Dalla moralità alla spiritualità

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ShivaBhakta
00giovedì 1 giugno 2006 16:28
Salve a tutti.
Premetto che con il seguente articolo non sto facendo alcuna opera di proselitismo (il che violerebbe il regolamento del forum) considerando che comunque io e gli Hare Krishna non professiamo la stessa religione:io lo Sri Vaishnavismo,loro il Gaudiya-vaishnavismo.E' solo che ho trovato molto intessante l'articolo Dalla moralità
alla spiritualità
trovato su www.harekrsna.it/gli_articoli/dalla_moralita_alla_spiritualita/dalla_moralita_alla_spiritua... e che adesso copierò qui di seguito.Forse in futuro deciderò di fare qualche commento.Ma non ne sono sicuro.

Dalla moralità
alla spiritualità



Senza un'ispirazione spirituale che è alla base di ogni comportamento morale, ogni tentativo d'imporre la moralità con la forza della legge inevitabilmente fallirà.

di Caitanya Carana dasa

A Kurukshetra, Bhisma aveva fatto il voto di combattere così ferocemente da costringere Sri Krishna ad intervenire per proteggere Arjuna, rompendo il Suo voto di non combattere. Per sostenere il voto di Bhisma ed esaudirne anche il desiderio di vederLo combattere, Krishna era pronto a rompere il Suo voto. Perciò l'azione di Sri Krishna di lanciarsi all'attacco di Bhisma con una ruota del carro rivela che gli scambi d'amore tra Krishna e i Suoi devoti trascendono la moralità comune.

Siamo stanchi di leggere articoli di giornale che parlano di corruzione, di nepotismo, di favoritismi e d'infedeltà. I politici dicono: "La soluzione di tutto sta nell'educare le persone alla moralità e ai valori." Ma la maggior parte delle persone sa distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è? Penso di no. Si limitano però a pensare che nella vita se la passeranno meglio senza seguire codici morali e le esortazioni dei moralisti o le leggi dei politici non li inducono a pensare diversamente.

Vivere osservando i princìpi morali è come rispettare le leggi del traffico per viaggiare con tranquillità e con sicurezza. Lo scopo di un viaggio, in ogni caso, non è quello di rispettare le leggi, ma di arrivare a destinazione. Se un viaggiatore pensa che le leggi del traffico lo facciano ritardare o siano di ostacolo al raggiungimento della sua destinazione, può darsi che non le rispetti se crede di riuscire a farla franca.
Come le leggi del traffico, i princìpi morali sostengono l'ordine, in particolar modo per quanto concerne i rapporti interpersonali, ma l'educazione moderna non insegna qual è lo scopo dei rapporti tra le persone o quello della vita stessa. Conseguentemente le persone possono comportarsi correttamente per rispetto alla loro cultura e tradizione, ma abbandonano la moralità quando si sentono minacciati o tentati.

Ancora peggio, le proposte della moderna società consumistica incessantemente glorificate — fama, ricchezza, lussuria, potere, piacere, prestigio — incoraggiano e rendono addirittura inevitabili i comportamenti immorali. La Bhagavad-gita (16.8-15) insegna che una visione materialistica generalizzata porta ad un'insaziabile lussuria ed avidità, che costringono a compiere azioni immorali. Quando le persone sono circondate e bombardate da allettamenti materialistici possono pensare che agire moralmente per loro significhi perdere molto, senza guadagnare niente di tangibile.

In più, la nostra educazione atea non ci permette di conoscere nessuna legge naturale più elevata per la comprensione del cosmo. E la possibilità che i nostri sistemi penali falliscano è anche troppo nota a tutti. Il risultato? La moralità finisce per apparire del tutto superflua, particolarmente ai furbi ed ai potenti. In queste condizioni come possiamo aspettarci che dei banali luoghi comuni possano ispirare le persone a comportarsi moralmente?

"La moralità significa mancanza di opportunità." Questo modo di dire esprime bene il vacillante approccio utilitaristico alla moralità. I testi vedici dell'antica India affermano che la moralità senza spiritualità non ha fondamento e che pertanto dura poco. Se vogliamo davvero una società morale, dobbiamo introdurre un'educazione spirituale sistematica che poggi su un giusto scopo della vita. I testi vedici ci fanno conoscere uno scopo spirituale universale e non settario per la vita: sviluppare puro amore per Dio. Noi tutti siamo esseri spirituali fatti per avere un'eterna relazione d'amore con l'affascinante essere spirituale supremo, Dio.

Poiché siamo costituzionalmente spirituali, troveremo la vera felicità non nei valori materiali, ma nel risveglio spirituale del nostro innato amore per Dio. Più amiamo Dio, più diventiamo felici.
L'amore per Dio genera amore per tutti gli esseri viventi, nostri fratelli e sorelle di un'unica universale famiglia di Dio. Quando amiamo tutti gli esseri viventi, non desidereremo più sfruttare o manipolare gli altri per i nostri interessi egoistici. Al contrario, il nostro amore per Dio ispirerà tutti noi ad amarci e servirci reciprocamente. Questo darà vita ad una cultura di affetto e di fiducia che genera un comportamento morale e contrasta fortemente con la moderna cultura fatta di alienazione e sospetto, che incoraggia invece l'immoralità.

Le sincere pratiche spirituali, anche nel loro stadio preliminare, stimolano il nostro innato sistema di valori. Ci rendiamo conto intuitivamente che Dio è il nostro più grande benefattore. Di conseguenza scegliamo volontariamente e liberamente di condurre una vita basata su princìpi morali e spirituali, come Dio ha ordinato, ben sapendo che questo è nel nostro vero interesse. E mentre troviamo una felicità interiore nell'amare Dio, ci liberiamo dall'egoismo, dalla lussuria, dall'avidità e dagli impulsi egoistici. Smettiamo di pensare che con la nostra moralità stiamo perdendo qualcosa. La moralità cessa di essere una scelta "difficile ma giusta". Anzi essa diventa la facile e naturale via d'azione per la nostra crescita spirituale.

Qualcuno può pensare: "Tutto questo sembra una buona cosa, ma non ha fondamento scientifico ed è utopistico." In altre parole, viviamo in un'epoca in cui solo il punto di vista pratico e scientifico viene ritenuto ragionevole ed accettabile. Ma il punto di vista vedico è davvero illogico o non pratico?
Dobbiamo ricordare che, sebbene la scienza non abbia mai provato che Dio e l'anima non esistono, l'approccio riduttivo scelto dalla maggior parte degli scienziati per lo studio dell'universo si basa proprio sulla non esistenza di realtà spirituali. Assai inaspettatamente, anche all'interno di questa cornice alcuni scienziati concludono che l'evidenza suggerisce con forza l'esistenza di un progettista dell'universo superintelligente (Dio) e di una sorgente di coscienza, di natura non materiale, all'interno del corpo (anima).

L'amore per Dio appare utopistico solo finché non conosciamo la coerenza della filosofia e il ben delineato percorso che consentono di ottenerlo. Per mezzo di pratiche spirituali sincere, come la preghiera, la meditazione e il canto dei nomi di Dio, tutti possono ottenere arricchimento spirituale. Non appena gustiamo l'amore immortale, ci rendiamo conto che esso è lo scopo definitivo ed unificante della vita.
Qualcuno che ha familiarità con gli episodi della vita di Krishna e dei Suoi devoti potrebbe obiettare: "Ma perfino Krishna, a volte, si comporta immoralmente e lo stesso fanno i Suoi devoti. Com'è possibile che l'adorazione di un Dio immorale ci aiuti a diventare morali?"

Per comprendere questo, dobbiamo prima riflettere sullo scopo finale di ogni moralità. Nel mondo materiale siamo persi nel buio dell'ignoranza e non sappiamo cosa fare e cosa non fare. Come torce luminose, le regole morali c'indicano la strada. Esse ci permettono di non essere fermati dai desideri egoistici e ci mantengono sul sentiero che porta al nostro obiettivo finale — ottenere l'amore per Krishna e ritornare da Lui. Ma Krishna è la sorgente di ogni moralità, proprio come il sole è la sorgente di tutta la luce. Poiché Egli è completamente soddisfatto in Se stesso, agisce esclusivamente per l'amore disinteressato che prova per noi, sia reciprocando con il nostro amore, sia aiutandoci a correggere i nostri percorsi sbagliati. Egli non ha bisogno di regole morali perché in Lui non c'è la più piccola traccia di desideri egoistici.

Siamo noi che abbiamo bisogno dei codici morali perché siamo pieni di desideri egoistici. Ma se diventiamo orgogliosi della nostra moralità e cerchiamo di giudicare Krishna con i nostri standard morali è come cercare il sole con una torcia. È stupido e inutile.
Quando per sua scelta il sole sorge, con la sua effulgenza rivela tutta la sua gloria. Allo stesso modo quando per Sua dolce volontà Krishna si rivela, allora possiamo capire la purezza della Sua moralità e la Sua gloria. Fino ad allora per noi è meglio seguire scrupolosamente i codici morali per compiacerLo affinché possa finalmente rivelarsi. E dovremmo stare attenti a non diventare orgogliosi del nostro buon comportamento.

Se accettiamo che Krishna sia il Signore Supremo, possiamo ottenere una certa comprensione del fatto che tutti i Suoi atti sono morali. Per esempio, Krishna ruba il burro nelle case delle pastorelle di Vrindavana. Ma come si può considerarLo un ladro quando è Lui che crea e possiede tutto? Interpreta il ruolo di un bambino per ricambiare l'affetto materno dei suoi devoti. Il Suo rubare, una birichinata da bambino, rafforza la dolcezza dei loro scambi amorosi. Come si può paragonare questo al nostro rubare che porta a pene e punizioni?

Similmente Krishna interpreta il ruolo di un giovane affascinante per ricambiare i devoti che desiderano una relazione coniugale con Lui. Il suo amore per le gopi (le pastorelle) si basa non sulla bellezza dei loro corpi ma sulla devozione dei loro cuori. Alcune persone affermano che i passatempi di Krishna con le gopi sono uguali alle relazioni lussuriose tra ragazzi e ragazze comuni. Ma allora perché persone sante molto rinunciate che non praticano l'amore sessuale di questo mondo, considerandolo come disdicevole e disgustoso, adorano i passatempi di Krishna con le gopi? Anche ai giorni nostri migliaia di persone in tutto il mondo riescono a controllare i desideri lussuriosi cantando i nomi di Krishna e adorandoLo. Se Krishna in persona fosse soggetto alla lussuria, come potrebbe liberare i Suoi devoti da essa?

Nella battaglia con i Kaurava, Krishna spinge i Pandava ad agire in modo immorale, ma questo è quello che accade ai poliziotti che decidono di superare il limite di velocità per catturare i ladri che stanno fuggendo. Essi violano il limite di velocità per servire la legge. Allo stesso modo i Pandava violano i codici morali per uno scopo più elevato che Krishna vuole vedere raggiunto: ristabilire il ruolo della moralità togliendo il potere agli immorali Kaurava.
In circostanze eccezionali, i devoti di Krishna possono agire apparentemente in modo immorale per eseguire la Sua volontà che garantisce il bene definitivo di tutti gli esseri viventi. Ma in generale i devoti seguono i codici morali come un'espressione della loro devozione a Krishna. In effetti, senza devozione, non avremmo la forza interiore di sostenere per tutta la vita il rispetto dei princìpi morali.

Dobbiamo essere cauti nella comprensione delle attività di Krishna, che sono al di sopra della moralità. Altrimenti possiamo comprenderLo male e respingere il Suo amore, condannandoci a rimanere sotto la moralità a soffrire le reazioni karmiche dei nostri errori.
Se vogliamo una moralità duratura, le vuote esortazioni e le leggi inefficaci non serviranno. Finché alle persone s'insegna a perseguire obiettivi materiali, esse penseranno che la moralità sia poco pratica o addirittura da evitare. Solo quando esse conoscono e cercano l'amore di Dio come scopo della vita, la moralità sarà per loro desiderabile e pratica. Perciò a livello sociale, dobbiamo introdurre una sincera educazione spirituale e pratiche che portino all'amore per Dio e alla soddisfazione interiore. E a livello individuale, il riconoscimento delle basi spirituali della moralità ci dà molta forza, ci apre una via d'azione molto superiore all'apatia, alla tacita approvazione, ai lamenti senza speranza o all'indignazione degli ipocriti.

In un tessuto canceroso, una cellula sana può dar vita ad un processo di guarigione. Allo stesso modo quando il cancro dell'immoralità affligge la società moderna ognuno di noi può, con una vita d'integrità spirituale e morale, attivare il processo della guarigione del corpo sociale.

Caitanya Carana Dasa, che fa servizio a tempo pieno al tempio ISKCON di Fune, dirige una rivista gratuita di cibernetica The Spiritual Scientist.
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Cordiali saluti.



ShivaBhakta
00martedì 6 giugno 2006 16:47
Re:

Scritto da: ShivaBhakta 01/06/2006 16.28

La Bhagavad-gita (16.8-15) insegna che una visione materialistica generalizzata porta ad un'insaziabile lussuria ed avidità, che costringono a compiere azioni immorali.



Solo oggi mi sono reso conto che dovrei scrivere qui i versi in modo che si abbia una più chiara comprensione della frase citata e dell'articolo.
Innanzitutto,per chi non avesse già letto i miei precedenti post,spiegherò cos'è la Bhagavad-Gita ("Il Canto del Signore").
La Bhagavad-Gita è un piccolo capitolo di una più ampia opera,il Mahabharata.Il Mahabharata è un vasto poema indù e fu compilato,in accordo a quanto dice lo stesso libro,dal saggio Krishna Dvaipayana Vyasa,considerato un'incarnazione secondaria del Dio Vishnu.


Il Mahabharata consta di circa 110.000 strofe (corrispondenti a 4 volte la Bibbia, o ad 8 volte Iliade e Odissea messe insieme),divise in 18 libri (o Parva).

La Bhagavad-Gita narra il dialogo tra Krishna,che per alcuni indù è un avatara (discesa terrana) di Vishnu mentre per altri indù è semplicemente il Dio supremo e la stessa origine di Vishnu,e il Suo amico Arjuna.Il loro discorso avvenne sul campo di battaglia di Kurukshetra.Nella seguente immagine il personaggio con la faccia blu è Krishna,l'altro è il Suo amico Arjuna.


Adesso riporto i versi della Bhagavad-Gita,Capitolo 16.Ho visto che iniziando a leggere il verso 8 non si capisce a cosa Krishna,che sta parlando con Arjuna, si stia riferendo.Potrei cominciare nel riportare il verso 4,ma comuque il discorso sembrebbe con alcuni "pezzo mancanti.Riporterò i versi dall'1 al 16.Scriverò in rosso i versi inerenti all'articolo.Userò la versione di Prabhupada,fondatore del movimento della Coscienza di Krishna.

1-3.Dio, la Persona Suprema, disse:
L'assenza di paura, la purificazione dell'esistenza, lo sviluppo della conoscenza spirituale, la carità, il controllo di sé, il compimento di sacrifici, lo studio dei Veda, l'austerità, la semplicità, la non violenza, la veridicità, l'assenza di collera, la rinuncia, la serenità, l'avversione per la critica, l'assenza di collera, la rinuncia, la serenità, l'avversione per la critica, la compassione verso tutti gli esseri, l'assenza di cupidigia, la dolcezza, la modestia, la ferma determinazione, il vigore, il perdono, la forza morale, la purezza, la libertà dall'invidia e dalla sete di onori - queste sono qualità trascendentali, proprie degli uomini virtuosi dotati di natura divina, o discendente di Bharata.
4.Orgoglio, arroganza, presunzione, collera, rudezza e ignoranza sono le qualità caratteristiche degli uomini di natura demoniaca, o figlio di Pritha.
5.Le qualità divine portano alla liberazione, mentre le qualità demoniache portano alla schiavitù. Ma non temere, figlio di Pandu, tu si nato con qualità divine.
6.O figlio di Pritha, in questo mondo esistono due categorie di esseri creati, gli uni divini e gli altri demoniaci. Ti ho già parlato a lungo delle qualità divine, ora ascolta da Me gli attributi demoniaci.
7.Le persone demoniache non sanno ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare . In loro non c'è purezza, né comportamento corretto, né veridicità.
8.Dicono che questo mondo è irreale, privo di fondamento e di un Dio che lo controlli; dicono che è un prodotto soltanto dal desiderio sessuale e non ha altra causa che la lussuria.
9.Sulla base di tali conclusioni, gli uomini demoniaci, smarriti e privi di intelligenza, s'impegnano in attività dannose e ignobili destinate alla distruzione del mondo.
10.Gli uomini demoniaci, preda dell'illusione, si rifugiano in una lussuria insaziabile e nella presunzione dell'orgoglio e del falso prestigio. Attratti da ciò che è temporaneo, sono sempre spinti verso attività malsane.
11-12.Essi credono che la gratificazione dei sensi sia la necessità primaria della civiltà umana, così fino a termine dei loro giorni vivono in un'ansia senza limiti. Impigliati in una rete di desideri, immersi nella lussuria e nella collera, accumulano denaro con mezzi illeciti per soddisfare i sensi.
13-15.L'uomo demoniaco pensa: "Oggi possiedo tuta questa ricchezza e secondo i miei piani ne otterrò ancora di più. Ora tutto questo è mio e domani avrò di più, sempre di più. Quell'uomo era un mio nemico e io l'ho ucciso e anche gli altri nemici saranno a loro volta uccisi. Io sono il padrone di tutto, sono colui che gode di tutto. Sono perfetto, potente e felice. Sono l'uomo più ricco e sono attorniato da una parentela aristocratica. Non esiste nessuno potente e felice come me. Compirò sacrifici, farò la carità e così potrò godere." Ecco come queste persone sono sviate dall'ignoranza.



Cordiali saluti.



ShivaBhakta
00giovedì 22 marzo 2007 16:52
Scrivo allo scopo di rimettere in prima pagina questo articolo che mi è molto caro.

Ciao
Orlando.
=Marcuccio=
00giovedì 22 marzo 2007 20:58
Caro Orlando,
l'argomento può essere veramente interessantissimo (almeno per me), dammi solo un pochino di tempo per leggere. E' lunghetto, ma non voglio saltare nemmeno una parola. A domani allora su questo 3D. [SM=g27988]

Ogni bene
Marcu
=Marcuccio=
00venerdì 23 marzo 2007 14:36
Commento n°1
Senza un'ispirazione spirituale che è alla base di ogni comportamento morale, ogni tentativo d'imporre la moralità con la forza della legge inevitabilmente fallirà.

Devo dire che questa frase, pur essendo la prima, rappresenta per me, il cuore di tutto lo scritto. Azzarderei dei paragoni importanti e l’azzardo consiste nel voler ridurre in pochissime righe un concetto che andrebbe espresso in pagine e pagine di libri. Cercherò in sostanza di concentrare un oceano in una bottiglia. Quindi questo mio primo intervento sarà sicuramente il più lungo. Per gli altri sarò più breve. Bene.

Leggendo quella frase, come un lampo mi rievoca Geremia, il cantore di Dio al capitolo 31. [31] "Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova.
[32] Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. [33] Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. [34] Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato".

Riprendendo Osea in forza dei comandamenti che furono scolpiti sulla pietra. La Berit sinaitica fu tradita già al suo nascere, l’alleanza sorge all’ombra del peccato, mentre Mosè stipula l’alleanza con Dio, il popolo adora un altro dio. Mosè scaglierà giù le tavole come a dire che il patto è rotto. Allora le caratteristiche della nuova alleanza potremmo racchiuderle in 4 momenti:
1) Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore: da una legge esterna ad una interiore. Il cuore, che rappresenta la totalità dell’uomo, l’inconscio(?) o forse di più; la legge non sarà più imposta dall’esterno.
2) Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo: l’appartenenza reciproca e inalienabile talmente intima che ha come conseguenza immediata il n.3
3) Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande. Dio è oggetto di conoscenza diretta, quasi come non ci fosse più bisogno di maestri.
4) perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato. Ci sono quattro fasi, parole da rilevare: a. perdonerò (che letteralmente è “sarò propizio”); b. la loro iniquità (“la loro colpa”); c. non mi ricorderò; d. i loro peccati. Dove a. sta a d. e b. sta a c. (“sarò propizio” e “non mi ricorderò” con “le loro colpe” e “i peccati”)

Ma Geremia non spiega il né il “modo” né il “quando”, sa solo che l’uomo non può amare una “norma”, ma può amare una persona; quindi ci vuole una norma che diventa persona e solo da persona può entrare nel cuore ed essere amata.

Ezechiele, che dovette leggere Geremia, lo riprende, lo approfondisce e va oltre Geremia: Ezechiele dirà al cap.36:26 “vi darò un cuore nuovo… uno spirito nuovo” continuerà quindi… non più dunque un cuore di pietra che non palpita. Ma Ezechiele non si accontenta e va ancora oltre: “Porrò il mio spirito dentro di voi” lo stesso spirito che in Genesi era un “alito di vita” e si rinnoverà tutto.

In Ezechiele è lo Spirito la causa che permette di seguire l’etica e ciò che per Geremia è la nuova legge che Dio vuole scrivere per Ezechiele è lo Spirito. Solo così il popolo prega col Salmo 50:23, perché il popolo ha recepito “ Chi offre il sacrificio di lode, questi mi onora, a chi cammina per la retta via mostrerò la salvezza di Dio.” Tutto sembra concorrere a preparare l’avvento di Cristo.

Gesù rappresenta per il cristiano la storicizzazione della profezia del Primo Testamento. Difficile dire dove sia avvenuta la donazione dello Spirito. Spesso dipende dalla teologia che sottende la lettura. Io ne scelgo una. Giovanni 19:33-34 “Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.” Il colpo di lancia è storicamente marginale, tanto che i sinottici non lo riportano; ma teologicamente, azzardo a dire che è il centro dell’economia giovannea. Qualche minuto prima Gesù aveva “donato lo spirito” che molti traducono “spirò”, ma io preferisco tradurre nell’altra maniera e vedere la donazione dello Spirito. E il compimento della promessa del Primo Testamento così in 3 momenti:
1) Esodo 17: Roccia del deserto… il popolo mormora. Mosè=soldato; bastone=lancia; Roccia=il costato
2) Zaccaria 13:1 “In quel giorno vi sarà una fonte aperta per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme, per il peccato e per l'impurità.”
3) Ezechiele dal cap. 40 al 48 si descrive il Tempio e nel cap.47 che mi colpisce di più in 74:1-2: “ Mi condusse poi all'ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell'acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell'altare. Mi condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece girare all'esterno fino alla porta esterna che guarda a oriente, e vidi che l'acqua scaturiva dal lato destro.”

La legge fin quando rimane esterna non verrà seguita. Il Pentateuco fu assolutizzato, commentato, al codice sacerdotale si unirono altre cose al punto da oscurarlo. E si creò un sistema tale di leggi da impedire quasi qualsiasi movimento. Il cap. 10 di Atti di Apostoli si vede come la chiesa non è fatta solo di giudei, ma anche di pagani ed ecco che sorge una controversia durissima e non facile. Al cap. 15 di Atti di Apostoli il contendere è chiaro: circoncisione e salvezza. La salvezza dipende dalla osservanza della legge mosaica? Ecco il concilio di Gerusalemme, concilio travagliato. Chi è superiore Cristo o la legge? Per la comunità Cristo è superiore alla legge perciò la fede in lui salva, non la legge. La Chiesa si stacca dalla culla della Sinagoga.

Addirittura s. Paolo in Romani: non bisogna tornare alla legge. Nel cap. 16 che divido in 3 parti (1-8; 9-11; 12-16) abbiamo 3 livelli: dottrinale, problema dei giudei (che da popolo eletto si è trovato fuori), e una sintesi di larghissimo respiro della vita cristiana.
In Romani 1-8 s. Paolo prende la struttura della profezia di Geremia: a. legge nei cuori, b. rapporto di reciproca appartenenza, c. insegnamento profondo, d. perdono dei peccati.
Paolo prende a. e d. in maniera inversa: parla prima dei vizi dei pagani, dove il più grande è quello dell’idolatria, in quanto non avendo riconosciuto Dio dalla creazione sono caduti nell’idolatria. Poi passa ai Giudei, anche loro sono peccatori perché tutti hanno peccato (cap.3) e sono privi della Gloria di Dio (dove il Targum Palestinese spiega quella nudità fisica e di gloria genesiaca). L’impegno di s. Paolo ruota attorno ad un interrogativo: Chi è Cristo? Cap. 3:25 richiamando la festa del Kippur, espiazione, e il libro del Levitico cap.16 si nota come prima l’espiazione avveniva di nascosto, ma con Cristo l’espiazione è pubblica. Dio non ricorderà i peccati perché ha memoria corta, ma perché ha memoria di Cristo.

La Salvezza operata da Cristo non è solo la remissione dei peccati, ma il dare la capacità di far seguire la legge perché è inscritta nel cuore. L’idolo (oggi l’amoralità, il denaro ecc…) fa apparire “attraente” ciò che Dio ha proibito. Paolo dice che se non avesse conosciuto la legge non avrebbe trasgredito, ma Paolo conobbe la legge, che è esterna al suo cuore e Paolo trasgredisce. Nel cap. 5 della lettera ai Romani parla proprio della storicizzazione dell’Amore di Dio, Cristo. Che tipo di Amore è? È quell’amore che porta lo Spirito Santo nel cuore dell’uomo? Non è un sentimento, ma è una Persona.

Ogni bene
Marcuccio

[Modificato da =Marcuccio= 23/03/2007 14.39]

=Marcuccio=
00sabato 24 marzo 2007 15:20
Commento n°2

Poiché siamo costituzionalmente spirituali, troveremo la vera felicità non nei valori materiali, ma nel risveglio spirituale del nostro innato amore per Dio. Più amiamo Dio, più diventiamo felici.
L'amore per Dio genera amore per tutti gli esseri viventi, nostri fratelli e sorelle di un'unica universale famiglia di Dio.



Questo è un aspetto molto interessante. Il cristiano crede che la natura umana sia una unità duale, fatta di corpo e di spirito. È immediato il concetto che non possiamo trovare la vera felicità nei valori materiali perché come scrive s. Agostino: “Ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te". (Conf. I, 1.1), tuttavia noi crediamo non solo possa essere l’amore per Dio a sviluppare amore per tutti gli esseri viventi, nostri fratelli e sorelle, ma crediamo che ciò possa succedere anche nel verso opposto. Cioè amando l’altro fratello o sorella, o chiunque abbia volto umano si può amare Dio, anche in maniera non confessionale. Difatti crediamo fermamente nelle parole del Signore quando dice in Mt 25:35-41: Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.”

Cioè non solo esclusivamente la spiritualità e lo spirito, ma anche la corporeità può essere il trampolino di lancio reale che ci porta a Dio. Tuttavia sebbene il Signore ci abbia donato il suo spirito e ci ha donato un cuore nuovo, alcuni continuano a trasformare quel trampolino di lancio verso l’alto in un piano inclinato verso il basso.

Il cristiano autentico sa bene di vivere la realtà del “già e non ancora” e che non è esente da errori morali ed etici. Tuttavia la corporeità si presenta come l’unico canale di comunicazione che il Signore ci ha donato per avere un confronto con noi stessi, il mondo che ci circonda e Dio. La corporeità è come una finestra aperta verso il mondo.

Capolavoro di tutta la creazione operata dall’Amore, la corporeità-corpo, è tempio dello Spirito Santo, fonte di relazione, di procreazione, elemento redento da Cristo, vestigia dell’anima. Nel corso dei secoli il concetto “corporeità-corpo” viene dapprima scisso e poi stravolto fino alla idolatria di un nuovo concetto olistico e antropotecnico: “corpo” . La corporeità-soggetto una volta rappresentata anche nella sua sessualità attraverso memorabili opere iconografiche, adesso decompone e decostruisce il suo significato dinamico divenendo corpo-oggetto per essere sottovalutato, colpevolizzato, paradossalmente rivalutato come elemento di studio scientifico (dal campo prettamente chirurgico fino al campo psichiatrico) in sezioni sempre più piccole; il corpo-oggetto viene mercificato, erotizzato, rappresentato attraverso la fotografia e la cinematografia per decadere solo attraverso un’interpretazione sessista, poi sessuomane divenendo infine un feticcio ed oggetto statico di pornografia. Infine, la corporeità-corpo è uccisa nella sua essenza considerandola priva di un qualsivoglia elemento spirituale.

Invece, dobbiamo dire riguardo alla costituzione stessa dell’uomo che è “Unità di anima e di corpo,…sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore…l’uomo…è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo…in verità [però] non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana. Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l’universo delle cose… non si lascia illudere da una creazione immaginaria che si spiegherebbe solamente mediante le condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle cose.” (Gaudium et Spes 14)

Innegabile è l’oggettivizzazione dell’uomo. Si affermano, inesorabili, la corrente di pensiero “liberista” (per cui «tutto è permesso» in campo scientifico), la corrente di pensiero “pragmatista” (per cui si abbandona l’Assoluto per eleggere ad assoluto il relativismo e la legge dell’utile) ed infine la corrente di pensiero “scientista” (per cui la società da antropocentrica si trasforma in antropotecnica).

Il pensiero cristiano risponde a questa interpretazione del corpo in questi termini “Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa…tutto ciò che viola l’integrità della persona umana… tutto ciò che offende la dignità umana…mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore” (cfr. Gaudium et Spes 27). Senza il corpo l’uomo non potrebbe comunicare se stesso “al” mondo né potrebbe ricevere nulla “dal” mondo (mondo inteso come “l’altro” e “il cosmo”) e di conseguenza non potrebbe nemmeno porsi la domanda antropologica per eccellenza “chi è l’uomo?”. Il nostro corpo è in grado di conoscere tutto ciò che ha di fronte, ma non può conoscere e vedere se stesso come veramente egli è. L’uomo è in grado di vedere e capire l’altro, ma non se stesso di conseguenza solo l’altro può conoscere noi e solo noi possiamo conoscere l’altro. La reale e pura conoscenza di noi stessi rinvia ad una dimensione angelica e paradisiaca. Il corpo non può e non deve essere considerato dal di fuori come un aggregato di cellule da studiare (Körper). Il corpo dev’essere studiato con la consapevolezza che si sta studiando la “persona”, un soggetto senziente (Leib), una totalità di spirito e corpo.

Ogni bene
Marcuccio

[Modificato da =Marcuccio= 24/03/2007 15.23]

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