Perchè i preti non possono sposarsi?

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
emanuele135
00giovedì 22 novembre 2007 22:49
Come da titolo, lo so che è una domanda molto diffusa ma vorrei sapere da qualche esperto il perchè i preti, i sacerdoti, ecc.. che sono "Dispepoli" non possono sposarsi. Grazie.
Viviana.30
00venerdì 23 novembre 2007 13:24
Re:
emanuele135, 22/11/2007 22.49:

Come da titolo, lo so che è una domanda molto diffusa ma vorrei sapere da qualche esperto il perchè i preti, i sacerdoti, ecc.. che sono "Dispepoli" non possono sposarsi. Grazie.




facciamo cosi !!! , perdonami so che non è bello ed oltretutto sbagliato , partiamo dall'opposto visto che non viene mai trattato , perchè i sacerdoti dovrebbero sposarsi ?
Scusami e grazie se mi risponderai


emanuele135
00venerdì 23 novembre 2007 18:15
Re: Re:
[QUOTE:75069323=Viviana.30, 23/11/2007 13.24

facciamo cosi !!! , perdonami so che non è bello ed oltretutto sbagliato , partiamo dall'opposto visto che non viene mai trattato , perchè i sacerdoti dovrebbero sposarsi ?
Scusami e grazie se mi risponderai





Scusa ma magari apri un'altro post e fai la domanda! forse è meglio. Io vorrei sapere il perchè e da chi è stato deciso che i sacerdoti i preti non possono sposarsi. Grazie.


emanuele135
00venerdì 23 novembre 2007 21:39
Ma è cosi difficile ammettere che non è "scritturale" l'obbligo della castità?
T a i t a
00venerdì 23 novembre 2007 22:26
emanuele135, 23/11/2007 21.39:

Ma è cosi difficile ammettere che non è "scritturale" l'obbligo della castità?


L'ho detto a Paolo di Tarso. In effetti anche lui non ha saputo rispondere ...

emanuele135
00venerdì 23 novembre 2007 23:19
Re:
T a i t a, 23/11/2007 22.26:


L'ho detto a Paolo di Tarso. In effetti anche lui non ha saputo rispondere ...




Sono le Sacre Scritture che parlano non le "proprie idee"!!

Lettera di Paolo ai corinti 1Corinti 7:7-9
7 Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.
8 Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; 9 ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere.

E' Paolo di Tarso che ha scritto questo sotto Ispirazione Divina!!


Bicchiere mezzo pieno
00venerdì 23 novembre 2007 23:38
Girando per la rete ho trovato un ottimo documento che spiega le ragioni storiche, biblcihe e patristiche del celibato per i preti. Siccome è un po' lunghetto lo inserisco in due parti. Non ho alcuna intenzione di partecipare a una discussione che già è stata affrontata diverse volte in passato, perciò mi limito a riportare i perchè e i per come la Chiesa Cattolica abbia questa regola mediante l'analisi di questo documento. Ma non tornerò a parlare un'ennesima volta (ahimè) di questi discorsi.
Eccovi il testo. Buona lettura.

Inizio

Questo articolo è nato per sventare l’ ipotesi poco attraente di dover spiegare sempre da capo perché i sacerdoti cattolici osservino il celibato, mi sono dunque deciso a mettere per iscritto le motivazioni bibliche, teologiche, e patristiche di questa scelta in modo completo e al contempo sintetico. Questo mio articolo deve tutto ai lavori di Stickler e Cochini che costituiscono le ricerche più avanzate sull’argomento e cui rimando chi volesse approfondire, consapevole che il mio non è che un indegno riassunto di una tematica che merita davvero d’essere meglio conosciuta.



Il celibato ecclesiastico e la sua negazione



Index

-Luoghi comuni da sfatare
-Ius et lex
-Quid est Traditio?
-L’equivoca di Elvira
-Il parere della Chiesa di Roma
-I Padri occidentali e africani
-Accenno alla canonistica classica
-I Padri Orientali
-Accenni alla legislazione trullana
-I fondamenti teologici della castità
-Uno sguardo alla verginità nel Nuovo Testamento
-Sacerdozio pagano
-Altri argomenti contro la castità nel Nuovo Testamento
- Egkratês , nulla dunque contro la Traditio apostolica



Questa pagina nasce per mettere fine alla confusione che impera tra i Testimoni di Geova (da adesso TdG N.d.A.) a causa delle loro riviste su ciò che insegna la Chiesa cattolica circa il celibato sacerdotale. Il primo chiarimento da fare, seppure possa sembrare sconvolgente, è che la Chiesa cattolica non richiede il celibato ai suoi preti: in essa vi sono circa 15 riti, di cui il rito latino è quello più grande, a causa di ciò viene spesso erroneamente identificato con la totalità della Chiesa cattolica. E’ il rito latino ad esigere il celibato dai suoi sacerdoti, non la Chiesa nel suo insieme, nella quale sono presenti riti come quello greco nei quali non esiste quest’obbligo. La Chiesa cattolica non ritiene che i preti sposati siano qualcosa di diabolico, il problema che si pone è dunque se il rito latino mantenga quelle che erano le consuetudini dettate dagli apostoli o se invece possano vantare questa pretesa gli altri riti cattolici nonché le chiese ortodosse in cui vige la legislazione trullana.1
Le informazioni che troverete in quest’articolo sono frutto di studi piuttosto recenti dunque non scandalizzatevi se in fonti anche cattoliche un po’ datate troverete scritto diversamente, più che i commentatori infatti occorre vedere che cosa dicano le fonti antiche. C’è una grande confusione in merito a quando il celibato sarebbe stato introdotto nella Chiesa cattolica, si sente pronunciare da alcuni la data 1139, cioè il II Concilio Lateranense, da altri il 305 d.C., vale a dire il sinodo di Elvira. In questo breve studio mostreremo come entrambe queste date, ovunque ripetute, siano errate alla luce delle più recenti acquisizioni storiche. Bisogna innanzitutto chiarirsi su un punto: in questo studio più che di celibato tratteremo di continenza. Era prassi nella Chiesa antica infatti ordinare uomini sposati purché dopo l’ordinazione, di comune accordo con la moglie, vivessero come fossero fratello e sorella, cioè senza usare più il matrimonio. Nella Chiesa cattolica di rito latino si sono ordinati per secoli persone già sposate, ma solo a condizione di quanto detto sopra, oggi invece è possibile ordinare una persona sposata solo per il diaconato2, ma non per il presbiterato3.
Non si nega cioè che persino alcuni apostoli erano sposati al momento della chiamata, si dice però che essi per il regno di Dio cessarono di usare il matrimonio. Tale possibilità è prospettata da Gesù stesso: “In verità vi dico: non vi è nessuno che abbia abbandonato casa, genitori, fratelli, moglie, figli per il regno di Dio che non riceva molto di più in questo tempo e nel secolo avvenire la vita eterna”(Lc 18, 28-20; Mt 19, 27-30; Mc 10, 20-21).
Converrà prima chiarire un altro punto della questione, ossia quali sono le fonti indagabili. La Chiesa dei primi secoli non era organizzata in modo burocratico, dunque fanno un grave errore coloro che fanno risalire il celibato al Concilio di Elvira solo perché in quel contesto viene riportata per la prima volta una legge scritta della Chiesa che lo esige. Hans Kelsen, uno dei più grandi storici del diritto novecenteschi, ci ricorda espressamente come sia erroneo identificare ius e lex, cioè diritto e legge. Lo ius, il diritto, è parimenti una norma vincolante ma può essere tramandata tra le consuetudini oralmente. Ciò è conosciuto non solo ai giuristi ma anche agli storici e agli antropologici. Popoli come quello romano o quelli germanici hanno messo per iscritto relativamente tardi le loro leggi, ma non per questo prima non esistevano o erano meno vincolanti. Occorrerà indagare dunque non solo raccolte di leggi ecclesiastiche ma anche testi patristici e soprattutto il Nuovo Testamento, in entrambe queste raccolte di testi, tramite allusioni o descrizioni, è sedimentata quella che era la prassi della Chiesa nascente, sebbene chi scriveva quelle righe non aveva alcuna intenzione di comporre un trattato per giuristi. La Chiesa apostolica stessa conosceva accanto alle norme scritte delle tradizioni tramandate oralmente, specie perché in tempi di persecuzione è ben difficile fissare per iscritto una legislazione. Di questa trasmissione orale parallela a quella scritta ci dà esplicita notizia Paolo: “Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2Ts 2,15)
Questa trasmissione orale del depositum fidei è quello che la Chiesa cattolica chiama Tradizione, che nulla ha a che fare con la tradizione dei farisei criticata da Cristo in quanto annullava la parola di Dio, al contrario è una realtà contemplata nel Nuovo Testamento. Oltre al già citato 2 Ts 2,15 si può vedere in 2Tm 1,13-14 ove l’Apostolo ingiunge a Timoteo di conservare e trasmettere il deposito di fede che ha ricevuto: “Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito santo che abita in noi”, o ancora: “Le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.” (2Tm 2,2) A rischio di risultare scandaloso per certa mentalità protestante sono costretto a ricordare che la Chiesa apostolica si basava innanzitutto sulla predicazione e non sul Nuovo Testamento che neppure esisteva, Gesù infatti disse “andate e predicate” non “andare e scrivete”, nei primi secoli infatti non era misura dell’ortodossia il solo Nuovo Testamento bensì qualcosa che cronologicamente lo precedeva, la trasmissione orale dell’insegnamento apostolico, di cui i Vangeli sono la trascrizione (ad esempio il Vangelo di Marco è la trascrizione della catechesi orale di S. Pietro). Il Nuovo Testamento così come lo conosciamo oggi, con tutti e soli i 27 libri che attualmente lo compongono, non è esistito fino al IV secolo, dunque il Sola Scriptura non poteva essere l’unico metro di giudizio per cosa fosse valido e cosa no, per la banale ragione che il Nuovo Testamento era una raccolta piuttosto variabile fino al IV secolo.4 Ad accrescere lo scandalo di una mentalità protestante non è solo la priorità cronologica della tradizione orale rispetto al Nuovo Testamento ma persino il fatto che uno dei criteri adottati per la scelta di quali libri fossero canonici fra i molti che circolavano fu che fossero conformi o meno con la Traditio orale, vale a dire che essa divenne il metro di giudizio dell’ortodossia di un libro che si voleva giudicare ispirato o meno. Il protestantesimo oggi ha capovolto il criterio, facendo sì che la Bibbia sia il giudice della Tradizione che l’ ha costituita tra II e IV secolo. Ed è perfettamente inutile citare come replica le parole di Paolo secondo cui “tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare” (2Tm 3,16), perché nessuno lo mette in dubbio, il problema è che “tutta la Scrittura è ispirata” non equivale a “solo la Scrittura è ispirata”, anzi è il Nuovo Testamento stesso a dire di sé che esso non contiene tutto e che anzi molte cose sarebbero state chiarite alla Chiesa nel corso degli anni meditando ciò che Cristo le aveva insegnato: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16,12-13) Questo è il motivo per cui oltre al Nuovo Testamento indagheremo anche cosa dicono le fonti patristiche dei primi secoli, giacché come sosteneva Ireneo vescovo di Lione nel 180 d.C.: “Se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono presso i Celti (in Gallia), né quelle dell'Oriente, dell'Egitto, della Libia, né quelle che sono al centro del mondo" Adversus haereses, 1, 10, 2
E ancora: "In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede..., conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un'unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca" Adversus haereses, 1, 10, 1-2
La Traditio apostolica si trasmette nella Chiesa grazie ai vescovi che quali successori degli apostoli trasmettono quanto da loro insegnato. Ireneo parla della Traditio apostolica, che si ha solo tramite l’imposizione della mani di successore in successore degli apostoli, come unico criterio per distinguere la Chiesa di Cristo dagli eretici, inutile dire dunque che i TdG non possono vantare alcuna successione apostolica, anzi, neppure osservano il rituale dell’imposizione della mani già attestato nel Nuovo Testamento, per la banale ragione che non hanno da mostrare alcuna continuità col periodo apostolico che si dipani nell’arco dei secoli. Ireneo già nel secondo secolo spiegava bene come la Tradizione annulli l’eresia e soprattutto dove sia da cercare: “Dunque la tradizione degli apostoli manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa tutti coloro che vogliono riscontrare la verità, così possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede (cf. Rm 1,8) annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi… Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte — essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli.” Adversus haereses 3, 3, 1-3.
E questo con buona pace della WTS che nega persino la venuta di Pietro a Roma.
Converrà innanzitutto indagare perché alcuni collochino la nascita del celibato nel 305 d.C. ca. col Concilio di Elvira; è presto detto: si tratta delle prima legge scritta a tal proposito che ci sia pervenuta, ma se teniamo in mente la distinzione sopra menzionata tra ius e lex la cosa non deve sconvolgerci in alcun modo. Nel can. 33 di questo Concilio sotto la rubrica: “Sui vescovi e i ministri (dell’altare) che devono cioè essere continenti dalle loro consorti”, sta il seguente testo: “Si è d’accordo sul divieto completo che vale per i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, ossia per tutti i chierici impegnati nel servizio dell’altare, che devono astenersi dalle loro mogli e non generare figli. Chi ha fatto questo deve essere escluso dallo stato clericale”. Come già ricordato un tempo era possibile, anzi era consueto, ordinare uomini maturi già sposati, purché in seguito vivessero in continenza il loro matrimonio. Il can. 27 infatti per limitare la possibilità che questo voto fosse infranto proibiva di tenere la propria moglie in casa e concedeva che fra le donne sotto lo stesso tetto si tenessero solo sorelle o figlie avute prima dell’ordinazione. Ma si tratta di una legge nuova o si ribadisce qualcosa che già esisteva? Cito dallo Stickler: “Alla luce delle finalità del Concilio di Elvira, del diritto e della storia del diritto nel grande impero romano di cultura giuridica che dominava in quell’epoca anche nella Spagna, Non è possibile vedere nel canone 33 (assieme col il can. 27) una legge nuova. Essa appare invece chiaramente quale reazione contro l’inosservanza di un obbligo tradizionale ben noto, al quale si annette ora anche la sanzione: o osservanza dell’impegno assunto della rinuncia alla famiglia o rinuncia all’ufficio clericale. Una novità in simile materia, con per giunta una tale retroattività della sanzione contro diritti già acquisiti, avrebbe causato una tempesta di proteste contro una tale evidente violazione di un diritto in un mondo, come quello romano, tutt’altro che digiuno di diritto. Ciò ha percepito chiaramente già Pio XI quando, nella sua enciclica sul sacerdozio, ha affermato che questa legge scritta suppone una prassi precedente”5
A ciò si aggiunga una dichiarazione vincolante fatta dal II Concilio Africano dell’anno 390 e successivamente ripetuta , formalizzata nel Concilio dell’anno 419 che sotto la rubrica “Che la castità dei leviti e dei sacerdoti deve essere custodita” recita fra le altre cose: “Conviene che (…) tutti coloro che servono ai divini sacramenti siano continenti in tutto (…), affinché così anche noi custodiamo ciò che hanno insegnato gli apostoli e ciò che tutta l’antichità ha conservato. (…) A ciò tutti i vescovi risposero unanimemente: Noi siamo d’accordo che i vescovi, i sacerdoti e i diaconi custodi della castità si astengano anch’essi dalle loro mogli, affinché in tutto e da tutti coloro che servono all’altare sia conservata la castità”6.
Si fa menzione cioè ad una tradizione indiscussa e accettata, inoltre, è il caso di ricordarlo per il futuro, la continenza viene legata al servizio all’altare. Sin qui s’è vista qual era la prassi unanimemente accettata nelle diocesi africane, ma che dire della Chiesa di Roma, giacché come ci ricorda Ireneo “con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa… essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli”?7
Le prime testimonianze vengono da due papi, Siricio ed Innocenzo I. Di fronte al lassismo imperante il vescovo Himerio di Terragona chiese al papa istruzioni sull’obbligo della continenza, domande cui il papa rispose con la lettera “Directa”8 asserendo che tali chierici stavano violando una legge irrinunciabile che lega gli aderenti agli ordini sacri alla Chiesa. Si trova in questa lettera anche un argomento teologico che farà scuola come avremo modo di vedere in seguito. Si sosteneva cioè da parte Himerio che i sacerdoti dell’Antico Testamento avevano l’obbligo di rimanere casti solo nel periodo in cui servivano al tempio e che una volta finito il loro turno potevano usare il matrimonio, ma la risposta del papa è quanto di più logico esista: giacché a differenza dei sacerdoti dell’Antico Testamento quelli cristiani debbono prestare servizio sacro ogni giorno si esige una continenza perenne9.
Una seconda lettera venne inviata ai vescovi africani nel 386 per comunicare loro le deliberazioni di un sinodo romano in materia di celibato per contrastare il fenomeno della trasgressione alla continenza sacerdotale, si afferma en passant che non sono affatto obblighi nuovi ma regole ben conosciute da tutti, eppure continuamente violate a cause della pigrizia e del lassismo, proprio a simili comportamenti umani si doveva la lettera papale. La nona disposizione di questo sinodo romano ribadisce quanto già sappiamo: gli uomini ordinati quand’erano già sposati devono astenersi da rapporti sessuali con le rispettive mogli poiché il ministero sacerdotale è per essi quotidiano. Si motiva ciò ricordando che San Paolo aveva scritto ai Corinzi di astenersi dal sesso per potersi occupare con la dedizione necessaria alla preghiera (1Cor 7,5), e questo per i laici, tanto più dunque i sacerdoti quando servono all’altare osserveranno la continenza. Per la prima volta in Occidente viene dato risposta, dagli ottanta vescovi riuniti quali rappresentanti della Traditio universale, alla classica obiezione contro il celibato, sollevata oggi come allora, secondo cui l’Apostolo Paolo in 1Tm 3,2 indica quale condizione per l’ordinazione di un vescovo che sia sposato una sola volta. Leggiamo il testo:
“Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale…” (Nuova Riveduta)
“Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente…” (CEI)
Si tratta della famosa questione dell’ unius uxoris vir, che paradossalmente, come vedremo in seguito, nella letteratura patristica era un argomento pro continenza e non contro. A questo proposito sentiamo il prof. Ignace de la Potterie che ha dedicato un notevole studio alla questione: “La clausola è una delle formule principali sulle quali si basava la Tradizione antica per rivendicare proprio l'origine apostolica della legge del celibato sacerdotale. Questo però era senza dubbio un enorme paradosso: come è possibile fondare il celibato dei sacerdoti partendo da testi che parlano di ministri sposati? Un tale ragionamento può avere qualche senso soltanto se si trova tra i due estremi (il matrimonio dei ministri e il celibato) un termine medio: è quello della continenza a cui si obbligavano proprio i ministri sposati. E probabilmente perché questo valore di mediazione della continenza non è stato più capito in seguito, che in tempi recenti la formula “unius uxoris vir ” non è più stata usata nelle discussioni sul celibato. E’ molto opportuno oggi riesaminare attentamente quell’ argomento tradizionale. L'altra ragione per cui questi testi sono specialmente importanti dal punto di vista strettamente biblico sta nel fatto che sono gli unici passi del Nuovo Testamento in cui viene emanata una norma identica per i tre gruppi dei ministri ordinati, e solo per loro: infatti, secondo le Lettere Pastorali, deve essere “ unius uxoris vir” sia l'episcopo (1 Tm 3,2), sia il presbitero (Tt 1,6), sia il diacono (1 Tm 3,12), mentre quella formula (tecnica a quanto sembra) non viene mai adoperata per gli altri cristiani. C'è qui dunque una esigenza specifica per l'esercizio del sacerdozio ministeriale in quanto tale.”10
A proposito della clausola dell’ “unius uxoris vir” il sinodo romano ci rende edotti della corretta lettura, ossia: “il bisogno di risposarsi oppure il matrimonio con una vedova non danno garanzia per una sicura continenza futura”11
Vale a dire che, giacché dopo l’ordinazione si deve rimanere continenti, Paolo sta vietando di ordinare vescovo chi si sia sposato due volte, infatti questo proverebbe che è poco incline a restare senza i piaceri della carne e dunque come futuro vescovo cui si richiederebbe la continenza per il regno dei cieli sarebbe inaffidabile. Preciso che non è importante questionare se dal punto di vista della nostra filosofia morale moderna questo pregiudizio contro le persone sposate due volte sia sensato, è molto più utile accertarsi se secondo la mentalità del mondo antico tale pregiudizio effettivamente esisteva. Non è il nostro metro morale contemporaneo la misura degli usi e dei costumi di una società del I secolo. Ecco le parole di Papa Siricio che come ricordo riferisce ai vescovi africani le decisioni del sinodo Romano: “Egli (Paolo) non ha parlato di un uomo che persisterebbe nel desiderio di generare ma ha parlato in vista della continenza che avrebbero da osservare in futuro (propter continentiam futuram)”12.
C. Cochini nel suo monumentale studio sull’origine del celibato, in linea con papa Siricio, così commenta la clausola paolina: “ La monogamia, (ossia la legge dell’unius uxoris vir) è una condizione per accedere agli Ordini, perché la fedeltà (finora osservata) a una sola donna è la garanzia per verificare che il candidato sarà capace (in futuro) di praticare la continenza perfetta che verrà chiesta da lui dopo l'ordinazione.(…) Questa esegesi delle prescrizioni di san Paolo a Timoteo e a Tito è un anello essenziale col quale i vescovi del sinodo romano del 386 e il papa Siricio si situano in continuità con l'età apostolica.” 13
Ovviamente questa non è l’unica esegesi dell’ unius uxoris vir, altri sostengono che, siccome si poteva ordinare un uomo già sposato, l’apostolo qui stesse semplicemente dicendo che era impossibile ordinare coloro che vivevano da bigami, cioè con due mogli simultaneamente; ciò che rende improbabile questa tesi è che in quegli anni nel mondo antico la poligamia era molto rara e in alcuni casi esplicitamente fuori legge.
Anche Innocenzo I (401-417) si occupò della continenza dei ministri cristiani a causa di una richiesta sulle misure disciplinari da adottare proveniente dai vescovi della Gallia, anch’essi col problema di un clero sposato, e così scrisse: “Molti vescovi in varie chiese particolari si sono affrettati in umana temerarietà di cambiare le tradizioni dei Padri per cui sono incappati nel buio dell’eresia preferendo così l’onore presso gli uomini ai meriti presso Dio”14
In particolare alla terza domanda dei vescovi gallici si dà la seguente risposta: “In primo luogo è stato deciso riguardo ai vescovi, sacerdoti e diaconi che debbono partecipare ai sacrifici divini, attraverso le mani dei quali viene comunicata la grazia del battesimo e offerto il Corpo di Cristo, che vengono costretti non solo da noi ma dalle Scritture divine alla castità: ai quali anche i Padri hanno ingiunto di conservare la continenza corporale"
C’è dunque la consapevolezza che non si tratta di una imposizione recente ma di une obbligo derivante dalla Scrittura e della tradizione universale, che solo per lassismo e mancata educazione alla continenza crea problemi ai chierici. Uno dei motivi per cui dal II Concilio Trullano in poi la tradizione antica in Oriente sarà perduta mentre in Occidente s’è conservata è proprio la continua perseveranza dei pontefici nel ribadire questo dettame apostolico; una simile attenzione in Oriente non era possibile sia per la mancanza di un governo centrale com’era quello romano in Occidente sia perché il II Concilio Trullano più che introdurre una novità si arrendeva ad un dato di fatto, la mancata continenza del clero dovuta al fatto che non s’erano presi provvedimenti in tempo. Un altro intervento del sollecito magistero romano sulla questione lo troviamo in una lettera del 456 che San Leone Magno scrisse al vescovo Rustico di Narbonne: “La legge della continenza è la stessa per i ministri dell'altare (diaconi) come per i sacerdoti e i vescovi. Quando erano ancora laici e lettori era loro permesso di sposarsi e di generare figli. Ma assurgendo ai gradi suddetti è cominciato per loro il non essere più lecito ciò che lo era prima. Affinché perciò il matrimonio carnale diventasse un matrimonio spirituale è necessario che le spose di prima non già si mandassero via ma che si avessero come se non le avessero( cf. 1Cor 7,29), affinché così rimanesse salvo l'amore coniugale ma cessasse allo stesso tempo anche l'uso del matrimonio".15
Si afferma qui qualcosa di già risaputo: la coabitazione con le spose non poteva continuare ed esse dovevano essere mantenute dalla Chiesa.
Non limitiamoci però solo ai papi e sentiamo dunque anche gli altri grandi esponenti della Traditio apostolica, Ambrogio (333-397) in primis, uno dei più importanti vescovi della storia dell’Occidente. Egli, che in ragione della sua precedente professione di giurista era particolarmente versato in simili questioni, è altrettanto chiaro nell’indicare che chi è stato ordinato non può continuare l’uso del matrimonio: “L’autorità apostolica non invita a generare bambini durante la propria carriera sacerdotale; l’apostolo ha infatti parlato di un ministro che ha già dei bambini,non di qualcuno che ne genera degli altri o che ha contratto un nuovo matrimonio. » 16
La stessa spiegazione di Siricio dunque, e viene ancora respinto l’esempio dei sacerdoti dell’Antico Testamento con la motivazione già addotta: il ministero del presbyteros cristiano è costante, non limitato a certe parti dell’anno.17
L'Ambrosiaster 18 ( 366-384) tratta a due riprese della continenza dei chierici. In un commento alla prima lettera di Timoteo 19 argomenta al modo si Siricio: l’Apostolo avrebbe detto ai vescovi, con la formula marito di una sola moglie, “che si rendano ben conto che potranno ottenere ciò che domandano, se d’altronde si astengono ormai dall’uso del matrimonio.” Avrebbe cioè ricordato ai futuri vescovi che quella carriera avrebbe loro impedito di avere altre mogli, oltre al fatto che in quella che già avevano quali presbiteri si astenevano dalla vita sessuale. In un passo delle Quaestiones veteris et novi Testamenti emerge con chiarezza il pensiero dei Padri nel loro insieme sulla questione “Si potrà dire: se è permesso e buono il matrimonio, perché non è permesso ai preti di prender moglie? Altrimenti detto: perché gli uomini ordinati non possono più unirsi ad una sposa? In effetti ci sono delle cose che non sono permesse a nessuno, senza alcuna eccezione, ce ne sono, d’altra parte, alcune che sono permesse a uno, ma non ad altri, e ce ne sono infine che sono permesse in certi momenti ma non in altri. …. E per questo che il prete di Dio dev’essere più puro degli altri; infatti egli passa per Suo rappresentante personale, ed è effettivamente suo vicario, avendo in sorte che ciò che è permesso agli altri non è permesso a lui … Infatti, confrontate alla luce dei lampi, le tenebre non sono solamente oscure ma squallide; rapportata alle stelle, la luce delle lampade non è che nebbia, e contemporaneamente paragonate col sole, le stelle sono oscure, e, se raffrontato con lo splendore di Dio, il sole non è che la notte.. Così, le cose che in rapporto a noi sono lecite e pure, sono illecite ed impure dinnanzi alla dignità di Dio; infatti, per quanto buone siano, non convengono alla persona di Dio. E’ per questo che i preti di Dio devono essere più puri degli altri, essendo loro donato di rappresentare Cristo”20.
Veniamo poi alla testimonianza del più grande biblista dell’antichità, San Girolamo (347-419), l’autore della Vulgata, che pur essendo uno dei padri latini visse gran parte della sua vita in Oriente e in Terra Santa, ci sarà utile per capire quale fosse la ricezione del versetto paolino sull’unius uxoris vir in tutto l’ecumene e soprattutto sul celibato in generale. Nell’ Adversus Jovinianum dà la stessa esegesi della clausola paolina che finora abbiamo trovato dovunque : l’apostolo tratta di un uomo che ha potuto avere bambini prima della sua ordinazione (e che ha il compito di ben educarli), non di qualcuno che continuerebbe in seguito a generarne 21. Ritorna poi sulla santità del servizio divino e della preghiera dicendo, come tutti gli altri Padri, che a differenza dell’Antico Testamento i sacerdoti cristiani attendono a questo compito ininterrottamente, in una formula assai decisa ed icastica esprime tutto il pensiero della Traditio: “si semper orandum et ergo semper carendum matrimonio”22 Nell’importante Adversus Vigilantium ripete che i ministri sacri all’altare hanno l’obbligo della continenza, e, en passant, ci informa che questa è la pratica di tutto l’Oriente, dove si accettano per il presbiterato solo o celibi o comunque persone che abbiano rinunciato al matrimonio: “Che farebbero le Chiese d’Oriente? Che farebbero quelle dell’Egitto o della Siria o della Sede Apostolica che non accettano i chierici che non siano vergini o continenti, o, se hanno avuto una sposa, che non abbiano rinunciato alla vita matrimoniale”23
E’ dunque qualcosa non di romano ma qualcosa che appartiene a tutte le Chiese dell’ecumene, una Traditio apostolica universale. Stessi concetti nell’Apologeticum ad Pammachium dove questo grande biblista ci informa che gli apostoli erano ”o vergini o continenti dopo il matrimonio”24 e aggiunge che “i preti, i vescovi, i diaconi sono scelti vergini o vedovi o certamente pudichi dopo il sacerdozio”25 , e quando alla motivazione riporta la giustificazione teologica classica secondo cui la verginità del presbyteros dipende ed è immagine di quella di Gesù e della Vergine:
”Il Cristo vergine e la vergine Maria hanno per ciascun sesso consacrato il principio della verginità: gli apostoli furono o vergini o continenti dopo il matrimonio”26
Da un altro grande testimone della tradizione, papa Gregorio Magno, traiamo le stesse affermazioni. Afferma che l’obbligo del celibato non è opera sua ma Traditio apostolica. Basti qui citare un suo bel brano ove oltre a elogiare in generale la continenza anche per i laici spiega perché questo voto sia perpetuo: “Si devono pertanto ammonire coloro che non sanno resistere alle tempeste della tentazione senza mettere a repentaglio la loro salvezza, di rifugiarsi nel porto del matrimonio; sta scritto infatti: E’ meglio sposarsi che bruciare (1Cor 7,9). Senza colpa alcuna, cioè, si rifugiano nella vita matrimoniale, se tuttavia non hanno ancora scelto uno stato migliore, perché chi si è proposto di abbracciare un bene maggiore, ha reso illecito il bene minore che prima gli era lecito. Sta scritto infatti: Nessuno che metta la mano all’aratro e guardi indietro è atto per il regno dei cieli (Lc 9,62). Ora, chi ha diretto l’intenzione a una meta più alta guarda certamente indietro se abbandona i beni maggiori e ritorna ai beni inferiori.”27
Gregorio Magno è autore anche di un altro chiarimento, questo sì non palese nell’età antica, non era cioè chiaro se oltre al diaconato anche il suddiaconato appartenesse agli ordini maggiori e dunque richiedesse la castità. Papa Gregorio specifica che è richiesta anche per loro.28 Ma il pontefice era anche paladino di un’altra causa, cioè che fosse rispettato il divieto per le donne non autorizzate di abitare insieme al sacerdote. A questo proposito faceva una significativa osservazione sul terzo canone del Concilio di Nicea: “Questo grande sinodo proibisce assolutamente ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e in genere a qualsiasi membro del clero di tenere delle donne di nascosto, a meno che non tratti della propria madre, di una sorella, di una zia, o di persone che siano al di sopra di ogni sospetto.” Tra queste non figura la moglie, impossibile dunque per gli ortodossi sostenere che la loro prassi attuale derivante dal II Concilio Trullano fosse quella antica. Per quanto riguarda l’Occidente non v’è dunque dubbio che venissero ordinati preti sposati purché in seguito mantenessero la continenza, ciò oltre che essere patrimonio comune di tutta la patristica venne anche ribadito da una molteplicità di sinodi tenutisi in occidente soprattutto in Spagna e nelle Gallie. Tuttavia cogli anni crescerà nella Chiesa la prassi di ordinare sempre più persone celibi e sempre meno sposati, l’esperienza infatti aveva dimostrato la debolezza umana di coloro che, essendo stati già maritati, una volta divenuti continenti, difficilmente riuscivano a rinunciare del tutto ai precedenti piaceri della carne. Meglio ordinare dei celibi, e, come istituirà il Concilio di Trento, educati nei seminari sin dalla gioventù alla castità. Quanto alla scienza canonistica classica medioevale, cioè i glossatori delle norme ecclesiastiche finora accumulate, a causa delle falsificazioni di documenti operate dal II Concilio Trullano, riconoscevano indistintamente sia la validità della prassi orientale sia di quella occidentale, ritenuta comunque più antica. A questo proposito Raymundo da Peñafort così argomenta: “I vescovi, i sacerdoti e i diaconi devono osservare la continenza anche con le loro spose (di prima). Questo hanno insegnato gli apostoli con il loro esempio e anche con le loro disposizioni come dicono alcuni secondo i quali la parola "insegnamento" (Dist. 84, can. 3) può essere interpretata in maniera varia. Ciò è stato rinnovato nel Concilio di Cartagine, come nella citata disposizione Cum in merito di Papa Siricio"29. Quanto alle ragioni teologiche della continenza: "La ragione era duplice: sia la purezza sacerdotale, affinché così possano ottenere in tutta sincerità ciò che con la loro preghiera chiedono a Dio (Dist. 84, cap. 3 e dict. p.c. 1 Dist. 31); la seconda ragione è che possano pregare senza impedimenti (1 Cor 7,5) ed esercitare il loro ufficio; perché non possono fare le due cose insieme: cioè servire la moglie e la Chiesa"30.
Prima di passare ai Padri Orientali sentiamo un esponente della Chiesa Africana, Sant’Agostino di Ippona, che partecipò al sopramenzionato Concilio di Cartagine ove l’apostolicità del comandamento al celibato era stata ribadita. Nella sua dissertazione “De coniugiis adulterinis” afferma che i chierici tenuti alla continenza sono d’esempio anche per quei laici che vivono lontani dalla propria sposa e quindi sono esposti alla tentazione di tradirle.31
Per quanto concerne l’Oriente basti citare Epifanio di Salamina, grande difensore dell’ortodossia, vescovo dell’isola di Cipro (315-403), nei suoi 86 anni di vita girò il mondo e conobbe la tradizione degli apostoli così come era in ogni Chiesa. Afferma che Dio ha mostrato nel mondo il carisma del sacerdozio grazie agli uomini che o sono divenuti celibi dopo l’ordinazione o furono sempre vergini. Questa, ci dice Epifanio al pari di tutti gli altri, è norma stabilità dagli apostoli in sapienza e santità. 32 Diceva questo all’interno di una confutazione dei montanisti, i quali rifiutavano il matrimonio, dicendo che non c’è nulla di più contrario ai voleri del Signore il quale scelse gli apostoli anche fra gente sposata, tuttavia precisa che essi dopo la chiamata seguirono l’esempio di Cristo e si mantennero casti. E’ vero che ci sono alcuni che trasgrediscono questa norma, ma il fatto che ci sia qualcuno che trasgredisce ciò che è comandato, argomenta Epifanio, non autorizza anche noi a fare lo stesso.33 Per una dichiarazione generale di Epifanio su quale fosse la disciplina ecclesiastica di mandato apostolico si può leggere anche il seguente testo: “In mancanza di vergini il sacerdote si recluta fra i monaci; se non ci sono monaci in numero sufficiente per il ministero, si recluta tra gli sposi che serbano la continenza con la propria moglie, o tra gli ex-monogami vedovi; ma nella Chiesa non è permesso di ammettere al matrimonio l’uomo risposato (ennesima testimonianza sul senso dell’unius uxoris vir paolino N.d.R. ); anche se ora serba la continenza o è vedovo, è escluso dall’ordine dei vescovi, dei preti, dei diaconi e dei suddiaconi”34
Checché ne dicano i moderni detrattori dunque l’esegesi corretta della clausola paolina era chiara a tutto il mondo antico e aveva tutt’altro significato rispetto a quello invocato da TdG e protestanti, specie perché questo ci viene detto anche dai Padri greci, che la loro lingua la conoscevano evidentemente. Il corretto modo di intendere il versetto è patrimonio comune di tutto l’ecumene antico, si possono leggere a questo proposito:
-Eusebio di Cesarea, La dimostrazione Evangelica. I, 9 (QCS 23, 43).
-Epifanio di Salamina, Panarion, Eresia 59 ; -Esposizione della fede, 21 (GCS 31, 367 ; 37, 522).
-San Giovanni Crisostomo, Commento alla prima lettera a Timoteo, cap. III, hom. 10 (PG 62, 547-549).
- Ambrosiaster, Commento alla prima lettera a Timoteo. 111, 12 (PL 17, 497).
- Sant’Ambrogio, Ep. 63.Lettera alla Chiesa di Vercelli. 62-63 (PL 16, 1257-1258).
-San Girolamo, Adversus Jovinianum. I, 34 ; Ep. 49, Apologeticum ad Pammachium, 10 et 21 ; Adversus Vigilantium. 2 (PL 23, 257 ; CSEL 54, 365 et 386-387 ; PL 23, 340-341).
- Sant’ Isidoro di Siviglia . De ecclesiasticis officiis. II, 5, 8 (PL 83, 783, 790).
Bicchiere mezzo pieno
00venerdì 23 novembre 2007 23:40
Parte due

La testimonianza di San Girolamo già riportata, la quale ci parla della continenza del clero come prassi comune in Oriente, è particolarmente importante a motivo del cosmopolitismo del santo e della sua conoscenza delle pratiche di tutto l’ecumene. Basti ricordare che fu ordinato prete in Asia minore ove dimorò per sei anni incontrando le più grandi personalità del suo tempo. Dopo tre anni a Roma andò in Egitto ed in seguito in Palestina ove dimorò sino alla morte, la sua testimonianza su quella che era la prassi celibataria in Oriente è dunque di capitale importanza. Essendo questo uno studio rivolto prevalentemente ai TdG tralascerò di spiegare come da questa situazione si arrivò alla legislazione orientale trullana di fine VII secolo, in particolar modo di come questo Concilio per trovare un appiglio di ciò che voleva decretare arrivò a falsificare gli atti del Concilio di Cartagine. Rimando simile controversia ad un confronto coi fratelli bizantini, qui basterà dire che il II Trullano s’era limitato ad arrendersi davanti al dato di fatto, che vedeva la Chiesa bizantina colma di preti sposati per nulla intenzionati a conservarsi casti. C’è da dire tuttavia che il II Concilio Trullano conserva l’obbligo di continenza per i vescovi e proibisce i matrimoni dopo che si è stati ordinati, conservando in ciò il senso della clausola paolina dell’unius uxoris vir. Inoltre, come punto teologico notevole, il presbyteros sposato deve comunque conservare la continenza nei giorni in cui serve all’altare, norma possibile col fatto che in Oriente la messa era limitata allora alla domenica. Oggi tuttavia anche in Oriente essa può essere detta tutti i giorni e dunque il clero ortodosso si rivela incoerente con la legislazione trullana stessa da cui oggi dipende.
Venendo ora ai fondamenti teologici del celibato, per i quali comunque si rimanda ad opere specifiche 35, è sinteticamente necessario dire che essi si basano sull’affinità tra il sacerdote e Cristo. Il sacerdote rappresenta Cristo fra i fedeli, così San Paolo scrive: “L’uomo ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio”(1Cor 4,1) o 2Cor 5,20: “Noi dunque fungiamo da ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio”, il sacerdote deve poter dire con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20)
A questo proposito Giovanni Paolo II così riassume l’unione tra il presbyteros e Cristo sacerdote:
“La volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l’Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l’ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore"36
Ciò è il nucleo di tutta la teologia celibataria, il sacerdote segue il suo maestro quando disse: “Vi sono alcuni che si fanno eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire capisca” (Mt 19,12), giacché non vive più secondo la carne ma secondo lo Spirito (Rm 8,8) Così presi dal regno di Dio che non si può avere altro per la testa. A questo proposito mi viene in mente l’esempio di Rabbi ben Azzai, che a fine I secolo osserva il celibato: pur insegnando che era bene sposarsi e che anzi procreare era un dovere perché così si perpetuava il popolo ebraico, diceva di sé: “La mia anima è presa dalla Thora, è così assorbita che non mi rimane tempo per le cose del matrimonio. Il mondo continuerà per opera di altri”37
I modelli biblici non mancano, pensiamo ad esempio ai tre giorni di continenza di Tobia all’inizio del suo matrimonio, secondo alcune versioni di Tb 6,12-22, o Geremia “Non prender moglie” (Ger 16,1), l’Haggada inoltre attribuisce a Elia ed Eliseo una perfetta continenza dopo la vocazione. Ci sono poi precedenti tra gli esseni, o in una comunità di vergini descritta da Filone.38

Davvero pietoso infine il tentativo della Torre di Guardia che nella Svegliatevi!del 8/11/85 pagg. 4-6 cerca di instillare la convinzione secondo cui la scelta della continenza dei presbyteroi sarebbe di origine pagana. A questo proposito opera uno sconvolgente collage di citazioni che può solo lasciare di sasso chiunque abbia una formazione accademica sulle religioni del mondo classico. Una messa in scena fatta di accostamenti arbitrari, episodi del mondo antico presi a casaccio e senza contestualizzazione. La WTS evidentemente non s’è ancora resa conto che il comparativismo selvaggio con cui ama giocare è fuori moda da cinquant’anni nel mondo della ricerca accademica. Non basta trovare dei paralleli più o meno tirati per i capelli, perché questi esistono anche tra popoli che non si sono mai incontrati, bisogna anche dimostrare che c’è effettivamente stato un travaso di idee su un determinato argomento, e soprattutto chiedersi se non sia più facile rintracciare una genesi del celibato interna al cristianesimo stesso (e San Paolo ne dà tutte le basi), senza bisogno di invocare il sacerdozio pagano nel quale la castità non era la norma, come invece vuol far passare quell’articolo, anzi era qualcosa di più unico che raro. Per dissipare la nebbia creata dalle citazioni alla rinfusa dalla WTS sarà il caso di dire qualcosa sugli operatori rituali nel mondo classico e menzionare quei pochi casi in cui abbiamo notizia di una continenza richiesta. Anzitutto tutti gli storici delle religioni fanno notare da decenni che per il mondo greco-romano non ha senso parlare della categoria “clero”, anzi, non ci sono quasi mai forme di sacerdozio istituzionalizzate definitive e permanenti. Si è soliti distinguere tra cariche religione nominate dalla città per un tempo determinato, ad esempio un anno, e invece ruoli più permanenti che nascono e muoiono all’interno di qualche grande santuario panellenico come Delfi, in teoria indipendente da qualunque polis. Vale a dire che gli operatori rituali di una città non sono quelli di un’altra città, non c’è qualcosa come un sacerdozio universale né qualcuno che lo conferisca, si tratta di cariche date dalle singole polis o dai santuari indipendenti per le quali non serve alcuna chiamata divina, basta essere dei cittadini con dei requisiti quali ad esempio una famiglia onorata o non essere degli omicidi. Tanto per fare un esempio sia Giulio Cesare sia Ottaviano Augusto hanno esercitato per un periodo di tempo la professione di pontifices, ma nessuno pensando a loro si sognerebbe di etichettarli come sacerdoti. Di solito le cariche religiose del mondo classico hanno il compito di organizzare le feste della polis sotto il profilo economico, di attendere ai sacrifici, di prendersi cura della statua del dio nel tempio, non legiferano ma prendono ordini dalla Boulê39, ecc., ma l’aspetto finanziario è preponderante nel numero delle designazioni che ci sono pervenute, ad esempio gli Ieropi o gli Epimeleti ad Atene. Sono considerate cariche “religiose” anche quelle giudiziarie dei magistrati, in quanto per le società antiche la distinzione tra sacro e profano non funziona, tutta la società è permeata dalla religione. Non si è delegati da qualche Chiesa ma dalla città-stato, non occorre una qualche particolare vocazione ma solo essere in grado di eseguire i compiti religiosi che la polis affida, e dopo un tempo più o meno lungo (ad esempio un anno) tornarsene alla vita di prima. Tutto ciò come si vede non ha nulla a che fare col sacerdozio cattolico. Se le cariche di operatore rituale permanente sono una percentuale spaventosamente esigua, quelle che fra queste esigevano la castità erano ancora meno, si aggiunga che spesso era solo castità relativa a certi periodi. Come dicevo le cariche con verginità permanete si contano letteralmente sulle dita e sono talmente legate ad un certo luogo, talmente caratteristiche, che i deliri di contaminazione cui allude la WTS sono solo un rozzo tentativo di mettere insieme due citazioni. Per fare qualche esempio ad Orcomeno in Arcadia il sacerdote e la sacerdotessa di Artemide non potevano lavarsi, entrare in una casa privata, e dovevano mantenersi casti a vita. Le stranezze nel mondo antico non mancavano certo, a Dodona i Selloi non potevano lavarsi i piedi e nel tempio di Atena nella Locride alcune fanciulle erano destinata alla prostituzione sacra per espiare la violenza di Aiace su Cassandra (questa sì assai frequente nelle civiltà antiche). Tornando alla castità il Megabizos di Efeso era costretto alla castrazione rituale, ma non per questo Cristo dando i suoi precetti su coloro che si fanno eunuchi per il regno dei cieli copiava da lui. Dico questo per mostrare quale potrebbe essere il tipico ragionamento da “comparativismo selvaggio”, di cui la WTS fa ampio uso ogni volta che deve parlare della Trinità o della vergine Maria: ci sono cioè casi in cui la somiglianza tra le pratiche sta solo nel nome che esse hanno e non nel contenuto o nel contesto in cui sono inserite.
Venendo ad altri modelli, le fonti antiche ci riferiscono che ad esempio nei misteri di Cibele ed Attis i sacerdoti maschi, per emulare la sorte del Dio, danzavano intorno ad un albero su un monte in stato di trans e si eviravano, in questo modo Attis poteva cerimonialmente tornare in vita. Sono pochi gli esempi di celibato da aggiungere e ve li risparmio, basterà dire che oltre a non essere per nulla panellenici (cioè erano tipici solo di determinate consuetudini locali), si legano a tradizioni estreme e particolari che nessun fascino potevano esercitare sui cristiani. Nel paganesimo greco-romano la castità non c’entra nulla col sacerdozio in generale. Non c’è alcun bisogno di tirare in ballo i pagani per giustificare il valore della castità cristiana se si può trovare una genesi interna al cristianesimo; oltre alle esplicite parole di Gesù che basterebbero da sole per vanificare i tentativi della WTS nell’additare cause esogene, sarà utile riflettere sul 1Cor 7. Qui San Paolo rivolgendosi ai laici dice che “colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio.” Infatti “chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!”(1Cor 7,32-34). E se è tenuta in tal conto da San Paolo la verginità tra i laici, quanto più tra i presbyteroi. Il sacerdote vuole appunto essere tutto per Cristo, non essere diviso(1Cor7,34). Sulle obiezioni al celibato derivate da (1Tm 3,2) ove appare la formula dell’unius uxoris vir abbiamo già detto, riassumiamo quella che è l’unanime Traditio apostolica con le lapidarie parole del Decreto di Graziano , dove, come del resto in tutti i Padri, la clausola paolina non viene letta come un argomento contro il celibato ma anzi come pro-continenza, infatti “colui che aveva bisogno di riposarsi dimostrava con ciò che non poteva vivere la continenza richiesta ai sacri ministri e perciò non poteva essere ordinato”40, a motivo di ciò nell’illustrare le ragioni per cui un risposato non possa essere ordinato la Glossa ordinaria al decreto di Graziano adduce l’argomento classico41. Stessa cosa il Decretalista Hostiens spiega nel suo commento alle Decretali di Gregorio IX: “Perché si deve temere (in questo caso) l'incontinenza"42
Così dunque dall’interpretazione dei Padri sino ai glossatori classici, nonché il canone 3 della legislazione trullana stessa, che è incomprensibile senza dare il senso succitato al passo della lettera Timoteo, su questo gli ortodossi che usano il passo di Paolo in senso anti-celibatario dovrebbero riflettere. Questo bellissimo testo patristico riassume tutto quanto abbiamo detto finora:

“Coloro che evitano il matrimonio, non ritengono colpa la benedizione delle nozze, ma sono convinti che il giogo della continenza è migliore delle nozze di per sé buone: e questo tanto più in quanto è detto, della continenza: Chi può capire, capisca (Mt 19,12), e delle nozze, invece: Chi non sa contenersi si sposi (1Cor 7,9). In un passo si eleva l’esortazione alla virtù, nell’altro si propone il rimedio alla debolezza. Perciò, dovendosi sempre curare la malattia, se qualcuno sarà privato del primo matrimonio può, se vuole, contrarre un secondo e un terzo matrimonio, e non ne avrà colpa se li osserverà nella castità, cioè se lui e lei, legittimamente sposati, conservano la fedeltà reciproca e né lui si unisce ad altre donne oltre a sua moglie, né lei si unisce ad altri uomini oltre a suo marito. E se in ciò vi fosse qualche eccesso coniugale, vi sarà qualche colpa, ma solo veniale, purché non si violi il letto legittimo. Ma ciò vale di chi non ha mai votato continenza a Dio. Peraltro chi si è evirato per il regno dei cieli e nel suo cuore ha votato continenza a Dio, sarà condannato, secondo la sentenza dell’Apostolo, non solo se si macchierà della colpa mortale di fornicazione, ma anche se vorrà maritarsi o prender moglie, per essere venuto meno alla parola data (cf. 1Tm 5,12). Come è giusto infatti, secondo la sentenza dell’Apostolo (cf. 1Cor 7,3), che la moglie renda il suo debito al marito e il marito alla moglie e che chi si sposa non pecca e se la vergine sposa non pecca, così parimenti, secondo il detto dello stesso Apostolo, chi in cuor suo, senza nessuna costrizione ma nella piena libertà della propria volontà, avrà votato continenza a Dio, deve custodirla con tutto l’impegno del suo intimo sino alla fine, per non essere condannato per esser venuto meno alla parola data.” Fulgenzio di Ruspe, Regola della Fede, 3,43-44

E’ interessante una citazione fatta da Fulgenzio, secondo cui sarà condannato chi ha votato continenza a Dio e in seguito “vorrà maritarsi o prender moglie, per essere venuto meno alla parola data (cf. 1Tm 5,12)” Che cosa c’entra quella citazione? Si parla in questo contesto delle vedove, e siamo dinnanzi all’ennesima conferma della interpretazione classica della clausola paolina, infatti compare anche qui nel suo corrispettivo femminile “unius viri uxor” (1Tm 5,9), “moglie di un solo uomo”, che ovviamente va intesa come “sposata una sola volta” visto che si dice che è vedova. “La donna veramente vedova e che sia rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all’orazione e alla preghiera giorno e notte; al contrario quella che si dà ai piaceri, anche se vive, è già morta. (…) Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant’anni, sia andata sposa una sola volta, abbia la testimonianza di opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene. Le vedove più giovani non accettarle perché, non appena vengono prese da desideri indegni di Cristo, vogliono sposarsi di nuovo e si attirano così un giudizio di condanna per aver trascurato la loro prima fede.” (1Tm 5, 5-12)

La funzione delle vedove nella Chiesa primitiva, di cui c’era pure un catalogo, è descritta come un ministero, molto simile al diaconato. Sentiamo Ignace de la Potterie a tal proposito: “D'altra parte, si deve osservare anche che la formula complementare “unius viri uxor” (1Tm 5,9) viene usata soltanto per una vedova di almeno sessant'anni, ossia, non per una cristiana qualsiasi, ma per una donna anziana che esercitava anch'essa un ministero nella comunità (possiamo paragonarlo a quello delle diaconesse nella tradizione antica). Il carattere stereotipato di questa formula delle Pastorali fa sospettare che doveva essere già radicata in una lunga tradizione biblica.”43
Di queste vedove consacrate, così come per i preti, si dice che devono essere “non sposate che una sola volta”, e questo è configurato come un requisito per accedere ad una ministero, compito che esige la castità la cui trasgressione è punita (1Tm 5,12), anche qui, come per i vescovi, il motivo per cui non vengono accettate le giovani o le risposate è il pericolo di incontinenza. Abbiamo dunque trovato un parallelo femminile al maschile “unius uxoris vir”, svelando (e riconfermando) il significato della formula.

A questo punto si leva un'altra obiezione biblica contro il celibato, il versetto paolino:
“Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?Ovvero solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai presta servizio militare a proprie spese?” (1Cor 9,5)
Il testo greco ha adelphê gynaika, dunque la traduzione letterale è "non abbiamo il diritto di condurre con noi una donna sorella, come fanno gli altri apostoli, i fratelli del Signore e Cefa?"
"Donna sorella" vuol dire ovviamente sorella in fede, e dunque "donna credente". Vi si può vedere sia una moglie sia le donne che assistevano gli apostoli e Cristo nei loro viaggi (Lc 8,2-3).
Alla luce di quanto detto sopra, cioè che si ordinavano tranquillamente preti sposati purché mantenessero in seguito la continenza, se anche si trattasse di mogli il versetto non modificherebbe di una virgola quello che già sappiamo. Questi presyteroi avrebbero semplicemente applicato il motto di Paolo “Quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero” (1Cor 7,29)
Inoltre è mio parere che nel passo Paolo non parli di mogli, dice alle malelingue dalle quali viene accusato che egli ha il diritto di portare con se una donna credente, ma l’apostolo non era sposato quindi questa donna che si portava dietro evidentemente aveva altri compiti. il versetto dice: “solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare?” Il motivo è ovvio, se predichi a tempo pieno non lavori, ma allora come ti mantieni, come ti compri e prepari il cibo se non lavori? Si dice chiaramente altrove che spesso erano le donne a mantenere i discepoli: “Lo seguivano i suoi dodici discepoli, insieme ad alcune donne che aveva liberato dai demoni e guarito dalle malattie. Fra loro c'erano Maria Maddalena, da cui Gesù aveva cacciato sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore del re Erode, Susanna e molte altre che contribuivano coi loro mezzi al sostenimento di Gesù e dei suoi discepoli.” (Lc 8,2-3)
Le malelingue nascono proprio dal fatto che Paolo fa la figura del mantenuto da una donna, la quale evidentemente era arricchita. Ma può benissimo anche non esser così, secondo molti qui Paolo esorta semplicemente la comunità affinché mantenga la donna che si portava appresso per le faccende femminili a cui egli non aveva tempo di attendere, come cucinarsi il pasto, ecc. Oppure siccome parla anche di Cefa sta dicendo che le mogli degli apostoli dovevano essere mantenute dalla comunità e non abbandonate. Ciò trova puntuale riferimento nella legislazione ecclesiastica successiva, infatti le mogli di un uomo in seguito ordinato sacerdote dovevano essere mantenute dalla comunità cristiana. Che gli apostoli avessero smesso di consumare il matrimonio con le loro mogli per darsi al regno dei cieli è detto dal Vangelo stesso:
“Pietro allora disse: "Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito". Ed egli rispose: "In verità vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà". (Lc 18,27-30)
Alla luce di quanto detto la prossima obiezione che presenterò non cambia nulla delle carte in tavola. Alcuni sostengono che debba per forza trattarsi di una “moglie sorella” e non di una “donna sorella” altrimenti “donna” sarebbe una precisazione inutile, non esistono infatti “uomini sorella”. Come già detto siccome il problema non è il matrimonio degli apostoli ma la continenza dopo la chiamata, se questa “adelphê gynaika” fosse una moglie non cambierebbe di una virgola il discorso. E’ bene tuttavia replicare che l’argomentazione appena presentata è fallace perché esige dalla lingua un grado di logicità e di coerenza che essa non ha, mi spiego subito. Paolo specifica “donna” non perché la parola “sorella” non fosse di per sé chiara, ma perché è proprio il fatto che sia una donna il fulcro della questione. Infatti un uomo che si fa mantenere da una donna secondo certa mentalità è disdicevole. Che sia una “donna” e non un uomo è proprio il punto del contendere, e Paolo lo rimarca. Parafrasandola, il senso della frase è “una donna che sia sorella”, se fosse stato messo così non avremmo avuto delle polemiche. Ed è inutile dire che “donna è pleonastico”, perché la lingua non è un’espressione matematica dove c’è solo l’essenziale ed ogni cosa aggiunta è un errore, le lingue naturali usano giri di parole, artifici retorici, ed il pleonasmo è appunto una delle figure retoriche che spesso si trovano: si insiste cioè su quanto già detto proprio perché si vuole rimarcare un punto. Tanto per fare un esempio nella sua lettera indirizzata all’altra metà del cielo, papa Giovanni Paolo II, siccome anche qui il punto focale era che si trattava della donne, scriveva questo passaggio:
“Grazie al Signore per il suo disegno sulla vocazione e la missione delle donna nel mondo, diventa anche un concreto e diretto grazie alle donne, a ciascuna donna, per ciò che essa rappresenta nella vita dell'umanità.
Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita. Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.
Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.” (Lettera di Giovanni Paolo II alle donne, 2)
Si capisce dunque perché chi taccia l’espressione “donna sorella” di ridondanza consideri la lingua al pari di un algoritmo algebrico e decreti la morte di ambiti del linguaggio come la retorica e la poesia, nonché dello stile epistolare di cui Paolo stesso si serve.
Si può fare ancora un passo avanti nell’analisi di quel “ donna sorella” in 1Cor 9,5 cercando cosa volesse dire quest’espressione nella letteratura cristiana antica. La ricerca anche questa volta conferma le conclusioni cui eravamo giunti precedentemente. Vale a dire che le mogli dei presbiteri dopo l’ordinazione dei mariti vengono definite “sorelle” proprio perché il marito aveva cessato ogni rapporto sessuale con loro ed era divenuto come un fratello (si tenga ben presente comunque che per ordinare un prete sposato era sempre necessario il consenso della moglie). Circa l’uso di “sorella” ad indicare una casta moglie di un sacerdote gli esempi sono molteplici, ne prenderemo in considerano solo alcuni. Gregorio Magno ad esempio scrive: “Il sacerdote dal tempo della sua ordinazione amerà la sua sacerdotessa (ossia la sua sposa) come una sorella”44 Il Concilio di Gerona: “Se sono stati ordinati coloro che prima erano sposati, non devono vivere insieme con colei che da sposa è diventata sorella”45 O il II Concilio di Auvergne che dispose: “Se un sacerdote o un diacono ha ricevuto l’ordine al servizio divino diventa subito da marito fratello di sua moglie”46
Simile uso è attestato in molti testi patristici e ci orientano verso un senso tecnico di “moglie sorella”.
L’ultima obiezione contro il celibato che mi risulti è accampata da ben pochi, ciò si deve all’ astoricità della critica . Si cita questo versetto dell’apostolo Paolo: “Lo Spirito dice apertamente che, negli ultimi tempi, taluni apostateranno dalla fede per aderire a spiriti ingannatori e a dottrine diaboliche. Colpa di ipocriti dottori di menzogna, segnati nella loro coscienza da un marchio bruciante, i quali ordinano di non sposarsi e di astenersi da alcuni cibi”. 1Tm. 4,1-3
Chiunque sappia qualcosa di antropologia religiosa o della storia dei movimenti ereticali sa benissimo che genere di fenomeni ha in mente Paolo, si tratta cioè di movimenti ereticali (a quel tempo gli gnostici) che avevano in sommo dispregio qualsiasi cosa riguardasse la materia e la carne, in quanto la credevano creata (a differenza dello spirito) da un dio inferiore e malvagio: il demiurgo. Queste idee attraversano i secoli e sono una sottile linea rossa che va dai manichei e dagli gnostici fino al catarismo medioevale. Poiché la materia e la carne sono intrinsecamente cattive allora lo è anche il sesso, anzi, procreare significa mandare avanti questo mondo malvagio. Costoro proibivano a chiunque di sposarsi perché avevano orrore di tutto ciò che ancorasse al mondo sensibile. Nulla di tutto ciò nella Chiesa che esalta il matrimonio e ritiene la materia positiva in quanto creata da Dio. Citare quel versetto è un palese esempio di come si possa ingannare coloro che non sono pratici con la storia delle religioni e dunque si lasciano abbindolare non conoscendo i veri obiettivi polemici di Paolo.
Vorrei dunque ricapitolare le argomentazioni pro celibato nella Bibbia ed implementarle: Cristo ha detto che ci sono alcuni che per il regno dei cieli scelgono di non sposarsi e i presbyteroi sono tra questi (Mt 19,12), dei quali è detto che lasciano anche casa e moglie (Lc 18, 19; 14,26). Paolo stesso parla del diverso rapporto che celibi e sposati hanno con Dio (1Cor 7,32-33), invitando addirittura alla castità tra coniugi in vista della preghiera(1Cor 7,5), a maggior ragione dunque tra i sacerdoti che servono Dio costantemente.
C’è poi un argomento lessicale. Elencando i requisiti per i ministri cristiani Paolo afferma che il vescovo dev’essere egkratês (Tt 1,8), ossia continente47. Il problema è che molte traduzioni lo rendono un po’ sciattamente con “padrone di sé”, ma che il termine riguardi nel lessico paolino la padronanza sessuale di sé, cioè la continenza, si può ricavare dal confronto con altri suoi testi, ad esempio: “ma se non sanno vivere in continenza(egkrateuontai) , si sposino; è meglio sposarsi che ardere” (1Cor 7,9), che non a caso Girolamo nella Vulgata rende: “si non se continet, nubat”. Il termine egkratês vuol dire continente anche in tutti i testi patristici successivi che parlano del celibato, è dunque un termine tecnico in questo caso, non è applicabile il suo significato generico.
Si potrà certo obiettare che in questa sintetica ricerca non s’è dimostrato il celibato dei preti come obbligo richiesto dal Nuovo Testamento ma s’è solo tentato di dimostrare che non v’è niente che lo smentisca. Ma se così è, cioè nulla vieta di credere che gli apostoli richiesero il celibato, con che argomento allora si può smentire la massiccia tradizione apostolica che abbiamo evidenziato nei Padri su quest’argomento? Qui non c’è nessuna fedeltà alla Scrittura da invocare perché, come dimostrato, le obiezioni sono cadute una per una, ed inoltre s’è già spiegato che il cristianesimo primitivo col Sola Scriptura protestante non c’entrava nulla: il NT come lo conosciamo noi neppure esisteva nei secoli che stiamo trattando; il criterio dell’ortodossia era in gran parte la Traditio universale tramandata dai vescovi in ciascuna Chiesa edificata dagli apostoli. Non sta scritto da nessuna parte che ci si debba attenere solo a quanto scritto (e, visto che il Nuovo Testamento non esisteva, scritto dove?), anzi, è affermato il contrario: “Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2Ts 2,15) Il Nuovo Testamento accenna appena alla struttura interna della Chiesa primitiva e ai suoi riti, alla sua “liturgia”, per la semplice ragione che queste faccende vengono normalmente insegnate per voce, si istruisce a quattrocchi, così gli apostoli ammaestrarono i presbyteroi nelle comunità che costituivano e così è giunto il cristianesimo in ogni punto dell’impero: con la voce. “Le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.” (2Tm 2,2)
E chiudo con un bel brano sulla virtù della verginità, a suggello di quanto finora detto su coloro che liberamente vogliono imitare Cristo:
“Sai bene e comprendi quanta gloria abbia in sé la purezza? Sai quale lode sublime, straordinaria, si serbi per la verginità? La santa Vergine portò nel suo seno il Figlio di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo; dalla santa Vergine egli assunse il suo corpo che destinò, in questo mondo, ai dolori e alle pene. Per questo motivo, almeno, sia chiara alla tua mente l’eccellenza, la dignità della verginità. Vuoi essere cristiano? Segui tutte le orme di Cristo. Giovanni [il Precursore] fu un angelo: al Signore nostro si addiceva un tale precursore, di cui non vi fu maggiore tra i nati di donna. E quel santo angelo del Signore fu vergine. Imita dunque questo nunzio del Signore, e ama lui al di sopra di tutto. Anche l’altro Giovanni, che riposò sul petto del Signore, fu santo: non fu senza motivo, infatti, che il Signore lo degnò della sua predilezione. E abbracciarono questa via anche Paolo, Barnaba e Timoteo, i cui nomi sono scritti nel libro della vita (cf. Fil 4,3); dedicandosi con tutto l’affetto dell’animo a questo tipo di santità, combatterono la stessa battaglia, condussero a termine senza demerito la gara, da imitatori di Cristo, come figli del Dio vivente. La Scrittura ci insegna lo stesso di Elia, di Eliseo e di molti altri patriarchi, la cui condotta fu immacolata. Se dunque desideri imitare costoro, imitali con forza. Sta scritto infatti: Ricordatevi dei vostri predecessori e considerando l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede (Eb 13,7).” (Pseudo-Clemente, Lettera ai Vergini, 5-6)

1 Cioè del II Concilio Trullano del 691 d.C., in cui viene data la legislazione ancora oggi vigente per la Chiesa Orientale in materia di celibato, in particolare al can. 13 si concede ai sacerdoti ordinati quand’erano già sposati di continuare a usufruire del proprio matrimonio. Ritorneremo su questo punto in seguito.
2 Cost. dogm. Lumen gentium, n. 29: AAS 57 (1965), p. 36
3 Sarà bene ricordare per chi non fosse al corrente che sono tre i gradi dell’ordine: diaconato, presbiterato, episcopato.
4 La prima volta che vengono nominati tutti e soli i 27 libri del Nuovo Testamento insieme è nella lettera festale di Atanasio del 367 d.C., cioè persino dopo Nicea. Per un approfondimento sulla fissazione del canone si può leggere una riassunto opera del dott. Nicolotti a questo link: www.christianismus.it/modules.php?name=News&file=article&sid...
5 Alfons M. Stickler, Il celibato ecclesiastico, la sua storia e i suoi fondamenti teologici, Città del Vaticano, 1994, Libreria Editrice Vaticana, pag. 15
6 Concilia Africae a. 345-525 (Ed. Munier in Corpus Christianorum Series Latina149Turnholti 1971), 13
7 Ricordiamo en passant che il vescovo Ireneo era discepolo di San Policarpo, il quale a sua volta discepolo di S. Giovanni, siamo dunque dinnanzi ad un testimone della primissima tradizione apostolica, separato da una sola generazione dalla bocca dell’evangelista.
8 Decretale “Directa”, Migne PL 13, 1131-1147
9 Sul legame tra servizio all’altare e continenza, cioè sulla sua motivazione biblica e teologica, torneremo in seguito.
10 Ignace de la Potterie, Il fondamento biblico del celibato ecclesiastico, in La Chiesa cattolica e l’importanza del celibato, Dossier Fides 11-03-2006
11 Stickler, op. cit. pag. 21
12 La decretale “ Cum in unum ” di papa Siricio qui citata è rinvenibile in PL 13, 1161 A
13 Cochini Christian, Origines apostoliques du célibat sacerdotal, Le Sycomore, Ed. Lethielleux, Paris 1981, Culture et verité, Narum, pag. 33
14 Lettera “Dominus inter”, Introduzione
15 PL 54, 1194
16 Llettera alla Chiesa di Vercelli 62,63 s. PL 16,1257
17 De officiis ministrorum I, 50: PL 16, 103-105
18 Pseudo-Ambrogio, denominazione che risale Erasmo da Rotterdam di un commentario latino a tredici epistole di San Paolo, le sue opere sono state tramandate erroneamente insieme a quelle del vescovo Ambrogio.
19 PL 17, 497
20 CSEL 50, 414-415
21 PL 23, 257
22 Ivi, tr. “Se bisogna sempre pregare dunque bisogna anche stare senza matrimonio”
23 PL 23, 340-341.
24 Ep 49, 21 – CSEL m54,285 s.
25 PL 22,510
26 CSEL 54, 365 et 386
27 Regola Pastorale, 3,27
28 Si veda PL 77,710
29 Liotta Filippo, la continenza dei chierici nel pensiero canonistico classico (da Graziano a Gregorio IX, Quaderni di Studi Senesi, 24, milano, Giuffrè, 1971,XII, pag. 374
30 Liotta, op. cit. 386 s.
31 II, 22- CSEL 41, 409 e PL 40, 486
32 Panarion (Adv. Haer.). Haer.48, 9 PG 41, 868, 1024 oppure Griech. Christl. Schriftsteller.31 (1921), 219
33 Panarion (Adv. Haer.). Haer.59, 4. GCS 31, 367
34 PG 42, 823 ss. Oppure GCS 37 (1933), 522
35 Ad esempio la Pastores dabo vobis di Giovanni Paolo II
36 Idem, n.29 verso la fine.
37 Strack-Billerbeck, Kommentar 1, p.807
38 Sulla questione del celibato in quegli anni rimando a René Laurentin, I vangeli dell’infanzia di Cristo, Cinisello Balsamo (Milano), 1986, Edizioni Paoline, pag. 555-556
39 Volendo semplificare in modo vergognoso era il parlamento di Atene, non ho tempo qui per definizioni più precise
40 Stickler, op.cit.pag. 59
41 Principio della Dist, 26
42 X, I, 21, 3
43 Ignace de la Potterie, ivi
44 Dialoghi, L. IV, C, 11: PL 77, 336
45 Can. 6
46 C. 13: Corpus Christianorum 148 A, 108
47 Per la valenza lessicale del termine si veda il GLNT del Kittel vol. II. Stuttgart 1935, 338-40

Bibliografia:

Alfons M. Stickler, Il celibato ecclesiastico, la sua storia e i suoi fondamenti teologici, Città del Vaticano, 1994, Libreria Editrice Vaticana
Cochini Christian, Origines apostoliques du célibat sacerdotal, Le Sycomore, Ed. Lethielleux, Paris 1981, Culture et verité, Narum
Ignace de la Potterie, Il fondamento biblico del celibato ecclesiastico, in La Chiesa cattolica e l’importanza del celibato, Dossier Fides 11-03-2006
René Laurentin, I vangeli dell’infanzia di Cristo, Cinisello Balsamo (Milano), 1986, Edizioni Paoline, pag. 555-556
Giovanni Paolo II, Pastores Dabo vobis, Città del Vaticano, 1992, Libreria Editrice Vaticana
Paolo VI, Sacerdotalis Caelibatus

Pubblicazioni dei Testimoni di Geova consultate:

Svegliatevi! 8/11/85 pagg. 4-6
Svegliatevi! 22/10/72 pagg. 9-13
La Torre di Guardia 15/10/96 pagg. 10-14
Perspicacia vol. 1 pag. 456
emanuele135
00sabato 24 novembre 2007 00:24
Sicuramente secondo la "religione degli uomini" è giusto che i ministri della chiesa non devono per OBBLIGO essere sposati.

Questo porta a commettere "gravi peccati" come si sente spesso in Tv!

Per la religione del "Vero Dio" invece è una scelta che ognuno deve fare secondo le proprie capacità.

Il Matrimonio è un dono di Dio e dalla descrizione della creazione di Genesi è chiaro che il matrimonio è “buono” agli occhi di Dio e non un ostacolo a una relazione spiritualmente pura con Dio.
Genesi 1:26-28, 31; 2:18, 22-24; vedi anche Proverbi 5:15-19

L’apostolo Pietro e altri approvati servitori di Dio che avevano posizioni di autorità nella congregazione cristiana primitiva erano sposati. (Matteo 8:14; Atti 18:2; 21:8, 9; 1 Corinti 9:5)

Le direttive date dall’apostolo Paolo a Timoteo riguardo alla nomina di sorveglianti di congregazione, o “vescovi”, lo rendono chiaro. Egli scrive: “Il vescovo bisogna che sia irreprensibile; marito di una sola donna”. (Il corsivo è nostro; 1 Timoteo 3:2, traduzione cattolica di G. Ricciotti) Notate che non c’è alcun cenno che per un “vescovo” sia sconveniente essere sposato.

Pur tenendo in alta stima il matrimonio, la Bibbia certo non condanna il celibato se è una libera scelta. La Bibbia lo raccomanda come una condizione preferibile per alcuni. (1 Corinti 7:7, 8)


Addirittura Paolo aveva avvertito che sarebbe successo qualcosa: Egli scrisse: “Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche . . . Costoro vieteranno il matrimonio”. — 1 Timoteo 4:1, 3, CEI.
emanuele135
00sabato 24 novembre 2007 08:44
C'è bisogno di un testo filosofico dove ci sono paradossi, ragionamenti filosofici ad altri riferimenti extra bibblici per "GIUSTIFICARE" una situazione che non viene da Dio ma viene dall'uomo. Certo la bibbia CONSIGLIA, a chi può resistere, di non sposarsi ma non è un OBBLIGO il celibato!!
Sono le Sacre Scritture ispirate da Dio a darci la giusta guida e se Dio è l'istitutore del Matrimonio non vedo perchè qualcuno ne debba essere OBBLIGATORIAMENTE privato. Non vedo perchè ci debbano essere categorie differenti nel senso che il cattolico, diciamo cosi del popolo, può sposarsi mentre il cattolico "ministro" non può farlo! E' assurdo e paradossale!!
Bicchiere mezzo pieno
00sabato 24 novembre 2007 15:04
Re:
emanuele135, 24/11/2007 8.44:

C'è bisogno di un testo filosofico dove ci sono paradossi, ragionamenti filosofici ad altri riferimenti extra bibblici per "GIUSTIFICARE" una situazione che non viene da Dio ma viene dall'uomo. Certo la bibbia CONSIGLIA, a chi può resistere, di non sposarsi ma non è un OBBLIGO il celibato!!
Sono le Sacre Scritture ispirate da Dio a darci la giusta guida e se Dio è l'istitutore del Matrimonio non vedo perchè qualcuno ne debba essere OBBLIGATORIAMENTE privato. Non vedo perchè ci debbano essere categorie differenti nel senso che il cattolico, diciamo cosi del popolo, può sposarsi mentre il cattolico "ministro" non può farlo! E' assurdo e paradossale!!



Come Mario70 (che non è cattolico) ti ha già scritto nel thread sulla trinità anch'io da dirti le stesse identiche parole:

"Come pensavo non sei qui per ricevere risposte, le hai gia trovate e non sei disposto al dialogo, nel senso di scambio di opinioni, vedo che non leggi neanche quello che ti si scrive, quindi non ho niente da dirti."

Infatti non hai letto nulla di quello che ho scritto, (tant'è che l'hai fatto stamattina e solo in maniera superficiale oltretutto) ma già ieri avevi risposto. Se avessi letto ti saresti accorto che le risposte alle tue obiezioni erano già contenute nello scritto riportato. Inoltre confondi la Traditio della Chiesa con le tradizioni umane quando invece per la Chiesa Cattolica la Traditio è apostolica perchè discendente dalla chiara predicazione orale degli apostoli nel primo secolo e viene affiancata dal Testo Sacro che discende da essa (anche questo concetto viene affrontato nello scritto ma non l'hai letto).
Inoltre scambi la logica applicata per la filosofia vuota fatta di sofismi (Paolo condanna questa e non tutta la filosofia in generale, giacchè lui stesso ne fa uso nell'aeropago quando deve illustrare il Dio di cui lui evangelizza).
E probabilmente credi persino che il celibato della Chiesa sia un dogma quando invece è solo una prescrizione data al clero affinchè si dedichino al 100% all'opera di pascimento del gregge senza distrazioni. Invece il celibato potrebbe essere tolto anche domani tant'è che non è un dogma infallibile della chiesa ma solo una consuetudine organizzativa.

Comunque per chi ha già tutte le risposte ben chiare io non ho tempo da perdere. Preferisco cimentarmi con gente più propensa al dialogo. Un grande augurio per tutte le tue convinzioni maturate.
Che la pace di Dio possa sempre essere con te. [SM=x511460]


emanuele135
00sabato 24 novembre 2007 16:02
Il testo l'ho letto benissimo, parla di paradossi e mette in evidenza anche scritti extra bibblici. Ma nelle Sacre Scritture non c'è l'obbligo del celibato da nessuna parte bensi è un'interpretazione "umana" , errata, di alcuni versetti.

Cocludo dicendo che il matrimonio onorevole è una benedizione di Dio. Il celibato obbligatorio si è rivelato spiritualmente nocivo. Viceversa il celibato per libera scelta, pur non essendo indispensabile per la santità o la salvezza, si è dimostrato un modo di vivere gratificante e spiritualmente soddisfacente per alcuni. — 

"Poiché vi sono degli eunuchi, che sono nati così dal grembo della madre; vi sono degli eunuchi che sono stati fatti eunuchi dagli uomini, e vi sono eunuchi che si sono fatti eunuchi da se stessi per il regno dei cieli. Chi è in grado di accettarlo, lo accetti." (Matteo 19:12)

Grazie.
Justeee
00sabato 24 novembre 2007 19:44
Re:
emanuele135, 24/11/2007 16.02:

Il testo l'ho letto benissimo, parla di paradossi e mette in evidenza anche scritti extra bibblici. Ma nelle Sacre Scritture non c'è l'obbligo del celibato da nessuna parte bensi è un'interpretazione "umana" , errata, di alcuni versetti.

Cocludo dicendo che il matrimonio onorevole è una benedizione di Dio. Il celibato obbligatorio si è rivelato spiritualmente nocivo. Viceversa il celibato per libera scelta, pur non essendo indispensabile per la santità o la salvezza, si è dimostrato un modo di vivere gratificante e spiritualmente soddisfacente per alcuni. — 

"Poiché vi sono degli eunuchi, che sono nati così dal grembo della madre; vi sono degli eunuchi che sono stati fatti eunuchi dagli uomini, e vi sono eunuchi che si sono fatti eunuchi da se stessi per il regno dei cieli. Chi è in grado di accettarlo, lo accetti." (Matteo 19:12)

Grazie.



Ciao ti inviterei alla lettura anche di queste discussioni

freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=6947461

freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=4370682

detto questo io aggiungerei una cosa esempio in apocalisse si dice che i 144.000 devo essere vergini , e dunque secondo questa situazione da dove potrebbe provenire ??




M.B.C.
00sabato 24 novembre 2007 22:50
che ben vengano sacerdoti sposati...
esistono gia' nelle comunita' cattoliche di rito ortodosso o anglicane ,se saranno ordinati preti cattolici di rito latino , che ben vengano ,i tempi sono maturi .
Gennaro S
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 13:23.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com