cambio a Geusalemme ...

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Justee
00martedì 26 luglio 2005 11:44
ROMA, 26 luglio 2005 – Nel programma di Benedetto XVI c’è un nuovo equilibrio tra il primato papale e il collegio dei vescovi.

Nel primo millennio della cristianità, quando la Chiesa di Roma e le Chiese orientali erano ancora unite, il collegio dei vescovi aveva un peso maggiore. Come tutt’ora avviene nei patriarcati d’Oriente, retti da un sistema sinodale.

Nella Chiesa romana è avvenuto il contrario. Lì, nel secondo millennio, il primato del papa si è fortemente rafforzato. Benedetto XVI – e con lui i cardinali che l’hanno eletto – è convinto che è arrivata l’ora di bilanciare i poteri e valorizzare di più il ruolo dei vescovi.

Un primo piccolo correttivo l’ha già introdotto nel sinodo in programma a Roma nel prossimo ottobre. Il sinodo – un istituto inaugurato da Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II che periodicamente riunisce attorno al papa una rappresentanza dei vescovi cattolici di tutto il mondo – resterà consultivo, non deliberativo, ma i vescovi avranno modo di discutere il tema in oggetto, l’eucaristia, con procedure più adatte a far emergere i diversi punti di vista, di cui il papa dovrà tener conto.

Rafforzando il collegio dei vescovi, Benedetto XVI spera di ricomporre lo scisma che ha diviso la Chiesa di Roma dalle Chiese d’oriente. Egli vuole avvicinare i rispettivi sistemi di governo in quanto di meglio essi hanno storicamente prodotto.

Tale cammino si prospetta in ogni caso lungo e contrastato, perché il divario da colmare è molto ampio.

Una prova lampante di quanto siano distanti i due sistemi è data da ciò che sta accadendo nel patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme.


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A Gerusalemme il 15 agosto il sinodo della Chiesa greca ortodossa si riunirà per eleggere il suo nuovo patriarca.

E fin qui niente di diverso da quanto avviene nella Chiesa romana, dove ogni nuovo papa è eletto dal collegio dei cardinali.

La diversità è che a Roma i cardinali non destituiscono un papa, mentre in Oriente lo possono fare e lo fanno.

Il sinodo greco ortodosso che a Gerusalemme si appresta a nominare il suo nuovo patriarca è lo stesso che pochi mesi fa ha rimosso il predecessore.

Questi, di nome Ireneos I (vedi foto), non ha peraltro accettato la propria destituzione. E continua a resistere nella sua residenza adiacente alla basilica del Santo Sepolcro, presidiata da pattuglie di soldati israeliani armati.

Il governo d’Israele, infatti, non ha sinora riconosciuto la decadenza di Ireneos dalla carica, a differenza della Giordania e dell’Autorità Palestinese che invece l’hanno approvata.

E questa è un’altra diversità rispetto alla Chiesa di Roma. In Oriente, i patriarcati ortodossi hanno un legame con i rispettivi governi nazionali che risale al modello “cesaro-papista” tipico dell’impero bizantino ed è rimasto in vigore anche dopo l’avvento del dominio musulmano.

Nel caso del patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, sia la sua destituzione che la sua nomina esigono l’approvazione di Israele, del regno di Giordania e dell’Autorità Palestinese.

Ireneos, ad esempio, fu eletto patriarca il 13 agosto 2001. Ma il governo israeliano – che già aveva preventivamente posto il veto sulla sua candidatura – aspettò fino al marzo 2004, dopo lunghe trattative segrete, prima di riconoscere la sua nomina.

E questo rinfocolò ancor più l’accusa a Ireneos di essere passato al servizio di interessi israeliani. Quando poi, nel marzo del 2005, si diffuse la voce che egli aveva venduto ad ebrei un complesso di edifici nella Città Vecchia di proprietà del patriarcato, la rivolta contro di lui esplose e portò alla sua destituzione, votata dal sinodo il 7 maggio 2005 con 13 voti su 17.


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Lo scontro interno al patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme è intrecciato alla sua composizione etnica.

Ad esso appartengono circa sessantacinquemila fedeli. Di questi, poco più di duecento sono greci, tutti gli altri sono arabi.

I greci detengono però tutti i ruoli di potere. I diciotto vescovi membri del sinodo, nominati dal patriarca, sono greci. Dei membri della Fraternità del Santo Sepolcro, cui spetta l’elezione del patriarca, novanta sono greci e quattro sono arabi.

Inoltre, il patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme è uno dei maggiori proprietari terrieri della Terra Santa. Possiede gran parte della Città Vecchia. Fuori delle mura è suo, ad esempio, il terreno sui cui sorge il palazzo della Knesset, il parlamento israeliano.

La vendita di immobili attribuita a Ireneos – ma da lui negata – riguarderebbe i terreni su cui sorgono due alberghi del centro storico, l’Imperial e il Petra, frequentati da notabili palestinesi, più altri edifici vicini alla Porta di Giaffa.


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Sarebbe un errore, però, ridurre la vicenda del patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme a una saga intestina. La sua rilevanza investe l’intero insieme delle Chiese d’Oriente.

La riprova è nel fatto – decisamente insolito – che per decidere sulla destituzione di Ireneos, votata il 7 maggio dal sinodo del patriarcato di Gerusalemme, si sono riuniti a Istanbul due settimane dopo, il 23 maggio, invitati dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, quarantadue rappresentanti di quattordici Chiese ortodosse, tra cui i patriarcati di Antiochia, Alessandria, Mosca, Grecia, Cipro, Serbia, Polonia. Anche Ireneos si è recato a questo sinodo interortodosso, che è terminato con l’approvazione della delibera del sinodo di Gerusalemme. Da allora nessuna Chiesa ortodossa lo riconosce più come patriarca e il suo nome non è più menzionato nelle liturgie. Si prevede che lo strapotere dell’élite greca sul patriarcato di Gerusalemme sarà ridimensionato a vantaggio della componente araba.

E la Chiesa cattolica? Ecco qui di seguito come un rappresentante autorevole della Chiesa di Roma ha ricostruito e giudicato la vicenda.

L’autore della nota è padre David Maria Jaeger, cittadino israeliano, ebreo di nascita, convertito in età adulta al cattolicesimo e fattosi francescano, specialista in diritto canonico e da molti anni negoziatore ufficiale per la Santa Sede con il governo d’Israele.

Il suo commento è apparso il 2 giugno 2005 sull’agenzia internazionale on line “Asia News”, diretta da padre Bernardo Cervellera del Pontificio Istituto Missioni Estere:


La caduta di Irenos I: Israele agisce come l’impero ottomano

di David M. Jaeger


Con una mossa che ha dell’incredibile, il governo d’Israele ha inviato guardie armate di polizia nel monastero greco-ortodosso, situato all’interno della Città Vecchia di Gerusalemme, a difendere l’ex patriarca Ireneos I e il suo possesso degli appartamenti patriarcali. E questo contro la volontà del sinodo patriarcale, che con larga maggioranza ha deposto Ireneos; contro la volontà di tutti i preti e i laici del patriarcato; e perfino contro la volontà di tutti i capi della Chiesa Ortodossa nel mondo intero.

Pare impossibile che nel XXI secolo, uno stato, pure democratico, si arroghi ancora il diritto di decidere chi deve essere o non essere il vescovo e il capo di una Chiesa cristiana. Tutto ciò è in profonda contraddizione con la stessa costituzione di Israele e con la Dichiarazione di Indipendenza che promette piena libertà religiosa per tutti.

BIZANTINI E OTTOMANI

Storia e politica aiutano a capire, ma non a scusare, questa situazione bizzarra.

Come si sa, nell’antico impero romano d’Oriente, detto “bizantino” dal nome della sua capitale Bisanzio, gli affari della Chiesa e dello Stato erano fortemente intrecciati; l’imperatore assumeva ed esercitava una sorta di supervisione sulla stessa Chiesa, secondo uno stile definito “cesaro-papista” da diversi studiosi occidentali.

Finché l’imperatore era un cristiano – e talvolta perfino un buon cristiano – la cosa forse poteva avere anche un senso. Ma tutto ciò è divenuto grottesco dopo la conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453, quando i nuovi dominatori, turchi e musulmani, hanno cercato di esercitare lo stesso controllo, o uno più grande, di quello espletato dai Cesari cristiani.

Questa innaturale situazione ha toccato Gerusalemme e la Terra Santa quando gli ottomani la conquistarono nella prima metà del XVI secolo. A quel tempo, l’antico Patriarcato orientale di Gerusalemme era in comunione con Roma, grazie all’unione stabilita al Concilio di Firenze nel 1439.

Con una politica già attuata a Costantinopoli, gli ottomani si sono preoccupati anzitutto di promuovere come responsabili del patriarcato i più accesi oppositori all’unità con Roma.

Per occupare tutte le posizioni di governo nel patriarcato, essi portarono dalla Grecia i monaci anti-unione, soppiantando completamente la Chiesa locale. I monaci greci si organizzarono in una corporazione definita la Fraternità Agiotafitica (ossia del Santo Sepolcro) che ha il pieno controllo a tutt’oggi di tutte le responsabilità e – ancor più importante – di tutte le proprietà del patriarcato.

In linea con il principio del cesaro-papismo, la nomina del patriarca rimase sempre nelle mani del governo. Lo stesso patriarcato, come personalità giuridica, poteva essere considerato una creatura della legge ottomana.

GIORDANIA E ISRAELE

Fra il 1948 e il 1967 la sede del patriarcato, nella Città Vecchia di Gerusalemme, era controllata dalla Giordania. Lo stato hascemita ha prodotto un nuovo statuto per il patriarcato, reclamando per sé gli stessi poteri del governo ottomano. Dal 1967 la Città Vecchia è sotto il controllo israeliano. Ma Israele non ha mai preteso formalmente i poteri dello stato ottomano, né vi è una legge per il controllo del patriarcato greco-ortodosso.

Nonostante ciò, influenti personalità dell’establishment israeliano pretendono di essere in questo gli eredi del potere ottomano e non si sono fatto scrupolo di usare ogni mezzo, anche la polizia armata, per affermare che lo stato ha l’ultima parola sulla nomina del Patriarca.

Personalmente, penso che se si facesse ricorso all’Alta Corte di Giustizia di Israele, la Corte farebbe fatica a giustificare l’incursione armata della polizia nel monastero greco-ortodosso, per imporre alla Chiesa di Gerusalemme un patriarca che nessuno vuole e che è stato ufficialmente deposto. E ciò in base ai criteri di libertà religiosa tratti dalle leggi internazionali sui diritti umani e in base agli stessi valori su cui si fonda Israele.

GRECI E CHIESA LOCALE

Vale la pena mostrare un altro aspetto della questione. La deposizione e la battaglia “postuma” di Ireneos sono l’ultimo capitolo di una lunga saga delle lotte all’interno del patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme. Alla radice il problema è il monopolio del potere e delle proprietà mantenuto fino ad oggi dalla Fraternità Agiotafitica, di etnia greca, che ha emarginato sempre più i fedeli arabi e il basso clero arabo.

Il fatto grave è che già molto tempo prima di Ireneos, i patriarchi greci hanno avuto l’abitudine di vendere proprietà e terreni della Chiesa senza alcuna trasparenza sull’uso e la destinazione dei soldi ricevuti. I fedeli arabi si sono spesso rivolti ai tribunali israeliani, nel tentativo di limitare come “fiduciari” il controllo delle proprietà della Chiesa da parte di patriarchi e vescovi: in quanto “fiduciari” essi non possono trattare le proprietà della Chiesa come loro proprietà personali.

Ma fino ad ora i tribunali hanno sempre rigettato ogni appello del genere. Alla sua elezione, Ireneos aveva promesso di metter fine all’alienazione irresponsabile delle proprietà ecclesiastiche. Poi i media hanno scoperto che lui ha venduto addirittura alcune delle proprietà più importanti e strategiche del patriarcato, all’entrata delle mura di Gerusalemme. A questo punto non solo vi è stata l’ira dei fedeli e del clero arabo, ma perfino i prelati greci hanno capito che si era superato ogni limite e si sono mossi con decisione e sveltezza.

Con ogni probabilità essi temono che, a non agire di fronte a tale condotta senza precedenti, l’intera struttura del loro potere possa crollare. Vi è un precedente: nel 1899, in Siria, vi è stata una ribellione dei fedeli e del clero, che hanno rimesso il patriarcato ortodosso di Antiochia nelle mani della popolazione locale, estromettendo i greci.

I CATTOLICI

Nella disputa legata a Ireneos i cattolici non sono direttamente coinvolti. Ma essi di certo non sono dispiaciuti nell’assistere alla sua deposizione.

Fin dalla elezione, Ireneos ha condotto una politica di ostilità, aggressione e violenza contro la Chiesa cattolica. Il fatto culminante è stato l’assalto da lui stesso guidato il 27 settembre 2004 contro i cattolici nella basilica del Santo Sepolcro. In quell’occasione Ireneo ha guidato i suoi monaci all’assalto anche contro la polizia israeliana che cercava di calmarli. Molti poliziotti hanno avuto bisogno di cure mediche. È davvero ironico che ora la stessa polizia si offra come strumento in questo tentativo tutto ottomano di restaurare il potere di Ireneos con la forza delle armi!

Si può solo immaginare che la polizia non sia contenta degli ordini a essa dati dai politici, ed è quasi impossibile immaginare i motivi politici dietro questi ordini. Penso che i politici faranno fatica a riconciliare questa intromissione armata in una decisione interna a una comunità cristiana, con la definizione di Israele quale “stato ebraico e democratico”.
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