La preghiera di Ermete Trismegisto

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Lewis Machen
00mercoledì 26 gennaio 2005 18:20
Questo è l'inno alla Mente Divina che chiude il Poimandres di Ermete Trismegisto: è una delle preghiere che amo di più, insieme ad alcuni inni degli Yezidi. Per quanto possa sembrare un cantico di lode di area giudaico-cristiana o islamica, non lo è...

Santo è Theòs, padre di tutte le cose.
Santo è Theòs, la cui volontà tutte le Potenze eseguono.
Santo è Theòs, che vuole essere conosciuto,
e che si fa conoscere da chi gli appartiene.
Santo sei tu, che hai creato gli esseri con la parola.
Santo sei tu, di cui l'intera natura è l'immagine.
Santo sei tu, non formato dalla natura.
Santo sei tu, che sei più forte di ogni Potenza.
Santo sei tu, che sei al di sopra di tutti ciò che eccelle.
Santo sei tu, che superi ogni lode.
Accogli il puro sacrificio della parola
che viene da un'anima e da un cuore protesi verso di te,
tu Ineffabile,
tu Indicibile,
tu il cui Nome è pronunciato
solo dal silenzio.
eliysciuah
00mercoledì 26 gennaio 2005 18:29
pregiera d'Amore a Kristine-tecnica XX sec. a.c. sulla tomba di Nefertary
finchè il cielo sarà sorretto dai sui quatro pilastri

e la terra sarà stabile sulle sue fndamenta,

finchè il sole brillerà di giorno e la luna di notte,

finchè Orione sarà la manifestazione di Osiride e Sirio la sovrana delle stelle,

finchè l'innondazione verrà al momento buono e la terra farà crescere le piante,

finchè il vento del nord soffierà al tempo giusto,

finchè i decani svolgeranno la loro funzione e le stelle resteranno al loro posto,

il mio amore per te sarà stabile come il cielo, il cui sole sorge per amor tuo.

in amore alla mia adorata Kristine...

cirolorenzo
Arkantos il legionario
00giovedì 27 gennaio 2005 21:49

"Alta si ergeva la reggia di Sole su immense colonne, tutta bagliori d’oro e fiammate di rame; lucido avorio rivestiva la cuspide del frontone e i battenti della porta emanavano riflessi argentei. E qui l’arte eclissava la materia, perché il Dio del Fuoco vi aveva cesellato i mari che circondano la terra, l’universo intero e il cielo che lo sovrasta. Tra i flutti emergono gli Dèi del Mare, Tritone che suona, l’ambiguo Proteo, Egeone che con le sue braccia imbriglia dorsi enormi di balene, e Doride con le sue figlie, alcune mentre nuotano, altre sedute su scogli ad asciugarsi i verdi capelli, qualcuna in groppa a un pesce: non hanno tutte lo stesso viso, ma nemmeno diverso, come s’addice a sorelle. Sulla terra vi sono uomini, città, boschi e animali, fiumi, Ninfe e le altre divinità della campagna. Sopra è raffigurato il cielo che brilla di luci: sei costellazioni sul battente destro, sei sul sinistro. Quando per un erto sentiero qui giunse il figlio di Climene, appena entrato nella dimora del padre putativo, subito si diresse al suo cospetto, ma fermandosi a una certa distanza: più vicino non ne avrebbe sostenuto il fulgore. Avvolto in un manto purpureo, Febo sedeva su un trono tutto sfolgorante di smeraldi luminosi: ai suoi lati stavano Giorno, Mese e Anno, i Secoli e le Ore disposte a uguale distanza fra loro; e stava Primavera incoronata di fiori, stava Estate, nuda, che portava ghirlande di spighe, stava Autunno imbrattato di mosto e Inverno gelido con i bianchi capelli increspati. Al centro, con quegli occhi che scorgono tutto, Sole vide il giovane sbigottito dalla meraviglia e: «Perché sei venuto? - gli disse - Cosa cerchi in questa rocca, Fetonte, figliolo mio che mai potrei rinnegare?» E quello: «O luce, che a tutto l’universo appartieni, Febo, padre mio, se mi concedi d’usare questo nome e se Climene non cela una colpa sotto falsa effigie, dammi testimonianza, genitore, che mi rassicuri d’essere tuo figlio, e strappami questa incertezza dal cuore!» A queste parole il genitore depose i raggi che gli sfolgoravano intorno al capo, l’invitò ad avvicinarsi e abbracciandolo gli disse: «Non c’è ragione per negare che tu sia mio e che il vero riferì Climene sulla tua nascita! E perché tu non abbia dubbi, chiedimi quello che vuoi: da me, da me l’avrai; e alla mia promessa sia testimone quella palude misteriosa su cui giurano gli Dèi!»"
(Publio Ovidio Nasone, "Metamorfosi")

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