Credere senza miracoli

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mioooo
00sabato 8 agosto 2009 14:34
Oggi , con la fede in crisi abbiamo bisogno di miracoli ?
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Così per quel che riguarda Cristo, la passione della dialettica avrebbe voluto un paradosso assoluto: cioè che “il Figlio di Dio si fosse incarnato, fosse venuto al mondo e vi fosse vissuto in modo da passare inosservato: restando, nel senso più rigoroso, un individuo come tutti gli altri, con un mestiere, una famiglia, ecc. (qui si potrebbero introdurre alcune osservazioni per sapere se la vita di Cristo non sia stata regolata secondo un criterio più alto della morale). In questo caso Dio invece di essere Dio e Padre degli uomini sarebbe stato il supremo ironista. (Se il gregge stimatissimo dei teologi e filosofi attuali avessero un pizzico d'idee in zucca, l'avrebbero già da tempo pensato, e chissà che chiasso ne avrebbero fatto. Ma non son proprio le idee che da essi bisogna cercare). Il paradosso divino nel Cristo è di essersi fatto notare, almeno con l'essere crocifisso, col fare miracoli, ecc.: ciò che implica comunque ch'Egli ha potuto farsi riconoscere dalla Sua autorità divina, anche se è necessaria la Fede per risolvere il Suo paradosso — la sciocca ragione umana vuole ch'Egli abbia successo, ch'Egli trascini i contemporanei, li entusiasmi, ecc. Mio Dio! È proprio una cosa dell'altro mondo riuscire a trascinare i propri contemporanei!” (IV Diario, 103, tr. it. n. 713). Nella giustificazione dell'autorità perciò si può parlare di una funzione positivo-positiva della ragione: questa fa riconoscere l'autorità, la persona che ha l'autorità, l'autorità che esige la fede: “Credete in me e nelle mie parole”.

E Kierkegaard si richiama qui espressamente a S. Agostino, per il quale la perfezione del Cristianesimo è precisamente l'autorità, perché questa è la verità sotto la sua forma più perfetta, tanto che se qualcuno potesse avere la stessa verità senza l'autorità, egli sarebbe meno perfetto, poiché l'autorità è la cosa perfetta.

“Ahimé! Agostino aveva ancora potuto imparare ciò di cui gli uomini hanno bisogno: l'autorità, ciò che precisamente l'umanità, estenuata dai dubbi dei filosofi e dalle miserie della vita aveva potuto imparare dal Cristianesimo che allora entrava nel mondo! Ora la faccenda si è capovolta. Un cosiddetto Cristianesimo filosofico spiega precisamente che l'autorità costituisce lo stadio. imperfetto, ch'essa è al massimo qualcosa di adatto per la plebe: che la perfezione è di abolirla... per ritornare alla situazione in, cui si trovava ‘ma che il Cristianesimo entrasse nel mondo” (XI Diario, 436, tr. it. n. 3046).

È certo pertanto che anche per Kierkegaard esiste una risoluzione dell'atto di fede, che questa porta sull'autorità e che l'autorità è garantita da segni esteriori: p. e. da miracoli. Ma qui, d'accordo col Vangelo, egli distingue due forme o meglio due fasi dell'atto di fede.

Una fase iniziale, in cui si crede a motivo dei miracoli che si sono visti o sono convenientemente attestati.

Un'altra in cui si crede anche senza miracoli, e quest'ultima è più perfetta di quella.

Kierkegaard commenta in questi termini il testo evangelico: “Se non vedete segni e miracoli, voi non volete credere” [Gv 4,48]. Si vede qui quanto sia esatto il fare della Fede una sfera a parte. Perché se quello che di solito si dice “credere” (credere ch'esiste un Dio, una Provvidenza, ecc., cosa che non è altro che un sapere, ovvero quell'immediatezza che può essere chiarita col pensiero, ma non è tentata da scrupoli che vi tormentano fino all'assurdo) fosse credere, allora le parole di Cristo diventerebbero un “anticlimax”, Cristo verrebbe a dire tutto il contrario. Perché quel “quasi credere” s'illude di credere; coi miracoli e simili cose non se la può intendere; crede, come si dice, in Dio o in Cristo, ma lascia da parte i miracoli. — Cristo però dispone la cosa in modo diverso. Prima viene quella Fede che crede nei miracoli, perché li vede; poi viene la seconda che crede, anche se non ne vede più alcuno. Queste sono le due categorie della Fede: qui abbiamo l'assurdo e i segni dello scandalo. Prima, credere che Dio voglia operare qualcosa contro la nostra ragione e intelligenza (l'assurdo). Quando poi si è creduto che questo succederà, seguitare in ogni modo a credere, anche se non accadrà più. Ma se uno toglie la prima categoria della Fede (credere perché si vedono segni e prodigi), allora le sfere si confondono e il sapere e la forza più alta del sapere arrivano ad assomigliarsi. Perché il sapere, quando gli si permette di chiamarsi Fede, non esige alcun miracolo, anzi vuoi piuttosto farne a meno, dato che il miracolo è un motivo di scandalo. Ma la più alta forma di Fede è credere senza vedere segni e miracoli. Qui si ha un esempio della confusione che nasce dal non badare a far della Fede una sfera a parte” (VIII Diario, 672, tr. it. n. 1408). Il miracolo perciò ha un posto nella scienza cristiana, ma deve essere conservato come tale, cioè come rottura nel mondo dei fenomeni e arresto per la ragione che tende a spiegare tutto. Kierkegaard attacca Henrik Steffens che nella sua Religions-philosophie aveva presentato una teoria che trovava logico per il pensiero che ci fosse stato posto anche per i miracoli (VII Diario, 331); a proposito del celebre saggio antropologico di G. E. Carus, Psyche, egli critica aspramente il positivismo moderno che, ubriacato dai nuovi mezzi di investigazione, pretendeva di spiegare il miracolo (cfr. VII Diario, 186ss).



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