Gesù, ma al re della parabola che sta narrando e si sa che non si possono trasferire di peso dalla parabola alla realtà tutti i dettagli del racconto parabolico, e in ogni caso essi vanno trasferiti dal piano ma teriale a quello spirituale. Il senso metaforico di quelle parole è che accettare o rifiutare Gesù non è senza conseguenze; è una questione di vita o di morte, ma vita e morte spirituale, non fisica. La guerra santa non c’entra proprio.

Un bilancio

L’ora di chiudere questa mia lettura critica con qualche riflessione conclusiva. Io non condivido molte risposte di Pesce, ma le rispetto riconoscendo ad esse pieno diritto di cittadinanza in una ricerca storica. Molte di esse (sull’atteggiamento di Gesù verso la politica, i poveri, i bambini, l’importanza della preghiera nella sua vita) sono anzi illuminanti. Alcuni dei problemi sollevati il luogo di nascita di Gesù, la questione dei fratelli e delle sorelle di lui, il parto verginale sono oggettivi e discussi anche tra gli storici credenti (l’ultimo non tra i cattolici), ma non sono i problemi con cui sta o cade il cristianesimo della Chiesa. Meno giustificata in una “inchiesta” storica su Gesù mi sembra la cura con cui Augias raccoglie tutte le insinuazioni su presunti legami omosessuali esistenti tra i discepoli, o tra lui stesso e «il discepolo che egli amava» (ma non doveva essere innamorato della Maddalena?), come pure la dettagliata descrizione delle vicende scabrose di alcune donne presenti nella genealogia di Cristo. Dall’inchiesta su Gesù si ha l’impressione che si passi a volte al pettegolezzo su Gesù. Il fenomeno ha però una spiegazione. È sempre esistita la tendenza a rivestire Cristo dei panni della propria epoca o della propria ideologia. In passato, per quanto discutibili, erano cause serie e di grande respiro: il Cristo idealista, socialista, rivoluzionario… La nostra epoca, ossessionata dal sesso, non riesce a pensarlo che alle prese con problemi sentimentali. Io credo che il fatto di aver messo insieme una visione di taglio giornalistico dichiaratamente alternativa con una visione storica anch’essa radicale e minimalista ha portato a un risultato d’insieme inaccettabile, non solo per l’uomo di fede, ma anche per lo storico. A lettura ultimata uno si pone la domanda: come ha fatto Gesù, che non ha portato assolutamente nulla di nuovo rispetto all’ebraismo, che non ha voluto fondare nessuna religione, che non ha fatto nessun miracolo e non è risorto se non nella mente alterata dei suoi seguaci, come ha fatto, ripeto, a diventare «l’uomo che ha cambiato il mondo»? Una certa critica parte con l’intenzione di dissolvere i vestiti messi addosso a Gesù di Nazareth dalla tradizione ecclesiastica, ma alla fine il trattamento si rivela così corrosivo da dissolvere anche la persona che c’è sotto di essi. A forza di dissipare i “misteri” su Gesù per ridurlo a un uomo ordinario, si finisce per creare un mistero ancora più inspiegabile. Un grande esegeta inglese parlando della risurrezione di Cristo dice: «L’idea che l’imponente edificio della storia del cristianesimo sia come un’enorme piramide posta in bilico su un fatto insignificante è certamente meno credibile dell’affermazione che l’intero evento e cioè il dato di fatto più il significato a esso inerente abbia realmente occupato un posto nella storia paragonabile a quello che gli attribuisce il Nuovo Testamento» (Ch. H. Dodd). La fede condiziona la ricerca storica? Innegabilmente, almeno in una certa misura. Ma io credo che l’incredulità la condiziona enormemente di più. Se uno si accosta alla figura di Cristo e ai Vangeli da non credente (è il caso, mi sembra di capire, almeno di Augias) l’essenziale è già deciso in partenza: la nascita verginale non potrà che essere un mito, i miracoli frutto di suggestione, la risurrezione prodotto di uno «stato alterato della coscienza» e così via. Una cosa tuttavia ci consola e ci permette di continuare a rispettarci a vicenda e a proseguire il dialogo: se ci divide la fede, ci accomuna in compenso «la buona fede». In essa i due autori dichiarano di aver scritto il libro e in essa io assicuro di averlo letto e discusso.
spirito!libero
00domenica 19 novembre 2006 15:38
Vorrei commentare solo alcune frasi senza entrare troppo nel merito della recensione perché non ne usciremmo più.

Questa frase è davvero emblematica:

“A forza di dissipare le “censure” su Gesù per ridurlo a uomo ordinario, si crea un mistero ancora più inspiegabile. La fede condiziona la ricerca storica? Certo. Ma assai di più lo fa l’incredulità”

Cioè ? Il tele-evangelista Cantalamessa sostiene, udite udite, che per fare lo storico e indagare la storicità di Gesù bisogna avere fede !! Altrimenti niente storia corretta !!!

“Parto perciò da ciò che è comune ai due autori, Augias e Pesce. Esso si può riassumere così: Sono esistiti, all’inizio, non uno ma diversi cristianesimi. Una delle sue versioni ha preso il sopravvento sulle altre; ha stabilito, secondo il proprio punto di vista, il canone delle Scritture e si è imposta come ortodossia, relegando le altre al rango di eresie e cancellandone il ricordo.”

Che è esattamente quello che sostiene la maggioranza degli storici accademici, qualche nome ?

Lupieri, Filoramo, Cacitti e lo stesso Pesce, tutti ordinari di storia del cristianesimo nelle università italiane, tutti prevenuti e propinatori di cliché sessantottini ?


“Per fare l’esempio oggi più in voga, dei 114 detti di Cristo nel Vangelo copto di Tommaso, 79 hanno un parallelo nei Sinottici, 11 sono varianti delle parabole sinottiche. Solo tre parabole non sono attestate altrove”

Per quel che ne so, la filologia sta valutando tale scritto come un’opera che si rifà a testi antichi, tipo la famosa fonte Q anch’essa probabilmente scritta in loghie, addirittura precedenti ai vangeli canonici !

Ciao
Andrea

Polymetis
00domenica 19 novembre 2006 16:41
“Il tele-evangelista Cantalamessa sostiene, udite udite, che per fare lo storico e indagare la storicità di Gesù bisogna avere fede !! Altrimenti niente storia corretta !”

No, mi pare sostenga che tanto l’ateismo quando la fede condizionino le scelte esegetiche.

“Che è esattamente quello che sostiene la maggioranza degli storici accademici”

La maggioranza? Io non ho mai fatto una statistica. Comunque è’ la cosiddetta scuola di Havard, ed ha un successo discreto. Ad essa si contrappongono coloro che ritengono ci sia un filo rosso tra gli apostoli e quella che in seguito verrà chiamata grande Chiesa, e tale filo rosso sarebbe la successione apostolica. Questa coscienza è attestata nella Chiesa sin dal II secolo, di più non si può dire.

“Per quel che ne so, la filologia sta valutando tale scritto come un’opera che si rifà a testi antichi, tipo la famosa fonte Q anch’essa probabilmente scritta in loghie, addirittura precedenti ai vangeli canonici !”

Il Vangelo di Tommaso è posteriore ai canonici, su questo c’è un consenso abbastanza generale che lo data al II secolo. Se poi si rifaccia alla fonte Q è un problema, considerato che negli ultimi 10 anni l’ondata di scettismo verso l’esistenza di questa fonte è cresciuto in modo esponenziale, si trattava di un tappabuchi per far stare insieme le derivazioni sinottiche. Finché si fanno discussioni su scritti non pervenuti e su eventuali derivazioni da questi scritti si è su un terreno di sabbie mobili perché si può dire veramente tutto ed il contrario.
Tutto quello che finora si può dire sul Vangelo di Tommaso è che è un testo nel quale riscontriamo molti logia già attestati nei Vangeli sinottici, e che ciò che lo distingue da essi è di matrice gnostica dunque non riconducibile al Gesù storico.

Ad maiora
spirito!libero
00domenica 19 novembre 2006 19:37
"ciò che lo distingue da essi è di matrice gnostica dunque non riconducibile al Gesù storico"

Anche questa è un'opinione, per altri è più vicino al Gesù storico quel vangelo di quanto non lo siano tutte le scritture neotestamentarie.

Saluti
Andrea
Polymetis
00lunedì 20 novembre 2006 14:02
Esiste qualcopsa che non sia un'opinione?
Lo gnosticismo è il cristianesimo per i primi della classe. Ci si salva attraverso la conoscenza, conoscenza che sono gli inizati hanno. Tale conoscenza è la cosmologia esoterica più incasinata che il mondo abbia mai conosciuto, il disprezzo per la carne, la teoria secondo cui il Dio dell'Antico Testamento è un Dio malvagio (il demiurgo) che avrebbe creato la cattiva materia, mentre il serpente della Genesi sarebbe adirittura il Dio buono in vena salvare il mondo. Questo è lo gnosticismo del II secolo e col Gesù storico non ha nulla a che fare.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 20/11/2006 14.06]

spirito!libero
00lunedì 20 novembre 2006 15:24
Re:
"Esiste qualcopsa che non sia un'opinione?"

Se ti rispondessi esaurientemente e logicamente il nobel non me lo leverebbe nessuno.

"Lo gnosticismo è il cristianesimo per i primi della classe. Ci si salva attraverso la conoscenza, conoscenza che sono gli inizati hanno. Tale conoscenza è la cosmologia esoterica più incasinata che il mondo abbia mai conosciuto, il disprezzo per la carne, la teoria secondo cui il Dio dell'Antico Testamento è un Dio malvagio (il demiurgo) che avrebbe creato la cattiva materia, mentre il serpente della Genesi sarebbe adirittura il Dio buono in vena salvare il mondo. Questo è lo gnosticismo del II secolo e col Gesù storico non ha nulla a che fare"

Quella che hai descritto è una delle tante correnti gnostiche nate in seno o addirittua antecedenti il cristianesimo.

Ciao
Andrea

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 20/11/2006 14.06]


Polymetis
00lunedì 20 novembre 2006 19:17
Non ho descritto nessuna corrente in particolare, anzi sono stato attendo a dare i caratteri generali dello gnosticismo, che sono impossibili sulla bocca di qualunque ebreo.
spirito!libero
00lunedì 20 novembre 2006 20:12
No Poly tu hai descritto qualche tratto generale e poi ti sei soffermato solo una macro corrente, quella cioè caratterizzata dal dualismo di due principi in lotta tra loro che considera il mondo come un qualcosa di negativo, mentre nell’altra corrente non vi è un dualismo reale, ma tutto deriva dall’unità dell’essere al cui interno sarebbero iniziate le corruzioni che hanno portato al male del mondo.

A me inoltre risulta studiosi abbiano riscontrato correnti gnostiche anche precedenti a Cristo.

Ciao
Andrea
Kohan
00martedì 21 novembre 2006 22:26
Scusate ma io mi limito a fare un bel copia incolla su ciò che ha detto Messori in merito , per quanto mi riguarda non aggiungo altro se non che continuerò leggere con piacere Polymetis, Teodoro, Clint e pochi altri.
Byez.

Corrado Augias assicura, nella premessa: "Queste pagine sono state pensate e scritte in buona fede". E Mauro Pesce, nella postfazione: < Ho riassunto convinzioni cui sono arrivato dopo una lunga ricerca che mi sembra onesta>. Buona fede, dunque, e onestà proclamate per questa Inchiesta su Gesù, Mondadori, dialogo tra uno dei più noti giornalisti e scrittori e uno dei più stimati biblisti, docente a Bologna. Sono propositi edificanti che la lettura conferma. Il gusto elegante di Augias unito alla competenza solida di Pesce non hanno nulla a che fare con le trivialità di troppi pamphlétaires, che ora dilagano anche in Internet. Apprezzabile, poi, la sincerità con cui l’intervistatore confessa che, a questa ricerca < sull’uomo che ha cambiato il mondo > (come dice il sottotitolo), è stato indotto da qualcosa di più della curiosità: . In effetti, c’è, qui, un enigma con il quale ciascuno deve decidersi prima o poi a fare i conti .

Sembrano, però, contrastare con tutto questo certe espressioni nell’intervista di Augias al settimanale de La Repubblica. Qui, l’enfasi prende la mano, spingendolo a definire le affermazioni del suo interlocutore strepitose e inconfutabili . Dichiara poi di aver voluto andare al di là < dell’insegnamento pigro e ripetitivo della Chiesa >, la quale – considerato che, qui, < si sfatano una serie di dogmi su cui si fonda il cattolicesimo > - reagirà < o con il silenzio o controbattendo con la sua ortodossia >. Sembra rispuntare una tentazione laicista più che laica, unita all’entusiasmo di chi si inoltra nell’ Atlantide a lui sconosciuta che è l’esegesi biblica e scambia le indicazioni del suo Virgilio per dogmi inconfutabili e , magari, possibili armi antiecclesiali. E’ proprio ciò che non sembra affatto desiderare il professor Pesce che (in nome di quella “oggettività scientifica “ che, peraltro, forse è solo un mito illuminista) non vuole rivelare le sue convinzioni religiose, ma che ha una formazione cattolica . Tanto da ricordare per un paio di volte di avere avuto uno dei suoi grandi maestri in un monaco benedettino, il padre Jacques Dupont, di cui abbiamo personalmente conosciuto la fede saldissima, non contrastata dalla erudizione. Ma le iperboli del giornalista (“strepitoso“, “inconfutabile“, “dogmi sfatati“) contrastano pure con la cauta prudenza del docente che lo fronteggia . Anche se, alla fine, risulta chiaro che –per lui come per tanti suoi colleghi– il Gesù della storia, predicatore ebreo dai tratti incerti, non coincide affatto con lo sfolgorante Cristo della fede, Pesce è talvolta restio nel rispondere con una formula tranciante, consapevole della complessità di problemi sui quali più che certezze non ci sono che ipotesi, spesso malferme.

In effetti, proprio questo è il punto del quale non sembra avere sufficiente consapevolezza Corrado Augias, sorpreso da “rivelazioni“ che tali non sono affatto per chi conosca il milieu. L’esegesi biblica è una ben strana “scienza“, soprattutto in quel metodo storico-critico ancora egemone (seppur scricchiolante) nelle università, metodo nel quale anche Pesce si è formato. Lo specialista tipo parte dal presupposto che, nei vangeli, nulla ha garanzia di essere storico, di riferirci cioè con esattezza ciò che è davvero successo. Tutto potrebbe derivare da miti, equivoci, interpolazioni, manipolazioni ad opera di oscure comunità. Dopo avere dichiarato obbligatorio questo scetticismo radicale, dopo avere affermato che non abbiamo alcuna base certa su cui ricostruire le origini del cristianesimo, ecco l’esperto procedere a uno sconcertante lavoro di cernita sul Nuovo Testamento: < Questo versetto risale a Gesù, quest’ altro è stato inserito per ragioni che posso spiegarvi, questo ha una parvenza di verità che è stata però stravolta, in questo risuona un mito ellenistico, qui c’è un’infiltrazione gnostica, questo risponde a un’interpolazione tardiva a fini ecclesiali ...> . E ciò -con divertimento sommo di chi abbia letto Karl Popper- ciò i cattedratici chiamano “scienza“, senza spiegare in base a che cosa compiano simili scelte. In realtà, il metro di giudizio è basato in gran parte su incerti se non arbitrari criteri filologici e su precomprensioni confessionali , culturali, caratteriali dello specialista, che è un poveruomo come tutti noi. Un solo caso, ma esemplare: quello di Rudolf Bultmann, considerato tra i maggiori esegeti del XX secolo e che esercitò per decenni una sorta di terrorismo verso chi cercasse anche solo un barlume di storicità nei vangeli, dove tutto non sarebbe che un mito salvifico. Ebbene, Bultmann fu innanzitutto un teologo luterano (con ciò che questo significa come approccio alla Scrittura), poi un filosofo esistenzialista, poi un provinciale intimorito dal progresso tecnico (era ossessionato dalla novità delle lampadine elettriche e delle radio a valvole), infine fu anche un biblista. Mai Bultmann volle muoversi dalla sua università tedesca per vedere i luoghi di Gesù: ciò che importava ero lo schema distillato in biblioteca, se il piccone dell’archeologo in Israele portava alla luce qualche conferma del vangelo , tanto peggio per l’archeologo. Noi, ingenui profani, dovremmo mettercelo in testa, una volta per tutte: davanti alla Scrittura, la sola cosa che un uomo “moderno e consapevole“ deve prendere sul serio sono le note del professore. L’unico Magistero credibile non è più quello delle cattedrali vescovili, è quello delle cattedre accademiche.

Succede , però, che la sedicente “scienza biblica moderna“ da oltre due secoli non è altro che un succedersi di scuole, ciascuna delle quali rifiuta come inaccettabile la scuola precedente e procede ad altra classificazione del “grado di storicità“ delle antiche pericopi . Il tutto, all’insegna della gratuità: se nulla è sicuro, in quei testi, perchè dovrebbero esserlo le ipotesi gabellate per certezze “oggettive“?

C’è disagio nel dover limitarsi, nel breve spazio di un articolo, a questi pochi cenni. Dietro i quali, sia chiaro, c’è comunque la consapevolezza che la Scrittura cristiana non è l’intoccabile Corano, in essa la storia si intreccia alla fede e l’ispirazione divina agisce attraverso la collaborazione umana, per discernere la quale è necessario lo specialista. Costui è importante. Ma non ha l’ultima parola. Per aggiungere un solo spunto: Mauro Pesce resta fermo nella datazione tarda dei vangeli, redatti tutti –ad avviso della sua scuola- dopo la catastrofe del 70. Pur lasciando da parte il contestato 7Q5 di Qumran, con i presunti 20 caratteri di Marco, aumentano di continuo i discepoli di Carmignac, Tresmomant, Robinson, Thiede, dei giovani docenti della “Scuola di Madrid“: i Sinottici, cioè, sarebbero traduzioni in greco dall’ebraico od aramaico, scritti a ridosso della morte di Gesù, prima che l’annuncio della Risurrezione lasciasse Israele, quando ancora erano vivi e vigilanti i testimoni oculari. Questo cambierebbe tutto, ridurrebbe a elucubrazioni grottesche le “certezze scientifiche“ esposte in migliaia di severi volumi da generazioni di docenti.

Insomma: con il rispetto dovuto a ogni parere (purchè non diventi un nuovo dogma, ma non sembra il caso di Augias e Pesce), nel continuo rinnovarsi delle più contraddittorie “ipotesi su Gesù“, quella del cattolico ortodosso conserva essa pure la possibilità di essere la vera. Per dirla con Jean Guitton: < La critica può mettere in crisi la fede. Ma la critica della critica può ricondurvi >.

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spirito!libero
00mercoledì 22 novembre 2006 15:25
“Sembrano, però, contrastare con tutto questo certe espressioni nell’intervista di Augias al settimanale de La Repubblica.”

Viene da chiedersi se per vagliare la rigorosità e imparzialità di un lavoro, debbano essere prese in considerazione opinioni personali espresse in situazioni completamente diverse. Gli autori sono stati il più possibile obbiettivi nella realizzazione del lavoro, questo non esclude, come loro stessi ammettono, che abbiano delle opinioni personali in merito a chi fosse il Gesù storico, dunque se in una intervista si lasciano andare a esternazioni comandate dai sentimenti, questo non dice proprio nulla sul loro lavoro.

“Sembra rispuntare una tentazione laicista più che laica”

Questa differenziazione tra laicismo e laicità esiste solo nella mente di chi disprezza la laicità e vorrebbe vederci diretti da un’autorità teo-con.

“si inoltra nell’ Atlantide a lui sconosciuta che è l’esegesi biblica e scambia le indicazioni del suo Virgilio per dogmi inconfutabili”

Mi chiedo se quello che dice Augias in interviste successiva, possa minare in qualche modo il lavoro svolto dal Prof. M. Pesce.

“Costui è importante. Ma non ha l’ultima parola”

E chi l’avrebbe dunque la chiesa catotlica romana ?

“Insomma: con il rispetto dovuto a ogni parere (purchè non diventi un nuovo dogma, ma non sembra il caso di Augias e Pesce),”

Perché invece i dogmi esistenti sono oggettivi ?

“No, mi pare sostenga che tanto l’ateismo quando la fede condizionino le scelte esegetiche.”

Niente affatto, a me sembra proprio che sostenga che per ricercare il Gesù della storia occorra un approccio che riconosca come veri gli eventi metafisici, dunque occorrerebbe la fede, ossia un’assurdità epistemologica.

Saluti
Andrea
Polymetis
00mercoledì 22 novembre 2006 18:06
"mentre nell’altra corrente non vi è un dualismo reale, ma tutto deriva dall’unità dell’essere al cui interno sarebbero iniziate le corruzioni che hanno portato al male del mondo."

Questa designazione è troppo generica, a che testi antichi ti riferisci?


spirito!libero
00giovedì 23 novembre 2006 11:48
"Questa designazione è troppo generica, a che testi antichi ti riferisci?"

L'articolo che lessi tempo addietro si rifaceva ai testi di Nah Hammadi ed Ossirinco.

Siccome siamo in tema vorrei riportare un intervsta ad uno die più stimati biblisti italiani, il Professor Barbaglio.

GESÙ, IL GALILEO: NON ERA UN CRISTIANO, MA UN EBREO SCOMODO. L'ULTIMO LIBRO DI BARBAGLIO


ROMA-ADISTA "Chi sono io secondo la gente?" La domanda di Gesù ai discepoli fu secca e improvvisa. Vaga e titubante la risposta dei discepoli. Ma anche dopo. Il "chi è" sull'uomo di Galilea ha prodotto un'infinita serie di definizioni. Da profeta escatologico e maestro di vita eversivo, a guru rivoluzionario, giudeo radicale, rivoluzionario nonviolento, mago guaritore…

Per Giuseppe Barbaglio, biblista tra i più noti e letti in Italia, l'uomo dei vangeli è un ebreo figlio del suo tempo e della sua terra, presenza scomoda, ieri come oggi. A lui Barbaglio dedica l'ultima sua opera (Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica, Edizioni Dehoniane-2002) che, "a scanso di equivoci" - precisa - non si prefigge "di ricostruire che è stato veramente il nazareno", ma "di mostrare che cosa possiamo dire di lui sulla base delle fonti documentarie criticamente vagliate".

Professor Barbaglio, perché già nel titolo del suo libro c'è questa sottolineatura dell'ebraicità di Gesù?

Direi per tre motivi distinti. È un punto saliente negli ultimi vent'anni della pluricentenaria ricerca storica: Gesù era un ebreo, non un cristiano, e io ho voluto aggiungere un ebreo di Galilea, un uomo cioè di villaggio e di cultura contadina. Secondo: per rendere giustizia alla sua collocazione reale: Gesù di Nazaret non è stato un'isola; la sua crescita e socializzazione è avvenuta nel mondo ebraico del primo secolo. Terzo: per amore ecumenico, in quanto egli è veramente colui che uno studioso ebreo, Ben Chorin, ha messo come titolo di un suo libro: "Gesù nostro fratello".

E anche la puntualizzazione del sottotitolo - "Indagine storica" - serve a caratterizzare questo approccio alla figura di Gesù?

Proprio così. Bisogna distinguere in proposito le ragioni della storia che, basate sulla ragione, valgono per ogni uomo, dalle ragioni della fede, valide solo per i credenti che aderiscono a lui anima e cuore. Il mio libro intende far valere solo quelle; quindi fa appello all'intelligenza di ogni persona. Per questo si distingue nettamente da altri approcci alla persona di Gesù, come meditazioni e riflessioni spirituali, approfondimenti teologici, libere presentazioni della sua immagine, difese apologetiche di lui e della sua opera.

Allora, che cosa ci può dire oggi la ricerca storica, onestamente e intelligentemente condotta, di lui?

Vorrei precisare subito, a scanso di equivoci, che essa non pretende di dirci in modo esaustivo chi è stato realmente Gesù; ci permette invece di rispondere a questa domanda: che cosa possiamo dire noi oggi di lui, sulla base delle testimonianze antiche in nostro possesso, testimonianze criticamente vagliate, cioè valutate sulla loro attendibilità storica. Ciò che noi possiamo conoscere di lui è limitato a quanto ci è stato tramandato da fonti storiche.

In concreto, quali sono gli aspetti storicamente più certi della sua figura come appare oggi nella ricerca?

Potrei parlare delle certezze della sua esistenza, della sua morte in croce per iniziativa del prefetto romano di Giudea del tempo, Ponzio Pilato, nel decennio 26-36, del fatto che egli apparve allora come un taumaturgo, cioè un esorcista e un guaritore, e questo a detta di amici e nemici, ma anche che fu un parabolista eccezionale, cioè un creatore abile di brevissime fiction narrative, e un saggio che si è espresso sovente con proverbi, aforismi, sentenze, detti icastici. Ma vorrei insistere su ciò che, a mio avviso, più caratterizza la sua immagine storica: è stato l'evangelista, cioè il portatore della lieta notizia al popolo; con lui e attraverso la sua azione è sorta l'alba della regalità divina, capace di dare una sterzata alla storia.

Le ragioni della storia e quelle della fede certo non devono sovrapporsi, ma nella sua ricerca è emerso qualche conflitto?

Sì, in due casi abbastanza chiari. Anzitutto il dato storico altamente probabile, se non certo, che Gesù è nato effettivamente a Nazaret; non per nulla è stato chiamato il nazareno e il profeta di Galilea. Ma la fede cristiana, a partire dai Vangeli dell'infanzia di Matteo e di Luca, lo ritiene nato a Betlemme, la città di Davide. In secondo luogo, la famiglia di Gesù era numerosa: quattro fratelli, Giacomo, Giuda, Simone, Giuseppe, e delle sorelle. Ora la tradizione cristiana, che parte da Girolamo, ha trovato l'escamotage di ritenerli dei cugini e, strano a dirsi, non si parla delle sue sorelle come cugine, per salvare la verginità perpetua di Maria. Ma si tratta di una spiegazione che ha pochissime possibilità di essere buona.

Come si può stabilire se le testimonianze antiche sono affidabili, cioè meritano credibilità nei dati che ci trasmettono?

È il vero e spinoso problema di ogni indagine storica su Gesù. Le testimonianze antiche su di lui sono molte: di lui ci parlano autori romani, come Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane, scrittori greci, come il filosofo Celso, lo storico ebreo Giuseppe Flavio, la tradizione rabbinica del Talmud babilonese, soprattutto scritti cristiani, cioè Paolo, gli evangelisti canonici, ma anche i vangeli apocrifi. La difficoltà vera sta nella valutazione dell'attendibilità storica degli scritti cristiani che sono libri di fede, non storia propriamente detta. Ma non mancano criteri rigorosi in proposito; accenno a uno solo, quello dell'imbarazzo della comunità cristiana davanti ad alcuni dati, che tuttavia non può fare a meno di tramandare. Così è del battesimo di Gesù per mano del Battista: un battesimo di penitenza per un Gesù che la fede cristiana già nei primi anni riteneva senza peccato; altrettanto del tradimento di Giuda Iscariota: uno dei dodici scelti da Gesù come rappresentanti del popolo di Dio delle dodici tribù d'Israele, che egli è venuto a riunire.

Ma per un credente la ricerca storica riveste un particolare interesse?

Sì, perché mette in chiaro lo spessore umano e terreno di colui che il credente ritiene il figlio di Dio, in altre parole rende al vivo la realtà dell'incarnazione. E vorrei rifarmi qui di nuovo al titolo e al sottotitolo del mio libro: se i cristiani avessero specificato meglio la loro credenza nel figlio di Dio fattosi uomo, confessandolo appunto figlio di Dio fattosi ebreo, diventato un galileo, forse, o senza forse, le responsabilità cristiane circa l'antigiudaismo secolare, soprattutto quello dei campi di concentramento della Germania nazista, sarebbero state minori.



Teodoro Studita
00giovedì 23 novembre 2006 12:14
Io non vedo l'ora che esca la risposta:

www.adnkronos.com/3Level.php?cat=Cronaca&loid=1.0.606260392

Sono più che certo che se ne vedranno delle belle.
spirito!libero
00giovedì 23 novembre 2006 12:33
Si sono d'accordo con te Teodoro e se devo dire la verità l'attendo anche io perchè è giusto sentire tutte le campane, spero solo che sia uno studio storico che vagli tutte le fonti e non un trattato teologico e che non si limiti ai vangeli canonici.


Ciao
Andrea
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