L'autorità romana

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luigi2
00domenica 24 dicembre 2006 17:17
Hei Polimetis ti sei dato da fare?

Lo leggerò con calma,
spero che ci siano le risposte che attendevo, altrimenti ti costringerò a fare gli straordinari. [SM=x511439] [SM=g27988] [SM=x511448]

Ciao.
barnabino
00domenica 24 dicembre 2006 22:44
Caro luigi2,

Se vorrai delle conferme le troverai sempre....

[SM=g27988]
luigi2
00martedì 2 gennaio 2007 13:59
Alla base delle numerose fonti evidenziate in queste pagine, vorrei dire il mio modestissimo parere come quello di un lettore che ha seguito l’intera discussione, senza però evitare di fare ancora qualche piccola domanda di riflessione.
Ancora un po’ di pazienza. [SM=x511443]

1)Sulla presenza di Pietro a Roma,
è fuori discussione, sono numerosi i richiami ad esso.

2)Sul prestigio di Roma,
non si può nascondere che il martirio dei due apostoli risulta vincente in questo senso, vedi terzultimo post di Polimetis.

3)Sulla domanda di chi ha fondato la chiesa di Roma, il terzultimo post di Polimetis dice:


Roma è pertanto la sede di Pietro e di Paolo. L'hanno 'fondata'. Ne sarebbero forse stati i "primi" evangelizzatori? (Su questo cf. le opinioni di Cullmann sull’eventuale prima missione di Pietro a Roma come capo della missione giudeo-cristiana, idee esposte in questo messaggio).
Che Paolo non sia stato all'origine della comunità romana, basta leggere la sua lettera ai Romani e gli Atti degli Apostoli per esserne convinti (Rom. 1,7,15; 15,28; Atti 28,14-15). Che Pietro sia venuto a Roma, la Tradizione è troppo salda al riguardo per poterlo mettere in dubbio; ma è assai poco verosimile che egli sia stato il punto di partenza della chiesa di quella città nel senso di un fondatore assoluto. Non abbiamo per altro alcuna prova diretta che vi sia stato a Roma un vescovo, e non un collegio di presbiteri o di episcopi, prima della metà del sec. II;


Mi chiedevo: fondare una sede, non è collegata ad esserne i “primi” evangelizzatori?
Posso porre delle fondamenta se non ho prima preparato il terreno-evangelizzando?

E se non sono stati i primi evangelizzatori, non penso che si possa parlare di una loro fondazione della sede romana.

Qui riporto una nota di Teodoro:

Ma non mi risulta che Pietro o Paolo abbiano fondato la chiesa di Roma, è viceversa ultranoto che la comunità esistesse ben prima dell'arrivo, piuttosto tardo dei due.


Pertanto non mi sento di dire con estrema facilità di cose che la sede romana fu fondata dai due apostoli.

Tuttavia siamo ritenuti a pensare che la predicazione di Pentecoste fu il vero primo seme.

4)Sul primo vescovo,
Da Ireneo ad Eusebio passando per Gnilka, leggevo numerosi passi dove vengono citati insieme sempre gli apostoli Pietro e Paolo inseparabili possiamo dire, anche in una stessa commemorazione attestata sin dall’anno 258.
Eppure mi chiedo il perché si parla solamente di un primato petrino e della cattedra di Pietro, quando scorgo dalle testimonianze scritte di Polimetis un intreccio quasi inseparabile dei due, sia a livello di fondazione che d’importanza stessa. Perché non parlare anche di cattedra paolina?
Dire di Pietro primo vescovo di Roma sarebbe riduttivo e discriminante nei confronti di Paolo?

Una domanda per Polimetis, leggevo in uno dei tuoi scritti:

nel Vangelo di Matteo è detto espressamente: “il primo, Simone, chiamato Pietro” (non essendo né il più anziano né il primo degli apostoli scelti da Gesù, è probabile che si intenda "primo" in autorità).



quello che volevo sapere, è detto di Pietro: "non essendo né il più anziano".

1)Mi domandavo dove era reperibile la fonte di questa affermazione o se sembra che così faccia intendere la Scrittura, in quali versi?

2)E non essendo Pietro il più anziano, chi lo era?


Chiedo da già scusa se nel caso mi fosse scappato qualche parafrasi.
barnabino
00giovedì 4 gennaio 2007 23:46
Caro Luigi,


Sulla presenza di Pietro a Roma, è fuori discussione, sono numerosi i richiami ad esso



Il problema, a mio avviso, è che tale presenza è assente in tutti i testimoni più antichi e dunque più attendbili. Il primo a farne menzione diretta è Ireneo nel II secolo il quale, però, afferma anche che Giovanni avesse subito il martirio a Roma. Evidentemente le sua affermazioni non possono avere che un valore storico relativo e subordinato a quella di documenti più antichi. Mi pare che dire "fuori discussione" di fronte a testimonianze tanto tarde e frammentarie sia impossibile.

Come ho detto trovo assai sospetto che in merito alla presenza di Pietro a Roma la storia si arricchisca di dettagli e certezze con il passare del tempo.

Si parte dall'assenza di ogni testimonianza nel I secolo per arrivare al "fuori discussione" quando il potere di Roma è ormai consolidato. Come minimo, agli occhi di qualunque storico, la cosa è un pò sospetta.


non si può nascondere che il martirio dei due apostoli risulta vincente in questo senso, vedi terzultimo post di Polimetis



Si potrebbe tranquillamente anche sostenere il contrario, Roma era la capitale dell'impero, la sua comunità certamente era molto influente, non sorprenderebbe che si appropriasse di ipotetiche "nobili" origini per consolidare la propria posizione.


Pertanto non mi sento di dire con estrema facilità di cose che la sede romana fu fondata dai due apostoli



Direi che nessuno storico dotato di un pò di buon senso si sognerebbe mai di dire che Pietro e Paolo fondarono la chiesa di Roma.


Dire di Pietro primo vescovo di Roma sarebbe riduttivo e discriminante nei confronti di Paolo?



Mi pare una falso problema, infatti nè Pietro nè Paolo hanno mai sostenuto di essere vescovi di Roma nè tanto meno che vi debba essere un solo vescovo in ogni città o che il vescovo rivestisse una posizione maggiore del presbitero. Per quanto ne sappiamo potevano benissimo entrambi far parte di un collegio di presbiteri.


quello che volevo sapere, è detto di Pietro: "non essendo né il più anziano"



Matteo dice "il primo" ma semplicemente come "ordine" (ovvero il "primo" menzionato) e non di dignità o preminenza come alcuni pretendono. Il primo anche in quanto il primo essere stato chiamato (con Andrea) ed il primo, in seguito, anche a predicare ai gentili.

Shalom




luigi2
00venerdì 5 gennaio 2007 13:24
Polimetis che fine hai fatto?

luigi2
00venerdì 5 gennaio 2007 14:12
Re:

Scritto da: barnabino 04/01/2007 23.46
Caro Luigi,


Il problema, a mio avviso, è che tale presenza è assente in tutti i testimoni più antichi e dunque più attendbili. Il primo a farne menzione diretta è Ireneo nel II secolo






Scusa Barnabino ma in Clemente Romano leggo a proposito del martirio di Pietro e Paolo:

“Ma per lasciare gli esempi del tempo antico, passiamo ora ai lottatori del recente passato. Consideriamo i nobili esempi della nostra generazione. A causa della gelosia e dell’invidia le maggiori e giuste colonne furono perseguitate e lottarono fino alla morte. Poniamo di fronte ai nostri occhi i gloriosi apostoli: Pietro, che per ingiusta invidia dovette subire non uno o due ma molti colpi e così, resa la sua testimonianza, andò al luogo della gloria che gli spettava. A causa della gelosia e dell’invidia. Paolo riportò il combattuto premio della costanza: sette volte fu incatenato, dovette soffrire, fu lapidato, divenne araldo in oriente e in occidente ottenne una sì gran gloria per la sua fede. Dopo aver insegnato a tutto il mondo la giustizia ed essere giunto fino alle estremità occidentali del mondo e aver reso testimonianza dinnanzi ai potenti, fu liberato dal mondo e andò al luogo santo, egli, il maggior esempio di costanza.” V,1

Se di Paolo ne siamo certi, non so perché non dovremmo crederlo per Pietro, dove qui lo scrittore li unisce in un tutt’uno.

Ti riporto questa nota di Polimetis che a mio modestissimo parere è condivisibile:


E’ impensabile per la storia della Tradizione cristiana primitiva raccontare a voce a qualcuno che un apostolo è stato martirizzato e non dire dove è accaduto, se Clemente sa della morte di Pietro sa anche dove è avvenuta, indipendentemente dal fatto che poi lo scriva o meno. Nel nostro passaggio Clemente non ha bisogno di menzionarla, potendo presupporre che fosse nota ai lettori, e specie ai lettori di Corinto.



In Ignazio viaggiando per Roma scrive alla chiesa lì esistente di non voler impartire loro "degli ordini come Pietro e Paolo" poiché essi "erano liberi, mentre io sono schiavo.
Questo come minimo ci dovrebbe far pensare che Pietro sia stato a Roma.

Papia ci dice che Pietro scrisse da Roma la sua lettera (in Eus. St Ecc.II)

Sempre in Eusebio ci viene detto che Origene (185-254) descrive la crocifissione di Pietro.

Dionigi ci parla della predicazione a Roma degli apostoli Pietro e Paolo.

Poi ancora Clemente Alless., Ireneo e più tardi ancora altri.

Insomma storicamente o tutti questi sono stati ingannati o chi direttamente e chi indirettamente l’hanno vissuta.
Tra chi ne descrive solamente la presenza, chi ne descrive la predicazione, e chi il martirio, sono comunque unanimi nel dire che Pietro sia stato a Roma.

barnabino
00venerdì 5 gennaio 2007 15:08
Caro Luigi,


in Clemente Romano leggo a proposito del martirio di Pietro e Paolo



Qui Clemente dice solo che Pietro fu martirizzato, non dice affatto che fosse martirizzato nella città di Roma. In tutta la sua lettera non vi è alcun riferimento alla presenza di Pietro in Roma o al fatto che lui o altri prebiteri romani ne fossero in qualche modo i successori. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un inspiegabile silenzio se ipotizziamo la presenza ed il martiro di Pietro a Roma e la sua funzione di primo vescovo di quella chiesa. Da questo pezzo io capisco che per Clemente Pietro non è affatto morto a Roma.


Nel nostro passaggio Clemente non ha bisogno di menzionarla, potendo presupporre che fosse nota ai lettori, e specie ai lettori di Corinto



Il fatto che la località fosse "nota" a Clemente ed ai Corinti non indica che fosse Roma. Poteva benissimo essere una qualunque altra località.

Quello che Clemente dice è molto vago e generico, il che dimostra che non ha alcuna testimonianza di prima mano. Strano se Pietro fosse morto a Roma. Ben diverso è il discorso che fa per Paolo dove raccoglie molti dettagli.


In Ignazio viaggiando per Roma scrive alla chiesa lì esistente di non voler impartire loro "degli ordini come Pietro e Paolo" poiché essi "erano liberi, mentre io sono schiavo.
Questo come minimo ci dovrebbe far pensare che Pietro sia stato a Roma.



Se si parte dal "presupposto" che siamo morti entrambi a Roma la spiegazione sembra logica... ma purtroppo è quello che invece dobbiamo dimostrare. Le parole di Ignazio non lo dicono in modo esplicito e nessuna fonte anteriore ne fa menzione.

Il riferimento all'autorità di Pietro a Paolo non ci deve far pensare ad una presenza fisica dell'apostolo in Roma. Essi erano due autorità universalmente riconosciute, Paolo per quanto riguarda i gentili e Pietro i giudei ma questo non significa che tale autorità devesse essere esercitata da persona, qui Ignazio fa piuttosto appello alla loro autorità apostolica.

Il senso è: "io non dò ordini come lo farei se fossi Pietro e Paolo". Ma è chiaro che tali ordini sono quelli scritti e non quelli dati oralmente dai due apostoli.

Insomma, l'accenno è troppo vago e può essere del tutto casuale. Vederci altro mi pare una forzatura, specialmente, ti ripeto, in relazione al fatto che per tutto il I secolo non esiste un solo, dico uno solo, accenno alla cosa.


Papia ci dice che Pietro scrisse da Roma la sua lettera (in Eus. St Ecc.II)



Siamo ad una testimonianza di seconde per non dire di terza mano. Eusebio è una fonte sospetta a questo riguardo perchè egli vissuto sempre in oriente era un acceso sostenitore della presenza di Pietro a Roma, che faceva risalire addirittura al tempo di Claudio.

La citazione di Papia circa la 1 di Pietro è dettata dal fatto che egli considerava "babilonia" una metafora di Roma. Ma non vi sono prove che tale metafora fosse in uso prima della distruzione del tempio, questo farebbe pensare che Papia non sapesse dove Pietro aveva scritto la lettera ma lo immaginasse attarverso una sua lettura metaforica di "Babilonia=Roma".


Sempre in Eusebio ci viene detto che Origene (185-254) descrive la crocifissione di Pietro. Dionigi ci parla della predicazione a Roma degli apostoli Pietro e Paolo. Poi ancora Clemente Alless., Ireneo e più tardi ancora altri



Come ti ho già fatto notare si tratta di testimonianze tarde e spesso contradditorie, il che indica che quegli autori riportavano solo delle tradizioni a loro volta riportate.

Nessuno nega che a partire dal II secolo la comunità di Roma acquistò una importanza sempre maggiore, importanza che coincide con lo sviluppo di stroie sempre più dettagliati e leggendarie sulla presenza ed il martirio di Pietro a Roma.


Insomma storicamente o tutti questi sono stati ingannati o chi direttamente e chi indirettamente l’hanno vissuta



Le fonti, nel I secolo, non rivelano alcun inganno infatti nessuno fa menzione di questo fatto. Nel II secolo sono troppo esigue, casuali e vaghe per parlare di una qualche "storicità". Sui secoli successivi è difficile dire cosa sia "storico" o meno, visto che molte delle notizie che danno spesso sono infondate e basate su tradizioni prive di fondamento storico, questa poteva essere più diffusa anche in relazione al progressivo affermarsi della leadership di Roma.

Shalom


luigi2
00venerdì 5 gennaio 2007 20:29
Ciao barnabino credimi non voglio assolutamente polemizzare.

Ma altrettanto noto che tendi più a mostrare il contrario di quello che si dice (in questo caso la presenza di Pietro a Roma) che sforzarsi di essere più obiettivi aldilà della confessione religiosa.

Credimi non è una questione di chi ha ragione.

In Clemente, sei uno dei pochi che non vede un'attinenza di Pietro a Roma ......... e va bene!

In Ignazio dici:

Le parole di Ignazio non lo dicono in modo esplicito


è chiaro che non lo trovi per iscritto testualmente, ma chiunque ne comprende il significato, pure perchè la lettera d'Ignazio aveva per soggetto un'altro scopo e non quello di far sapere che Pietro e Paolo furono a Roma, in quanto scontato.

Su Papia mi dici che Eusebio è una fonte sospetta, allora dico: buttiamo pure i suoi scritti, perchè sarà sempre e comunque sospetto!

Personaggi del II sec. mi dici che sono testimonianze tarde, cosa in cui non sono d'accordo perchè non è che stiamo parlando di chissà quanti secoli e secoli fà.

E poi si può parlare di uno o due che non ti convincono, no di decine di testimonianze.

Barnabino sii più obiettivo, da tutti questi testi che siano tardi, vicini, sospetti, sono tutti concordi sulla presenza di Pietro a Roma, dove trova concordi anche la stragrande maggioranza di teologi riformati.
Teodoro Studita
00venerdì 5 gennaio 2007 22:43
Il punto è che non puoi parlare di storia con chi inventa date per far tornare i conti "apocalittici" o che crede che l'uomo sia stato creato l'altro ieri "perché così dice la Bibbia".
La storia non si fa con costoro, ma con le fonti. In questo caso non sono molte, ma sono concordi nel dire una cosa. Forse barnabino nel cassetto ha una teoria alternativa che spiega meglio di questa la presenza di queste testimonianze? Siamo di fronte ad un delirio di massa di tutte le fonti?
Se Pietro non fu a Roma, magari barnabino ci potrebbe dire da dov'è che scriveva. Forse da Babilonia: in tal caso dobbiamo evincere che Pietro aveva fatto un giro a raccogliere cocci, o a guardare il panorama delle antiche e gloriose rovine, mi sembra una teoria molto verosimile!
Leggete il metodo WTS per la ricerca storica dalla voce di Franz:

…effettuammo ricerche in tal senso nelle biblioteche di tutta la città di New York alla ricerca di qualunque cosa potesse confermare quella data dal punto di vista storico. Non trovammo proprio niente a sostegno del 607 a.E.V. Tutti gli storici additavano una data posteriore di 20 anni. Tra le decine e decine di migliaia di tavolette cuneiformi […] nessuna comprovava per l’Impero Neobabilonese la data da noi sostenuta, come quella della distruzione di Gerusalemme… (Crisi di Coscienza,p.47)

A costoro non interessa affatto come sono andate le cose, mi meraviglio che qualcuno abbia ancora fantasie in tal senso.

Cordialità,



barnabino
00venerdì 5 gennaio 2007 23:59
Caro Luigi,

Neppure io intendo polemizzare, ma per dichiarazioni esplicite e storicamente attendibili io non posso certo intendere quelle di Clemente e Ignazio


In Clemente, sei uno dei pochi che non vede In Clemente, sei uno dei pochi che non vede un'attinenza di Pietro a Roma ......... e va bene!
......... e va bene!



Scusami se sono ripetivo, ma dove si dice che Pietro è stato martirizzato a Roma? A Clemente non interessa parlare di "martirio" ma piuttosto di invidie e gelosie. Dopo aver trattato esempi dell'AT ne tratta due del NT.

Di Pietro non sappiamo neppure se morì martire, infatti a quell'epoca non è ancora confermato l'uso di marturein nel senso di subire il martirio. Di fatto dice solo che Pietro "rese testimonianza" soffrendo per ingiuste gelosie. Le parole "furono perseguitati fino alla morte" sono anche riferite a Giuseppe, che notoriamente non morì martire.

Di fatto, parlo di DATO STORICO OGGETTIVO, Clemente:

1. Non dice dove sia morto Pietro
2. Non dice che sia morto martire
3. Non dice che fosse stato in qualche modo vescovo di Roma o di esserne il successore

Scusami ma se tu nella frase della I Clemente ci leggi "un'attinenza di Pietro a Roma" allora possiamo anche dire che Gesù era un Mago o che Padre Pio moltiplicava i bachi sa seta.

Le parole di Clemente sono di una genericità tale da far pensare che su Pietro egli non possedesse alcun dato storico.


è chiaro che non lo trovi per iscritto testualmente, ma chiunque ne comprende il significato, pure perchè la lettera d'Ignazio aveva per soggetto un'altro scopo e non quello di far sapere che Pietro e Paolo furono a Roma, in quanto scontato.



Non vedo perchè debba essere "scontato", in base a che cosa? Ignazio non dice che non vuole comandare come avevano fatto quali vescovi Pietro e Paolo, ma si riferisce ai SUOI SCRITTI. Dunque paragona i suoi scritti con quelli di Pietro e Paolo. Nulla in quella frase presuppone che Pietro "ordinasse" qualcosa attraverso la sua presenza fisica a Roma.

Anche qui, è ben strano che in una serie di epistole in cui vuole affermare la monarchicità del vescovo ometta di dire che Pietro fosse il primo vescovo della città.


Personaggi del II sec. mi dici che sono testimonianze tarde, cosa in cui non sono d'accordo perchè non è che stiamo parlando di chissà quanti secoli e secoli fà



Non fraintendere le mie parole. Io non ritengo priva di valore la tradizione del III secolo, dico solo che in questo caso le informazioni sono poco attendibili in quanto:

1. nel I secolo non esiste alcun accenno alla presenza di Pietro a Roma, per cui è sospetto che solo oltre cento anni dopo il martirio si accenni alla cosa, questo mi pare una fatto essenziale.

2. Gli stessi scrittori della metà del II secolo che dicono che Pietro era a Roma sono molto imprecisi in altre notizie del genere (ti ricordo che Ireneo sostiene che anche Giovanni fu martirizzato in Roma!) e questo ci fa pensare che traessero le notizie da fonti di seconda mano poco attendibili.

3. La tradizione si arricchisce di dettagli via via sempre più fantastici con il passare dei secoli, cosa che fa sospettare ad notizie non proprio storiche ma di carattere leggendario

Non ultima vi è da considerare anche una certa rivalità tra le chiese che portava ad assicurarsi i martiri e i fondatori più "importanti".

Shalom





barnabino
00sabato 6 gennaio 2007 00:17
Caro Teodoro,

Tralascio le tue solite accuse che stanno solo a dimostrare quanto la tua religione sia incapace di educare i suoi seguaci. Ma non puoi una buona volta evitare di fare apprezzamenti sui TdG? Prova di immaginare di parlare con un Buddista!

Vengo al punto


Se Pietro non fu a Roma, magari barnabino ci potrebbe dire da dov'è che scriveva. Forse da Babilonia: in tal caso dobbiamo evincere che Pietro aveva fatto un giro a raccogliere cocci, o a guardare il panorama delle antiche e gloriose rovine, mi sembra una teoria molto verosimile!



In realtà nel I secolo, ed anche dopo, quella in Babilonia vi era una delle più importanti comunità giudaiche del tempo. Giuseppe Flavio ne parla diverse volte nelle Antichità, come puoi controllare tu stesso. Certo più importante di Roma ed anche di Alessandria, tanto che vi è una scuola talmudica che porta il nome della città. Certo Babilonia era decaduta, ma non abbiamo ragione di credere che fosse disabitata, del resto può trattarsi della regione e non della città, le colonie ebraiche erano infatti situate nel suburbio. Poichè Pietro fu mandato a predicare ai giudei l'ipotesi non è tanto balzana come tu vuoi far credere.

Sappiamo anche che uomini della Mesopotamia erano presenti alla pentecoste e dunque non sorprende che una comunità cristiana vi fosse presente. E d'altronde non abbiamo nessuna prova che Roma fosse identificata dai cristiani con Babilonia prima della persecuzione neroniana (dovrenno ritenere la lettera non autentica) inoltre prima di tale epoca non vi era ragione di usare un linguaggio di quel tipo in una lettera che, piuttosto, invita al rispetto dell'autorità imperiale.

Shalom




Polymetis
00sabato 6 gennaio 2007 10:44
Dall’Alsazia con amore…

Leggo solo le e-mail quando sono via, e qualcuno ha avuto il buon senso di avvertirmi che in questo forum qualcuno stava giocando a fare l’antichista con profonde dissertazioni di patristica. In riferimento al primo messaggio di Barnabino in questa pagina, quello del 04/01/2007 23.46, ho avuto l’impressione di leggere un messaggio cui avevo già risposto. Barnabino evidentemente non ha letto una sola riga del mio ultimo post a lui indirizzato, visto che le sue obiezioni sono un autentico CLONE a quanto è stato già confutato. Chi volesse trovare smascherate tutte le panzane e gli autentici ERRORI di Barnabino, tanto per fare un esempio la sua fissazione sull’idea errata che in Ireneo si parlerebbe del bollito di Giovanni a Roma (e si confonde con Tertulliano) o che egli sia la prima fonte diretta del martirio di Pietro nell’Urbe, può trovare tutto meticolosamente svolto nel mio post che è stato saltato a piè pari. Sono state ignorate tutte le attestazioni nella letteratura cristiana del I secolo quali l’Ascensio Isaiae o il fr. Rainer che parlano del martirio di Pietro, si è continuati imperterriti a dire che Pietro andò a Babilonia appoggiandosi a Giuseppe Flavio quando bastava leggere il mio post per sapere se nelle Antichità Giudaiche lo storico dice l’esatto contrario, ossia afferma addirittura a chiare lettere che a metà del I secolo gli ebrei non erano a Babilonia in quanto la comunità era migrata in massa dalla città(e se volete le coordinate temo dovrete leggerlo). Si sono dette sciocchezze come il fatto che nella letteratura precedente alla distruzione del tempio non sarebbe attestata un’equivalenza tra Roma e Babilonia quando invece l’uso di questa “metafora” viene proprio dai testi apocalittici giudaici composti prima di Cristo. Insomma una serie di madornali errori dal nostro antichista della domenica, e c’è risposta a ciascuno di essi in quanto avevo scritto. Riporto il mio ultimo post nella parte dedicata a Barnabino, perché come già detto c’è letteralmente la risposta ad ogni sua singola frase del primo intervento di questa pagina, essendo queste una copia di ciò a cui avevo già risposto. Mi auguro davvero come moderatore che una cosa tanto penosa non abbia mai più a ripetersi. Quanto ai suoi interventi successivi, c’è qualche frase nuova, quindi la commenterò in appendice.

Per Barnabino

Questo tuo messaggio è un capolavoro di mezze verità, insinuazioni, ipotesi ad hoc, teoremi di colpevolezza fino a prova contraria, un pastiche di metodo astorico.

"Dire "assai probabile" con queste considerazioni mi pare azzardato, diciamo che potrebbe essere al massimo "compatibile" ma dalla lettura di Ignazio in sé non si può evincere nulla"

Al contrario storici anche protestanti sono di parere diverso. [E quanto segue risponde anche alla lettura secondo cui la frase vorrebbe dire"io non do ordini come lo farei se fossi Pietro e Paolo]. Per i motivi già elencati e che non ti sei degnato di commentare:

"Nel cap. 4, 3 di questo scritto leggiamo: “lo non v'impartisco ordini come Pietro e Paolo, quelli (erano) apostoli, io un condannato; quelli liberi, io finora uno schiavo; ma se soffro diventerò un liberto di Gesù Cristo, e risorgerò in lui uomo libero”. Così scrive Ignazio alla comunità di Roma, ed è degno di nota che egli richiami alla memoria proprio di quella comunità gli esempi di Pietro e di Paolo. Poiché Pietro non ha mai scritto leggere ai romani, se ne evince che sia stato a Roma direttamente. (...) Dà da pensare che egli proprio nella lettera ai Romani non si accontenti di un espressione generica ma citi per nome proprio Pietro e Paolo. Non si può assolutamente considerare automatica la giustapposizione di Pietro e di Paolo, quando si menzionavano nomi di apostoli: questo potrebbe infatti valere per il periodo posteriore, ma non certo per quello di Ignazio. Non si può eludere il problema del perché i due apostoli fossero menzionati insieme, benché essi, a parte l'incontro di Gerusalemme e lo scontro di Antiochia, non avessero mai operato insieme e anzi, in base all'accordo di Gerusalemme (Gal. 2, 9), dirigessero due organizzazioni missionarie distinte. (...) Nel passo parallelo della lettera ai Tralliani (3, 3) Ignazio non menziona il nome di alcun apostolo : non aveva alcuna ragione di farlo, scrivendo a una comunità che non aveva ricevuto alcuna visita apostolica. Invece nella lettera agli Efesini, fra i quali Paolo era stato, egli menziona per nome questo apostolo, se pure in tutt'altro contesto (12, 2). Egli chiama gli Efesini “i consacrati di Paolo”, poiché Paolo ha esercitato l'apostolato in Efeso. Analogamente Ignazio menziona Pietro e Paolo nella lettera ai Romani, poiché entrambi erano stati a Roma. Questo passo permette di trarre qualche conclusione anche in merito a un'attività precedente dei due apostoli, in Roma? Il verbo “dare ordini” sembra suggerirlo. Qualcuno ha affermato, è vero, che in tal modo sarebbero semplicemente indicate le istruzioni date da Paolo nella sua lettera ai Romani, ma in tal caso non si comprenderebbe l'accostamento del nome di Pietro" Inoltre come s'è visto il testo di Ignazio parla proprio del martirio di Pietro e Paolo col classico "eleutheroi" legato alla gloria e alla persecuzione, in una lettera ai romani.

"specialmente se confrontate con gli scritti canonici che tacciono perfino la presenza di Pietro a Roma."

Come già detto è falso, ne parla Pietro nella sua prima lettera. Del resto non potremmo aspettarci altro. L'unico testo "storiografico" del Nuovo Testamento, che pretenda di raccontarci la vita della Chiesa, cioè gli Atti, si chiude addirittura prima della morte di Paolo, dunque è inutile cercarvi notizie sul martirio di Pietro. Inoltre la distinzioni tra fonti canoniche o meno è del tutto irrilevante per lo storico, ho portato all'attenzione sulla scia di Cullmann cosa dicano a proposito della morte di Pietro a Roma il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae, entrambe opere apocrife di fine I secolo.

"Per altro sarebbe da capire anche quanto storici siamo gli scritti di Ignazio (a partire dallo strano viaggio per essere messo a morte e dal fatto che nessuna fonte antica ne attesta il martirio a Roma!)"

Iniziano le insinuazioni ingiustificate, col negazionismo a priori in testa. Il viaggio a Roma per subirvi il martirio è assimilabile al viaggio fatto da Paolo stesso, delle sue lettere ci parla per primo Policarpo nella sua lettera ai Filippesi, i quali gli chiedevano una copia delle lettere del vescovo di antiochia. Non me ne intendo di agiografia e dunque non so quali siano le più antiche fonti del martirio di Ignazio a Roma, che tanto per inciso è irrilevante perché nelle sue lettere ovviamente non se ne parla essendo l'autore ancora in vita. Se si scrive di martirio romano è perché l'autore stesso si immagina divorato dalle belve quando sarà giunto nell'Urbe. Comunque non è vero che nessuna fonte antica ne attesta il martirio a Roma, il riferimento più antico che, da non addetto ai lavori, sono riuscito a trovare, è in una fonte ben antica, cioè in Ireneo che ci dice venne condannato ad bestias (Adv. Haeres., V, 28,4) Questa è un'informazione di prima mano perché Ireneo era discepolo di Policarpo, e quest'ultimo era amico di e corrispondente epistolare di Ignazio.

“con la sua esaltazione ed il suo punto di vista che non sappiamo quanto fosse condiviso..."

Punto di vista su che cosa?

"insomma egli rappresenta solo un punto di vista limitato e non la realtà storica del momento che invece sembra essere molto più complessa."

Non mi dici di cosa parli e dunque non posso risponderti. Ad ogni modo Ignazio è il vescovo di Antiochia, quindi a meno che non avesse meno di cinquant'anni non solo era successore di Pietro nella cattedra di quella città ma l'aveva anche conosciuto. Antiochia non è il Bronx, la chiesa siriaca è tra le più importante nei primi secoli, addirittura una delle sedi della pentarchia. Inoltre scrive ai maggiori centri cristiani del tempo, come Efeso, Smirne e Roma, evidentemente era ben informato sulla situazione generale. Ma sappiamo che il tuo negazionismo è puramente a macchinetta dunque non ho alcuna possibilità di farti desistere dalla tua assurda convinzione di conoscere il cristianesimo meglio di un vescovo del primo secolo, per giunta di un vescovo di tradizione petrina.

"A mio parere le sue parole, se lette in modo neutrale, farebbero propendere addirittura per l'assenza di Pietro in quella città, infatti non vi è alcun riferimento diretto al suo martirio"

Anche questo è falso. Ho scritto: "Nella Lettera ai Romani Ignazio parla del martirio che lo aspetta a Roma. Davanti agli occhi spirituali vede l'arena nella quale sarà maciullato dalle fiere: “Lasciatemi diventare cibo delle fiere mediante le quali mi è possibile giungere a Dio... Lusingate piuttosto le fiere, affinché diventino la mia tomba...” Queste parole precedono immediatamente la menzione di Pietro e Paolo. Qui egli gioca con le parole libero e schiavo: fino a questo momento si sente schiavo. Col martirio diventerà liberto di Gesù Cristo perché risorgerà uomo libero in lui. Quando descrive Pietro e Paolo come uomini che sono liberi, Ignazio si riferisce certamente al loro martirio con il quale anche loro hanno raggiunto la libertà definitiva (anche perché dice di essere schiavo “finora”, ma dopo il martirio non lo sarà più). Nella lettera ai cristiani di Efeso Ignazio dichiara esplicitamente di voler essere trovato a seguire le impronte di Paolo sul cammino che porta a Dio, cioè seguire l'apostolo nel martirio. Come la città di Efeso fu per Paolo un passaggio del suo cammino definitivo verso Dio, così sarà anche per lui, Ignazio, che nella traduzione da Antiochia a Roma passa in catene per Efeso. Se Ignazio paragona, anzi mette in parallelo, il proprio destino con quello di Pietro e Paolo, evidentemente sa del loro martirio romano. Come lui sta andando incontro alla morte violenta a Roma, così essi sono già giunti a destino percorrendo il medesimo cammino che porta a Dio."
Rileggiamo il testo: "Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi do ordini come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi, io finora uno schiavo. Ma se soffro sarò affiancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla."
Ignazio è finora uno schiavo, perché quando sarà martirizzato sarà libero, come Pietro e Paolo, morti martiri anch'essi e dunque liberi. Si parla dunque del loro martirio.

"E' certo possibile che cominciassero a nascere delle leggende sulla presenza Pietro a Roma, ma come pie invenzioni e non come fatti storici devono essere considerate"

Abbiamo già discusso della follia metodologica di questo metodo altrove quando contestualizzai il tuo tarocco di O. Cullmann, e ancora non ho avuto risposta, giacché lo storico prende chiaramente posizione su questo punto.
Riproposizione dell'episodio…
Avevi scritto



Oscar Cullmann (pur favorevole alla tesi di Pietro a Roma) deve ammettere: "Questi testi tardivi che affermano, ormai in crescente numero che Pietro è venuto a Roma e vi ha subito il martirio, non presentano alcun interesse storico, se non per chi si occupa di storia dei dogmi, perché a lui mostrano la storia della tradizione" (O. Cullmann, op. cit., p.102)



Risposta che diedi e che aspetta ancora una replica:


Qui ci sono due problemi. In primis hai tagliato quanto scritto prima, ed è ciò che illumina le affermazioni successive. In secondo luogo la traduzione nell’edizione italiana è diversa (hai tradotto direttamente dall’originale o hai una versione italiana diversa? Citazione completa: “non è però corretto attribuire a tali tendenze(il crescere dei particolari N.d.R.) l’invenzione del soggiorno e del martirio di Pietro a Roma: la funzione di esse può essersi limitata a sottolineare e a prolungare tradizioni più correnti. D’altra parte questi testi più tardivi, che con forza e uniformità sempre maggiori attestano che Pietro è stato a Roma e vi è morto martire, dal punto di vista storico possono avere per noi interesse soltanto per ciò che riguarda la storia dei dogmi, in quanto attestano lo sviluppo della tradizione”(pag. 154-155) Quindi non definisce i testi “tardivi” ma solo “più tardivi” degli altri (in riferimento alla crocifissione a testa in giù), il che è una constatazione temporale e non un giudizio, e non si dice che non hanno “alcun interesse storico”, né tanto meno che possano aver inventato tradizioni così dal nulla.




Come già detto, qualunque fatto della storia antica viene amplificato con il passare degli anni, ma il dedurre nell'analizzare fonti di secoli dopo, per il solo fatto che aumentano i particolari, che il nucleo storico non esiste, farebbe crollare tutti i manuali di storia antica. Ho già fatto un esempio a Spirito su questo punto. Prima le informazioni che abbiamo sull'omicidio di Cesare sono scarne, poi invece veniamo addirittura a sapere che la moglie l'aveva sognato la sera prima e l'aveva pregato di non andare in senato. Se dovessimo usare il tuo metodo leggendo questo ridicolo brano di Svetonio sulle idi di Marzo ne dovremmo dedurre che visto il cumulo di particolari leggendari l'assassinio del divo Giulio non sia mai avvenuto:

"La morte imminente fu annunciata a Cesare da chiari prodigi. Egli venne a sapere che le mandrie di cavalli che aveva consacrato, attraversando il Rubicone, al dio del fiume, e aveva lasciato libere di vagare senza guardiano, si rifiutavano con assoluta ostinazione di pascolare e piangevano a dirotto. E mentre faceva un sacrificio, l'aruspice Spurinna lo ammonì di guardarsi dal pericolo, che non si sarebbe protratto oltre le Idi di marzo. In quella notte, poi, che precedette il giorno dell’assassinio, anche Cesare stesso sognò ora di volare al di sopra delle nubi, ora di stringere la mano di Giove; e la moglie Calpurnia sognò che crollava la sommità della casa e che il marito veniva ucciso nel suo grembo; e all’improvviso le porte della camera da letto si aprirono da sole. A causa di questi presagi, ed anche per il cattivo stato di salute, Cesare, a lungo indeciso se restare in casa e differire gli affari che si era proposto di trattare davanti al Senato, alla fine, poiché Decimo Bruto lo esortava a non deludere i senatori accorsi in gran numero e che lo stavano aspettando ormai da un pezzo, verso la quinta ora s’incamminò, e quando gli fu consegnato da uno che gli era venuto incontro un biglietto che denunciava la congiura, lo mise insieme con gli altri biglietti che teneva nella mano sinistra, come se volesse leggerlo più tardi. Dopo aver fatto quindi molti sacrifici, poiché non riusciva ad ottenere auspici favorevoli, entrò in curia incurante di ogni scrupolo religioso, deridendo Spurinna ed accusandolo di dire il falso, perché le Idi erano arrivate senza alcun danno per lui: Spurinna però gli rispose che erano arrivate, sì, ma non erano ancora passate." (Svetonio, Vita di Cesare, 81 passim)

Questo a significare che non bisogna scambiare i particolari di contorno col nucleo duro di una tradizione che invece è ben attestata. Non solo infatti non c'è alcuna altra tradizione concorrente, eppure parliamo del principe degli apostoli, ma per di più è una tradizione riconosciuta anche dall'Oriente.

"alla stregua del presunto "bollito" che secondo Ireneo fu tentato con Giovanni a Roma"

Digiti a macchinetta fregandotene delle obiezioni che ti vengono fatte?
Avevo scritto:
a)Non so di che testo di Ireneo stai parlando, probabilmente ti confondi con Tertulliano b) Ireneo, vescovo proveniente dall’Asia minore ed in seguito venuto a Roma, è uno dei meglio informati su tradizioni di qualunque tipo grazie al suo legame con Policarpo. c)Io non ho nessun problema a credere che anche Giovanni sia passato per Roma, ma visto che non so neppure di che testo tu stia parlando sospendo il giudizio prima di analizzarlo. Spero che non si riveli un altro caso di Gesù sopravvissuto alla crocifissione e morto a 50 anni, passo inesistente.

"Insomma dagli scritti appare una volontà di "legittimare" Roma in modo via via crescente con gli anni."

Come già detto i primi scritti non hanno nulla a che fare con la legittimazione sono di carattere apocalittico. Inoltre come già detto trovare un movente non vuol dire dimostrare la colpevolezza: stai procedendo in base al paradigma del colpevole fino a prova contraria. Si noti come questa legittimazione di Roma data dal martirio di Pietro non sia mai stata contestata in Oriente, anzi da Dionigi sappiamo che la lettera di Clemente a Corinto fu ricevuta proprio in virtù della comune predicazione petrino-paolina delle due comunità.

"Questa mi pare l'unica conclusione seria e non apologetica"

Allora evidentemente gli studiosi protestanti che oggi non mettono più in dubbio la venuta di pietro a Roma sono tutti poco seri e addirittura apologetici. Se la mia è apologetica la tua che è faziosità e partigianeria da setta fondamentalista americana, che con la scienza non ha nulla a che fare. Nessuno studioso protestante contesta più il martirio di Pietro a Roma, a questo proposito hai saputo citare solo delle mummie che al momento stanno nell'empireo.

"che possiamo trarre da documenti (per di più numerosi!) che nel I secolo non testimoniano la presenza di Pietro"
Anche a questo modo ridicolo di fare storia ho già risposto, Riporto quanto già scritto e ancora in attesa di replica (chi ha letto il mio post a Spirito qui salti pure, il brano è già stato riportato).
Avevi scritto:



“Abbiamo il silenzio totale di una ventina di libri e lettere. Niente male, non credi?”



Mia risposta:


Non se questi scritti parlano di tutt’altro fuorché Roma. Gli argumenta e silentio notoriamente non valgono nulla, valgono qualcosa solo nel caso ci sia un silenzio su qualcosa in un testo che tratta proprio di quell’argomento. Ad esempio se mi dicono che Cesare è il comandante della campagna in Gallia ma in un testo coevo sulla guerra gallica nessuno mi nomina mai Cesare posso pensare che ci sia sotto qualcosa. Ora analizzando la miseria che c’è rimasta dell’epoca apostolica bisogna considerare quali testi avrebbero avuto l’occasione di parlare di Pietro a Roma, perché degli altri è ovvio che l’assenza di menzioni su Pietro a Roma è equivalente all’assenza di menzioni della ricetta per cucinare i cannelloni, giacché semplicemente quell’argomento non c’entra nulla col testo. Si ha occasione di parlare di Pietro a Roma ovviamente se si parla di Roma. Analizziamo dunque nei Padri Apostolici quanti scritti ci siano rimasti che parlino della comunità di Roma o di Roma in generale.
-Ignazio di Antiochia, (otto lettere di una paginetta ciascuna rimaste, parla di Pietro e Paolo proprio nelle lettera ai romani, proprio come in quella agli Efesini che erano depositari dell’insegnamento di Paolo parlo di lui) 8
-Pseudo-Barnaba, (sopravvissuta una lettera di otto paginette su questioni giudaiche, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Erma (Uno scritto rimasto, Il pastore d’Erma, un’opera in visioni che ha tutto fuorché la realtà di cui occuparsi, credo che sarebbe più probabile trovare menzione di Pietro in un libro di oroscopi) 1
-Policarpo di Smirne, (1 lettera di una paginetta rimasta, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Papia di Ierapoli (Rimasti solo frammenti, parla della predicazione di Pietro a Roma e della stesura del Vangelo di Marco su richiesta dei romani che ne derivò, in Eus, op. cit., II, 15, 2) 0
-Anonimo, Didaché(5 paginette,Non parla né di Roma né di Pietro)1
-Clemente Romano (vescovo di Roma, parla del martirio di Pietro e Paolo “fra noi”, ne ho trattato specificatamente in un articolo) 1
-Anonimo, A Diogneto (Sopravvissuta una lettera di 4 paginette, Non parla né di Roma né di Pietro)1
Ho dimenticato qualcuno? Vediamo dunque. Voi amici lettori siete riusciti a contare 20 opere?Io ne ho contate 14, di cui 7 sono lettere di Ignazio scritte ad altre comunità come Efeso o Tralle, ergo ridicolo domandarsi perché non ci parli della comunità di Roma. Delle restanti 7 opere apostoliche nessun altra c’entra qualcosa con Roma o parla di quella chiesa tranne l’epistola di Clemente che parla della comunità romana per confrontarla con quella di Corinto, e infatti saltano fuori Pietro e Paolo, tra le sette rimanenti c’è l’ottava lettera di Ignazio che abbiamo lasciato fuori dal computo precedente, cioè quella ai Romani, della quale abbiamo già discusso. Alla luce dei fatti parandosi dietro una quantità così misera di fonti, fonti brevissime e non storiografiche, e per giunta fonti che parlano di tutt’altro fuorché l’argomento in questione, un argumentum e silentio vale meno di una cicca. Questo signori miei si chiama metodo storco-critico, ed è il motivo per cui oggigiorno i biblisti protestanti non contestano più la venuta di Pietro a Roma.




Avevo aggiunto, ovviamente senza ottenere risposta, le testimonianze nella letteratura apocalittica del I secolo nell'analisi di Cullmann e Gnilka:



E ora vorrei aprire una parentesi su delle nuove fonti, l’attestazione della morte di Pietro a Roma negli apocrifi dei primi due secoli. Il primo passo è tratto da un testo apocrifo del I secolo (per la datazione si veda Cullmann, op.cit. pag. 150), l’Ascensione di Isaia, composto in tre parti e contenente una piccola apocalisse cristiana(Asc. Is. 3,13-4,18 ). Per chi volesse leggerlo in italiano lo potete trovare in M. Erbetta, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, tomo III, 175-204. In questa apocalisse si trova un passo che dovrebbe riferirsi al martirio di Pietro. Si parla di un re ingiusto, di un matricida, nel quale si sarebbe incarnato Beliar(=il diavolo). In una finta profezia si predice che avrebbe perseguitato la piantagione piantata dai dodici apostoli del Diletto (del Figlio Diletto) e che uno dei dodici sarebbe stato dato in sua mano (Asc. Is 4,2 s.). Non c’è alcun dubbio che col re matricida si voglia indicare Nerone,. Questo nome si era attaccato saldamento all’imperatore. (Dione Cassio 62,18,4; Or. Sib. 4,121)Egli ha perseguitato la piantagione del diletto, cioè la Chiesa. Quando, in un siffatto contesto, si menziona uno dei dodici apostoli, non può trattarsi che di Pietro. Paolo non appartiene al gruppo dei dodici apostoli. Se il nome di Pietro non viene fatto esplicitamente ciò è dovuto allo stile apocalittico che procede per riferimenti indiretti. “Dato in mano a qualcuno” è una formulazione già di per sé minacciosa; ma se la mano di un matricida quella in cui si cade, può trattarsi solo del peggio. Merita di osservare che il passo connette ancora una volta la persecuzione della comunità e il destino di Pietro con Nerone. C’è uno stretto nesso tra questo testo e il frammento Rainer dell’Apocalisse di Pietro, anch’esso di fine I secolo (E. Peterson, Das Martyrium des hl. Petrus nach der Petrus-Apocalypse, in Frühkirke, Judentum und Gnosis, Roma, 1959, 88-91; O. Cullmann, op. cit. pag. 151)). Il passo rilevante ai nostri scopi recita: “Ecco, o Pietro, ti ho rivelato e spiegato tutto. Ora va nella città della prostituzione (ovviamente Roma N.d.R.) e bevi il calice che ti ho promesso dalle mani del figlio di colui che si trova nell’Ade. Così la sua distruzione avrà inizio, ma tu sarai invece degno della promessa”. Anche qui collimano nello stesso discorso Nerone, Pietro e l’orizzonte escatologico. Importante è anche la concentrazione su Pietro che contraddistingue questa tradizione. Essa è più antica di quella che pone Pietro e Paolo in parallelo. Dovrebbe essere sorta come tradizione autonoma: essa ci diviene accessibile verso gli anni novanta del I secolo, cioè trent’anni dopo gli eventi. Questa distanza cronologica relativamente breve garantisce l’attendibilità del martirio romano di Pietro. In questa medesima decade rientra la composizione della prima lettera di Clemente, della piccola apocalisse contenuta nell’Ascensione di Isaia, dell’Apocalisse di Giovanni e certamente anche del testo contenuto nel frammento Rainer (da Gnilka, op. cit. pag. 114-115)




"Il fatto stesso che Ignazio non ne faccia riferimento diretto indica che evidentemente poteva facilmente essere smentito."

Siamo al delirio del paralogismo. Adesso Ignazio diventa qualcuno che voleva parlare del martirio di Pietro ma non ne fa riferimento diretto perché poteva essere smentito e dunque vela la questione. La domanda: se il successore di Pietro ad Antiochia sapeva di un suo martirio romano, tu ne sai forse più di lui? Inoltre dire che l'ha detto indirettamente perché aveva paura di essere smentito presuppone la malafede, cioè che sapesse di mentire e dunque celasse quello che voleva dire. Ma sorge la domanda: perché lui che era vescovo di Antiochia dovrebbe mentire sul martirio di Pietro a Roma? Non è un cattolico del XVI secolo intendo a dissertare con un protestante, a lui che Pietro sia morto a Roma non fa né caldo né freddo, non ha un partito ideologico basato su tale Traditio da difendere. Inutile cioè inventarsi qualcosa che non torna utile. E poi, se a tuo dire scrive in modo velato per non essere smentito dai romani, e dunque sa che il martirio è falso se immagina che i romani lo smentirebbero, perché usa questa Tradizione che sa essere falsa? Cosa aveva da guadagnarci? "Cui prodest?" direbbe Cicerone. Poteva essere smentito da chi, dai romani? Perché mai dovrebbe scrivere di un martirio, ma farlo in modo criptico, alla città che quel martirio non l'aveva visto? Sia che non si capisse il linguaggio velato, sia che lo si capisse, in nessun caso avrebbe raggiunto un risultato, infatti nel I caso il suo messaggio non arrivava e nel II caso, da coloro tra i romani che avessero inteso il suo parlare del martirio, sarebbe stato comunque smentito, giacché anch'essi erano romani e dunque testimoni oculari come chi il simbolismo non l'aveva inteso. In definitiva non ha il benché minimo senso quello che hai scritto.

"Se poi come tu sostieni"

Io sostengo? Il mondo accademico sostiene. Ho portato le argomentazioni seguenti:


A ciò si aggiunga la testimonianza dello steso Pietro, o chi per lui, che scrive da Roma “vi saluta la comunità che sta in Babilonia”, che i commentari e la Bibbia stessa nell’Apocalisse identificano con Roma. Sull’identificazione nel tardo giudaismo e nel cristianesimo primitivo di Babilonia con Roma si possono vedere gli Oracoli Sibillini V, 59; Ap. Bar. 11,1; 67,7; e IV Esdra 3,1.18.21. Per il cristiani: Papia e Clemente Alessandrino (in Eus, Storia Ecclesiastica II, 15,2), Tertulliano, Adv. Judeos 9; Adv. Marcionem 3,13, molteplici in Origene ed Agostino, ecc. Per un elenco H. Fuchs, Der geistige Widerstand gegen Rom, 1938, pag 74 ss. E B. Altaner, art. Babylon, in Reallexikon fü Antike und Christentum, I, coll. 1121 ss, e O. Cullmann, op. cit. pag. 111(nota 65). Per i passi nella letteratura rabbinica Strack- Billerbeck, III, 816 e inoltre Num. R. 7; Midr. Ps 121). Ma ovviamente si veda l’Apocalisse, che da sola basta. Su questo lascio la parola al GLNT: la città di cui si profetizza la distruzione esiste già nel presente: Ap 17,18 “he gynê… estin hê (si noti l’articolo determinativo) polis hê megalê hê echousa(al presente!) basileian epi tôn basileôn tês gês, e non può che essere Roma, infatti sta sui sette monti (i sette colli di Roma), si è prostituita coi re della terra, anzi è la loro sovrana, e controlla i traffici commerciali in tutto il mondo. E’ l’impero romano. Tra l’altro il GLNT sulla questione Pietro a Roma ha questa esplicita uscita: la storicità della sia permanenza e del suo martirio in Roma non può più ormai essere messa in dubbio (vol. II, pag 10-12) Si aggiunga poi che apprendiamo da Giuseppe Flavio di come verso la metà del primo secolo gli Ebrei avevano abbandonato Babilonia e si erano trasferiti nella città di Seleucia (Ant. Giud. XVIII,9.8 ), e dunque sebbene abbiamo testimonianze di attività giudaica a Babilonia nei secoli successivi non sono credibili in questo periodo. L’interpretazione di Babilonia nell’epistola petrina come la città mesopotamica, e riferisco gli ipsissima verba di Cullmann visto che mi si accusa di portare solo studiosi cattolici, non è affatto verosimile né si appoggia alla tradizione cristiana posteriore, la quale non conosce in quelle regioni attività missionario di Pietro bensì solo dell’Apostolo Tommaso; si aggiunga il fatto che anche il Talmud babilonese menziona soltanto a partire dal III secolo la presenza di cristiani in questa regione (pag. 113) Di particolare nota, tanto per ricordarci che la comunità di Roma non s’è inventata un mito da sola ma anche le altre comunità Asia sapevano che Pietro era stato là, la lettera di Dionigi di Corinto ai Romani del 170 d.C. riportata da Eusebio, II, 25,8 dove si menziona la predicazione dell’apostolo nell’Urbe.




Ovviamente non ho avuto risposte.

"se nella 1 di Pietro Babilonia sarebbe una maniera criptata per intendere Roma l'uso di un eufemismo"

Non è un eufemismo (parola del tutto inappropriata), e non c'entra nulla con la paura di essere smentiti, semplicemente come ho dimostrato nel lessico del tardo giudaismo e del cristianesimo primitivo Babilonia era un appellativo di Roma a causa dei vizi di questa città, vista come una sorta di Sodoma. Se dunque Pietro o chi per lui scrive Babilonia è perché tutti sapevano cosa intendeva.

"farebbe pensare che quello che tu ritieni un anonimo autore evitasse di scrivere "Roma" in modo chiaro perché poteva essere smentito da quanti sapevano benissimo che Pietro non vi era mai stato."

Siamo al doppiamente ridicolo. 1)In primis se tu sostieni che l'autore sia Pietro ne verrebbe fuori che Pietro mente su dove si trovi per paura di essere smentito. Assurdo! 2)Sostenendo invece che 1Pt non sia opera di Pietro avremmo comunque la testimonianza che nel I secolo la tradizione di Pietro a Roma esisteva già ma il suo autore, sapendo di dire il falso, scriverebbe Babilonia per paura di essere smentito. Anche qui sorge la domanda: che senso ha mettere un messaggio criptato se non vuoi che venga decifrato? E se una volta decifrato porta al tuo sbugiardamento, a che scopo lo hai messo dentro? nella comunità di ricezione sapevano o no che Pietro non era stato a Roma? E se sapevano che non era stato a Roma che senso ha mettere un messaggio velato visto che sia che venga decifrato sia che non venga decifrato tu comunque non hai raggiunto lo scopo di comunicare quello che intendevi. Un'assurdità dietro l'altra, e questo giocare alle ipotesi controfattuali ha dimostrato come il tuo sia il semplice rimanere fisso su una posizione tentando di smontare i ragionamento altri con indimostrate ipotesi ad hoc. Quod gratis adfirmatur, gratis negatur.

“Il fatto che la località fosse "nota" a Clemente ed ai Corinti non indica che fosse Roma. Poteva benissimo essere una qualunque altra località.”

Si è semplicemente voluto rispondere alla tua obiezione ridicola in base alla quale siccome non c’è scritto “è morto proprio qui a Roma” allora paradossalmente per te vorrebbe dire che: “Da questo pezzo io capisco che per Clemente Pietro non è affatto morto a Roma.” Cioè siamo alla conclusione, e non trovo una parola abbastanza offensiva per etichettarla, che se qualcosa non è affermata da un autore allora automaticamente l’autore pensava il contrario. Cioè è l’apoteosi dell’assurdità degli argumenta e silentio. Si è invece voluto far notare con Cullmann di quanto sia strano, se Pietro non fosse morto a Roma come Paolo, che guarda caso proprio Clemente citi lui accanto all’apostolo dei gentili parlando del martirio di entrambi. Perché questo accostamento di Pietro e Paolo visto dai TdG quest’apostolo è uno fra i tanti apostoli? Perché non mettere accanto Giacomo e qualunque altro apostolo morto martire nel I secolo? Caso assurdo che proprio Clemente che è di Roma, in un brano dove si parla di martirio sia petrino che paolino, accosti i due in una lettera ai Corinzi.

“Quello che Clemente dice è molto vago e generico, il che dimostra che non ha alcuna testimonianza di prima mano”

Anche qui bisogna essere fuori del tutto? Ma come si fa a dire che è vago? E’ vago per te che cerchi una scritta stampata a chiare lettere “qui è morto Pietro”. Siccome non era quello lo scopo del suo brano, inutile aspettarsi informazioni che sono importanti per te lettore del XXI secolo ma che per Clemente era irrilevante dare. Non si tiene sul vago dopo aver promesso di fare un trattato sul martirio degli apostoli, lì sì dimostrerebbe scarsezza documentale. Ma non voleva parlare specificatamente di dove sono morti, quello che chi non ha una formazione antichistica si ostina a non capire e che gli autori antichi a meno che non stessero scrivendo un libro di storia non pensavano ai loro lettori dei secoli futuri. Per chi scrive un’epistola esortativa quello che importa è il messaggio che vuole trasmettere, e se qualche informazione in più trapela non saranno altro che allusioni, visto che non era il suo scopo scrivere una documentazione ai Corinzi sul martirio di chicchessia, di come fossero morti Paolo e Pietro era già al corrente ogni cristiano dell’impero. Il suo scopo come già detto era scrivere una lettera parenetica, e se dunque qualche informazione ci arriva non è perché l’autore volesse darcela, bensì dobbiamo essere come mendicanti che raccolgono le briciole che casualmente questi autori accennano parlando magari di tutt’altro.

“Ma è chiaro che tali ordini sono quelli scritti e non quelli dati oralmente dai due apostoli.”

Peccato che Pietro non ha mai scritto una lettera ai romani quindi viene da chiedersi di che ordini scritti tu stia parlando, altre ipotesi ad hoc?

“Siamo ad una testimonianza di seconde per non dire di terza mano. Eusebio è una fonte sospetta a questo riguardo perchè egli vissuto sempre in oriente era un acceso sostenitore della presenza di Pietro a Roma”

Perché una fonte sospetta? Semplicemente cita autori contemporanei ai fatti visto che ne possedeva le opere, e soprattutto le possedeva anche il suo pubblico. Aveva la testimonianza di Papia e l’ha citata, ma se per te i suoi lettori erano tutti scemi accomodati. Sta di fatto che quella testimonianza, secondo suo il vangelo di Marco è la trascrizione della catechesi orale di Pietro a Roma, non solo quadra coi latinismi del Vangelo, ma anche con alcune modifiche ai brani dove ad esempio si specifica che neppure la donna può divorziare, cosa assente in Matteo perché che l’iniziativa del divorzio partisse dalla femmina è diritto romano e non giudaico.
Se tu sai meglio di un autore che nel I secolo respirava dove sono stati composti i Vangeli accomodati pure, alla presunzione non c’è limite.

“Come ti ho già fatto notare si tratta di testimonianze tarde e spesso contradditorie”

ora le fonti del II secolo sarebbero tarde? E dove starebbe la contraddizione tra i quattro che Luigi ti ha citato, cioè Dionigi di Corinto, Origine, Clem. Aless, e Ireneo?

“A Clemente non interessa parlare di "martirio" ma piuttosto di invidie e gelosie”

E infatti il problema è questo. Sta parlando dei delatori che denunciavano i cristiani. L’abbinamento tra martirio e invidia sta lì.

“Di Pietro non sappiamo neppure se morì martire”

Questo ce lo dice il vangelo di Giovanni cap. 21

“fatti a quell'epoca non è ancora confermato l'uso di marturein nel senso di subire il martirio.”

Io non l’ho tradotto così. Ma viene da chiedersi cosa cavolo altro potrebbe voler dire in un brano dove si parla di persecuzione, ceppi e catene, di “lottare fino alla morte”, e che dopo “rese testimonianza” prosegue immediatamente con “andò al luogo della gloria che gli spettava”. Ma ci sei o ci fai? Non occorre aver studiato patrologia per capire che qui come altrove “doxa” è la morte martire.

“Anche qui, è ben strano che in una serie di epistole in cui vuole affermare la monarchicità del vescovo”

Anche qui non hai capito nulla. Non vuol affermare un emerito nulla. Quelle epistole non sono apologetica, non sta cercando di convincere alcuno della sua posizione, semplicemente descrive la situazione che ha davanti, dice di conoscere i vescovi della comunità e che le notizie che gli vengono da quelle chiese lo rallegrano. Non dice: “Cari efesini, lo sapete vero che sebbene voi siate governati da un collegio di presbiteri invece fareste bene a essere governati da un vescovo?”
Nulla di tutto ciò, semplicemente conosce i vescovi delle comunità a cui scrive e fa esortazioni spirituali sull’obbedienza. Non certa di creare una situazione che ancora non esista ma spiega come far andare avanti una sistematizzazione che già c’era.

“Io non ritengo priva di valore la tradizione del III secolo”

La strategia teocratica non attacca. Tu la ritieni senza valore perché come tutte le sette fondamentaliste americane imbevute di libelli antipapali i TdG ritengono che Pietro non sia mai morto a Roma, e questo perché si cibano di propaganda vetero-protestante che a livello di mondo accademico nessuno studioso di qualunque confessione si sogna più di fare. Oggi i biblisti protestanti accettano la presenza di Pietro a Roma, anzi già al tempo in cui fu redatto il GLNT l’autore (protestante) scriva che “la presenza di Pietro non può più essere messa in dubbio” (le coordinate le ho date in un precedente post.)

“Tralascio le tue solite accuse che stanno solo a dimostrare quanto la tua religione sia incapace di educare i suoi seguaci. Ma non puoi una buona volta evitare di fare apprezzamenti sui TdG?”

L’irritazione è la stessa di Striscia la Notizia quando smaschera i medici che praticano senza licenza. Voi pseudo-antichisti settari improvvisati che vi illudente di padroneggiare la materia siete alla strega di chi volesse costruire ponti senza essere un ingegnere ergo evitare di scandalizzarvi per l’indignazione sacrosanta che il vostro comportamento suscita.

“tanto che vi è una scuola talmudica che porta il nome della città.”

Il Talmud Babilonese è di quattro secoli dopo.

“a non vi era ragione di usare un linguaggio di quel tipo in una lettera che, piuttosto, invita al rispetto dell'autorità imperiale.”

Perché tu pensi a uno scrupolo di segretezza, ma non è affatto necessario. Semplicemente Roma era ritenuta a buone ragioni la capitale di ogni lussuria e depravazione, ergo non era probabilmente per essere criptici che si faceva questo scambio ma per puro modo di dire cementato nella mentalità, allo stesso modo in cui il chiamo New York “la grande mela”. Inoltre denunciare la depravazione di una civiltà non ha nulla a che fare col dire che al contempo non è possibile diventare anarchici.


Per Luigi

“Mi chiedevo: fondare una sede, non è collegata ad esserne i “primi” evangelizzatori?
Posso porre delle fondamenta se non ho prima preparato il terreno-evangelizzando?”

Ti sei perso questo passaggio del mio post dove era spiegato il significato di “fondare” in Ireneo:
“Il sigillo che il martirio pone alla parola, la consumazione della testimonianza verbale nella testimonianza del sangue versato, ecco ciò che 'fonda e costituisce' la chiesa di Roma nella sua 'più eccellente origine', nella sua più salda autenticità apostolica, nella sua potentior principalitas. Quando la versione latina di Ireneo adopera il verbo fundare (in Adv. Haer. III, 3,1-2), sembra proprio che traduca il greco themelioô, che Ireneo usa subito dopo là dove possediamo l'originale greco. Ora, tra i vari sensi del termine, è "rendere incrollabile', 'fissare per sempre', 'consolidare con fermezza le fondamenta' quello che qui va ritenuto (dal Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, Stuttgart, t. 3, 64). Pietro e Paolo, con la loro testimonianza di una Parola evangelica suggellata e glorificata nel martirio e nella morte 'gloriosa', hanno dato alla chiesa di Roma incrollabili fondamenta di una qualità particolare. Inoltre, la presenza dei loro “trofei” i loro corpi e le loro tombe - rende permanente, nella mentalità dei primi secoli, la loro appartenenza alla comunità di Roma. La loro testimonianza diventa il bene proprio della Chiesa che celebra l'Eucaristia sulla loro 'confessione'. Essi fondano così la sua potentior principalitas, che si edifica su di loro.”

“quello che volevo sapere, è detto di Pietro: "non essendo né il più anziano".
1)Mi domandavo dove era reperibile la fonte di questa affermazione o se sembra che così faccia intendere la Scrittura, in quali versi?”

Ho concluso che l’elenco non va in ordine d’età per la semplice ragione che quasi all’inizio delle liste apostoliche c’è sempre Giovanni, che invece sappiamo era il più giovane. Né va in ordine di chiamata, in questo caso Andrea andrebbe vicino a Pietro. Invece le liste apostoliche di Mc 3,16 e Mt 10,2 iniziano con la triade Pietro, Giacomo, Giovanni. Vi ricorda nulla questa terna? Sono le tre colonne della Chiesa, così li definisce Luca negli Atti. E guarda caso Pietro è sempre il primo. Non ha senso scrivere che “il primo” voglia semplicemente dire che si sta iniziando un elencazione, in questo caso infatti per quale oscura combinazione della sorte questo apostolo, che presso i TdG è stato ridotto a “mister un apostolo qualunque”, viene guarda caso sempre nominato per primo negli elenchi? Ci sono 12 apostoli, e la probabilità che stendendo un elenco casuale senza basare ad alcunché, casualmente per tre volte la prima persona che viene in mente sia sempre la stessa, è risibile. Secondo voi perché metà degli Atti sono dedicati a Pietro? Iniziate a pensarci.
Inoltre come si fa ad iniziare un elenco con “il primo” e poi non mettere altri numeri ordinali o comunque degli avverbi? Ha certamente senso dire, se elenco gli imperatori di Roma: “Il primo Augusto, il secondo Tiberio, il terzo Caligola, ecc.”, ed ha anche senso dire “il primo Augusto, poi Tiberio, poi Caligola, ecc.”, mentre non sta sintatticamente in piedi né in greco né in italiano dire “Il primo Augusto, Tiberio, Caligola”. Sentite che manca qualcosa.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 06/01/2007 10.47]

barnabino
00sabato 6 gennaio 2007 12:49
Caro Polly,

Puoi trattare un argomento alla volta? Siamo su un FORUM e non è possibile sostenere 3d tanto lunghi. Possibile che tu non riesca a capirlo? Basta un pò di buon senso.

Comunque non aggiungi nulla di nuovo a quento detto. Se vogliamo trattare punti specifici facciamolo senza finire in discussioni generali. Si è capito che abbiamo punto di vista diversi:

1. tutto il NT non accenna, neppure in saluti e parti specificamente storiche, della presenza di Pietro a Roma

2. La letteratura del I secolo è troppo aspecifica e vaga per dimostrare qualcosa, benchè non escluda le presenza di Pietro

3. solo dal 170 (dunque oltre un secolo dopo la morte di Pietro) si accenna alla sua presenza e poi morte a Roma, ma spesso tali autori sono imprecisi.


Spero che non si riveli un altro caso di Gesù sopravvissuto alla crocifissione e morto a 50 anni, passo inesistente



E dai... impara a leggere bello mio! [SM=x511441]

Non dimostri un bel nulla

Ripeto, non esiste nessuna prova che prima del 70 i cristiani parlassero di Roma come di Babilonia. Il confronto con la letteratura (posteriore) apocalittica non ha senso trattandosi di una lettera il cui tono non è anti-romano. Stranissimo poi che Pietro se mai fosse stato a Roma non citasse mai Paolo!


Il Talmud Babilonese è di quattro secoli dopo.



Il Talmud nasce da una tradizione di molto antica, centinuaia di anni, in Babilonia, o nell'area Mesopotamica, vi fu sempre una consistente presenza giudaica, non ci stupisce che divenne terreno di evangelizzazione da parte di Pietro.


Shalom




[Modificato da barnabino 06/01/2007 13.00]

luigi2
00sabato 6 gennaio 2007 14:14
Un grazie dall'Italia Polimetis!

Avevo saltato o meglio dimenticato il passaggio sulla "potentior principalitas".

Sul "non essendo né il più anziano" di Pietro, aldilà del giusto ragionamento che fai e concordo,
possiamo nello stesso tempo pensare che Pietro potesse essere anche il più vecchio di età, senza con questo togliere nulla.
Poichè anche per pura curiosità mi chiedevo chi poteva essere più vecchio di età di Pietro, se magari c'era qualche verso che poteva indicarci qualcosa.

Infine mi sei debitore di questa che hai tralasciato:

4)Sul primo vescovo,
Da Ireneo ad Eusebio passando per Gnilka, leggevo numerosi passi dove vengono citati insieme sempre gli apostoli Pietro e Paolo inseparabili possiamo dire, anche in una stessa commemorazione attestata sin dall’anno 258.
Eppure mi chiedo il perché si parla solamente di un primato petrino e della cattedra di Pietro, quando scorgo dalle testimonianze scritte di Polimetis un intreccio quasi inseparabile dei due, sia a livello di fondazione che d’importanza stessa. Perché non parlare anche di cattedra paolina?
Dire di Pietro primo vescovo di Roma sarebbe riduttivo e discriminante nei confronti di Paolo?

Grazie e buon rientro a presto.
barnabino
00sabato 6 gennaio 2007 14:43
Caro Luigi,


leggevo numerosi passi dove vengono citati insieme sempre gli apostoli Pietro e Paolo inseparabili possiamo dire, anche in una stessa commemorazione attestata sin dall’anno 258.



Ripeto, non vedo davvero come il fatto che Pietro e Paolo siano spesso citati assieme sia una prova del fatto che furono entrambi a Roma. Ti faccio notare che Paolo e Pietro in nessuna delle loro lettere fanno mai accenno al fatto di essere assieme. Sarebbe assurdo che Pietro scrivesse da "Roma" la sua lettera e non citasse Paolo, così come è assurdo che Paolo non saluti, tra i Romani, proprio colui che secondo le incerte fonti del II secolo, fondo la congregazione con lui.

Inoltre alcuni di questi scrittori dicono che i due apostoli erano assieme anche a Corinto, ma questo è chiaramente un anacronismo di cui, di nuovo, non vi è traccia nei documenti del I secolo, certo storicamente più attendibili.

A me sembra davvero impossibile che si possa pensare di escludere la tesi opposta (per altro basata sul SILENZIO dei documenti del I secolo)


Perché non parlare anche di cattedra paolina?
Dire di Pietro primo vescovo di Roma sarebbe riduttivo e discriminante nei confronti di Paolo?



Per la semplice ragione che non vi è nulla di storico in questa scelta. Nessuna fonte antica dice che Pietro e Paolo fossero "vescovi" della chiesa di Roma! La scelta di Pietro è puramente funzionale ad una scelta ideologica tesa a dare alla chiesa di Roma maggior prestigio e con il tempo preminenza.

Tra la morte di Pietro e il 170 circa (Dionigi di Corinto) stanno solo le allusioni di Clemente e di Ignazio (il cui significato è incerto, prova a dire il contrario!) e la chiusa, per molti versi discutibile, della I di Pietro. Contro questo pallidi indizi sta il silenzio assoluto del NT

A te la scelta.... come ti ho detto se vogliamo convincerci di qualcosa troveremo sempre delle conferme!

Shalom

[Modificato da barnabino 06/01/2007 14.50]

[Modificato da barnabino 06/01/2007 14.51]

barnabino
00sabato 6 gennaio 2007 15:04

in questo caso infatti per quale oscura combinazione della sorte questo apostolo, che presso i TdG è stato ridotto a “mister un apostolo qualunque”, viene guarda caso sempre nominato per primo negli elenchi?



Tengo a precisare che questo OT contro i TdG è assolutamente fuori luogo.

Io nessun post io mi sono mai permesso di giudicare o denigrare la posizione che Piatro ha per i cattolici. POSSO AVERE LO STESSO RISPETTO? Questo è quello che insegna la chiesa di Pietro?

Per i TdG Pietro non è un "mister un apostolo qualunque" ma è primo in molto aspetti. Sembrerebbe essere il più anziano d'età, era il primo ad essere stato chiamato e non a caso il passo dove si dice che è il "primo" è messo prima di Andrea. Inoltre è primo in quanto fu il primo a cominciare l'opera di conversione dei gentili.

Insomma, nessuno tra i TdG vuole sminuire la sua figura come insinua l'anonimo forumista Polymetis. Quello che si vuoe evidenziare è semplicente che il fatto che sia citato per primo negli elenchi non può essere considerato un indizio del fatto che gli fosse attribuita una preminenza rispetto ad altri.

Shalom

[Modificato da barnabino 06/01/2007 15.07]

Polymetis
00sabato 6 gennaio 2007 16:49
Per Barnabino

“Siamo su un FORUM e non è possibile sostenere 3d tanto lunghi. Possibile che tu non riesca a capirlo?”

Continua a vivere della tua banalità concettuale, io tratto le cose in modo serio.

“tutto il NT non accenna, neppure in saluti e parti specificamente storiche, della presenza di Pietro a Roma”

Già risposto. “Come già detto è falso, ne parla Pietro nella sua prima lettera. Del resto non potremmo aspettarci altro. L'unico testo "storiografico" del Nuovo Testamento, che pretenda di raccontarci la vita della Chiesa, cioè gli Atti, si chiude addirittura prima della morte di Paolo, dunque è inutile cercarvi notizie sul martirio di Pietro. Inoltre la distinzioni tra fonti canoniche o meno è del tutto irrilevante per lo storico, ho portato all'attenzione sulla scia di Cullmann cosa dicano a proposito della morte di Pietro a Roma il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae, entrambe opere apocrife di fine I secolo.”

“La letteratura del I secolo è troppo aspecifica e vaga per dimostrare qualcosa”

Non abbiamo opere di storia della Chiesa del I secolo dunque è ovvio che con quella miseria che c’è rimasta, concentrabile in venti paginette, possiamo aspettarci solo delle allusioni per grazia divina. Ripeto: loro non scrivano pensando a noi, savano per scontate mille cose perché parlavano a cristiani del I secolo. Si è semplicemente fatto notare che Ignazio non cita mai altri apostoli in nessuna lettera rivolta alle comunità. Le uniche eccezioni? Cita Paolo nella lettera agli Efesini, perché sappiamo bene che Paolo vi si recò, e cita guarda caso Pietro e Paolo in una lettera ai romani dove sta parlando di martirio. E’ il caso di fare due più due.

“solo dal 170 (dunque oltre un secolo dopo la morte di Pietro) si accenna alla sua presenza e poi morte a Roma”

Stai dimenticando un piccolo particolare. Una lettera di un vescovo del 170 non è scritta da qualcuno nato nel 170. O questo vescovo era un giovincello oppure, visto che notoriamente sceglievano le persone più anziane, costui aveva almeno 50 anni. Lo stesso vale per Ireneo che era un discepolo di Policarpo, dunque ci riallaccia ad una tradizione apostolica del I secolo. Stai inoltre dimenticando Papia, che nel I secolo ci visse, nonché i frammenti apocrifi citati. Inoltre vorrei sapere cosa altro t’aspetti visto che come ripeto delle opere del I secolo a noi sopravvissute non ce n’è solo una che parli specificatamente della situazione interna della Chiesa di Roma, quindi un argumentum e silentio qui non ha senso. Avevo scritto: “Gli argumenta e silentio notoriamente non valgono nulla, valgono qualcosa solo nel caso ci sia un silenzio su qualcosa in un testo che tratta proprio di quell’argomento. Ad esempio se mi dicono che Cesare è il comandante della campagna in Gallia ma in un testo coevo sulla guerra gallica nessuno mi nomina mai Cesare posso pensare che ci sia sotto qualcosa. Ora analizzando la miseria che c’è rimasta dell’epoca apostolica bisogna considerare quali testi avrebbero avuto l’occasione di parlare di Pietro a Roma, perché degli altri è ovvio che l’assenza di menzioni su Pietro a Roma è equivalente all’assenza di menzioni della ricetta per cucinare i cannelloni, giacché semplicemente quell’argomento non c’entra nulla col testo.”

Ma c’è un aspetto più importante. Questa tradizione è attestata non solo dai “partigiani” della Chiesa di Roma ma anche da autori orientali, Ireneo stesso pur essendo vescovo di Lione era cresciuto a Smirne, nell’attuale Turchia. La cosa magnifica è che nessun altra città ha mai rivendicato la morte di Pietro, e che l’oriente cristiano accettava pacificamente la morte dell’apostolo a Roma, si tratta dunque non di una cosa tirata fuori dal nulla dai romani ma di una tradizione ben attestata. L’alternativa al contrario, un Pietro a Babilonia in Mesopotamia, si appoggia sul nulla. Come già scrissi riportando quando diceva Cullmann: non è affatto verosimile né si appoggia alla tradizione cristiana posteriore, la quale non conosce in quelle regioni attività missionario di Pietro bensì solo dell’Apostolo Tommaso; si aggiunga il fatto che anche il Talmud babilonese menziona soltanto a partire dal III secolo la presenza di cristiani in questa regione (pag. 113)
Abbiamo i luoghi di morte anche di sperduti predicatori del II secolo, possibile che nelal cristianità nessuno abbia conservato il nome della città dove ci fu il vero martirio di Pietro? Una tradizione così solida nel II secolo, solida non solo a livello letterario ma anche archeologicamente e che ha riportato in luce il culto dei due apostoli nella prima metà del II secolo, affonda certamente le sue radici nel I secolo Ex nihilo nihil fit.

“ma spesso tali autori sono imprecisi.”

Aspetto di sapere quali autori dei primi due secoli sarebbero imprecisi su questo punto.

“... impara a leggere bello mio! “

Guarda che in Europa l’onere della prova spetta a chi fa le affermazioni. Tu hai affermato che in iIeneo si parlerebbe di uno scampato martirio di Giovanni a Roma e anche del fatto che Cristo non morì in croce ma si salvò e sopravvisse sino a 50 anni. Attendiamo ancora le coordinate di queste due perle. Dire “impara a leggere” implicherebbe che dovrei essere io a produrre le prove che mi condannerebbero, cioè sarei io a dover dimostrare le tue argomentazioni. Ma sì può pretendere una simile sciocchezzA?

“Non dimostri un bel nulla”

Lo statuto epistemologico dell’antichistica, e cosa voglia dire “dimostrare” per un grecista, ma soprattutto con che metodi venga condotta quest’operazione di accertamento, ti è del tutto ignoto. Tu non sia come si lavora in questo capo, non sai quanto valgs una prova nmé quali prove è opportuno pretendere. Tu annaspi tra citazioni lette qua e là in qualche forum o nelle letture della serata, ma c’è gente che queste cose le fa di professione è s’è giunti, tuo malgrado, ad un’universale accettazione accademica sia cattolica che protestante della presenza di Pietro a Roma.

“Ripeto, non esiste nessuna prova che prima del 70 i cristiani parlassero di Roma come di Babilonia.”

Tu abbondi di testi cristiani di prima del 70? Io veramente no, anzi, prima del 70 neppure c’erano i Vangeli. Siccome Pietro era ebreo, e ultimamente si ama ricordarlo, è bastato produrre tutte le testimonianze del caso prese dagli apocrifi dell’epoca del II tempio per sapere che in ambiente giudaico l’equivalenza metaforica Roma=Babilonia è attestata, e continua anche nel Talmud. (citazioni nel post precedente)

“. Il confronto con la letteratura (posteriore) apocalittica non ha senso trattandosi di una lettera il cui tono non è anti-romano.”

Ma siamo seri. Distinguiamo per favore il rispetto per le autorità, che servono per mantenere l’ordine, col rispetto per il sistema in sé. I TdG fanno la stessa cosa. Incitano ad essere rispettosi della legge e delle autorità perché altrimenti sarebbe l’anarchia, ma al contempo sanno bene che, con a capo l’ONU, si tratta di un sistema satanico desinato a scomparire. L’atteggiamento cristiano del I secolo è quello di chi vede in Roma la meretrice, Babilonia la grande, colei che versa il sangue dei martiri e s’è prostituita coi re della terra controllando ogni commercio. Inoltre cosa vorrebbe dire “letteratura posteriore”? Ho citato ad esempio il IV libro di Esdra e l’Apocalisse di Baruch, che sono proprio di fine I secolo, cioè il periodo che stiamo trattando, e mostrano che quel modo di dire era in voga tra gli ebrei negli anni in esame. (E l’Apocalisse di Giovanni infatti non fa eccezione insieme a Papia che era vivo mentre l’Apocalisse veniva scritta)

“Stranissimo poi che Pietro se mai fosse stato a Roma non citasse mai Paolo!”

Qui si alzano tutta una serie di problemi.
1)Di chi è 1Pt?
2)Se è di Pietro, come io stesso ritengo, quando è stata scritta e perché? C’era occasione nella lettera per nominare altre persone? Di sicuro nei saluti finali.
3)E’ stato martirizzato prima Pietro o prima Paolo?

La lettera viene data verso il 64 dai conservatori, a fine I secolo dai biblisti più liberali. Sposando la prima idea, si ha comunque il 50% di probabilità che Paolo fosse già morto. Ad esempio sul Dizionario della Bibbia della Sociey of Biblical Literarature si legge: “E’ più probabile che l’esecuzione di Paolo abbia avuto luogo alla fine della sua originaria carcerazione romana, probabilmente nel 62 e.v.” (Il dizionario della Bibbia, Bologna, 2003, Zanichelli, pag. 628 )
Ad ogni modo chi crede ad un martirio successivo a quello di Pietro si può spingere a ritardare la morte di Paolo fino al 67.

“Il Talmud nasce da una tradizione di molto antica, centinuaia di anni, in Babilonia, o nell'area Mesopotamica”

Paralogismo. Il fatto che un testo sia stato redatto in un luogo non implica che il materiale redazionale venga da quel luogo. L’Odissea di Omero fu cucita insieme nell’Atene dei pisistratidi, mentre l’origine del materiale epico è l’Asia Minore (tutti sanno spero che Omero non è mai esistito). Le tradizioni del Talmud babilonese Essendo il Talmud un commento enciclopedico alla Mishna (200 d.C), la sua redazione è per forza di secoli successiva. In particolare il Talmud di Babilonia è del sesto secolo d.C.; dire che è fatto a Babilonia non vuol dire che riporta materiale specificatamente babilonese, in esso sono discusse come ovunque le sentenze attribuite ai maestri dell’epoca del II tempio, e molto altro ancora ovviamente. Ad ogni modo qui non c’è negata la presenza degli ebrei a Babilonia nell’arco dei secoli, bensì s’è contestato che questo c’entri qualcosa col Talmud babilonese, usato per dimostrare qualcosa che non può dimostrare. Infatti abbiamo una fonte diretta che ci dice il contrario, ossia che una comunità ebraica (Ant. Giud. XVIII,9.8 )

“non ci stupisce che divenne terreno di evangelizzazione da parte di Pietro.”

E guarda caso nessuno ne sa nulla, né di Pietro né dei cristiani di questa città.

“così come è assurdo che Paolo non saluti, tra i Romani,”

Già risposto nel mio post a Spirito: “Il problema in primis è la datazione della lettera ai romani, di solito si oscilla tra il 51 e il 57, tu hai scelto la datazione più bassa (il 57). Supponendo che la data di composizione sia il 51-52 Pietro non era ancora nella capitale poiché Paolo non avrebbe certo omesso di salutarlo.
E se invece volessimo sostenere che era già a Roma in quella data? A questo proposito si possono trarre interessanti informazioni dal classico testo di Arialdo Beni, La nostra Chiesa, Firenze, 1976, pag. 477 ss. e da Salvatore Garofalo, La prima venuta di S. Pietro a Roma nel 42, Roma, 1942; a cui anch'io mi rifaccio. Si fa notare innanzitutto che il silenzio di uno, o di pochi, non può mai annullare un coro così potente di voci tutte concordi ed unanimi. Tanto meno, quando ci siano delle ragioni che lo giustifichino appieno. Prima di tutto, se si ammette che Pietro era presente a Roma quando Paolo scriveva, è necessario fare un'osservazione ovvia. Quando Paolo ha inviato la sua lettera alla comunità di Roma, a chi l'ha indirizzata? Alla comunità, naturalmente; ma una lettera non si consegna ad una folla; si consegna ad una persona, la quale, in questo caso, non poteva essere che il capo della Chiesa. E allora che bisogno c'era, in una lettera mandata alla comunità, tramite il capo, di nominare il capo stesso? ( S. Garofalo, op. cit p. 19). Non va dimenticato, d'altra parte, che siamo in tempi calamitosi, in cui è necessario uno spirito di somma discrezione per non arrecar danno alla Chiesa nascente. Ora, se l'eucarestia era una cosa da nascondere, certamente non era meno da nascondere il capo della Chiesa, S. Pietro. Del resto, nell'elogio caloroso della fede dei Romani "celebrata in tutto il mondo " (1, 8 ), nella confessione che Paolo fa di aver come regola di non invadere il campo degli altri "per non edificare su fondamento altrui " (15, 29), nella protesta di voler venire a Roma non per insegnare, ma per consolarsi (1, 11 e 12), per "saziarsi " (15, 24), ecc. Non c'è, forse, tutta una trasparente, allusione ad un fondatore, di quella Chiesa, più importante dell'apostolato stesso dei pagani, una allusione a S. Pietro? Comunque, una risposta più radicale all'obiezione è quella già data all'inizio: Paolo non saluta Pietro, perché costui si trovava momentaneamente assente da Roma. “

“mi sono mai permesso di giudicare o denigrare la posizione che Piatro ha per i cattolici.”

Si chiama strategia teocratica, e funziona solo nei forum dove dote nascondere le vostre dottrine per sembrare persone aperte. Tu hai criticato la posizione che Pietro ha in seno alla Chiesa cattolica, e hai tutto il diritto di farlo, si chiama libertà d’espressione, ma non si abbia l’ipocrisia di dire hce non è così. Io dico chiaro e tondo che la denigrazione contro i tdG è un diritto costituzionale, perché sono una setta americana della peggior specie e rappresentano il più colossale caso di fonsamentalismo istituzionalizzato e di chiusura mentale nonché di travisamento biblico esistente, bando all’ipocrisia. Per i tdG la Chiesa di Roma è una sorta di serve di Satana, Babilonia la grande come tutte le altre religioni. Ma queste cose ovviamente le sa solo chi sia andato a sentire i loro fanatici e apocalittici discorsi nelle Sale del Regno, chi legge le loro riviste dove le chiese con le loro croci sono sormontate dalla bestia selvaggia dell’Apocalisse. Ergo giù la maschera, tirate fuori il vostro pensiero, tanto qui consociamo bene la forma mentis delle vostre sale del regno e non avete la speranza di spacciare la vostra religione come aperta di mente. Iniziate a dirci che siamo Babilonia come fate nelle vostre sale, tanto qui non fate proseliti.

“Sembrerebbe essere il più anziano d'età,”

Ma davvero? E da cosa sembra? Inoltre quella lista non va in ordine d’età, l’ho già evidenziato Giovanni, che sappiamo era il più giovane, viene messo per terzo.

“era il primo ad essere stato chiamato e non a caso il passo dove si dice che è il "primo" è messo prima di Andrea.”

Come già detto non va in ordine di chiamata. Da Giovanni, che completa i sinottici, sappiamo che prima del famoso episodio della pesca miracolosa Gesù aveva incontrato precedentemente Andrea e Simone. Andrea fu il primo ad essere chiamato e fu lui a presentare a Gesù Simone. “Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» e lo condusse da Gesù. “(Gv 1,35-40)
Che ci fosse stato un’incontro precedente a quello descritto da Matteo era ovvio, perché in quest’ultimo Gesù si limita a chiamare i due con un cenno ed essi subito lo seguono. Va bene avere la personalità magnetica, ma o voleva togliere il libero arbitrio a quei due oppure per quale motivo dovrei mollare le mie barche di punto in bianco ed andare dietro ad uno sconosciuto che passa vicino e mi dice semplicemente “seguimi”?
“Inoltre è primo in quanto fu il primo a cominciare l'opera di conversione dei gentili.”

Un po’ poco per essere l’apostolo più nominato nel Nuovo Testamento, la colonna della Chiesa, quello a cui sono dedicati metà degli Atti. A quanto pare per i tdG è stato semplicemente il primo a fare alcune cose, ma allora non si vede perché non ci sia limitati a raccontare solo quelle cose in cui fu il primo per poi dedicarsi ad altro nella narrazione, magari alle avventure degli altri 11 apostoli. Invece no, Pietro è al centro di metà dell’unico libro storico del Nuovo Testamento ed è la seconda figura meglio rappresentata nei Vangeli, in proporzioni colossalmente più estese rispetto agli altri.
Dice “il primo” e poi segue un elenco, quindi se si presume che l’ordinalità dell’elemento 1 è l’essere il primo per la conversione ai pagani, anche il resto della lista dovrebbe essere ordinata in base a questo criterio, altrimenti che senso ha dire che qualcuno è “il primo” (per questo motivo non specificato tra l’altro), e poi fare seguire qualcosa che non c’entra nulla, per di più in un Vangelo dedicato ai giudei. Questo è un indizio che va insieme a tutti gli altri e che forma un quadro completo.

Per Luigi

“Eppure mi chiedo il perché si parla solamente di un primato petrino e della cattedra di Pietro, quando scorgo dalle testimonianze scritte di Polimetis un intreccio quasi inseparabile dei due, sia a livello di fondazione che d’importanza stessa.”

Non si parla solo di primato petrino in verità. Ad esempio nella bolla di Pio XII dove fu dichiarato dogma l’assunzione in cielo di Maria, venne scritto per introdurre la definizione di fede: “per l'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo […]”
Questo è solo un esempio tra i molti, la Chiesa di Roma si richiama sovente all’autorità di Paolo. Suppongo che la preminenza sia data a Pietro perché Cristo stesso conferì a lui il primato e dunque la comunità di Roma ha fatto leva su questo, Paolo poi non era neppure uno dei dodici.

“Perché non parlare anche di cattedra paolina?”

C’è un piccolo problema. Cosa vuol dire cattedra? Aveva senso dire “sono il vescovo di X”? O semplicemente essere vescovi voleva dire che si possedeva un grado ma poi si girava per fare i sorveglianti? Paolo era cioè episkopos anche prima di giungere a Roma, e così anche Pietro. L’idea di un vescovo preposto ad una sola comunità è di fine I secolo, quando si dice che Pietro era vescovo di Roma a mio avviso si deve intendere che egli fu un vescovo che passò e morì a Roma, ammaestrando la comunità e istituendo la linea episcopale. Nel mio post stava scritto:

“Interessava solo l’elenco nel suo insieme, come un tutto unico che vuole dimostrare la successione apostolica relativa alla chiesa di Roma. Il risultato era dato dai nomi nella loro concatenazione, quali anelli di una catena. Importanti erano i nomi degli apostoli all’inizio, che proprio per la loro peculiarità non venivano neanche inclusi nella numerazione. Essi denotano la sorgente dalla quale sono fluite la tradizione e la predicazione attendibili” J. Gnilka, Pietro e Roma, Brescia, 2003, Paideia, pag. 222)
Questo è estremamente importante. Concepire Pietro quale primo anello di una catena di vescovi, in una visione puramente giuridica di trasmissione di poteri, significa svalutare il suo ruolo. Questo è unico, efapax. Pietro 'fonda' la chiesa romana perché con Paolo, mediante il suo insegnamento ed il suo martirio, ne fa quello che è: la chiesa testimone della fede evangelica.



Per mie ulteriori repliche temo dovrete aspettare il mio ritorno, ho già sprecato abbastanza tempo della mia epifania a discutere coi brillanti antichisti di questo simposio di accademici.

Au revoir

[Modificato da Polymetis 06/01/2007 16.56]

barnabino
00sabato 6 gennaio 2007 17:37
Caro Polly,

Scusami ma trovo il tuo atteggiamento è davvero infantile!


Continua a vivere della tua banalità concettuale, io tratto le cose in modo serio



E' proprio per evitare di dire banalità e per affrontare i temi in modo serio che ti chiedo di approfondire un argomento per volte. Sei, siamo, in grado di usare un pò di buon senso?


Già risposto. Come già detto è falso, ne parla Pietro nella sua prima lettera



Abbiamo anche detto che il passaggio è piuttosto controverso, per diverse ragioni, come ho detto non ci sono traccede fatto che prima del 70 ci fosse l'abitudine di identificare Roma con Babilonia, i testi che citi sono posteriori a tale data e per di più di carattere apocalittico, inoltre sono di area orientale piuttosto che latina.

Inoltre non credo davvero che la lettera abbia un carattere anti romano tale da giustificare quella chiusa così negativa, non c'era davvero ragione alcuna di non esplicitare il nome di Roma usando un nome criptato, basta pensare che la II di Timoteo (1:17) non esista affatto a parlare esplicitamente di Roma. Che senso avrebbe invece quel "Babilonia"? Sarebbe incomprensibile.

Altra anomalia, la I di Pietro è di fattoo sconosciuta a Roma (almeno a Clemente) e non è accettata neppure nel canone muratoriano, probabilmente scritto a Roma alla fine del II secolo. Le più antiche attestazioni sono tardive e orientali, il primo confermare che l'autore è Pietro è il solito Ireneo, sinceramente mi sembra un quadro molto improbabile se davvero Pietro scrisse una lettera a Roma.


L'unico testo "storiografico" del Nuovo Testamento, che pretenda di raccontarci la vita della Chiesa, cioè gli Atti, si chiude addirittura prima della morte di Paolo, dunque è inutile cercarvi notizie sul martirio di Pietro



Se fu scritto dopo il 70 è strano che non accenni al martirio di Pietro e se venne concluso prima è strano che non faccia comunque alcun riferimento all'opera congiunta di Paolo e Pietro a Roma. Tutti i riferimenti a Pietro sono invece estranei a questa città.


nessun altra città ha mai rivendicato la morte di Pietro, e che l’oriente cristiano accettava pacificamente la morte dell’apostolo a Roma, si tratta dunque non di una cosa tirata fuori dal nulla dai romani ma di una tradizione ben attestata



Questo potrebbe essere un indizio che Pietro morisse in "Babilonia" inteso letteralmente, in quanto l'assenza di uno sviluppo del cristianesimo in quell'area impedì il nascere di leggende o l'appropriarsi di paternità apostoliche da parte della comunità.

Secondo Conzelmann(Le Origini del Cristianesimo - I risultati della critica storica) potrebbe essere morto nei pressi della "sua chiesa" ovvero nei pressi di Antiochia di Siria, che sia in questa regione che in Babilonia non vi siano luoghi di memoria di Pietro è failmente spiegabile con il fatto che per i giudeo-cristiani ignoravano ogni forma di culto delle tombe dei martiri e evitavano di toccare spoglie umane.

Babilonia, e questa è tesi di Huessi seguita anche da Boismard, potrebbe anche essere solo una metafora per indicare la difficile condizione del cristiano in esilio in questa terra di dolori, come lo erano i santi che vivono forestieri nella diaspora, senza dunque nessun riferimento a qualche città reale. Babilonia sarebbe sinonimo di "diaspora" cioè di sofferenza, fuori dalla patria naturale, Gerusalemme.

Vogliamo parlare di questo punto, anche con l'apporto di Luigi e Teodoro? Dimmi tu, vorrei che però evitassimo post fiume dove non è possibile approfondire seriamente nulla. Guarda io non ho tesi preconcette, che Pietro sia stato a Roma o meno non cambia di una virgola la mia fede (forse la tua) trovo solo ridicolo il tuo atteggiamento di chiusura su tesi alternative considerando la vaghezza delle fonte che porti.

Shalom e vedi di essere meno acido!



[Modificato da barnabino 06/01/2007 17.44]

Claudio Cava
00sabato 6 gennaio 2007 17:53

Abbiamo anche detto che il passaggio è piuttosto controverso, per diverse ragioni, come ho detto non ci sono traccede fatto che prima del 70 ci fosse l'abitudine di identificare Roma con Babilonia, i testi che citi sono posteriori a tale data e per di più di carattere apocalittico, inoltre sono di area orientale piuttosto che latina.

Veramente singolare come la tanto amata, rispettata e difesa "Parola di Dio" tale da migliaia di anni cambi cosi' disinvoltamente da bocca a bocca, da luogo a luogo e da religione a religione.

Che venga semplicemente sfruttata per convenienze di potere e manipolazione di masse nessun dubbio, eh? [SM=g27993]

Ciao
Claudio

luigi2
00sabato 6 gennaio 2007 21:13
Grazie per le delucidazioni Polimetis.




Per mie ulteriori repliche temo dovrete aspettare il mio ritorno, ho già sprecato abbastanza tempo della mia epifania a discutere coi brillanti antichisti di questo simposio di accademici.



Spero che non mi hai incluso anche me.

A presto.
barnabino
00domenica 7 gennaio 2007 20:45
Caro Luigi,


ho già sprecato abbastanza tempo della mia epifania a discutere coi brillanti antichisti di questo simposio di accademici



Direi che qui non servono antichisti, servono acrobati da uan parte e persone di buon senso dall'altra. Da un punto di vista di antichistica Polly non ha proposto molto di più di quanto dicono i manuali di apologetica cattolica.

Polly nasconde l'assenza di argomenti con la presunta impreparazione dei sui interlocutori. In realtà basta leggere, Clemente non parla che Pietro fosse a Roma nè ch vi fosse ucciso, lo stesso fa Ignazio. Che i due sono citati assieme può essere indicativo, ma non basta di fronte al silenzio di tutto il Nuovo Testamento, quasi contemporaneo ai fatti narrati.


Spero che non mi hai incluso anche me.



Beh, a meno che tu non sia un antichista...

Perchè nell'attesa del venerato maestro, le cui spiegazioni non mi pare che dicano nulla di nuovo, provi a fare un pò l'antichista rispondendo alle obiezioni che ho proposto?

Non è che ipotizzare l'assenza di Pietro a Roma farebbe cadere tutto l'edificio della tua chiesa?


Veramente singolare come la tanto amata, rispettata e difesa "Parola di Dio" tale da migliaia di anni cambi cosi' disinvoltamente da bocca a bocca, da luogo a luogo e da religione a religione



Caro Claudio, a me pare che basti un pò di buon senso in questi casi, e forse, sulla forzatura dei testi devo purtroppo darti ragione.

Perchè mentre Paolo parla tranquillamente di Roma nelle sue lettere Pietro userebbe invece un nome criptato, chiaramente ostile, in una lettera che di fatto ha un tono del tutto diverso, come si legge in 2:13-16?

Perchè userebbe in una lettera un termine usato più tardi nella letteratura apocalittica, un genere letterario completamente diverso? Chi poteva capirlo?

Perchè alla fine del II secolo quella lettera è ignorata e non è ritenuta canonica proprio a Roma, dove sarebbe stata scritta?

Perchè ignorare a priori tutte le altre opzioni? Babilonia in Mesopotamia, ricca colonia ebraica, Babilonia intesa come metafora di diaspora, sofferenza oppure Babilonia in Egitto?

A chi giova questo atteggiamento irrazionale e di scarso buon senso?

Shalom

[Modificato da barnabino 07/01/2007 20.46]

[Modificato da barnabino 07/01/2007 20.52]

Teodoro Studita
00domenica 7 gennaio 2007 21:17
Caro barnabino,
come ben sai sono ortodosso e certo non puoi pensare che se Pietro non fosse mai stato a Roma non faresto un piacere ad Alessio II. Pertanto non ho il movente del dolo circa l'accusa di parzialità che rivolgi ai tuoi interlocutori, polymetis in primis.
Pur non avendo questo movente (forse l'avrei al contrario!) il semplice "rasoio d'Occam" suggerisce che è praticamente certo che Pietro fu a Roma, giacché tutte le fonti sono univoche in tal senso. Per dimostrare che Pietro fu a Babilonia sei costretto ad asserire che tutte le fonti mentano, non avendo neanche uno straccio di prova a sostegno di questa bizzarria.
La spiegazione più facile è dunque che le fonti dicono che Pietro fu a Roma perché.... fu a Roma. Molto semplice.
Da questo poi a parlare di primato, trasmissibilità, esercizio etc, ce ne vuole. Ma che Pietro fu a Roma mi pare indiscutibile.

Sono comunque curioso di vedere l'elenco delle tue fonti che sosterrebbero che Pietro fu a Babilonia o dove vuoi tu.

Siamo tutt'orecchi.

Cordialità,
spirito!libero
00domenica 7 gennaio 2007 21:26
Sono in linea con il pensiero di Teodoro. Che Pietro fu a Roma credo che sia ragonevolmente certo, tutt'altra cosa invece è appunto il discorso del primato romano, papale ecc...

Quindi Barnabino, se ci concentrassimo su questi aspetti non credi che faremmo cosa gradita a tutti ?

Per quanto mi riguarda sto preparando la risposta al post di Polymetis in merito ai suddetti argomenti, ma purtroppo ultimamente e per i prossimi mesi sarò impegnatissimo sul lavoro a causa di un progetto davvero impegnativo, dunque non so quando potrò ultimare la mia risposta.

Ciao
Andrea

[Modificato da spirito!libero 07/01/2007 21.28]

barnabino
00domenica 7 gennaio 2007 22:30
Caro Teodoro,


Pertanto non ho il movente del dolo circa l'accusa di parzialità che rivolgi ai tuoi interlocutori



Io non rivolgo alcun movente di dolo, però, francamente, su certe asserzioni mi pare che diventare dogmatici vada oltre il normale buon senso.

Io posso capire benissimo che il fatto che Clemente parli di Paolo e Pietro nello spesso passo e lo stasso faccia Ignazio possa essere compatibile con la presenza di una tradizione che voleva Pietro a Roma, ma da questo a sostenere che quegli autori attestino che con certezza vi fosse stato il passo mi sembra lungo!

Se mi permetti di fronte a certe esagerazioni e chiusura nei confronti della tesi opposta non posso che pensare ad una posizione ideologica preconcetta.


semplice "rasoio d'Occam" suggerisce che è praticamente certo che Pietro fu a Roma, giacché tutte le fonti sono univoche in tal senso



Su questo sono d'accordo in parte, infatti le fonti più antiche, che pur ci danno informazioni su Pietro e il cristianesimo a Roma, tacciono questo fatto e la 1 Pietro di fatto non parla di Roma ma semplicemente di Babilonia, ed i motivi per cui è opinabile che Babilonia sia solo una maniera criptata per indicare Roma gli ho esposti poco sopra, al punto che autori come Conzelmann ipotizzano che quel Babilonia fosse solo una metafora e Pietro sarebbe in realtà morto nella "sua" Antiochia.

Certo, non nego che storicamente il peso della tradizione non possa essere ignorato, e non lo faccio di certo, ma neppure deve essere sopravvalutato come mi sembra che invece facciano Polymetis e Luigi. Tu sei più equilibrato, forse per il minor coinvolgimento emotivo che invece prende i cattolici, come se un dettaglio del genere potesse cambiare la fede cristiana!

Riguardo al Rasoio di Occam si dovrebbe usarlo anche per rispondere alla domanda: perchè Pietro a Roma? Non è infatti così ovvio che un pescatore galileo che parlava aramaico e qualche parola di greco andasse a Roma. La sua era una posizione ben diversa di quella di Paolo, cittadino romano, celibe, colto e poliglotta. Nel NT gli spostamenti di Pietro sono sempre molto limitati nell'area medio orientale: Antiochia, Gerusalemme, Cesarea. La presenza di Pietro a Roma non è certo molto probabile.


Per dimostrare che Pietro fu a Babilonia sei costretto ad asserire che tutte le fonti mentano, non avendo neanche uno straccio di prova a sostegno di questa bizzarria



Scusami, ma perchè devi esagerare i concetti? Qui non stiamo parlando di fonti che "mentono" ma stiamo parlando di autori che riportarono tradizioni che avevano appreso un centinaio di anni dopo che i fatti si svolsero, tradizioni che di fatto non sappiamo quanto fossero basate su dati storici reali e quanto su dati leggendari e fantastici e che, in mancanza di riscontri diversi, poteva poi essere accettate acriticamente e riprodotti altri autori.

Se Pietro morì in qualche area diversa da Roma, per esempio un'area di carattere giudeo-cristiano (come è logico aspettarsi visto che venne inviato ai giudei) oppure aree dove il cristianesimo non ebbe ulteriore sviluppo (come nell'area babilonese) sarebbe assolutamente normale l'assenza di memorie e testimonianza in merito (tranne la 1 Pietro che specificherebbe Babilonia come residenza tarda dell'apostolo).

Nel primo caso perchè i gudeo-cristiani, come gli ebrei, non erano interessati ai resti mortali dell'apostolo o al loro culto e nel secondo caso perchè la memoria sarebbe andata perduta con il dissolversi della piccola comunità cristiana di Babilonia. Di fatto proprio il silenzio sul luogo storico dove morì Pietro nel primo secolo testimonierebbe Babilonia o un area giudeo-cristiana e d'altronde lasciò spazio alla tradizione che in seguito lo volle a Roma.

A mio avviso alla metà del II secolo vi era già una tradizione in questo senso, ma da questo a dire che si tratta di un fatto certo, visto il silenzio di tutte le fonti più antiche e l'incertezza di quelle fino al 170 EV (con Diodoro di Corinto) mi pare, francamente, esagerato.

Shalom

[Modificato da barnabino 07/01/2007 22.56]

barnabino
00domenica 7 gennaio 2007 22:51
Caro Spirito,


Quindi Barnabino, se ci concentrassimo su questi aspetti non credi che faremmo cosa gradita a tutti ?



Mi pare che prima si debba stabilire i termini della discussione, uno di questi è come leggere le fonti e che valore dare alle diverse tradizioni: relativo o assoluto?

Se leggiamo che Clemente cita Pietro e Paolo assiame ma non specifica che Pietro fosse a Roma o morisse come martire possiamo fare delle ipotesi non possiamo trasformare quel silenzio silenzio nelle "nostre" certezze. I fatti, quello che si legge nel testo, sono questi: Clemente di fatto non dice che Pietro fosse a Roma, non dice che fosse vescovo di quella città e non dice che morì come martire. Certo, non dice neppure che Pietro non fu mai a Roma, ma perchè mai avrebbe dovuto dirlo?

Se poi riempiamo quel vuoto con nostre congetture possiamo farlo non possiamo parlare di certezze, come si sta facendo ignorando la tesi opposta, soprattutto quando le fonti precedenti, il NT, sono tutte contro la presenza di Pietro a Roma.

Shalom



[Modificato da barnabino 07/01/2007 22.54]

luigi2
00lunedì 8 gennaio 2007 09:52
Caro barnabino, non avendo una confutazione che dice il contrario o che smentisca l’unanimità di questi uomini, sarebbe più facile, più obiettivo, e dimostreresti anche un certo tipo di dialogo senza intestardirti nell’impossibile.

Vedo che citi Clemente ed Ignazio, e gli altri?

Papia per esempio, discepolo di Giovanni e compagno di Policarpo.
Ireneo.
Lo stesso Dionigi di Corinto.
Clemente alessandrino (150-215) non stiamo poi troppo lontani con l’età.
Tertulliano (160-240) Non una ma più volte attesta che Pietro fu a Roma.
Origene (185-254) Che pure era quello che era per la chiesa.
Eusebio stesso (260-337) ci racconta dei particolari, e più volte cita Pietro a Roma.
Più tardi ancora Girolamo (347-420)

il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae che sono i più antichi.

Gli stessi riformati oggi in gran parte sono concordi.

Aldilà della confessione religiosa, giustamente come hanno riferito Teodoro e Andrea, dobbiamo ammettere quello che la storia ci dice, che sia lontana o vicina all’evento, che sia canonica, puramente storica, apocrifa etc., se non ci sono delle chiare smentite a questi fatti, dobbiamo semplicemente prendere atto che Pietro fu a Roma, altrimenti è inutile continuare la discussione negando tutti questi scritti, e nemmeno possiamo andare avanti.

Teodoro Studita
00lunedì 8 gennaio 2007 11:37
caro barnabino,
le tue ipotesi si basano su congetture o al massimo su argumenta ex silentio, il che ne riduce drammaticamente il peso di probabilità verso lo zero. Se vuoi scalzare una tesi che gode di parecchie fonti piuttosto univoche, ancorché non contemporanee ai fatti in questione, dovresti avere qualcosa di più... concreto, o semplicemente qualcosa. Invece non hai nulla, e parli eclusivamente in ragione di una storia preconfezionata che ti senti costretto a difendere, come Franz quando andava in giro a cercare qualche sostegno per i conti sul 1914.
Non è così che si fa storia, non se si vuole essere presi sul serio.
Cordialità,
barnabino
00lunedì 8 gennaio 2007 15:12
Caro Teodoro,

In parte sono d'accordo con la tua obiezione, ma ci sono delle precisazioni che vorrei fare


le tue ipotesi si basano su congetture o al massimo su argumenta ex silentio, il che ne riduce drammaticamente il peso di probabilità verso lo zero



Non mi pare ex silentio perchè per lo meno una fonte antica, 1 Pietro, dice chiaramente che l'apostolo verso la fine della sua vita non si trovava a Roma ma a Babilonia. Questa, di fatto, stando ai testi, è la tradizione più antica. Ti ho anche dimostrato perchè, a mio parere, l'identificazione Roma=Babilonia è molto controversa e basata su congettura poco attendibili.

Non credo che per quanto una tradizione sia diffusa permetta di ignorare questo dato. Tanto più che la presenza di Pietro a Roma presenta tutti i problemi che ho già esposto: perchè Pietro non cita Paolo e Paolo non cita mai Pietro se si trovavano a Roma assieme? Che ci faceva Pietro a Roma, un galileo che conosceva poco il greco e ancor meno il latino, sposato e già anziano a Roma quando nel NT lo vediamo spostarsi solo nell'ambito mediorientale? Perchè Luca, che tanto parla della missione di Paolo a Roma, tace sugli spostamenti romani di Pietro, una colonna della congregazione? Mi sembrano dubbi leciti e di buon senso.


dovresti avere qualcosa di più... concreto



L'ipotesi di Pietro a Roma sarà anche molto accreditata ma se mi permetti prima di dire che una tesi contraria ha una probabilità vicino allo zero mi aspetterei un pò più di evidenze.

Anche coloro che difendono la tesi di Pietro a Roma dovrebbero produrre qualcosa di più che "congetture" fonti della seconda metà del II secolo, sinceramente i testi di Clemente e Ignazio, per quanto li legga e rilegga, non mi sembra che possano dire nulla di preciso in questo senso.

Quello che io posso dire è che certo esisteva alla metà del II secolo una tradizione di presenza petrina a Roma, ma sulla storicità della stessa non mi sbilancerei alla luce delle molte obiezioni che si possono fare.

Shalom
barnabino
00lunedì 8 gennaio 2007 15:33
Caro Luigi,


Vedo che citi Clemente ed Ignazio, e gli altri?



Ho citato loro perchè sono le fonti più antiche dopo il NT. In particolare Clemente era di Roma e dunque avrebbe saputo bene che Pietro era stato a Rome, vi era morto e ne era divenuto vescovo. Sinceramente i suoi riferimento a Pietro sono talmente aspecifici e generici da ipotizzare che sapesso ben poco su di lui.

Lo stesso vale per Ignazio, il fatto che sia citato insieme a Paolo non dice nulla di specifico.


Ireneo. Lo stesso Dionigi di Corinto



Siamo ormai nella seconda metà del II secolo, difficilemente si poteva verificare la storicità di certe affermazioni oltre 100 anni dopo i fatti, evidentemente vi era in corcolazione una tradizione che voleva Pietro a Roma, ma quanto attendibile potesse essere (visti i silenzi di testi precendenti) è difficile stabilirlo. Perfino Giustino alla metà del II secolo che risiedeva a Roma a parla della figura di Simone Mago (che a detta di Eusebio incontrò Pietro) tace completamente.

Per di più Dionigi e spreciso, parla infatti di Paolo e Pietro insieme a anche a Corinto, fatto di cui non abbiamo nessuna prova storica e che farebbero pensare che lo scrittore non utilizzasse fonti attendibilissime.

Gli altri autori sono di aree e periodi molto distanti per avere un vero valore storico, per di più introducono elementi chiaramente leggendari, come la crocifissione all'incontrario.


il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae che sono i più antichi.



A dire il vero l'ascensione di Isaia (datata variamente, ma prima del 140) non dice esplicitamente nulla, si parla di "uno dei dodici che sarà dato in sua mano" [Nerone] ma los tile apocalittico impedisce di giungere a conclusioni che non siano generiche. Secondo Gnilka "qui non si parla esplicitamente della morte violenta di Pietro" (Pietro e Roma, p. 115) ed il riferimento a Nerone non indica necessariamente il martirio a Roma, poichè Pietro poteva essere stato condannato da un qualunque procuratore in una qualunque località dell'impero, come accadrà a Policarpo.

Shalom


Polymetis
00giovedì 11 gennaio 2007 12:13
“Il rifiuto del soggiorno romano di Pietro è un errore oggi chiaro come il sole per ogni studioso che non s’accechi volutamente. Il martirio romano di Pietro è stato contestato in base a pregiudizi tendenziosi prima protestanti e poi critici” (A. Harnack, Die Cronologie der altchristlichen Literatur bis Eusebius, I, pag. 244)


Il metodo di Barnabino consiste nel non rispondere alle obiezioni scomode e nel continuare imperterrito a riproporre le stessi tesi senza neppure discutere la metà delle osservazioni che gli vengono fatte (si veda ad esempio l’insistenza maniacale nell’affermare che i brani apocalittici citati con Babilonia=Roma sarebbero “più tardi di 1Pt” quando invece gli è già stato risposto, e non c’è sognato di replicare, che sono invece contemporanei, cioè di fine I secolo). Lo scopo di questo post è fargli presente tutte le mancanze e soprattutto i tarocchi che ha saputo donarci.

“E' proprio per evitare di dire banalità e per affrontare i temi in modo serio che ti chiedo di approfondire un argomento per volte”

Infatti per approfondire questo specifico argomento, la venuta di Pietro a Roma, è necessaria l’analisi di molte fonti, motivo per cui in genere, per questa tematica e per molte altre, gli gli articoli nelle riviste del settore superano le dieci pagine. Non si può trattare un argomento simile in due paginette.


“Abbiamo anche detto che”

Il pluralis majestatis che usi per parlare di te stesso è dovuto a qualche titolo accademico? E sì quale? In caso contrario noi continueremo a pensare che non tutti abbiano il diritto di usarlo. [SM=g27987]

“il passaggio è piuttosto controverso”

Non esiste alcun testo, neppure una lista della spesa, per la quale il circolo ermeneutica non sia infinito. Ergo questa prima riga non vuol dire nulla.

“come ho detto non ci sono traccede fatto che prima del 70 ci fosse l'abitudine di identificare Roma con Babilonia”

Infatti ho citato testi che sono esattamente coevi. Sia l’Apocalisse di Baruch che IV Esdra sono apocrifi del I secolo, per non parlare dell’Apocalisse di Giovanni ovviamente. (E non ne parlo per pietà giacché l’interpretazione dei TdG a tal proposito sta, guarda caso, solo nei loro libri.)
Abbiamo cioè la prova grazie a questi apocrifi del tardo giudaismo che presso gli ebrei contemporanei di Pietro il modo di dire era in auge, e, lo ripeto, questa è la più antica interpretazione anche cristiana. Se tu pensi di saperne di più di uno che nel I secolo c ‘è vissuto tanti auguri, il metodo storico-critico sta altrove.

“testi che citi sono posteriori a tale data”

No, e, se per pura ipotesi lo fossero, nulla vieta che questa sia la prima attestazione di un significato largamente attestato immediatamente dopo.

“e per di più di carattere apocalittico”

E con ciò? Si è semplicemente voluto dimostrare che tale modo di dire è contemporaneo a Pietro, e diffuso per giunta, arriva fino al Talmud (coordinate già citate). I modi di dire sono trasversali ai generi letterari.

“inoltre sono di area orientale piuttosto che latina.”

E allora? La tua lingua e i suoi modi di dire li impari nella tua madrepatria, e Pietro era orientale.

“Inoltre non credo davvero che la lettera abbia un carattere anti romano tale da giustificare quella chiusa così negativa”

Non occorre essere nel tono dell’invettiva per parlare di qualcosa in maniera negativa. Come già detto Pietro non era contro l’autorità in sé ma contro il sistema che Roma rappresentava, quel sistema di lussi, meretricio, guerra, persecuzione, che nella mente del giudeo sotto la dominazione Roma fa appunto trasporre l’antica sottomissione ai babilonesi nella sottomissione ai romani. Roma appare come una capitale del vizio, e non c’è alcun bisogno d’essere intenti a scrivere un libro si satira per usare un simile modo di dire.

“non c'era davvero ragione alcuna di non esplicitare il nome di Roma usando un nome criptato”

Perché pensi che sia criptato? Criptato viene da krypto, nascondo, e suppongo che tu voglia dire che l’autore stesse tentando di non farsi capire da chissà quale Grande Fratello imperiale. Non ho affermato nulla di simile. Pietro usa la parola Babilonia esattamente per lo stesso motivo per cui io anziché “vivo a Venezia” posso dire “vivo nella Serenissima”, ossia che i due termini nella mente dello scrittore e del lettore sono intercambiabili.

“asta pensare che la II di Timoteo (1:17) non esista affatto a parlare esplicitamente di Roma.”

Ma ditemi voi cosa diavolo c’entra. Avrebbe senso solo se il motivo per usare Babilonia fosse appunto quello di nascondere il nome “Roma” per paura di persecuzioni, ma se così non è e si tratta banalmente di un modo di dire usato dai giudei a sottolineare la peccaminosità di Roma, allora non c’è ragione perché debba venire usato sempre e comunque quasi che i Vangeli fossero un cifrario della CIA e dunque avessero paranoie di segretezza. Non si voleva celare nulla, motivo per cui il modo di dire può convivere accanto al linguaggio standard. Per di più confronti testi diversi di autori diversi, ergo se anche io avessi sostenuto che Pietro usa Babilonia per motivi di sicurezza, ciò non implicherebbe che questa sia anche l’abitudine di un altro autore come nel nostro caso Paolo, e per essere più esatti neppure lui.

“Altra anomalia, la I di Pietro è di fattoo sconosciuta a Roma (almeno a Clemente)”

Ma cosa diavolo vuol dire questa frase? Clemente Romano fa forse un elenco dei libri canonici che mi sono perso? E io che pensavo ci fosse rimasta una sua sola misera opera. Vogliamo vedere quanti testi attualmente canonici non cita? Non ho mai fatto questa verifica ma per quanto ne so potrebbe non citarne che un paio, infondo per quale oscuro motivo in un testo una persona dovrebbe essere obbligata a citare simultaneamente tutti i libri che ritiene ispirati? La mania dell’argumento e silentio impera sempre di più. Ma c’è di più.

“e non è accettata neppure nel canone muratoriano, probabilmente scritto a Roma alla fine del II secolo.”

Questa è l’unica osservazione sensata che ho letto nei tuoi post, l’unica cioè che dica qualcosa di valore e che meriti d’essere discussa. Tra l’altro grazie di avermi ricordato il canone muratoriano, giacché è utile per un doppio scopo. Sia perché è una fonte datata al 180 d.C. che testimonia il martirio di Pietro a Roma, sia perché ci spiega che Luca non ha raccontato, negli Atti degli Apostoli, che ciò che era avvenuto sotto i suoi occhi, da cui la sua “omissione della passione di Pietro”. Cito il testo del canone muratoriano:

“Gli Atti poi di tutti gli Apostoli sono scritti in un unico libro. Luca raccoglie per l’ottimo Teófilo le singole cose che sono state fatte in presenza sua e lo fa vedere chiaramente omettendo la passione di Pietro e anche la partenza di Paolo dall’Urbe (si riferisce alla prima prigionia di Paolo N.d.R.)”

Questa motivazione ovviamente completa quella che avevo già esposto. Ma torniamo a noi, giacché a differenza di qualcuno io non mi limito a tralasciare le domande scomode. E’ corretto affermare come tu hai fatto che “la I di Pietro è di fatto sconosciuta a Roma”? Manca nel canone muratoriano ma basta analizzare altri autori romani di quel periodo per rendersi contro che era conosciuta nell’Urbe, e dunque l’omissione deve avere un’altra ragione. Inoltre a fine II secolo che senso ha dire che una lettera non è conosciuta in una delle sedi episcopali più importanti dell’impero? Non a caso si parla di ecumene cristiano, ed è impossibile che una lettera così testimoniata in altre comunità non sia mai stata sentita a Roma. Si può certo discutere se fosse canonica o meno per tale comunità, ma non certo arrivare a postulare che ne ignorassero l’esistenza a fine II secolo come fai tu, ciò implicherebbe un’idea di localismo ecclesiale che non è sostenibile a questa data, le varie sedi apostoliche infatti erano in rapporti di reciproca comunione e queste non sono informazioni da poco. Ma volendo restare agli autori romani coevi al canone muratoriano che testimoniano la canonicità di 1Pt si possono citare sia Sant’Ippolito Romano sia Tertulliano (http://www.christianismus.it/sezscritti/doc0020/pgfisscanone.html), quest’ultimo lo cito perché com’è noto la Chiesa d’Africa era nell’orbita di quella di Roma e l’autore stesso visse nell’Urbe facendo l’avvocato. Ireneo stesso è del periodo, ed è mai possibile che colui che afferma di basare il metro della sua ortodossia sulla Chiesa di Roma porti un parere non conforme alla Chiesa “con la quale” a suo dire “deve necessariamente essere d’accordo ogni comunità”? Tanto più che essendo vescovo di Lione anch’egli era nell’orbita romana.

“Se fu scritto dopo il 70 è strano che non accenni al martirio di Pietro e se venne concluso prima è strano che non faccia comunque alcun riferimento all'opera congiunta di Paolo e Pietro a Roma.”

Quest’argomentazione non vuol dire un emerito nulla. Cosa diavolo c’entra la data di commozione di un’opera? Quello che conta è l’arco cronologico che quell’opera tratta. O pensi forse che chiunque scriva un libro di storia della farlo arrivando sempre per forza a parlare dei suoi giorni? Non posso forse scrivere un libro sulla rivoluzione francese e solo su quella? E allo stesso modo, visto che gli Atti degli Apostoli finiscono con la prigionia di Paolo, e dunque quando quest’ultimo non era ancora morto, per quale assurdità ci si dovrebbe aspettare che trattino della morte di Pietro visto che quest’ultima è successiva a quella di Paolo? Non arriva a trattare la morte dell’apostolo dei gentili, figurarsi la morte dell’Apostolo dei circoncisi. Secondo il tuo ragionamento dovremmo concludere che siccome non parla della morte di Paolo essa non sia avvenuta!

“Questo potrebbe essere un indizio che Pietro morisse in "Babilonia" inteso letteralmente, in quanto l'assenza di uno sviluppo del cristianesimo in quell'area impedì il nascere di leggende o l'appropriarsi di paternità apostoliche da parte della comunità.”

Veramente ridicolo, siamo al culmine delle ipotesi ad hoc per salvaguardare il nocciolo duroi del ragionamento. Vale a dire che si sparano in continuazione spiegazioni alternative, non supportate neppure da indizi, pur di non far traballare il nocciolo del nostro pensiero. Facciamo due raffronti e vediamo chi postula più “entia” per fa filare la sua spiegazione, e alla fine applichiamo il rasoio di Ockham. Da una parte abbiamo Babilonia in Italia, con l’esistenza di questa nomenclatura attestata in documenti giudaici coevi e tutta la tradizione successiva che concorda, a ciò si aggiunga che nessun altra città pretende di far concorrenza a Roma, per la banale ragione che tutti sapevano come stavano le cose. Dall’altra parte dobbiamo postulare un viaggio non attestato altrove di Pietro a Babilonia, dobbiamo altresì postulare che qui ci fosse una comunità cristiana quando non ve n’è traccia fino al terzo secolo, e poi, per spiegarci come mai non faccia concorrenza a Roma, dobbiamo postulare che questa comunità (che lo ripeto è fantasma), dopo essersi creata sia anche di lì a poco misteriosamente sparita, per poi riapparire nel III secolo e non ricordarsi che l’apostolo era stato in quelle regione (viene da chiedersi perché allora si sia conservata la memoria della predicazione di Filippo in quei luoghi). Inoltre Pietro, avrebbe predicato a questa comunità fantasma di Babilonia quando invece sappiamo da Giuseppe Flavio che non c’era nessuno a cui potesse predicare in quanto i giudei a metà I secolo s’erano trasferiti da Babilonia a Seleucia(Ant. Giud. XVIII,9.8 ). E su questo particolare non ho avuto ovviamente risposte. Avevo scritto: “questo giocare alle ipotesi controfattuali ha dimostrato come il tuo sia il semplice rimanere fisso su una posizione tentando di smontare i ragionamento altrui con indimostrate ipotesi ad hoc. Quod gratis adfirmatur, gratis negatur, basterebbe replicare” Quando poi sarebbe sparita questa comunità babilonese? Era già bella e finita pochi decenni dopo la predicazione petrina? Pare di sì se vuoi sostenere la tua ipotesi, giacché la tradizione di Pietro a Babilonia/Roma è già attesta a fine I secolo e inizio II secolo con Papia e i due testi apocalittici già citati, e neppure allora abbiamo traccia di concorrenza o protesta alcuna, anzi abbiamo la prova che già a fine I secolo si sapeva del martirio romano (e infatti su Papia hai smesso di rispondere, hai detto due balbettii sull’Ascensio Isaiae e hai tralasciato il fr. Rainer). Il tuo metodo è cioè quello di inventare una spiegazione alternativa qualsiasi, senza neppure disturbarti a fornire indizi o prove, e questo perché i fatti vanno piegati alle teorie precostituite anziché le teorie ai fatti. Meglio inventarsi una comunità a Babilonia mai attestata che prendere atto di una comunità in una Roma chiamata Babilonia (e questa volta non un’ipotesi ma una certezza testuale). Inoltre se Pietro fosse morto a Babilonia, perdono completamente senso tutte le testimonianze apocalittiche di fine primo secolo citate, che parlano chiaramente di una persecuzione romana, anzi neroniana. L’impero romano a Babilonia non s’è neppure mai insediato! La mesopotamica in quest’epoca non era neppure sotto Roma, fu conquistata da Traiano. Prendiamo un manuale universitario di storia romana e facciamo un po’ di lezione. In giallo le zone in cui è attestata la presenza cristiana prima del duecento, in arancio quelle in cui è attestata nel 300. Come si vede siamo molto lontani da Babilonia:


(Adam Ziolkowski, Storia di Roma, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pag. 500)

Ecco perché, cari miei, giocare a fare gli antichisti senza una preparazione accademica alle spalle che ti permetta di conoscere il contesto storico è estremamente rischioso, una formazione classica infatti solitamente riesce ad impedire l’articolazione di ipotesi farlocche, perché si conosce il mondo in cui ti muovi. Ma qui tutti sembrano ritenere d’aver diritto di parola, e come già detto è assurdo che esista un albo degli avvocati e non una cosa simile per i grecisti. Nessuno tollera i praticoni, mentre al contrario se un matematico scrive un libro di, ad esempio, storia del cristianesimo primitivo, si pensa che la cosa sia normale. Ora, non si può certo negare la libertà di parola, esattamente come non si può negare il diritto a una persona che voglia farsi curare da un mago ciarlatano di rivolgersi a lui, tuttavia si deve imporre a tale dilettante di affiggere una targa nel suo studio con scritto “non sono un medico”. Allo stesso modo le esternazioni di tutti questi profondi antichisti e conoscitori della storia imperiale andrebbero timbrati con un “scritto da un dilettante” a piè pagina. Su quest’argomento è utile riportare le già citate parole di Cullmann:
Mi pare sia la spiegazione più probabile, considerare Babilonia come designazione esoterica di Roma: se infatti l’autore scrive da Roma, può aver avuto, proprio come l’autore dell’Apocalisse Giovannica, una ragione per sostituire Roma con Babilonia, sia che volesse evitarne il nome per timore delle autorità imperiali romane, sia che – ed è più è più probabile- la cittàn di babilonia, così importante nella profezia veterotestamentaria, carica di tutto il significato che aveva per il popolo d’Israele, fosse divenuto un concetto teologico che nell’attualità in cui viveva l’autore si poteva applicare a Roma. (…)Siccome, trattandosi di una formula di saluto, si deve pensare a iuna città concreta e definita, al tempo dell’autore non v’era altra comunità se non Roma, alla quale si potesse applicare l’immagine carica di significato dell’antica Babilonia. Naturalmente si deve presupporre che il termine sia usato qui con questo suignificvato simbolico; il che trova conferma nel fatto che tale applicazione, in feriferimento a Roma, si trova con sicurezza in altri documenti: anzitutto nell’Apocalisse giovannea, dove ai capp. 18,4;16,19; 17,5 ss.;18,2 ss con “Babilonia” si intende indubbiamente Roma; forse anche l’espressione “Sodomia e l’Egitto”(11,8 ) adombra ugualmente Roma. Pure nella letteratura pseudoepigrafa del tardo giudaismo troviamo “Babilonia” quale designazione allusiva di Roma: così in Sib. Or. V,59, ove è detto che arderanno anche il profondo mare e la stessa Babilonia e la terra d’Italia); v. pure in Apoc. Bar, 11,1 e Iv Esdra 3,1 ss.;28,31. E’ vero che sia l’Apocalisse Giovannica sia i testi del tardo giudaismo sono documenti che non possono essere più antichi della nostra prima lettera di Pietro, tuttavia essi appartengono all’incirca al medesimo periodo. Inoltre il termine “mysterium” che in Ap 17,5 si riferisce alla dichiarazione su Babilonia-Roma, sembra indicare che tale espressione esoterica era già nota ai cristiani. Per tutte queste tachioni Roma è dunque l’interpretazione più naturale del termine “Babilonia” in 1Pt 5,13, se leggiamo il testo senza preconcetti e senza tener conto della controversia sul soggiorno di Pietro a Roma. Già Papaia spiegava così il versetto. (…) Questa possibilità (la Babilonia in mesopotamica) non può essere totalmente esclusa, ma non è affatto verosimile né si appoggia alla tradizione cristiana posteriore, la quale non conosce in quelle regioni attività missionario di Pietro bensì solo dell’Apostolo Tommaso; si aggiunga il fatto che anche il Talmud babilonese menziona soltanto a partire dal III secolo la presenza di cristiani in questa regione. Alcuni hanno pensato che l’autore che ha attribuito a Pietro la propria lettera non sapesse nulla di preciso circa le località in cui si svolse l’attività dell’apostolo e che perciò abbia ha scelto la lontana a e un po’ favolosa Babilonia; ma tale interpretazione non può essere provata in alcun modo e non è affatto probabile, specie tenendo presente la concreta menzione di Marco. Perciò deve essere respinta anche l’ipotesi recente secondo la quale il termine non designerebbe alcuna città concreta ma- come discopra nel cap. 1,1- dovrebbe essere inteso solo figuratamene nel senso di “senza patria”(Heussi). In linea di principio dovrebbe essere presa in considerazione ancora un’altra Babilonia: il campo militare egiziano nei pressi dell’attuale Cairo menzionato da Stradone e da Giuseppe. Ma è inaccettabile l’assurda ipotesi che in 1Pt 5,12 si tratti di questa più o meno oscura Babilonia. (pag. 109-114)

I tdG cioè non conoscendo lo statuto epistemologico della storia antica, pretendono da essa delle prove che essa per gran parte dei fatti che stanno suoi nostri manuali non può fornire. Qui non siamo in un esperimento di chimica e quando abbiamo a che fare col mondo antico non si può ottenere la certezza su nulla, qui si vuole solo sottolineare che non c’è alcun motivo per respingere la tradizione di un soggiorno romano di Pietro, anzi, una serie impressionante di elementi convergenti la affermano, e sono un pregiudizio partigiano può respingerla, chiedendo delle prove che per è impossibile avere anche per un fatto avvenuto 400 anni fa, figurarsi 2000. Scrive sempre Cullmann:
Sembra provato con sufficiente probabilità che il martirio di Pietro a Roma può in definitiva essere accettato come un fatto, se non assolutamente, almeno relativamente accertato nel quadro storico della Chiesa antica, sia pure con la naturale riserva con cui consideriamo molti altri fatti dell’antichità generalmente riconosciuti come storici. Se volessimo raggiungere un maggior grado di probabilità per tutti i fatti della storia antica, dovremmo stralciarne una gran parte dai nostri testi di storia. (…) Se non dovessimo conservare delle riserve nei confronti di ogni argomento e silentio, potremmo anzi considerare il fatto che titta l’antica letteratura cristiana tace totalmente circa la morte dell’apostolo, come un indizio del martirio romano di Pietro: non abbiamo infatti la minima traccia di un’indicazione di località che possa essere considerata come il luogo della sua morte. A favore di Roma stanno indicazioni importanti, seppure indirette, che possono a buon diritto essere intese in questo senso; anzi la loro forza provante viene appunto accresciuta dal loro carattere indiretto, puramente allusivo. Si deve inoltre considerare che nel II e III secolo, quando si manifestava ormai una certa rivalità fra varie comunità e quella di Roma, neppure una di queste contestò la pretesa di Roma di essere la sede del martirio di Pietro; anzi, proprio in Oriente, come lo attestano le pseudo-clementine e le leggende petrine, la tradizione del soggiorno di Pietro a Roma era profondamente radicata (pag 153-154)

“Secondo Conzelmann(Le Origini del Cristianesimo - I risultati della critica storica) potrebbe essere morto nei pressi della "sua chiesa" ovvero nei pressi di Antiochia di Siria”

Iniziano le citazioni delle mummie, Heussi in primis, e il fatto che il mio interlocutore non possa far altro che citare gente morta a favore delle sue tesi è indicativo di quanto siano aggiornate e condivise le sue idee dai biblisti protestanti di oggi. Stavamo appunto dicendo che oggi gli studiosi di qualsiasi confessione non contestano più la venuta di Pietro a Roma, e quando dico studiosi non intendendo i poveri settari protestanti che scrivono in rete ignorando finanche l’alfabeto greco. Certi siti “evangelici” della rete hanno la scientificità dei telepredicatori americani della bible belt. Ma non pensiate che Barnabino abbia letto qualcosa degli autori che vi sta citando, sta infatti scopiazzando dalle note del libro di Cullmann e di quello di Gnilka sul primato un po’ di nomi citati dai due studiosi, e ovviamente costoro nel contesto sono citati per dimostrare quando siano superati. Sulla tesi “Antiochia” torno in seguito.

“che sia in questa regione che in Babilonia non vi siano luoghi di memoria di Pietro è failmente spiegabile con il fatto che per i giudeo-cristiani ignoravano ogni forma di culto delle tombe dei martiri e evitavano di toccare spoglie umane.”

Il culto dei martiri non c’entra un emerito nulla. L’ipotetico portare in pompa magna la “bara” di un apostolo ed edificarvi un mausoleo non ha nulla a che fare con questo problema-. Se che gli abbiano tributato culto o meno a Babilonia, questo non ha nulla a che fare con la notizia della sua morte in quel luogo che avrebbe comunque dovuto girare ed essere diffusa nel cristianesimo orientale. Possibile che a fine I secolo ci fosse già la tradizione della morte di Pietro a Roma e nessuno in medio-oriente li abbia sbugiardati? Com’è possibile che il luogo del martirio(Gv 21) del principe degli apostoli, della persona cui sono dedicati metà degli Atti, una delle tre colonne della Chiesa, non venga risaputo in giro e dalla Siria o dalla mesopotamica non si sappia in tutto l’Oriente, anzi fino allo stretto di Gibilterra? Ciò presuppone un immobilismo delle comunità cristiane insostenibile. Inoltre la Chiesa di Antiochia, in cui ora supponi la morte dell’apostolo, non è mai scoparsa a differenza della tua fantomatica comunità babilonese, anzi è stata una delle cinque sedi della pentarchia, e secondo te ad Antiochia si sarebbero dimenticati che l’apostolo Pietro è morto lì da loro?
E tanto per tornare al “culto”, anche se come abbiamo visto non c’entra nulla, fatti un giro alla casa di Pietro a Cafarnao e scoprirai sulle pareti della domus ecclesia una moltitudine di graffiti in tutte le lingue (siriaco compreso), per invocare la protezione di San Pietro. Che cosa pagana vero per la vostra mentalità settaria americana?

“Babilonia, e questa è tesi di Huessi seguita anche da Boismard, potrebbe anche essere solo una metafora per indicare la difficile condizione del cristiano in esilio in questa terra di dolori, come lo erano i santi che vivono forestieri nella diaspora, senza dunque nessun riferimento a qualche città reale”

E suppongo che le prove letterarie che sia attestato questo modo di dire, ossia che dire “sono a Babilonia” voglia dire “sono in esilio” non le avremo mai, mentre le prove di “Babilonia” che sta per Roma le abbiamo viste. Siamo dinnanzi all’ennesima ipotesi ad hoc creata senza prove pur di rimanere nella propria posizione. Ma s’è già spiegato perché non ha senso. In primis Pietro non sta parlando di se stesso, come se in preda ad un misticismo si sentisse solo in questa terra di sventura, ma sta riportando i saluti di una chiesa (cioè di un gruppo di persone) e persino i saluti di Marco. Tutto ha l’aria della concretezza. E poi, chi ha il coraggio di citare Heussi? Ma sapete chi è e qual era il suo metodo d’indagine, ben noto ai suoi contemporanei? Si trattava di un’irriducibile negatore della presenza di Pietro. Il suo modo di fare storia era così partigiano che K.Aland (e sappiamo tutti che grande filologo fosse), dovette scrivere un’opera per smascherare l’assurdità del suo metodo, del tutto uguale a quello di Barnabino, ossia l’inventare a go go ipotesi ad hoc per respingere le obiezioni altrui, non importa quanto fossero fantasiose. (Il testo di K. Aland è Der Tod des Petrus in Rom, Bemerkungen zu seiner Bestreitung durc Karl Heussi,1959). K. Aland, che tanto per cambiare era protestante, concluse questo suo studio con l’affermazione: “che cosa rimane da fare, metodologicamente, se non accettare il martirio di Pietro a Roma come un fatto?... A mio avviso questa conclusione è inevitabile, se ci si serve dei metodi e degli angoli visuali validi nell’ambito dello studio storico critico del I e del II secolo dell’era cristiana) (cit. in Cullmann, op. cit. pag, 101)
Tra l’altro è divertentissima la descrizione che Cullmann fa di Heussi e dei suoi metodi, tanto per avere un’idea del personaggio:

“Lo stesso Heussi si ripresentò con nuovi lavori, prese posizione sui recenti scavi e cercò di fondare la propria tesi sull'imperfetto di Gal. 2, 6. [Quando Paolo scrisse la sua lettera ai Galati, Pietro non sarebbe già più stato in vita (Gal 2,6: chi essi erano N.d.R.] In contrapposizione alla prima edizione del mio saggio su Pietro (1952) e, più tardi, all'importante articolo di K. Aland : Petrus in Rom, pubblicato nell'« Historische Zeitschrift » (1957) -lo Aland, come già altri prima, si era sforzato di dimostrare l'impossibilità di quell'interpretazione di Gal. 2, 6- lo Heussi ha mantenuto fino a ieri la sua posizione in una nuova serie di articoli polemici, con una sicurezza di sé e con una prevenzione ancora maggiori di quelle mostrate nella fase precedente della discussione suscitata dal Lietzmann. In un articolo del tutto infondato e senza prendere nella minima considerazione i miei argomenti, egli cerca anzitutto di screditare il mio libro: Oscar Cullmanns Petrusbuch, in « Deutsches Pfarrerblatt », 1953, pp. 79 s. Nel suo opuscolo Die rómische Petrustradition in kritischer Sicht, 1955, è quasi esasperante vedere come lo Heussi, abusando del termine « critico », gratifichi tutticoloro che non condividono la sua opinione su questa questione puramente scientifica, del giudizio di essere « prigionieri di una tradizione » e di « mancare di senso storico-critico ». Come se un vero senso critico non dovesse esercitarsi anche verso i dogmi scientifici e specialmente nei confronti delle proprie tesi stesse! K. Aland ha esposto in modo completo il contenuto e il metodo della polemica dello Heussi in uno studio più ampio: Der Tod des Petrusin Rom, Bemerkungen zu seiner Bestreitung durc Karl Heussi (1959)(...)[Segue un brano che tratta della lettera di Clemente nel brano sul martirio di Pietro. Heussi nega che parli del martirio di Pietro a Roma, tuttavia sembra rendersi conto che invece effettivamente ne parla visto che si affretta a dichiararlo interpolato. Ma lascio la parola a Cullmann. N.d.R.] Già per questa ragione va rifiutata la tesi posteriore che K. Heussi ha stranamente sostenuto nel suo secondo scritto in contrapposizione a H. Lietzmann, Neues zur Petrusfrage, 1939: che, cioè, il passo relativo a Pietro (i par. 3 e 4) potrebbe essere un inserto posteriore; infatti in questo modo verrebbe svuotato di senso tutto il laborioso sforzo ordinatore di Clemente.
A parte ciò, questa tesi tardiva dello Heussi attesta una certa insicurezza di questo studioso di fronte agli argomenti da: lui stesso addotti nell'opera precedente: War Petrus in Rom?, con i quali egli si era appunto sforzato di dimostrare che Clemente in quel passo del capitolo centrale riferiva le vacue e insignificanti genericità che sapeva intorno a Pietro e che martyresas non si riferiva al martirio. Ed ecco che nello scritto del 1939 egli scrive, ; in modo per lo meno singolare: nel caso che il paragrafo relativo a Pietro fosse un inserto, si dovrebbe intendere il martyresas, in corrispondenza di quello riferito a Paolo, nel senso del martirio vero e proprio! [Cioè se è un’interpolazione, allora parla del martirio perché diventa comodo dire che è stata inventata da un bugiardo per apologia N.d.R]
Più avanti egli spiega però: chi non può accettare la tesi dell'interpolazione, dovrebbe attenersi agli altri risultati messi in evidenza nella sua analisi precedente ! Si ha così la penosa impressione che debba essere provato a qualunque costo, che l'epistola di Clemente non può essere considerata una prova del martirio di Pietro a Roma!”

Credo basti come esemplificazione. In realtà Cullmann nel suo libro commenta uno dietro l’altro tutti i pietosi argumenta ad hoc di Cullmann, ma non essendo questo l’argomento del post rimando alla lettura dell’opera integrale chi volesse approfondire. Inoltre era doveroso che sapeste da dove Barnabino ha tirato fuori quel nome, cioè dal libro di Cullmann che ha davanti, c’è il rischio altrimenti che ve lo raffiguriate come un raffinato filologo che si va a leggere anche la produzione filologica tedesca non tradotta in italiano.



“Guarda io non ho tesi preconcette”

La tua “tesi preconcetta” si chiama Torre di Guardia, il tuo schema mentale è di quelle riviste che trasudano di citazioni da vetero-protestantesimo. Smettila di cercare di passare per una persona moderata e aperta di mente, non esistono tdG non integralisti circa le posizioni dello Schiavo perché qualunque sgarro fuori dallo schema mentale insufflato dalla Torre è sinonimo del satanico pensiero indipendente, tutto ciò che bisogna fare è sottolineare quelle magiche riviste e imparare le rispostine per le domande a fondo pagina. Io sono un cattolico critico verso diverse posizioni della sua Chiesa, ad esempio sono d’accordo con l’uso del profilattico all’interno del matrimonio, esiste forse qualcosa detto dalla WTS con cui tu non concordi in pieno? No? E allora come puoi sostenere di non avere idee preconcette, voi che rappresentate tutto quello che i manuali di sociologia definiscono come fondamentalismo cristiano e settarismo, voi che per l’adesione alla lettera fate morire della gente, voi che credete in un Dio sterminatore da mitologia giudaica, voi che credete a giardini dell’Eden e ad angeli che s’accoppiano, voi che credete di essere i soli futuri salvati, voi insomma che siete la quintessenza di ciò che viene considerato assenza di apertura mentale, come osate dire che non avete tesi preconcette?

“solo ridicolo il tuo atteggiamento di chiusura su tesi alternative”

Io non chiudo niente, io smonto.

“considerando la vaghezza delle fonte che porti.”

E siccome tutti gli accademici del pianeta sono giunti dopo secoli di discute ad un’altra conclusione rispetto alla tua non posso che augurarti di fare qualche progresso e di renderti conto di quale sia l’immane concerto delle fonti.

“Polly non ha proposto molto di più di quanto dicono i manuali di apologetica cattolica.”

Non ho citato alcun manuale di apologetica cattolica né ne conosco. Ho citato studiosi anche protestanti per la semplice ragione che oggi nessun antichista mette più seriamente in dubbio la venuta di Pietro a Roma.

“olly nasconde l'assenza di argomenti con la presunta impreparazione dei sui interlocutori.”

Presunta? Di grazia, in cosa sei laureato? In biologia?

“In realtà basta leggere, Clemente non parla che Pietro fosse a Roma nè ch vi fosse ucciso”

Questo è un argomento secondario, e comunque s’è cercato di dimostrare sulla scia di Cullmann che (pag 128 e ss.) la descrizione dei fatti narrati si staglia a pennello solo sulla comunità di Roma. Come dice giustamente l’autore a pagina 152: A proposito del martirio romano di Pietro, abbiamo due testi che valgono come testimonianze indirette; 1Clem 5 e Ign. Rom. 4,3. Né l’uno né l’altro dicono esplicitamente che Pietro sia venuto a Roma; tuttavia in entrambi i casi, e specialmente per la I Clem, che presuppone una situazione comunitaria applicabile soltanto a Roma, sembra provato con sufficiente probabilità che il martirio di Pietro a Roma (pag. 152-153)
Le argomentazioni sono state esposte altrove.

“Caro Claudio, a me pare che basti un pò di buon senso in questi casi,”

Mio caro, se per dissertare di storia antica bastasse il buon senso io non avrei dovuto dare esami del tipo: storia greca, storia romana, storia delle chiese cristiane, ecc. Sfortunatamente nelle università la pensano diversamente da te su quali siano i requisiti dell’antichista, e il buon senso non è quello determinamene.
Inoltre se bastasse il buon senso per sapere che Pietro non è stato a Roma, dote di cui tu ti ritieni evidentemente fornito, allora hai appena decretato che quasi tutti gli storici del cristianesimo primitivo oggi viventi e di qualunque confessione, sono senza “buon senso”, giacché il soggiorno romano di Pietro non è più contestato. Congratulazione per questa sopravvalutazione delle tue capacità, non posso che inchinarmi dinnanzi a colui il cui buon senso supera le facoltà di discernimento dei filologi di Tubinga.

“che Clemente parli di Paolo e Pietro nello spesso passo e lo stasse faccia Ignazio possa essere compatibile con la presenza di una tradizione che voleva Pietro a Roma, ma da questo a sostenere che quegli autori attestino che con certezza vi fosse stato il passo mi sembra lungo!”

Pregasi mostrare dove avrei affermato che questi testi hanno il grado di “certezza”. Come già detto la certezza non appartiene allo statuto epistemico e gnoseologico della storia antica.

“Non è infatti così ovvio che un pescatore galileo che parlava aramaico e qualche parola di greco andasse a Roma.”

Questa perla dimostra ignoranza sugli studi ormai decennali circa il bilinguismo in Terra Santa. S’ dimostrato che il greco era la lingua internazionale più del latino e che tutti in Palestina la parlavano, anche perché avevano la Decapoli a due passi, s’è anzi evidenziato archeologicamente di come persino gli ultra-nazionalisti ribelli zeloti di Masada durante l’assedio si dilettassero con poesia greca, e addirittura col latino di Virgilio! In più la tua posizione secondo cui Pietro non sapeva il greco annienterebbe la possibilità che sia lui l’autore della lettera chiamata 1Pt. C’è di più, uno degli argomenti più ricorrenti in passato per negargli la paternità dell’opera era che non solo era in greco, ma addirittura in un greco raffinato. Ciò è stato appunto superato con gli studi sul bilinguismo nel mondo giudaico del I secolo di cui ho parlato (sì sapeva già per Roma, dove tutti dall’età del circolo degli Scipioni parlavano greco). Un riassunto della questione si può trovare nell’introduzione alla lettera della TOB:
“Alcuni specialisti hanno messo in dubbio l'autenticità petrina della lettera. Ecco i principali argomenti da essi addotti e le risposte che si possono dare:
a)Il greco in cui è scritta la lettera è così qualificato che sembra difficile poterlo attribuire a Pietro, il pescatore di Galilea. E non basta, per risolvere la difficoltà, affermare che Pietro avrebbe scritto il suo testo in aramaico e l'avrebbe fatto tradurre in greco da un'altra persona (Silvano, 5,12): in questo caso, infatti, non si spiegherebbe perché, nella lettera, le citazioni dell'AT sono tratte direttamente e senza eccezioni dal testo greco. Ma l'argomento non è decisivo. Da una parte si è fatto notare che, al tempo di Gesù, il greco veniva parlato correntemente in Palestina, come è provato da documenti scoperti di recente; Pietro, perciò, poteva benissimo conoscere questa lingua. D'altra parte, nulla impedisce che Pietro si sia valso della collaborazione di Silvano per la redazione del suo testo; e ciò spiegherebbe la pregevolezza dello stile.” (pag. 2814)

Il mito dei “poveri pescatori analfabeti” serve solo ai TdG e a chi come loro non ha una preparazione accademica per crogiolarsi nel cliché “Gesù parlava ai semplici” e gloriarsi della propria ignoranza rivendicandola come un diritto, quando è vero come l’oro che confondono la semplicità con la dabbenaggine, e l’impossibilità di studiare con l’ostinato rifiuto a farlo, confondono cioè l’ignoranza incolpevole con un’ignoranza che si fa arrogante e pretende addirittura di gloriarsi.

Un articolo sul bilinguismo in Palestina del nostro amato Carsten Thiede (se non hai intenzione di contestarmi ulteriormente questo punto puoi anche saltarlo) :

L’uso diffuso della lingua greca

Ci possiamo chiedere come mai Gesù, nato a Betlemme e cresciuto a Nazaret, abbia deciso di andare la cercare i suoi discepoli sul mare di Galilea. La risposta è semplice. E che lì poteva trovare uomini veri, non ancora «corrotti» dal lusso della città, già abituati agli affari internazionali e che, inoltre, conoscevano almeno una lingua straniera.
La regione fra Cafarnao e Betsaida, sulla o vicino alla via maris, la più importante arteria commerciale da nord verso sud-ovest, era una specie di crocevia del «mercato comune». La gente che abitava in quella regione, dedita al commercio o alla pesca, non solo era abituata a incontrare persone di moltissime altre regioni ma parlava comunemente anche la lingua franca del tempo e cioè il greco. Pietro, che era di Betsaida, una città in cui erano molto forti gli influssi della cultura greca, assieme alla lingua materna, 1'aramaico, molto probabilmente parlava anche il greco. Del resto; anche il suo nome e quello del fratello Andrea lo fanno supporre. Andrea è un nome greco, e il vero nome di Pietro, Simone, è sia ebraico che greco. Lo si trova infatti nella letteratura greca a partire dal. V secolo a.C.
Che cosa cercare dunque di più adatto per la missione mondiale cui erano destinati di questi uomini, cresciuti in contesto internazionale e che conoscevano diverse lingue, fra cui la lingua internazionale del tempo?
Recenti scavi nella fortezza di Masada, vicino al Mar Morto, hanno apportato alcune sorprendenti conferme a quest'ipotesi. E noto da tempo che Masada non fu una comune fortezza. Era stata l'ultimo baluardo dei ribelli ebrei contro i romani, il loro ultimo rifugio dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., il luogo dell'assedio degli ebrei più valorosi, disperati e nazionalisti. Infatti la fortezza cadde in mano ai romani solo nel 73 d.C. e il suicidio in massa dei suoi difensori è una delle pagine più gloriose della storia nazionale di Israele, al punto che ancora oggi è là che pronunciano il loro giuramento le reclute di alcuni reparti dell'esercito israeliano.
Nella fortezza di Masada sono stati recentemente trovati frammenti di papiro e cocci con nomi, somme, note relative alla distribuzione del grano ecc. Le scritte sono sia in aramaico che in greco, il che significa che persino quei difensori disperati, che avevano tutte le ragioni per disprezzare e rifiutare quella lingua internazionale, accettavano e usavano il greco con grande naturalezza. Si trattava dunque di persone assolutamente bilingui, contemporanee dei discepoli e degli apostoli, degli autori dei primi scritti del Nuovo Testamento.
In passato, molti teologi hanno guardato con scetticismo alla conclusione cui erano giunti gli storici, e cioè che, nella Palestina del tempo di Gesù, anche le persone «comuni» conoscevano più di una lingua. L'esistenza di pietre tombali scritte in greco ed ebraico, le iscrizioni delle sinagoghe e molte altre testimonianze raccolte qua e là confermano le scoperte di Masada. In Palestina, in mezzo a un popolo estremamente geloso del suo rapporto con Dio, nazionalista ad oltranza nel suo fervore politico e religioso, c'erano senza dubbio persone che conoscevano e praticavano le due lingue. Se persino gli zeloti nazionalisti di Masada, nella loro ultima difesa contro i romani, usavano il greco e l'aramaico, è difficile dubitare che non facessero l'o stesso persone come i primi discepoli, che vivevano e lavoravano lungo una strada commerciale internazionale.
Un ultimo esempio. A Seffori, c'era una scuola dove si parlava greco e c'era soprattutto un magnifico teatro. Situata a soli 6 km da Nazaret, la cittadina, che doveva avere allora circa 25 mila abitanti, era stata la capitale della Galilea fino all'anno 18 d.C. circa (e cioè fino al tempo della fanciullezza e della prima educazione di Gesù). Il teatro poteva contenere fino a 5.000 spettatori a sedere. Basandosi proprio sull'esistenza di un simile teatro, all'archeologo e studioso del Nuovo Testamento, Benedict Schwank, è parso molto ragionevole concludere che nella Galilea del I secolo non erano solo le classi alte a comprendere il greco, se questa era la lingua delle rappresentazioni teatrali.
Molto prima dell'invenzione della televisione, infatti, la maggior parte della gente della regione, a qualunque strato sociale appartenesse, doveva conoscere abbastanza greco da potersi divertire andando a teatro. E a giudicare dalla capienza di quel teatro non dovevano essere in pochi a farlo. E molto probabile allora che lo stesso Gesù, cresciuto nella città di Nazaret, abbia subito l'influsso culturale della vicina capitale.
Possiamo ragionevolmente pensare che anch'egli si recasse là e prendesse parte a quello che vedeva e apprezzava la sua gente, quella gente alla quale, anni più tardi, avrebbe rivolto il suo messaggio? I discepoli di Gesù potrebbero aver frequentato i teatri, a Seffori o altrove? La struttura del Vangelo di Marco, che alcuni pensano rifletta la struttura della tragedia greca, potrebbe essere stata influenzata dalla partecipazione dell'evangelista alla vita culturale della Palestina, prima di diventare uno scrittore cristiano? Seffori è il posto giusto per far nascere domande del genere.
La Palestina del tempo di Gesù era una regione fiorente e poliglotta. Del resto il teatro di Seffori non era l'unico. Giuseppe Flavio ricorda l'esistenza di altri tre importanti teatri in quel tempo, tutti costruiti da Erode il Grande: a Cesarea, ora completamente portato alla luce e molto ben ricostruito; a Gerico; a Gerusalemme.
E troppo azzardato pensare che le frasi-chiave delle opere teatrali siano entrate nel linguaggio? Negli Atti c'è un passo molto interessante, là dove Paolo racconta al re Erode Agrippa Il il suo cammino per giungere alla fede in Gesù Cristo. Ricorda l'esperienza sulla via di Damasco e quello che Gesù gli disse in quell'occasione: «Saulo. Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo » (At 28,14). Abbiamo qui, messa in bocca a Gesù, un'espressione che probabilmente viene dalla tragedia greca. Si trova quasi alla lettera nell'Agamennone di Eschilo e, in forma molto simile, in una sua opera precedente, il Prometeo liberato.
La versione del Prometeo è particolarmente interessante, dal momento che quelle parole sono pronunciate da Oceano, uno degli «dèi» greco-romani, ora soppiantato da Gesù, come Paolo spiega agli ateniesi nel capitolo 17 degli Atti. «Perciò prendimi come tuo maestro e non ricalcitrare contro il pungolo», dice Oceano. Paolo fa il suo racconto non solo davanti a Erode Agrippa II, buon conoscitore della cultura greco-romana, ma anche davanti al procuratore romano della Giudea, Porzio Festo. Un'allusione così esplicita a quella scena, che essi certamente ben conoscevano, non doveva mancare il suo effetto. Del resto, l'espressione era ben presto diventata popolare nella letteratura greca, essendo stata usata anche da Pindaro ed Euripide, dove, ancora una volta, era un dio, Dioniso, a parlare. Diciamo, per inciso, che Paolo si riferisce a uno scrittore greco di teatro anche in un'altra occasione. Scrive ai Corinti: «Non lasciatevi ingannare: "Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi"» (1Cor 15,33). La frase si trova in una commedia di Menandro, ma potrebbe essere stata inizialmente nella tragedia di Euripide, Eolo, ora perduta.
Per ben tredici volte nei Vangeli si pone in bocca a Gesù il termine «ipocrita». Ora, «ipocrita» significa «attore», ed è stato proprio Gesù a rendere popolare il termine nel suo senso metaforico. E stato influenzato in questo dal teatro? Naturalmente non si può provare per nessuna di queste espressioni che si tratti di citazione diretta da un'opera teatrale. Dato che erano ben presto diventate quasi proverbiali, queste possono essere state adoperate come espressioni a tutti note; tanto più che le tragedie o le commedie classiche, dopo la fine del I secolo, erano rappresentate molto raramente, essendo state sostituite, come forma di trattenimento popolare, dai mimi e dalle pantomime.
Ma pensiamo a un predicatore che debba preparare una predica, per esempio, sulla tentazione. Usando la famosa battuta di Oscar Wilde: «Posso resistere a tutto, eccetto che alla tentazione», saprebbe (e lo stesso penserebbe anche della maggior parte dei suoi ascoltatori) chi è l'autore di questa battuta spiritosa. Non è dunque improbabile che ci siano autentiche citazioni dalla tragedia greca nei testi del Nuovo Testamento. Sarebbero pienamente giustificate da quello che sappiamo della Palestina del I secolo.
Gesù, che parlò in greco con la donna sino-fenicia vicino a Tiro (Me 7,26), con il centurione romano a Cafarnao (Mi 8,5-13) e con Ponzio Pilato (Gv 18,33-38; 19,8-11), era talmente padrone di questa lingua da poter fare addirittura un efficace gioco di parole. Il famoso detto «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mc 12,17), riportato anche da Matteo e da Luca, gioca sull'iscrizione che si trovava sulle monete dell'imperatore Tiberio, in corso a quel tempo, e in particolare su quelle fatte coniare da Ponzio Pilato, le quali recavano in greco, su entrambe le facce, la scritta «Cesare». Fra il 37 e il 67 d.C. non fu coniata in Palestina alcuna moneta che recasse lettere o parole ebraiche o aramaiche. Le iscrizioni sulle monete erano in greco e si supponeva che tutti le comprendessero. Ora, è appunto su tali monete con quella precisa scritta che Gesù basa il suo insegnamento. Ciò ha fatto dire allo studioso Benedici Schwank che, in quel caso, non solo Gesù usò il greco, ma si aspettò anche che i suoi ascoltatori afferrassero il gioco di parole e la sottigliezza del suo ragionamento. Si tratta in realtà di un detto che è praticamente impossibile tradurre in modo soddisfacente in aramaico, come invece si può fare con moltissimi detti di Gesù, anche perché la moneta alla quale si riferisce non è mai esistita con una scritta aramaica.
In questo caso Gesù, non solo riconosce l'autorità dello stato in materia fiscale e insieme afferma l'autorità di Dio che resta al di sopra di quella dei cesari, ma pone anche una netta distinzione fra l'autorità dello stato, che è limitata, e la sola autorità che meriti una venerazione illimitata, quella di Dio. Per quante effigi e iscrizioni gli imperatori possano aver coniato sulle loro monete, per quanto possano essersi dai i da fare per farsi chiamare sommi sacerdoti e figli di padri innalzati al rango degli dèi, la suprema autorità è unicamente quella di Dio. Discutere di tutto questo, prendendo spunto da una moneta. e in greco, suppone molto più di una semplice conoscenza approssimativa in fatto di teologia, politica e lingua da parte di Gesù. E non per nulla alla finn della scena si dice che i suoi avversari «rimasero ammirati di lui».
Gesù aveva bisogno di discepoli che fossero in grado di vivere e agire in un mondo così, e qualunque cosa avesse in mente quando li scelse, sapeva che stava scegliendo gente abituata a condurre attività d i respiro internazionale e in grado di parlare più lingue, compresa la lingua mondiale» più importante del tempo.
Forse, ogni tanto, anche Gesù e i suoi discepoli hanno usato il greco come lingua per conversare fra loro. In due occasioni, dopo la risurrezione, ci sono tracce di un tale uso da parte di Gesù. Al sepolcro, Giovanni nota esplicitamente che Maria Maddalena si rivolge a Gesù in aramaico (cf. Gv 20,16), il che lascia ragionevolmente supporre che il discorso precedente fosse stato in greco. Poco più avanti (cf. Gv 21,15-17), Gesù parla con Pietro e introduce sottili sfumature di significato nelle parole «amare», «conoscere» e «pascere», che sono possibili in greco, ma assolutamente impossibili in aramaico o ebraico.
Il riconoscimento di Gesù da parte di Pietro, la famosa «confessione» (cf. Mt 16,13-20), fa un decisivo passo avanti a Cesarea di Filippo, un centro dove la conoscenza di più lingue e in particolare del greco era data per scontata. A quel tempo, Cesarea di Filippo era sede di due santuari che avevano un'importanza non solo locale. Il primo era dedicato al dio greco Pan (da cui l'antico nome greco del luogo, Panea, che riaffiora nel nome attuale, Banjas) e il secondo era il tempio di Augusto, eretto da Erode il Grande, il cui figlio Filippo aveva cambiato il nome di Panea in Cesarea di Filippo, onorando così sia l'imperatore che se stesso.
Gesù sceglie proprio il luogo dove erano confluiti e si erano amalgamati insieme il culto dell'imperatore romano e quello di un dio greco per porre ai suoi discepoli la domanda ,Voi, chi dite che io sia?, e per ricevere da Pietro quella luminosa risposta: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Quale contrasto e quale sfida!
II senso della scelta di quel luogo è ancor più evidente per chi visiti., oggi, il santuario di Pan. Le nicchie sono vuote; le piccole statuette degli dèi che vi si trovavano sono da tempo scomparse; ma ciò che col pisce il visitatore è l'enorme parete di roccia con, al centro, un'enorme e paurosa caverna. Ora fu proprio a Cesarea di Filippo, forse proprio lì,che Gesù disse: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 18,18 ).Gesù si aspetta che i suoi discepoli afferrino la differenza che esiste fra la roccia che ospita il santuario di Pan e la roccia sulla quale vuole costruire la sua chiesa. E nella stessa frase promette a Pietro e ai
discepoli che il mondo delle religioni pagane, simboleggiato dalla caverna, il cui «antro» è là, oscuro e spalancato davanti a loro, non riuscirà a sconfiggere la chiesa che egli sta per fondare. Con qualche ragione, nell'espressione «le porte degli inferi» (Ade in greco; Sheol in ebraico, come si trova in Is 38.10), si è voluto vedere un'allusione all'immaginario dell'Antico Testamento. Non è necessario scegliere fra le due espressioni (Ade o Sheol). Entrambe fanno parte dell'immagine del mondo a più strati che Gesù presenta ai suoi discepoli. C'è certamente il concetto tradizionale giudaico delle «porte dello Sheol», le porte della morte., la quale non avrà il sopravvento sulla nuova comunità fondata da Gesù, che invece durerà per sempre. Ma c'è anche un nuovo concetto « strategico »: la sfida a portare il messaggio ai popoli pagani, con la promessa che il mondo sotterraneo, l'Ade della religione e della mitologia greca, non avrà il sopravvento. E quale miglior simbolo per illustrare tutto questo di Pan, il dio spesso inteso nella filosofia e nel misticismo greco come «il dio di tutto»? No, questi dèi e le loro mitologiche «porte di morte» non prevarranno.
Questo passo del Vangelo è certamente basato su una testimonianza oculare (dello stesso Matteo?), dato che fa un riferimento esplicito alla particolare conformazione del luogo in cui si svolse la scena.
(Carsten Thiede, Gesù, Storia o leggenda?, Bologna, 1992, EDB, pag. 27-32)

Finis


“La sua era una posizione ben diversa di quella di Paolo”

La sua missione era predicare ai giudeo-cristiani, e a Roma ce n’era una folta comunità. Avveo già citato Cullmann il quale giustamente sottolineava che: poiché tale fondazione (Roma) secondo Rm 15,20 risale a elementi giudeocristiani, si ha motivo di ritenere che l’apostolo, nella sua qualità di responsabile della missione giudeo-cristiana, sia venuto nella città. (pag. 152)

“ui non stiamo parlando di fonti che "mentono" ma stiamo parlando di autori che riportarono tradizioni che avevano appreso un centinaio di anni dopo che i fatti si svolsero”

Allora sei tu a non capire e a non avere il benché minimo sentore di cosa sia la critica delle fonti (e sì, esiste anche questa materia nelle snobbate università). Una dichiarazione scritta da un vescovo nel 180 non è una tradizione del 180, giacché come ricordato sovente non facevano vescovi la gente di vent’anni, neppure presbyteroi a dire il vero, visto che il termine di questo grado inferiore al vescovo già di per sé in greco significa “anziano” (dal termine deriva il nostro “presbite”, in quando gli anziani sono in teoria deboli di vista). Un vescovo che scrive nel 180 ha come minimo 50 anni. Se costui è nato come l’abaco impone verso il 120\130, avrebbe conosciuto in giovinezza gente che nel I secolo c’è vissuta. Ireneo è il caso più eclatante visto che ci racconta del suo discepolato presso Policarpo, ma anche Dionigi di Corinto è la stessa cosa. Inoltre continui imperterrito a dimenticare le fonti del I secolo che ti sono state citate, come l’Ascensio Isaiae, Papia e il fr. Rainer.

“fino al 170 EV (con Diodoro di Corinto)”

Qualcuno sa chi sia costui?

“Se leggiamo che Clemente cita Pietro e Paolo assiame ma non specifica che Pietro fosse a Roma o morisse come martire”

Clemente non dice che morì come martire? Ripeto quando scrissi l’ultima volta: “Viene da chiedersi cosa cavolo altro potrebbe voler dire in un brano dove si parla di persecuzione, ceppi e catene, di “lottare fino alla morte”, e che dopo “rese testimonianza” prosegue immediatamente con “andò al luogo della gloria che gli spettava”. Non occorre aver studiato patrologia per capire che qui come altrove “doxa” è la morte martire.

“quando le fonti precedenti, il NT, sono tutte contro la presenza di Pietro a Roma.”

Mi si dica dove il NT sarebbe “contro” la presenza di Pietro a Roma, perché in duemila anni i nostri biblisti non se ne sono mai accorti.

“i suoi riferimento a Pietro sono talmente aspecifici e generici da ipotizzare che sapesso ben poco su di lui.”

Ancora con questa storia? Ma stava scrivendo un trattato storiografico o un’esortazione pastorale? Mai sentito parlare di generi letterari? Ancora non ti entra in testa che la letteratura antica aveva dei destinatari precisi e che non è stata redatta pensando ai nostri storici del XXI secolo.

“Per di più Dionigi e spreciso, parla infatti di Paolo e Pietro insieme a anche a Corinto, fatto di cui non abbiamo nessuna prova storica e che farebbero pensare che lo scrittore non utilizzasse fonti attendibilissime.”

Questo è veramente il culmine. Siccome tu non lo sai allora l’informazione sarebbe falsa! Evidentemente il metro della verità storia è la tua ignoranza di cittadino del XXI secolo, fai come quegli studiosi tedeschi che siccome non trovano menzionato in alcun testo antico la piscina dei cinque portici citata in Giovanni ne avevano concluso che era un’allegoria per chissà quale diavoleria, dalle cinque dita di Jhavè alle cinque porte della città celeste (finché nel XX secolo gli scavi archeologi la misero in luce mandando in soffitta queste ipotesi). Ma sopratutto, quante opere storiografiche di quel periodo di sono rimaste? E, colmo dei colmi, quante opere che parlino della Chiesa di Corinto ci sono state tramandate, se mai furono scritte? Zero. E tu, nella tua assoluta ignoranza sulla Chiesa di Corinto, solo perché nel tuo buio totale non conosci un dato, vuoi in base alla tenebra circa la Corinto del I secolo decretare che gli altri mentano Continuo ad insistere che tu vivi nella pia illusione che della letteratura cristiana antecedente al 150 ci sia rimasta una biblioteca, e per giunta una biblica di testi cronachistici fatti apposta per soddisfare la tua curiosità. E si badi, lo si pretende da una società legata allo schema dell’oralità! Comunque c’è un indizio, e non potremmo aspettarci di più, della presenza di Pietro a Corinto. Scrive Thiede: “Pietro si dirige quindi verso Roma, ma non direttamente. Potrebbe avere visitato Antiochia, e forse molte città nell'Asia Minore (cfr. 1Pt 1,1; Eusebio, HE 3, 1,2), forse Corinto (cfr. 1Cor 1,12-14; 9,5: probabilmente una traccia della presenza di Pietro a Corinto con la moglie, che non fa altre apparizioni dirette nel Nuovo Testamento - cfr. Mc 1,29-31 - e muore da martire sotto gli occhi di Pietro, come riporta Clemente Alessandrino, Stromata 7,63,3, ed Eusebio, HE 3,30,2).” (Thiede Carsten Peter, Simon Pietro dalla Galilea a Roma, Massimo, Milano 1999, p. 22[SM=g27989]

Tra l’altro è interessante la riflessione che questo papirologo luterano fa sugli Atti degli Apostoli, in particolare sul versetto che narra la liberazione di Pietro dalla cella quando fu arrestato da re Erode Agrippa I, cioè il misterioso versetto in cui si dice che dopo la liberazione miracolosa dal carcere “se ne andò in un altro luogo”(At 12,17). Quando riporto va ad aggiungersi alle altre motivazioni da me già addotte: “E' comprensibile che Luca non voglia nominare il luogo (o i luoghi) dove Pietro si recò. Il motivo è lo stesso che causò l'omissione del nome di Pietro nel racconto di Luca e Marco (ripreso anche da Matteo) della mutilazione dell'orecchio del servo al Getsemani. Scrivendo mentre Pietro era ancora vivo, e a un alto funzionario romano, Luca vuole evitare qualsiasi cosa che possa compromettere l'attività dell'apostolo (che era legalmente un fuggitivo dalle autorità dello stato) nei confini dell'Impero romano. Luca sapeva dove era andato Pietro e dove si trovava nel momento in cui scriveva, ma rimase zitto. (...)Sebbene non si possa determinare quando Babilonia fu usata per la prima volta come crittogramma al posto di Roma, una tale identificazione è indiscutibile . La scelta di Babilonia (invece, per esempio, di Sodoma o Gomorra) era immediata poiché implicava sia il simbolo del potere e del male, dell'arroganza e della corruzione che sarebbero stati sconfitti dal Signore (cfr. Is 13,1-14,23), sia l'«esilio» della Chiesa cristiana nel centro del paganesimo. Ma qualunque fosse la somma di ragioni che indusse la scelta di Pietro, i suoi lettori sarebbero stati ben consapevoli dei riferimenti della Scrittura a Babilonia. Ce ne sono molti, ma uno è particolarmente illuminante: Ezechiele 12,1-13. Vi sono qui dei riferimenti all'«esilio», alla fuga da Gerusalemme a notte fonda (12,7) e a Babilonia (12,13). Anche se tutti questi elementi sono presenti in questo passo (che contiene, naturalmente, un significato e una profezia molto più ampi e complessi), tuttavia è un altro verso che offre la chiave all'«indovinello» di Luca: «(...) preparati a emigrare; emigrerai dal luogo dove stai verso un altro luogo», recita Ez 12,3. La Bibbia dei Settanta usa l'espressione eis heteron topon, la stessa usata da Luca per indicare la destinazione di Pietro. L'«altro luogo» è Babilonia, e Babilonia è Roma.
I tempi erano maturi, pare, per l'uso simbolico di «Babilonia» per significare Roma fra i cristiani che vivevano o si trovavano nella capitale dell'Impero alla fine degli anni 50 o all'inizio degli anni 60, e i regni di Claudio e Nerone offrivano abbastanza materiale esemplificativo” (ivi)

Quest’interpretazione, che non è di Chiede ma molto antica, ha illustri sostenitori. Un esempio è Marta Sordi, la grande storica dell’impero romano. Scrive: “Gli Atti raccontano che Pietro, liberato miracolosamente dal carcere, “se ne andò in un altro luogo” (At 17,17). In uno studio recente F. Grzybek (Les premiers chrétiens et Rome, in “Neronia” VI (Coll. Latomus) Bruxelles 2002, pag. 561ss.), riprendendo una proposta del Chiede (Babylon der andere Ort, in “Biblica” 67, 1986, pp. 532 ss.), ricorda che i commentatori antichi e moderni vedono in questo “altro luogo” Roma ed accosta questa espressione a quella identica di Ezechiele 12,3 e 12,13 in cui “un altro luogo” è Babilonia. Il nome di Babilonia per indicare Roma torna nei saluti finali della I Petri 5,13, inviati ai cristiani dell’Asia minore dalla “comunità degli eletti che è in Babilonia, insieme a Marco, mio figlio”.” (M. Sordi, I cristiani e l’impero romano, Milano, 2004, Jaka Book, pag. 31-32)

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