- "David Maria Turoldo (1916-1992) sacerdote, frate dei Servi di
Maria. Dopo la laurea in filosofia, visse quindici anni
presso i Padri di San Carlo, partecipando alla
Resistenza con il gruppo de "L'Uomo" e tenendo
la predicazione domenicale in Duomo dal 1943 al 1953.
Alternò poi la sua dimora tra San Carlo al Corso
a Milano e Fontanella, la frazione di Sotto il Monte,
dove diresse il Centro Studi Ecumenici Giovanni XXIII.
- Sposato hai una pena...
I miei ricordi di guerra. E il mio sacerdozio nella guerra. Quando braccato dai fascisti per una predica nel duomo di Milano: una predica sull'aspirazione dell'uomo verso la luce. Era il vangelo del cieco di Gerico che gridava verso il Cristo, perchè gli usasse pietà. E Gesù che gli chiede: "Cosa vuoi che ti faccia?". E il cieco a supplicarlo: "Signore, che io veda...". E io lanciato, con il vangelo in mano, dall'altare: proteso sulla folla (che domeniche!) a dire, a urlare: "Signore, che tutti vedano!". Che vedano i grandi e i fanciulli, giovani e anziani... Che veda la Chiesa, che veda il governo... Perchè se un cieco conduce un altro cieco... Eravamo in piena guerra, in quell'interminabile e assurda guerra.
Così, la porta della sacrestia del duomo è stata piantonata. Ma un sacrista è venuto sull'altare a dirmi di mettermi in salvo, a messa finita. Allora, mescolato alla folla, sono uscito per una porta laterale e sono corso verso la periferia a nascondermi presso una casa di amici, attraversando la città sepolta nella calura di luglio. E c'era gente, pochissima, come sono i pomeriggi estivi e domenicali di Milano, sdraiata al fresco nel parco. Poi, fra le macerie, i bambini che giocavano, e un profumo acutissimo di tigli che riempiva la casa...
Dove, appena entrato e saputa ogni cosa, gli amici - tanto per incoraggiarmi - mi danno quello che hanno, in attesa di prepararmi un po' di desinare. E mi offrono una meravigliosa pesca. Ancora più meravigliosa perchè eravamo in tempo di guerra; e io, così trafelato... Poi quei bambini sulle macerie; e quel profumo di tigli; e il mio stato d'animo: stanco per quella guerra che non finiva mai.
Così, appena addentata la pesca, ecco che mi viene ancora di cantare:
Senti che è di troppo
il sapore di una pesca
in questa povertà
di case diroccate;
Senti che non ti è lecito
provare questo dolciore
d'anima emigrata
dalla strada ferita
della tua umanità.
Sposato hai una pena
di non sentire mai
dolcezza alcuna
che non sia di tutti;
e ora ti seduce
questo languore di tigli,
e ora vorresti
andartene in pace
in quest'orlo di città,
in queste ghirlande
di bimbi e dimenticare.
...e il tuo sacerdozio
è un'oasi
ove essi hanno il diritto
d'approdare
dalle loro fatiche.
Ringrazio Luciano da Trento
per avermi fornito il testo di questa pagina, per altre poesie dell'autore:
David Maria Turoldo vedere quì