Sick e Religione

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Justee
00martedì 5 aprile 2005 10:30
Le religioni dell'uomo: i Sick

di Giuseppe Bellucci

Poco conosciuto al di fuori dell'India,
il sikhismo, con appena cinquecento anni
+di vita, è una religione giovane e
tipicamente indiana, con elementi presi
in prestito soprattutto dall'induismo, ma
anche dall'islam e dal cristianesimo.
E' praticata soprattutto nel Punjab e i
suoi seguaci sono venuti alla ribalta della
cronaca negli ultimi decenni per il movimento
politico che reclama l'indipendenza dall'India
con un proprio stato, il Khalistan.
La festa di Baisakhi è in pieno svolgimento. Guru Gobind Singh raduna i suoi seguaci presso la città fortificata di Anandpur, nel Nord dell'India. Con una spada sguainata e con un fiero cipiglio comincia la sua arringa: "Il vero sikh, pronto a dare la vita per il guru (maestro, capo), si faccia avanti". In un primo momento nessuno si muove. Ma al terzo invito uno si fa avanti e con le mani giunte davanti al petto si offre in sacrificio. Il guru lo porta in una stanza appartata, si sente un tonfo come di un corpo morto che cade, quindi ricompare al pubblico con la spada grondante sangue per rivolgere all'uditorio la stessa domanda. Tra la paura e lo sgomento di tutti, la stessa scena si ripete altre quattro volte. Alla fine Gobind Singh riappare con i cinque uomini che si erano offerti volontari: sono vivi e in buona salute. Si era trattato solo di una prova di coraggio e di fede. Il sangue versato era quello di cinque capre. E' il 13 aprile 1699. I cinque uomini diventano il primo nucleo della nuova khalsa, la "Fratellanza dei Puri". Guru Gobind Singh (1666-170[SM=g27989] è l'ultimo dei dieci guru che segnano la storia del sikhismo, una religione di circa 15 milioni di seguaci che vivono, nella stragrande maggioranza, nello stato del Punjab, nell'India nord-occidentale. Il 13 aprile 1699 è considerato come la data della seconda fondazione di questa religione. Alla cerimonia descritta sopra ne seguì subito, quello stesso giorno, un'altra non meno suggestiva e simbolica, che costituisce ancora oggi il rito di iniziazione dei giovani sikh: il battesimo con acqua zuccherata. Gobind Singh prende un recipiente di metallo pieno d'acqua, vi mette dello zucchero, agita l'acqua con una spada a doppio taglio mentre recita dei versetti del japji, il "credo" del sikhismo. Ne cosparge poi cinque volte i capelli e gli occhi dei cinque uomini coraggiosi e quindi li invita a berne una parte. Da ora in poi questo sarebbe stato il sigillo della nuova fratellanza, segno di appartenenza a una comunità di fratelli.

Il fondatore

Sikh proviene dal sanscrito sishya, che significa discepolo. In questo caso sta a significare colui che segue la dottrina dei Dieci Guru e dell'Adi Granth, il libro sacro. Il primo dei "maestri" è, naturalmente, Guru Nanak, il fondatore, nato nel 1469 nel villaggio di Talwandi, nei pressi di Lahore (oggi in Pakistan), chiamato poi Nankana in suo onore. "Come quella di molti santi indiani e musulmani - scrive Alfonso di Nola, studioso delle religioni - la sua nascita è accompagnata da segni soprannaturali e da musica celeste". Si racconta che in un freddo mattino di quell'anno, all'indomani della nascita del bambino, si presentò ai genitori l'astrologo per domandare, secondo il costume del luogo, di che timbro fosse la voce del neonato. Da essa egli ne avrebbe stabilito l'oroscopo. Di fronte alla titubanza dei genitori l'astrologo insistette e non appena vide il neonato si prostrò a terra e l'adorò. Quindi ne profetò il futuro: questo bambino crescerà, porterà insegne regali, e sarà venerato ugualmente da indù e musulmani; il suo nome risuonerà in terra e in cielo e sarà ripetuto anche dalle creature inanimate; provvisto di poteri soprannaturali, egli adorerà un solo Dio.

Figlio di un piccolo agricoltore di casta ksatriya (la seconda in ordine di importanza nella scala sociale indiana), vive la sua fanciullezza nella libertà della natura, ma manifesta presto un'eccezionale tendenza alla meditazione e all'isolamento, rifiutando la compagnia dei suoi coetanei. Affidato giovanissimo alla scuola brahmanica, stupisce il maestro con la sua sapienza e la profonda religiosità: "Ascoltami, signore - dice rivolgendosi al guru - brucia l'attaccamento per il mondo, riducine in polvere le ceneri, fanne inchiostro; della fede poi, fa' la migliore qualità di carta; fa' penna del tuo cuore, scrivano dell'intelletto. Interroga il Guru e scrivi il giudizio. Scrivine il nome e lodalo, scrivi ciò che non ha fine o limite. Signore, se puoi insegnarmi questa via di conoscenza, allora istruiscimi".

Pur profondamente influenzato dall'induismo e dall'islamismo, Nanak reagiva contro il fanatismo settario degli uni e degli altri: i primi con un pantheon infinito di dei e dee e una società divisa ingiustamente in numerose caste e sottocaste; i secondi violenti conquistatori e dissacratori di luoghi sacri, come aveva dimostrato la conquista dei Moghul. "Ho interrogato i quattro Veda (i libri sacri più antichi dell'induismo, n.d.r.) - scriveva - ma queste scritture non svelano il confine di Dio. Ho interrogato i quattro libri dei musulmani, ma in essi non è scritta la parola di Dio. Mi sono fermato presso gli stagni e presso i torrenti, ho fatto il bagno nei sessanta luoghi di pellegrinaggio; ho trascorso la vita nelle foreste e nei deserti dei tre mondi; ho mangiato le cose amare e le cose dolci; ho visto le sette regioni inferiori e il cielo sopra il cielo; ed io, Nanak, proclamo: l'uomo resterà fedele alla sua fede se teme Dio e compie opere buone".

L'idea base da cui parte Guru Nanak è quella dell'unità di tutti gli uomini, realizzata nella comune adorazione del "Dio uno, eterno, increato... supremo Signore che ha creato questo mondo visibile, che vede, percepisce e comprende ogni cosa. Egli pervade tutta la creazione dall'interno e dall'esterno". La decisa affermazione del monoteismo, forse dovuta all'influsso musulmano, è una caratteristica che appare dalla lettura dei testi sacri dei sikh: "Esiste un solo Dio, verità eterna è il suo nome. Creatore di tutte le cose, non ha paura di nessuno e non è nemico di nessuno. La sua immagine è fuori del tempo. Non generato, esiste per virtù propria ed è stato fatto conoscere agli uomini per mezzo dei guru. Come fin dal principio egli è stato la Verità, allo stesso modo è ora la Verità immanente e sarà la Verità eterna per i secoli dei secoli". Su questo mûl mantra, o credo fondamentale, che ogni seguace di Nanak ripete ogni giorno appena alzato, si fonda la dottrina dell'unità e della fratellanza di tutti gli uomini, con la conseguente abolizione delle caste.

La successione dei "Guru"

Al fondo della ricerca di Nanak - scrive ancora Di Nola - vi è... un'affannosa ricerca di Dio, al di fuori di ogni determinazione confessionale, come la stessa Unità e Verità illuminate cui il cuore dell'uomo aspira congenitamente. Su questo motivo, sul quale è sicuramente presente la componente induistica upanishadica e vedantina, si inserisce una consapevolezza della creaturalità, della peccaminosità insite nella condizione dell'uomo, che derivano da concezioni cristiane e musulmane".

Nanak sente fortemente il senso del peccato. Rivolgendosi a Dio, nell'Adi Granth, afferma: "Sono un peccatore. Tu soltanto sei puro. Come l'oceano è pieno di acqua, tanti sono i vizi miei". Un'idea che ritroviamo anche nei Sukhmani, i "Salmi della Pace" di Guru Arjun (1563-1606), il quinto dei dieci. Al prologo del canto sesto, per esempio, leggiamo: "Io mi rifugio nel Signore. Possa il Divino Maestro, nella sua misericordia concedere che le passioni della lussuria, dell'odio, dell'avidità, della superbia e dell'illecito attaccamento alle cose possa estinguersi in me e lasciarmi in pace". Nonostante ciò dell'induismo rimangono numerose tracce, per esempio l'idea della trasmigrazione delle anime: "La volontà del Signore premia con benevolenza alcuni, mentre altri devono passare attraverso successive nascite e rinascite".

Guru Nanak muore nel 1539. La sua opera viene continuata da Guru Angad e dai suoi successori, fino al decimo, il più famoso dopo il fondatore, che, come abbiamo visto, è Guru Gobind Singh. Questi fece del sikhismo una comunità compatta e militarmente ben organizzata per poter far fronte alle persecuzioni e angherie di ogni genere da parte soprattutto degli imperatori moghul. E' a questi anni che risale l'obbligo, per ogni sikh "ortodosso", dell'osservanza dei cinque "K". Il kes, o capelli e barba lunghi, simbolo di santità e di forza spirituale; richiama il biblico Sansone e i santoni indù; è un articolo di fede che è costato molto caro ai seguaci di Guru Nanak, soprattutto all'estero, ma al quale essi non hanno mai rinunciato, a costo di sacrifici e ostracismi. Gli altri "K" sono: il kachcha, o paio di calzoncini stretti e corti, al di sopra del ginocchio; il kara, o braccialetto di ferro; il kangha, o pettine; il kirpan, o piccola spada che sostituisce il più antico coltello di acciaio. Ciascuno di questi oggetti ha un significato simbolico, anche se oggi non è sempre avvertito dagli stessi sikh.

I fedeli del sikhismo sono facilmente riconoscibili in qualunque parte del mondo dal tipico turbante e dalla folta barba, tanto che talvolta sono chiamati i seguaci della "religione della barba e del turbante", e anche dalla gioia e dall'allegria che li caratterizza quando sono insieme. Gran parte della loro vita sociale si svolge attorno ai gurudwara, i loro templi, individuabili dalla gialla bandiera triangolare che sventola al di sopra del tetto. Ma i gurudwara dei sikh servono anche da scuola, luogo di riunione, casa di riposo per i pellegrini, centri di formazione e di lavoro sociale. Qui ogni fedele è invitato a rendersi utile ai suoi fratelli aiutando nelle pulizie dei locali, servendo acqua fresca ai visitatori assetati o cibo agli affamati, lavorando in cucina, e così di seguito. L'aspetto forse più tipico della religione dei sikh sono i langar, "cucine gratuite" annesse ad ogni tempio. I "refettori comuni" sono aperti a tutti, sikh e non-sikh, brahmini e paria, senza distinzione. L'affermazione teoretica dell'uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio trova qui una concreta applicazione. I langar sono anche un modo di vivere in pratica la "fratellanza umana". A sostegno di questo servizio reso ai fratelli ci sono dei sani principi teologici. "Guadagnarsi il proprio pane con un lavoro onesto; dividere i propri profitti con gli altri e meditare sul nome santo del Signore": è la sintesi di ciò che il sikh crede e pratica. Il far partecipi gli altri dei propri averi è fonte di gioia e di merito: "Solamente ciò che tu dai liberamente dal frutto del tuo lavoro a coloro che ne hanno bisogno, sarà di vantaggio dopo la morte". Dare dei propri averi, mettersi al servizio del prossimo, sono espressioni d'amore: "Non si può adorare Dio senza dedicarsi a un servizio attivo". Riecheggiano qui le parole di San Giovanni: "Come puoi dire di amare Dio che non vedi, se porti odio al tuo fratello che vedi?". Dopo la morte del decimo guru, nel 1708, il testo sacro dell'Adi Granth rimane l'unico "maestro" ed occupa sempre un posto di fondamentale importanza in ogni cerimonia dei sikh, dalla nascita fino alla cremazione dei cadaveri. Lo stesso rito nuziale si svolge girando quattro volte attorno ad esso, mentre gli sposi si tengono per mano. Il contenuto dell'Adi Granth ricorda molto da vicino i libri sapienziali dell'Antico Testamento e soprattutto i Salmi, con le loro espressioni di amore e di devozione verso "l'Uno che non ha forma". Lo spirito che guida la storia dei sikh e che costituisce lo scopo della loro vita, è sintetizzato in questa preghiera quotidiana: "Il tuo nome e la tua gloria siano in eterno nei cieli e, secondo la tua volontà, concedi pace e prosperità a tutti e a ciascuno nel mondo".

Pieno risveglio

La comunità dei sikh è oggi in pieno risveglio. Di fronte alle tendenze sincretistiche, sempre forti in India, essa ha riaffermato il valore e lo spirito genuino della propria religione. Questo è stato possibile grazie al gran numero di collegi e scuole, soprattutto nel Punjab, che hanno elevato il livello intellettuale dei fedeli. Nei secoli passati l'attività di propaganda era fatta esclusivamente da volontari; oggi si stanno organizzando veri e propri seminari dove viene impartita una formazione teologica e filosofica ai futuri missionari. Il più importante è quello di Patiala, dove la formazione che vi è impartita è molto seria e include teoria e pratica nello stesso tempo. In ciò non manca certo l'influsso delle missioni cristiane, ammirate proprio per la loro efficienza organizzativa. Il risveglio del sikhismo si fa sentire anche in campo filosofico, dove i pensatori cercano di esplicitare ciò che implicitamente è contenuto nei testi sacri. Il fervore di studi e di ricerca si è fatto più vivo negli ultimi cinquat'anni, grazie anche alla celebrazione di importanti ricorrenze, quali il terzo centenario della nascita di Guru Gobind Singh nel 1966, e il quinto centenario della nascita di Guru Nanak nel 1969.

Un grande risveglio lo si è notato anche in campo politico negli ultimi decenni, con la nascita e lo sviluppo di un movimento che combatte, spesso anche con azioni violente (ricordiamo l'uccisione del Primo Ministro Indira Gandhi ad opera della sua guardia del corpo, composta da sikh), per costruire nel Punjab lo stato indipendente del Khalistan. La comunità dei sikh soffrì molto subito dopo l'indipendenza dell'India, in occasione della divisione tra India e Pakistan. I sikh apprezzarono molto, in quell'occasione, l'aiuto disinteressato dei cristiani e ciò ha contribuito a dissipare molti pregiudizi. Oggi lo spirito di collaborazione, soprattutto nel campo dell'educazione e del lavoro sociale, è ottimo. I loro ideali umanitari e di uguaglianza sono gli stessi per cui si battono i seguaci di Cristo, in vista della costruzione di un'India migliore. Ma non è solo nello spirito di servizio dell'umanità che l'incontro è possibile. L'aspetto religioso è ancora più importante: cristiani e sikh credono in un unico Dio e nella salvezza dell'uomo attraverso la grazia divina. Le concezioni sono diverse, è vero, ma la base per un sincero dialogo è solida. Una grossa difficoltà, comune al sikhismo e a tutte le religioni non cristiane, è la mancanza di un'autorità centrale a cui fare appello e che sia garante della genuina tradizione religiosa.
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