I metodi dell'esegesi rabbinica, in genere sconcertanti per il profano ...
... sono spesso lo strumento che consente l’espressione di una vera teologia. È ciò che illustrano due esempi tratti dai midrashim sull’Esodo.
Il primo è tratto dai commenti sull’incontro di Ietro con Mosè nel deserto del Sinai (Es 18:1-12).
[1] Ietro, sacerdote di Madian, suocero di Mosè, venne a sapere quanto Dio aveva operato per Mosè e per Israele, suo popolo, come il Signore aveva fatto uscire Israele dall'Egitto.
[2] Allora Ietro prese con sé Zippora, moglie di Mosè, che prima egli aveva rimandata,
[3] e insieme i due figli di lei, uno dei quali si chiamava Gherson, perché egli aveva detto: "Sono un emigrato in terra straniera",
[4] e l'altro si chiamava Eliezer, perché "Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone".
[5] Ietro dunque, suocero di Mosè, con i figli e la moglie di lui venne da Mosè nel deserto, dove era accampato, presso la montagna di Dio.
[6] Egli fece dire a Mosè: "Sono io, Ietro, tuo suocero, che vengo da te con tua moglie e i suoi due figli!".
[7] Mosè andò incontro al suocero, si prostrò davanti a lui e lo baciò; poi si informarono l'uno della salute dell'altro ed entrarono sotto la tenda.
[8] Mosè raccontò al suocero quanto il Signore aveva fatto al faraone e agli Egiziani per Israele, tutte le difficoltà loro capitate durante il viaggio, dalle quali il Signore li aveva liberati.
[9] Ietro gioì di tutti i benefici che il Signore aveva fatti a Israele, quando lo aveva liberato dalla mano degli Egiziani.
[10] Disse Ietro: "Benedetto sia il Signore, che vi ha liberati dalla mano degli Egiziani e dalla mano del faraone: egli ha strappato questo popolo dalla mano dell'Egitto!
[11] Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dei, poiché egli ha operato contro gli Egiziani con quelle stesse cose di cui essi si vantavano".
[12] Poi Ietro, suocero di Mosè, offrì un olocausto e sacrifici a Dio. Vennero Aronne e tutti gli anziani d'Israele e fecero un banchetto con il suocero di Mosè davanti a Dio.
Riassumiamo brevemente il racconto biblico.
Ietro, madianita, suocero di Mosè, accompagnato dalla figlia Zippora e dai suoi due nipoti, si reca a trovare il genero nel deserto del Sinai, dove è accampato il popolo di Israele.
Riprendendo gli elementi del racconto, la tradizione rabbinica vi ha visto le tappe dell’accesso del pagano alla fede e della sua aggregazione al popolo di Dio: Ietro, descritto come sacerdote pagano all’inizio del capitolo (v. 1) lascia Madian per raggiungere Israele nel deserto, vicino alla montagna di Dio (v. 5); dopo aver ascoltato dalla bocca di Mosè il racconto delle grandi opere di Dio (v. 9), benedice Dio (v. 10), fa una professione di fede (v. 11), offre un olocausto e sacrifici e partecipa a un banchetto di comunione (v. 12), diventando così il tipo del prosèlito, secondo MRI Ietro ritorna al suo paese per farvi a sua volta dei prosèliti.
Ci soffermeremo in particolare sui commenti al v. 6. Dal punto di vista grammaticale, il testo non presenta alcuna particolare difficoltà, ma contiene un’incoerenza che ha attirato l’attenzione dei commentatori antichi. Il testo recita:
«Egli disse a Mosè: io, Ietro, tuo suocero, vengo da te, con tua moglie e i suoi due figli con lei». La difficoltà sta nel fatto che Ietro si rivolge a Mosè per annunciargli che viene; d’altra parte, può parlargli solo se si trova alla sua presenza; e in questo caso non ha bisogno di annunciargli la sua venuta, che peraltro è già stata segnalata nel versetto precedente.
[Gli esegeti moderni, che si scontrano con la stessa difficoltà, la risolvono parafrasando il testo e traducendo: «Egli fece dire a Mosè» o «Si disse a Mosè». Certe traduzioni (per esempio la TOB), fanno dire al testo che Ietro si è messo in viaggio al v. 5 e che si fa annunciare a Mosè al v. 6. È interessante notare, al riguardo, che gli esegeti moderni incontrano gli stessi problemi di quelli antichi e che le cosiddette traduzioni scientifiche non sono sempre prive di tendenze e procedimenti più o meno targumici].
Del resto solo al v. 7 Mosè esce a incontrare il suocero. Per risolvere questa difficoltà, la Mekilta de-Rabbi Ishmael propone tre commenti successivi. I pirmi due sono molto simili alle parafrasi moderne:
Rabbi Yehoshua dice: «Glielo scrisse in una lettera». Rabbi Eleazar di Modim dice: «Glielo annunciò attraverso un messaggero e gli disse: “Fallo per riguardo a me; e se non lo fai per riguardo a me, fallo per riguardo a tua moglie; e se no, fallo per riguardo ai tuoi figli”»
Il primo commento interpreta molto liberamente il verbo dire, perché Ietro, in realtà, annuncia la sua venuta per iscritto. Il secondo che fa intervenire un messaggero, rende conto del carattere orale del messaggio, spiegando al tempo stesso la ripetizione della menzione della moglie e dei figli, già enunciata ai vv. 2 e 3: quest’elencazione viene interpretata come una captatio benevolentiae nel caso in cui Mosè si rifiutasse di ricevere il suocere; essa conferisce, inoltre, un contenuto al dialogo che si instaura fra il messaggero e Mosè.
La terza interpretazione è assolutamente originale rispetto alle altre due: essa viene valorizzata attraverso la sua collocazione al terzo posto sia mediante gli sviluppi di cui è oggetto. Per renderla comprensibile, dobbiamo anzitutto tradurre il più letteralmente possibile il versetto biblico:
«Disse [wayyomer, il verbo può avere un soggetto esplicitamente indicato o può contenere implicitamente il soggetto come ad esempio il latino dixit, che può significare ‘egli disse’ se la frase non comporta altro soggetto] a Mosè io [‘ani] Ietro tuo suocere venente a te come la tua moglie e i suoi due figli con lei.
Il midrash fa del pronome “io” [‘ani] il soggetto del verbo ‘disse’, come se questo io fosse un nome proprio, e interpreta la frase in questo modo: “IO disse a Mosè: tuo suocero Ietro viene da te ...”.
Il seguito del testo precisa che questo IO altri non è che il Creatore:
“IO, colui che disse e il mondo fu (= formula rabbinica per indicare Dio senza nominarlo, Tg N Es 3:14), io sono colui che avvicina e non colui che allontana, come è detto: “Non sono forse IO, un Dio che avvicina, oracolo del Signore, e non un Dio che allontana?” (Ger 23:23). Sono IO che ho fatto avvicinare Ietro, non l’ho allontanato. E tu, quando qualcuno verrà da te per convertirsi – e se viene solo per i Cieli (= cioè se le motivazioni sono pure) – anche tu rendilo vicino e non allontanarlo”.
Perciò è Dio che ha ispirato l’iniziativa di Ietro e che annuncia personalmente a Mosè la sua venuta.
L’utilizzazione della citazione di Geremia richiede una spiegazione. Il senso ovvio del testo biblico è il seguente: “Non sono io [‘ani] Dio che da vicino [miqqarov], oracolo del Signore, e non sono io Dio da lontano [merahoq]?”. Il midrash gioca sull’ortografia dei termini miqqarov e merahoq i quali, non essendo vocalizzati nel testo biblico, possono essere letti meqarev e meraheq. L’espressione di Geremia viene quindi interpretata in questo modo: “Non sono forse io un Dio avvicinante [meqarev] e non un Dio allontanante [meraheq]?” o più esattamente “ IO [‘ani] non è forse un Dio che avvicina e non un Dio che allontana?”.
La lezione che deriva da questa terza intepretazione è chiara: è Dio stesso all’origine dell’iniziativa del pagano e del suo desiderio di associarsi con il popolo di Dio; Mosè non ha l’autorità di opporvisi. In questo commento il pronome IO viene interpretato, con l’ausilio di un versetto di Geremia, come designazione del Dio che avvicina.
Il secondo esempio è tratto da un midrash sulla scena del roveto ardente (Es R 3,4 su Es 3:11). Quando Dio gli ordina di recarsi dal faraone, Mosè chiede “Chi sono io?”. In ebraico, la domanda è alla lettera: “Chi io?”. Anche in questo caso il midrash intepreta questo “io” come un nome proprio e sviluppa la domanda di Mosè con una parabola:
“Mosè disse ...: chi io?”. Rabbi Yehoshua ben Levi dice: “Avviene come di un re che diede la propria figlia in matrimonio e decise di donarle una provincia e una dama di compagnia di nobili natali, ma le diede di fatto una schiava nera. Il genero gli disse; “Non avevi deciso di darmi una dama di compagnia di nobili natali?”. Allo stesso modo, Mosè disse al Santo, benedetto egli sia: “Signore dei mondi, quando Giacobbe scese in Egitto, non gli dicesti: “IO [‘anokhi] scenderò insieme a te ... e IO [‘anokhi] ti farò risalire” (Gn 46:4)? E ora tu mi dici “Va’, io ti mando dal faraone!”.
Mosè rimproverava quindi a Dio di far mantenere i suoi impegni da altri: aveva promesso a Giacobbe di scendere insieme a lui in Egitto e di farlo risalire. Egli è sceso fin nel roveto ardente, ma ora vuole far fare a Mosè, al suo posto, l’ultima tappa della discesa, dal Sinai al faraone. È ciò che illustra la parabola: se è Mosè a “scendere” in Egitto e non Dio stesso, Giacobbe potrà rimproverare a Dio di non mantenere le sue promesse, come il genero del re può lamentarsi di aver ricevuto una schiava al posto della donna libera che era stata promessa alla sua sposa. In quest’argomentazione, il pronome “io” – qui nella sua forma enfatica “’anokhi” – viene considerato un nome proprio. Secondo il midrash, ponendo a Dio la domanda “chi io?”, Mosè non chiede “chi sono io?” ma “chi, di noi due, è IO?, chi di noi due si chiama IO?”.
È ciò che afferma esplicitamente una variante attestata in vari manoscritti:
Io non sono questo IO a proposito del quale tu gli hai detto “IO ti farò risalire”.
Mosè sarebbe IO? Aronne sarebbe IO?
Il seguito del midrash sviluppa quest’interpretazione: IO è il nome di Dio che salva; è in forza del suo IO che Dio reca salvezza. Questo commento viene collegato all’espressione “Ecco il segno che IO ti ho mandato” (Es 3:12).
Cosa significa il fatto che gli disse: “... che IO ti ho mandato?” I nostri maestri hanno detto: “Era il segno della prima redenzione: essi sono scesi in Egitto grazie a IO, che è detto “IO scenderò con te in Egitto e IO ti farò risalire” (Gn 46:4); e [sarà] il segno della redenzione finale: grazie a IO [saranno] guariti e saranno riscattati, come è detto “Ecco che IO vi invio Elia il profeta” (Ml 3:33).
Ricorrendo al gezera shava (ragionamento per analogia), il midrash accosta gli uni agli altri testi biblici nei quali compare il pronome io. In ciascuno di questi testi, questo pronome viene associato alla redenzione. Perciò si conclude che l’IO è legato all’intervento redentore di Dio o che Dio riscatta mediante il suo ‘anokhi, il suo IO.
Leggendo questa nota, il lettore si chiederà inevitabilmente a quando risalgono queste tradizioni e se siano pertinenti per la lettura del Nuovo Testamento. E qui dobbiamo fare un taglia e cuci di vari 3D sparsi ora qua ed ora là
Devo fare tutto io???