Vocazioni - Sacerdoti - Ragazzi

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Justee
00domenica 14 maggio 2006 22:02
ChiedeVo se esistono dei documenti inerenti al Sacerdozio dei Ragazzi o che trattino la vocazione dei Ragazzi veso questo Ministero.
Da piu prti si sente sempre di piu parlar di questa cosa , e non per sentito dire ma vista dai mieie occhi di ragazzi che sentono la vocazione al Sacerdozio anche alla Tenera età magari dopo la Cresima
Mi ponevo una domanda oltre quella citata , la Chiesa Cattolica ha problemi con i nuovi Sacerdoti essendoci una caduta di Vocazioni ,ma vi è una crescita dei Ragazzi verso questo Sacramento , che oltretutto viene ben applicato dalle Religioni alternative alla Cattolica , avendo nelle loro fila ragazzi ben preparati a livello Religioso
Se qualcuno sa di documenti ufficili possimao approfondire e parlarne.
Grazie
Justee
00lunedì 13 novembre 2006 08:13
VATICANO - VERSO IL SACERDOZIO a cura di mons. Massimo Camisasca - Il sacerdote: l’uomo di Dio al servizio degli altri uomini

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - La vocazione è innanzitutto un’iniziativa di Dio verso la nostra vita. Ciò vuol dire che il sacerdote è, sopra ogni altra cosa, un “Uomo di Dio”: un uomo che Dio sceglie. Un’affermazione questa che, però, può essere sottoposta a diversi fraintendimenti. Dire che il sacerdote è un uomo scelto da Dio non significa che è una persona che vive chiuso nel suo Mistero. Insomma, uno “con la testa fra le nuvole”, che non ha nulla da dire al mondo e agli uomini del mondo, perché - partecipando di un altro mondo - non è interessato a questo mondo e non ha niente di rilevante da comunicargli. Evidentemente non è questo il significato di “Uomo di Dio”.
Il sacerdote, invece, è una persona che impara a guardare il mondo così come Dio guarda il mondo e gli uomini. Ma questo è un processo di lungo periodo. Non a caso Gesù, per educare i suoi discepoli ad entrare nello sguardo di Dio, ha dovuto convivere anni con loro: non sono certo bastate una o due lezioni. E questa convivenza non è stata comunque sufficiente. Se non ci fosse stato lo Spirito di Dio che avrebbe detto loro a poco a poco tutto quanto, quest’immedesimazione con lo sguardo di Dio, vissuta nel tempo della predicazione degli apostoli non sarebbe stata sufficiente. Quest’entrare nello sguardo di Dio è certamente un’opera dello Spirito nella nostra vita, che ci apparenta lentamente, ma in modo reale con il pensiero di Dio.
Ma qual è la, lenta e faticosa, strada da percorrere? Bisogna partire con la lettura e la meditazione della Scrittura in quanto letta dalla Chiesa, la scrittura che ci viene presentata dal messale e dal breviario. Attraverso la Scrittura impariamo a comprendere cosa interessa a Dio in ciò che accade. E di conseguenza impariamo anche noi a vedere quello che è portatore di pace, di gioia, di comunione nelle cose che accadono e non di divisione, di lacerazione, di negazione, di violenza e di tristezza.
La seconda strada sono gli scritti dei Santi. E’ lì che vediamo l’itinerario che hanno compiuto per entrare nello sguardo di Dio.
La terza via è la conversazione con gli amici che mi aiutano in questa direzione. In questo modo si sperimenta che io sono stato scelto: che Dio ci ha amati per primo. Ecco perché Egli ha mandato il suo Figlio per me. Se non c’è questa esperienza personale dell’amore, la vita sacerdotale non è possibile. Il sacerdozio è propriamente l’esperienza dell’amore ricevuto, dell’amore personale, ricevuto da Cristo che si dilata in esperienza della Chiesa come propria sorte personale. “Questa è la mia eredità, il mio calice”, dice il salmo: il sacerdote come un uomo di Dio sente la vita della Chiesa come propria sorte personale.
Ma il sacerdote è anche un uomo per gli altri uomini. Vale a dire è donazione. Chi vuol trattenere qualcosa per sé è meglio che non diventi sacerdote. La vita sacerdotale che cos’è se non la partecipazione alla vita di Gesù? E la Sua vita è stata donazione. Egli ha dato se stesso senza misura. La sua unica misura è stata quella di non aver avuto misura. Qui si comprende come il fondamento della vita sacerdotale sia nei sacramenti, perché i sacramenti sono proprio l’espressione della donazione senza misura che Gesù vive: Gesù continua a donare se stesso. Per tutte queste ragioni il sacerdote può essere uomo di Dio per gli altri uomini solo se se attinge continuamente da Gesù, cioè dai sacramenti, la forza e la misura della propria donazione. Sappiamo che la donazione di Gesù realizza uno scambio: Egli dà a noi tutto se stesso e prende su di sé tutto il nostro male. Questa è anche la vita sacerdotale, che consiste nel portare i pesi degli altri. Ma ciò non sarebbe mai possibile se ciascuno di noi non si affidasse completamente nelle braccia di Gesù.

Approfondiremo anche la questione del caelibato

[Modificato da Justee 07/12/2006 11.07]

mioooo
00giovedì 7 dicembre 2006 15:25
Ho trovato
La Congregazione per il clero lancia la sfida
"Per i religiosi il celibato non è un dogma"
Il porporato svela la sua ricetta per risolvere il calo delle vocazioni
"La Chiesa non è una istituzione immobile ma è capace di cambiare"


Il cardinale Claudio Hummes, nuovo Prefetto della Congregazione per il clero

CITTA' DEL VATICANO - Il calo delle vocazioni potrebbe indurre il Vaticano a ridiscutere il tema del celibato sacerdotale che in realtà non è un dogma ma solo una norma disciplinare. E' quanto ha detto al quotidiano brasiliano Estrado do S. Paulo il cardinale Claudio Hummes, arcivescovo di San Paolo in Brasile, appena nominato da Benedetto XVI nuovo Prefetto della Congregazione per il clero.

"Il celibato è una forma disciplinare". Il porporato, già citato come papabile durante l'ultimo conclave, si appresta in queste ore a raggiungere Roma dove si dovrà occupare dei problemi dei sacerdoti della Chiesa universale. "Partendo dalla considerazione che i celibi fanno parte della storia e della cultura cattolica - ha affermato il cardinale - la Chiesa può riflettere sopra questo tema, poichè il celibato non è un dogma ma una forma disciplinare".

"La Chiesa non è immobile". Inoltre alcuni apostoli, ha spiegato il porporato, erano sposati e la proibizione del matrimonio è venuta alcuni secoli dopo l'istituzione del sacerdozio. Hummes ha affermato che la Chiesa non è una istituzione immobile ma che sa cambiare quando questo è necessario. Considerato che quella intorno al celibato non è una decisione facile che può essere presa in modo repentino, "la Chiesa dovrà in primo luogo discuterne e ridiscuterne".

Pedofilia e sacerdozio. In quanto al problema dei sacerdoti pedofili il nuovo Prefetto per il clero ha fatto due osservazioni: "Anche se si trattasse di un solo caso sarebbe già una grave preoccupazioni soprattutto per le vittime" allo stesso tempo è "ingiusto e ipocrita generalizzare gi scandali di pedofilia poichè più del 99% dei sacerdoti ha nulla a che vedere con questi fatti".


Ciao ho trovato questo scrito nel sito del vaticano che credo di un'ulteriore approfondimento , la cosa piu strana ritengo a mio modo di vedere è il ritenere il celibato una legge degli uomini che credo non sia vero
vedasi questo link

freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=43257&idd=2528

da quella discussione ...

"Ricapitoliamo
Pietro era sposato
TADDEO Ipotesi
GIUDA ISCARIOTA Ipotesi


Esempio per i Cristiani
Cristo il Maestro era Singolo , e nell'imitare la sua testimonianza come potremmo essere più fedeli al suo modo di vivere

Approfondimento :

Infatti Gesù guarì la suocera, facendole passare la febbre. Tutti i successori degli apostoli avevano la facoltà di sposarsi, anche se l’apostolo Paolo consigliò il celibato allo scopo di dedicare tutto il tempo all’opera del Signore.
Oggi nella Chiesa Ortodossa un nominato ha addirittura l’obbligo di sposarsi. Cosa succede invece nella CC? I preti possono sposarsi? Certo che possono farlo se lo vogliono! Basta che per l’investitura a prete non seguano il rito latino ma seguano altri riti riconosciuti anch’essi all’interno della Chiesa ; esistono diversi riti dentro la CC. E per ultimo la questione del celibato non è dogma di fede ma è solo una prassi che può essere tolta quando si vuole.

ed ancora
Il testo greco ha adelphe gynaika, dunque la traduzione letterale è "non abbiamo il diritto di condurre con noi una donna sorella, come fanno gli altri apostoli, i fratelli del Signore e Cefa?"
"Donna sorella" vuol dire ovviamente sorella in fede, e dunque "donna credente". Vi si può vedere sia una moglie sia le donne che assistevano gli apostoli e Cristo nei loro viaggi (Lc 8,2-3)

ed ancora
si dice che il vescovo doveva essere sposato con una sola moglie
Sì, ma si spera che non vogliate dire che questo è un requisito obbligato, e che quindi un uomo deve essere per forza sposato per aspirare a questi incarichi. Dopotutto Paolo consigliò il celibato, e proprio per darsi da fare nella Chiesa. Siccome gli incarichi vengono conferiti proprio allo scopo di far crescere la Chiesa, se bisogna sposarsi per essere dei vescovi allora suona strano che l’apostolo consigliasse il celibato, non vi pare? Il matrimonio, come requisito indispensabile per aspirare agli incarichi, non è nemmeno previsto dai Tdg. Tantissimi servitori di ministero e anziani sono single. Ovviamente se uno è sposato deve dare dimostrazione di condurre bene la propria famiglia, altrimenti sarà difficile che possa condurre bene la Chiesa."

inserisco anche il link ufficioso dei preti non sposati

www.we-are-church.org/it/


mioooo
00giovedì 7 dicembre 2006 15:27
La logica della consacrazione nel celibato sacerdotale
Udienza Generale — 14 Luglio 1993
1. Nei Vangeli, quando Gesù chiamò i suoi primi apostoli per fare di essi dei «pescatori di uomini» (Mt 4,19; Mc 1,17; cf. Lc 5,10), essi «lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11; cf. Mt 4,20.22; Mc 1,18.20). Un giorno fu lo stesso Pietro a ricordare questo aspetto della vocazione apostolica, dicendo a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19,27; Mc 10,28; cf. Lc 18,2[SM=g27989].Gesù allora elencò tutti i distacchi necessari «a causa mia - disse - e a causa del Vangelo» (Mc 10,29). Non si trattava soltanto di rinunciare a dei beni materiali, come la «casa» o i «campi», ma anche di separarsi dalle persone più care: «fratelli o sorelle o padre o madre o figli», - così dicono Matteo e Marco - «moglie o fratelli o genitori o figli», - così dice Luca (18,29).

Osserviamo qui la diversità delle vocazioni. Non da tutti i suoi discepoli Gesù esigeva la rinuncia radicale alla vita in famiglia, benché da tutti esigesse il primo posto nel cuore quando diceva: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me» (Mt 10,37). L'esigenza di rinuncia effettiva è propria della vita apostolica oppure della vita di consacrazione speciale. Chiamati da Gesù, «Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello» non lasciarono solo la barca in cui «riassettavano le reti», ma anche il loro padre, con il quale si trovavano (Mt 4,22; cf. Mc 1,20).

Queste constatazioni ci aiutano a capire il perché della legislazione ecclesiastica circa il celibato sacerdotale. La Chiesa, infatti, ha ritenuto e ritiene che esso rientri nella logica della consacrazione sacerdotale e della conseguente appartenenza totale a Cristo in vista dell'attuazione consapevole del suo mandato di vita spirituale e di evangelizzazione.

2. Infatti, nel Vangelo secondo Matteo, un po' prima del brano sulla separazione dalle persone care, che abbiamo appena citato, Gesù esprime in forte linguaggio semitico un'altra rinuncia richiesta «a causa del regno dei cieli», la rinuncia, cioè, al matrimonio. «Vi sono, dice, degli eunuchi che si sono resi tali a causa del regno dei cieli» (Mt 19,12). Essi si sono, cioè, impegnati al celibato per mettersi interamente al servizio del «Vangelo del regno» (cf. Mt 4,23; 9,35; 24,34).

Nella sua Prima lettera ai Corinzi, l'apostolo Paolo afferma di aver preso risolutamente questo cammino e dimostra la coerenza della propria decisione dichiarando: «Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore. Chi è sposato, invece, si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!» (1Cor 7,32-34). Certo, non conviene che «si trovi diviso» colui che è stato chiamato a occuparsi, come sacerdote, delle cose del Signore. Come dice il Concilio, l'impegno del celibato, derivante da una tradizione che si ricollega a Cristo, è «particolarmente confacente alla vita sacerdotale. E' infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, e fonte di fecondità spirituale nel mondo» (PO 16).

E' ben vero che nelle Chiese orientali molti presbiteri sono legittimamente coniugati secondo il diritto canonico che li concerne. Anche in quelle Chiese, tuttavia, i vescovi vivono nel celibato, e così pure un certo numero di sacerdoti. La differenza di disciplina, legata a condizioni di tempo e di luogo valutate dalla Chiesa, si spiega col fatto che la perfetta continenza, come dice il Concilio, «non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio» (Ivi). Essa non appartiene all'essenza del sacerdozio come Ordine, e quindi non è imposta in modo assoluto in tutte le Chiese. Non sussistono, tuttavia, dubbi circa la sua convenienza e anzi congruenza con le esigenze dell'Ordine sacro. Rientra, come s'è detto, nella logica della consacrazione.

3. L'ideale concreto di questa condizione di vita consacrata è Gesù, modello di tutti, ma specialmente dei sacerdoti. Egli visse da celibe, e per questo poté dedicare tutte le sue forze alla predicazione del regno di Dio e al servizio degli uomini, con un cuore aperto all'intera umanità, come capostipite di una nuova generazione spirituale. La sua scelta fu veramente «per il regno dei cieli» (cf. Mt 19,12).

Con il suo esempio, Gesù indicava un orientamento, che è stato seguito. Stando ai Vangeli, sembra che i Dodici, destinati ad essere i primi partecipi del suo sacerdozio, abbiano rinunciato, per seguirlo, a vivere in famiglia. I Vangeli non parlano mai di mogli o di figli a proposito dei Dodici, anche se ci lasciano sapere che Pietro, prima di essere chiamato da Gesù era un uomo sposato (cf. Mt 8,14; Mc 1,30; Lc 4,3[SM=g27989].

4. Gesù non ha promulgato una legge, ma proposto un ideale del celibato, per il nuovo sacerdozio che istituiva. Questo ideale si è affermato sempre più nella Chiesa. Si può capire che nella prima fase di propagazione e di sviluppo del Cristianesimo un gran numero di sacerdoti fosse composto da uomini sposati, scelti e ordinati sulla scia della tradizione giudaica. Sappiamo che nelle lettere a Timoteo (1Tm 3,2-33) e a Tito (Tt 1,6) viene richiesto che, tra le qualità degli uomini prescelti come presbiteri, ci sia quella di essere buoni padri di famiglia, sposati a una sola donna (cioè fedeli alle loro mogli). E' una fase di Chiesa in via di organizzazione e, si può dire, di sperimentazione di ciò che, come disciplina degli stati di vita, corrisponda meglio all'ideale e ai «consigli» proposti dal Signore. In base all'esperienza e alla riflessione si è progressivamente affermata la disciplina del celibato fino a generalizzarsi nella Chiesa occidentale in forza della legislazione canonica. Non era solo la conseguenza di un fatto giuridico e disciplinare: era la maturazione di una coscienza ecclesiale sulla opportunità del celibato sacerdotale per ragioni non solo storiche e pratiche, ma anche derivanti dalla congruenza sempre meglio scoperta tra il celibato e le esigenze del sacerdozio.

5. Il Concilio Vaticano II enuncia i motivi di tale «intima convenienza» del celibato con il sacerdozio: «Con la verginità o il celibato osservato per il regno dei cieli, i presbiteri si consacrano a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a lui con un amore non diviso, si dedicano più liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione divina, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo». Essi «evocando così quell'arcano sposalizio istituito da Dio, e che si manifesterà pienamente nel futuro, per il quale la Chiesa ha come suo unico sposo Cristo... diventano segno vivente di quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio» [1] .

Sono ragioni di nobile elevatezza spirituale, che possiamo riassumere nei seguenti elementi essenziali: l'adesione più piena a Cristo, amato e servito con un cuore non diviso (cf. 1Cor 7,32-33); la disponibilità più ampia al servizio del regno di Cristo e, all'adempimento dei propri compiti nella Chiesa; la scelta più esclusiva di una fecondità spirituale (cf. 1Cor 4,15); la pratica di una vita simile a quella definitiva nell'al di là, e perciò più esemplare per la vita nell'al di qua. Ciò vale per tutti i tempi, anche per il nostro, come ragione e criterio supremo di ogni giudizio e di ogni scelta in armonia con l'invito di «lasciare tutto», rivolto da Gesù ai discepoli e specialmente agli apostoli. Per questo il Sinodo dei vescovi del 1971 ha confermato: «La legge del celibato sacerdotale, vigente nella Chiesa latina, deve essere integralmente conservata» [2] .

6. E' vero che oggi la pratica del celibato trova ostacoli, a volte anche gravi, nelle condizioni soggettive e oggettive in cui i sacerdoti vengono a trovarsi. Il Sinodo dei vescovi le ha considerate, ma ha ritenuto che anche le odierne difficoltà siano superabili, se si promuovono «le condizioni opportune, e cioè: l'incremento della vita interiore con l'aiuto della preghiera, dell'abnegazione, dell'ardente carità verso Dio e verso il prossimo, e con gli altri sussidi della vita spirituale; l'equilibrio umano attraverso un ordinato inserimento nella compagine delle relazioni sociali; i fraterni rapporti e i contatti con gli altri presbiteri e col vescovo. attuando meglio, a tale scopo, le strutture pastorali, e anche con l'aiuto della comunità dei fedeli» [3] .

E' una sorta di sfida che la Chiesa lancia alla mentalità, alle tendenze, alle mentalità, alle tendenze, alle malie del secolo, con una sempre nuova volontà di coerenza e di fedeltà all'ideale evangelico. Per questo, pur ammettendo che il sommo pontefice possa valutare e disporre il da farsi in taluni casi, il Sinodo ha riaffermato che nella Chiesa latina «l'ordinazione presbiterale di uomini sposati non è ammessa neppure in casi particolari» [4] . La Chiesa ritiene che la coscienza di consacrazione totale, maturata nei secoli, abbia tuttora ragione di sussistere e di perfezionarsi sempre più.

La Chiesa sa pure, e lo ricorda ai presbiteri e a tutti i fedeli col Concilio, che «il dono del celibato, così confacente al sacerdozio della nuova Legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che partecipano del Sacerdozio di Cristo col sacramento dell'Ordine, anzi la Chiesa intera, lo richiedano con umiltà e insistenza» (PO 16).

Ma forse, ancor prima, è necessario chiedere la grazia di capire il celibato sacerdotale, che senza dubbio include un certo mistero: quello della richiesta di audacia e di fiducia nell'attaccamento assoluto alla persona e all'opera redentiva di Cristo, con un radicalismo di rinunce che agli occhi umani può apparire sconvolgente. Gesù stesso, nel suggerirlo, avverte che non tutti possono capirlo (cf. Mt 19,10-12). Beati coloro che ricevono la grazia di capirlo, e rimangono fedeli su questa via!

[1] PO 16; cf. Giovanni Paolo II, «Pastores dabo vobis», 29.50; CCC 1579.

[2] «Ench. Vaticanum», 4, 1219; cf. Sinodo dei Vescovi, «Il sacerdozio ministeriale», 30 novembre 1971, parte II, I, 4, e, in «Il sacerdozio ministeriale nel magistero ecclesiastico», Libreria Editrice Vaticana, 1993, p. 321.

[3] Ivi, IV, 1216.

[4] Ivi, IV, 1220.

[Modificato da benimussoo 09/01/2007 20.41]

benimussoo
00martedì 9 gennaio 2007 20:42
Ho trovato questu versi dalle tue esstrapolazioni e credo che sianop interessanti

18Samuele prestava servizio davanti al Signore per quanto lo poteva un fanciullo e andava cinto di efod di lino. 19Sua madre gli preparava una piccola veste e gliela portava ogni anno, quando andava con il marito a offrire il sacrificio annuale. 20Eli allora benediceva Elkana e sua moglie ed esclamava: "Ti conceda il Signore altra prole da questa donna per il prestito che essa ha fatto al Signore". Essi tornarono a casa 21e il Signore visitò Anna, che partorì ancora tre figli e due figlie. Frattanto il fanciullo Samuele cresceva presso il Signore.

Ciao
Justee
00sabato 19 maggio 2007 17:01
Ciao Dana e grazie di questi riferimenti biblici , riporto un trafiletto che ho preso dal sito Tempi di fraternità che penso sia interessante per i ragazzi

CHIERICHETTO, CHE PASSIONE!

Carissimi,

la sproporzione è notevole.


Qualcuno, il francescano Rinaldo Falsini, dice praticamente un’ovvietà e cioè che i chierichetti, e anche le chierichette di più recente promozione (1993), "a fianco del sacerdote potevano avere una certa utilità nel passato, ma con la riforma del complesso rituale diventano un elemento decorativo" (Famiglia Cristiana, 19 marzo ’97, p. 15). Poche parole in un’intera pagina di tante parole. E tutto detto in tono sommesso.

Ma telegiornali e stampa quotidiana vi hanno colto la notizia. Se non la grande almeno la sorprendente notizia. Comunque notizia da registrare e commentare. E sono stati in molti a dirsi stupiti e dispiaciuti. Con affollamento tra i … protestanti, di "laici" garantiti.

Un’annotazione liturgica scontata e marginale e una reazione vasta e appassionata.

P. Falsini studia, insegna e scrive di liturgia da decenni ma esce dal circuito chiuso degli addetti ai lavori ed affini grazie a i chierichetti e i chierichetti trovano nei mezzi di comunicazione spazi quasi uguali alla clonazione riproposta prepotentemente pochi giorni prima. Gli opposti che si incontrano? Se la clonazione proietta nelle inquietanti capacità scientifiche del futuribile, i chierichetti rimandano a passati cullati da tenere e decisive esperienze? Tecnica ed inconscio, ancora una volta, in convivenza insuperabile?

1. Non è vero che di mamma ce n’è una sola. Considerazione fuori posto? Può darsi. Ma è difficile escludere che anche l’esperienza del chierichetto sia priva di capacità "materne"; che non possa "partorire" un qualcosa di chi l’ha vissuta, cioè di un’alta percentuale del totale dei maschi italiani.

Perché il chierichetto è l’infanzia. Anzi: un probabile concentrato di ciò che l’infanzia offre di più resistente all’usura del tempo: amicizia di gruppo un po’ come quella da foto ricordo dei banchi di scuola: a me il messale, a te il turibolo, a lui le ampolline…; soprattutto promozione a responsabilità pubbliche con ebbrezze di protagonismo. E da non sottovalutare il "travestimento" suggestivo quanto il mascherarsi a carnevale ma ancora più eccitante perché meno finto, più serio e vero. E, nel dietro le quinte (sacrestia e vicinanze), zone propizie alle birichinate e anche al trasgressivo dissacrante (un classico: il primo sorso di vino gustato dalle ampolline!).

Chierichetto come infanzia. E – questo è il punto – infanzia religiosa. O religiosità dell’infanzia. Che, spesso, non diventa religiosità adulta. Cioè: dopo il chierichetto niente; il chierichetto ossia il tutto della religiosità. È la storia di molti, moltissimi ex chierichetti che, dopo, hanno preso le dovute distanze dall’altare e dal tempio e da ogni pratica religiosa, salvo qualche guardingo ritorno nel tempio ma soltanto per non privarsi dell’orgogliosa commozione di vedere il figlio, anch’esso arrivato lassù sopra i gradini del presbiterio, vicino al prete e vestito da prete.

Insomma: chierichetto – religiosità fasciata di infanzia. Religiosità che è dell’infanzia e che, appunto perché dell’infanzia, resiste e incide nel dopo infanzia.

2. Religiosità da chierichetto. Una specie di versione particolare del fanciullino. Non del fanciullino che stimola la vivacità nelle stanchezze e freschezza nell’appassire. Ma del fanciullino che congela, ferma, fissa. Che fa pensare e valutare in base a nostalgici ricordi e non ad attuali e adulte conoscenze, esperienze, analisi.

La difesa del chierichetto non è la richiesta dell’estetico e della tenerezza nella liturgia ma della liturgia soltanto bella ed emozionante. La prima sarebbe esigenza da adulti che pretendono dalla liturgia, incontro di uomini – donne, il rispetto di tutto ciò che uomini – donne hanno in preziosa e non decurtabile dotazione. La seconda è una regressione allo stadio in cui uomini e donne possedevano soltanto la meraviglia del guardare e il gusto di alcune sensazioni.

La difesa del chierichetto non è la richiesta di spazio ai bambini nella liturgia ma di una liturgia da bambini per chi bambino non è più. Nel primo caso sarebbe un interpellare e mettere sotto giudizio una liturgia che, in realtà, è già troppo aristocratica per gli adulti per essere coinvolgente i bambini, per i quali, infatti, si è saputo inventare soltanto o ruoli, appunto, decorativi o le più risolutive (e sbrigative) "riserve liturgiche" (messe e altre celebrazioni per bambini). Nel secondo caso è negare alla liturgia tutto ciò che era per naturale destinazione e che il dopo Vaticano II tenta

faticosamente, e anche con scarse e frenate convinzioni, di ricostruire: un’azione consapevole ed attiva di tutti i "convocati" per realizzare il progetto di riumanizzazione rilanciato a prezzo della propria vita da Gesù di Nazareth.

3. Per gli Agnelli vestire "alla marinara" non era - come testimonia Susanna - scegliere un vestito invece di un altro, ma segnalava e segnava un modo di pensare e di comportarsi. Per molti italiani vestire "da chierichetto" - come le reazioni di questi giorni sembrano avvalorare - non è stato mettere un indumento insolito sopra l’abito consueto ma introitare qualcosa di resistente durata.

In qualche modo "chierichetti" per sempre? Cioè, se non, come suggerisce il termine, per sempre "piccolo" chierico o prete, per sempre "un po’" chierico o prete?

L'intenzione scoperta era quella di trasformare il "chierichetto" in "chierico". Lo sottolinea lo stesso Falsini: "si è attribuito il nome interessato di 'chierichetti' nella speranza che diventino 'chierici-preti'". Insomma: un "travestimento" per invogliare alla "vestizione". E la cosa ha certamente funzionato.

Ho il sospetto che il chierichetto abbia avuto altri prosiegui e anche più vasti di quello approdante al diventare chierico, prete.

Alludo a sviluppi sotterranei inconsci, sicuramente negati da chi ne è soggetto maggiormente indiziato. Cioè - paradossale ma non troppo - proprio chi con il chierichetto dichiara di aver chiuso definitivamente e radicalmente, proclamandosi laico inossidabile.

Non intendo ne generalizzare (ma le eccezioni non confermano la regola?) e non posso pretendere di offrire un quadro clinico completo, ma direi che troppi laici manifestano sindrome da chierichetto. Continuano a "servir messa" e conservano "religiosità di chierichetto".

Per "messa" intendo molto di più della celebrazione: includo il tutto della religione ma anche il tutto dell’intimo dell’uomo/donna (coscienza, etica) e il tutto del più dell'uomo/donna (ciò che, attualmente, va oltre la dimostrabilità razionale).

" Servire" sta per una inconfessata ma non mascherabile soggezione al clero che si traduce in accordi, trattati, intese oltre che in inchini e baciamano e, soprattutto, in tante deleghe che sanno di svendite.

La "regiosità di chierichetto" è la religiosità congelata all’infanzia (quel catechismo, quella teologia, quell’approccio con la Bibbia) in individui notevolmente cresciuti nelle varie specialità del pensiero e della scienza Li vediamo nei frequenti dibattiti sui grandi temi umani nel ruolo del laico accanto al religioso, all'ecclesiastico. Spesso "più papisti del papa". Spesso difensori dell'ortodossia anche contro il religioso, l’ecclesiastico. Perché l’ecclesiastico, almeno qualche volta, ha saputo far crescere la propria religiosità e il laico è rimasto ad allora, al chierichetto. E mentre da questa religiosità congelata, infantile e datata, trae arroganze tipiche di ogni ignorante dalla propria laicità crede di

acquisire oggettività, posizione fuori della mischia.

Chierichetti si o chierichetti no?

Credo che chierichetti ce ne saranno sempre. Intorno all’altare, decorativi e anche simpatici e bellini.

Fuori - nella società, nella cultura, nella politica - rattrappiti in corpi di adulti, ingombranti in mentalità che, almeno settorialmente, non sanno diventare adulte.
www.tempidifraternita.it/

Da bambino ho fatto il chirichetto e devo dire che ho dei bellissimi ricordi ,una esperienza che riempie i momenti della spiritualità da ragazzo
Viviana.30
00giovedì 14 giugno 2007 12:01
Re:

Scritto da: Justee 14/05/2006 22.02
ChiedeVo se esistono dei documenti inerenti al Sacerdozio dei Ragazzi o che trattino la vocazione dei Ragazzi veso questo Ministero.
Da piu prti si sente sempre di piu parlar di questa cosa , e non per sentito dire ma vista dai mieie occhi di ragazzi che sentono la vocazione al Sacerdozio anche alla Tenera età magari dopo la Cresima
Mi ponevo una domanda oltre quella citata , la Chiesa Cattolica ha problemi con i nuovi Sacerdoti essendoci una caduta di Vocazioni ,ma vi è una crescita dei Ragazzi verso questo Sacramento , che oltretutto viene ben applicato dalle Religioni alternative alla Cattolica , avendo nelle loro fila ragazzi ben preparati a livello Religioso
Se qualcuno sa di documenti ufficili possimao approfondire e parlarne.
Grazie



ho trovato questi due link

www.mgmoperemissionarie.com/

www.operemissionarie.it/pom/index.html

secondo me danno delle indicazioni importanti

[Modificato da Viviana.30 14/06/2007 12.02]

Viviana.30
00domenica 11 novembre 2007 21:52
Undicimila
Undicimila ex sacerdoti riammessi in 30 anni.

Dopo il Concilio c'è stata una emorragia di preti, che quasi in massa chiedevano l'abbandono dello stato clericale per poter contrarre matrimonio. Paolo VI ebbe molta indulgenza per queste situazioni e con facilità diede troppi consensi e molti preti lasciarono l'Ordine Sacro. La situazione mutò con Giovanni Paolo II che, non solo per questioni di dottrina, ma sopratutto per il fatto che molti chiesero di ritornare ad essere sacerdoti, strinse i freni alle dispense facili.

Così mentre si parla spesso dei sacerdoti cattolici che abbandonano il ministero e si sposano, molto meno si sa di quelli che, rimasti vedovi o insoddisfatti del nuovo stato di vita, o anche per una maturata valutazione del proprio stato anche attraverso gli stessi aiuti forniti dal Vaticano che assiste molti di questi sacerdoti in crisi, chiedono di essere riammessi all’esercizio del ministero. E così, in 30 anni circa 11.213 ex sacerdoti sono stati riammessi, lo scrive padre Giampaolo Salvini, SJ, in un articolo su La Civiltà Cattolica (n.3764 del 21 aprile 2007).

Questo fenomeno di rilevanza pastorale, oltre che mostrare la benevolenza della Chiesa la quale è prima di tutto Madre ed insieme Maestra, mostra anche tutta la superficialità e l'inganno ideologico nei dibattiti sul matrimonio dei preti. Non viene detto, per esempio, che di tutte le raltà cristiane divise che esistono oggi, soltanto nella Chiesa Cattolica si assiste al fenomeno della riconciliazione da parte di quanti ne sono usciti per svariati motivi.

Per tornare a esercitare il sacerdozio un prete sposato deve essere rimasto vedovo oppure avere ottenuto l'annullamento del matrimonio, cioè "deve essere libero da vincolo sacramentale matrimoniale". Inoltre "non deve avere obblighi civili verso la moglie o verso i figli minorenni". Se ci sono queste condizioni, servirà poi un "aggiornamento teologico di almeno sei mesi" attraverso i quali il sacerdote che era uscito, dovrà essere riabilitato al senso puro del suo ministero che non aveva mai perduto.
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