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Agape si o no?

Ultimo Aggiornamento: 06/11/2007 20:48
17/01/2006 18:07
 
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Non sempre eros è l'amore banalmente carnale, basta leggere il Simposio di Platone.



Infatti.
Consiglio ai foristi un breve saggio, dal titolo "Eros tempo istante", che tra le altre cose parla di questo.
Metto il link del sbn

sbnonline.sbn.it

E comunque per la disamina dei vari sensi di "amore" nel greco, dovrebbe cominciare polymetis (che è il vero esperto), io posso al massimo parlare dell'evoluzione semantica dai LXX al NT.

[Modificato da Justee 17/01/2006 18.56]

17/01/2006 18:52
 
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Che cos’è Eros per un greco?
Per rispondere avrei bisogno di scrivere un volume temo. Per un primo momento lascio la parola a Platone che, per bocca di Socrate, narra ai suoi amici di un suo incontro con Diotima, sacerdotessa di Mantinea, la quale lo istruì sulla vera natura di Eros (il brano è lungo ma oltre ad essere un capolavoro ne vale davvero la pena):

-----------
Dirò invece il discorso su Amore che ho ascoltato una volta da una donna di Mantinea, di nome Diotima, la quale era dotta su questa e molte altre questioni. Facendo fare dei sacrifici agli Ateniesi prima della peste, ritardò l’epidemia di dieci anni; e fu proprio lei che mi istruí nelle cose d’amore ... Mi proverò dunque a riportarvi cosí da me solo, per quanto mi riuscirà, il discorso che mi tenne lei, partendo dai punti sui quali già siamo d’accordo io e Agatone. Naturalmente, o Agatone, è bene discutere come tu hai spiegato, in primo luogo chi è Amore nella sua essenza e natura, e in seguito le sue opere. Ora mi par piú facile parlarne nell’ordine che tenne allora la straniera, interrogandomi. Perché anch’io le dicevo quasi le stesse cose che ora Agatone sosteneva con me, che cioè Amore è un gran dio e ama le cose belle. Lei allora mi provava, con gli stessi argomenti che ho tenuto ora contro di lui, che Amore, secondo il mio stesso discorso, non era bello né buono.
E io: “Che dici mai, o Diotima? Amore è forse brutto e cattivo?”.
E lei: “Non bestemmiare;” rispose “o credi forse che ciò che non sia bello debba essere brutto?”. “Sicuramente!”.
“E così ciò che non è sapiente, ignorante? Ma non t’accorgi che c’è qualcosa di mezzo fra sapienza e ignoranza?”.
“Che cosa?”.
“Giudicare con giustezza, anche senza essere in grado di darne ragione. Non sai che ciò appunto non è scienza – perché dove non si sa dar ragione come potrebbe esservi scienza? Né ignoranza – giacché ciò che coglie il vero come potrebbe essere ignoranza? Orbene qualcosa di simile è la giusta opinione, qualcosa di mezzo fra l’intendere e l’ignoranza”.
“È verissimo” le dissi.
“Non conseguirne, dunque, che una cosa non bella sia necessariamente brutta, né una cosa non buona, cattiva. Cosí anche Amore, poiché tu stesso concordi che non è buono né bello, non credere piú in alcun modo che debba essere cattivo e brutto, ma qualcosa di mezzo fra questi due estremi”.
“E però, risposi io, tutti pensano d’accordo che sia un grande dio”.
“Quali tutti? Quelli che non sanno o anche quelli che sanno?”.
“Tutti, tutti, dico”.
E lei ridendo: “E come possono mai sostenere concordi, o Socrate, che Amore sia un grande dio, coloro che affermano che egli non è neppure dio?”.
“E chi sono questi?” esclamai.
“Uno, rispose, sei proprio tu, un’altra, io”.
E io: “Come sarebbe a dire?”.
“È facile, rispose lei, perché rispondimi: non ritieni tutti gli dèi felici e belli? Oseresti dire che qualche dio non è bello e felice?”.
“Per Giove, no di certo” risposi. “E del resto non chiami felici coloro che possiedono bontà e bellezza?”.
“Sicuro!”.
“Ma Amore, l’hai ammesso, proprio perché è privo di bontà e bellezza, desidera questi beni che non ha”.
“Già, l’ho ammesso”.
“E come potrebbe essere dio quello a cui mancano bellezza e bontà?”.
“Temo che non potrebbe in alcun modo”.
“Vedi dunque che anche tu pensi che Amore non sia un dio?”.
“Ma cosa sarebbe allora, esclamai, questo Amore? un mortale?”.
“Niente affatto”.
“Ma allora cos’altro è?”.
“Come nel caso di prima, qualcosa di mezzo fra mortale e immortale.”
“Che è dunque, o Diotima?”.
“Un demone grande (per i greci il termine “daimon” non ha un’accezione negativa N.d.R.), o Socrate. E difatti ogni essere demonico sta in mezzo fra il dio e il mortale”.
“E qual è la sua funzione?” domandai.
“Di interpretare e di trasmettere agli dèi qualunque cosa degli uomini, e agli uomini qualunque cosa degli dèi; e di quelli cioè reca le preghiere e i sacrifici, di questi invece i voleri e i premi per i sacrifici. In mezzo fra i due, colma l’intervallo sicché il Tutto risulti connesso con se stesso. Attraverso di lui passa tutta l’arte divinatoria, e l’arte sacerdotale concernente i sacrifici, le iniziazioni e gli incantesimi e ogni specie di divinazione e di magia. Gli dèi non si mischiano con l’uomo, ma per mezzo di Amore è loro possibile ogni comunione e colloquio con gli uomini, in veglia o in sonno. E chi è dotto di queste arti, è un uomo demonico, ma chi è conoscitore di altre tecniche o mestieri non è che un generico. Ora, questi demoni sono molti e vari: uno di questi è anche Amore”.
“E suo padre e sua madre, domandai, chi sono?”.
“È cosa un po’ lunga da raccontare, rispose, ma a te la dirò.
Quando nacque Afrodite gli dèi tennero un banchetto, e fra gli altri anche Poros (Espediente) figlio di Metidea (Sagacia). Ora, quando ebbero finito, arrivò Penia (Povertà), siccome era stata gran festa, per mendicare qualcosa; e si teneva vicino alla porta. Poros intanto, ubriaco di nettare (il vino non esisteva ancora), inoltratosi nel giardino di Giove, schiantato dal bere si addormentò. Allora Penia, meditando se, contro le sue miserie, le riuscisse d’avere un figlio da Poros, gli si sdraiò accanto e rimase incinta di Amore. Proprio cosí Amore divenne compagno e seguace di Afrodite, perché fu concepito il giorno della sua nascita, ed ecco perché di natura è amante del bello, in quanto anche Afrodite è bella. Dunque, come figlio di Poros(Espediente) e di Penia(Povertà), ad Amore è capitato questo destino: innanzitutto è sempre povero, ed è molto lontano dall’essere delicato e bello, come pensano in molti, ma anzi è duro, squallido, scalzo, peregrino, uso a dormire nudo e frusto per terra, sulle soglie delle case e per le strade, le notti all’addiaccio; perché conforme alla natura della madre, ha sempre la miseria in casa. Ma da parte del padre Espediente è insidiatore dei belli e dei nobili, coraggioso, audace e risoluto, cacciatore tremendo, sempre a escogitar espedienti d’ogni tipo e curiosissimo di intendere, ricco di trappole, intento tutta la vita a filosofare, e terribile mago, preparatore di filtri e sofista. E sortì una natura né immortale né mortale, ma a volte, se gli va dritta, fiorisce e vive nello stesso giorno, a volte invece muore e poi risuscita, grazie alla natura del padre; ciò che acquista sempre gli scorre via dalle mani, cosí che Amore non è mai né povero né ricco. Anche fra sapienza e ignoranza si trova a mezza strada, e per questa ragione nessuno degli dèi è filosofo, o desidera diventare sapiente (perché lo è già) , né chi è già sapiente s’applica alla filosofia. D’altra parte, neppure gli ignoranti si danno a filosofare né aspirano a diventare saggi, perché proprio per questo l’ignoranza è terribile, che chi non è né nobile né saggio crede d’aver tutto a sufficienza; e naturalmente chi non avverte d’essere in difetto non aspira a ciò di cui non crede d’aver bisogno”.
“Chi sono allora, o Diotima” replicai “quelli che s’applicano alla filosofia, se escludi i sapienti e gli ignoranti?”.
“Ma lo vedrebbe anche un bambino, rispose, che sono quelli a mezza strada fra i due, e che Amore è uno di questi. Poiché appunto la sapienza lo è delle cose più belle ed Amore è amore del bello, ne consegue necessariamente che Amore è filosofo, e in quanto tale sta in mezzo fra il sapiente e l’ignorante. Anche di questo la causa è nella sua nascita: è di padre sapiente e ingegnoso, ma la madre è incolta e sprovveduta. E questa è proprio, o Socrate, la natura di quel demone. Quanto alla tua rappresentazione di Amore, non c’è da meravigliarsi; perché tu credevi, per quanto posso dedurre dalle tue parole, che Amore fosse l’amato, non l’amante; e per questo, penso, Amore ti appariva bellissimo. E in realtà ciò che ispira l’amore è bello, delicato, perfetto e beato; ma l’amante ha un’altra natura, come t’ho spiegato”.

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Dall'"Enciclopedia di scienze antiche", Einaudi scuola, a cura di Franco Montanari:

Amore/Eros

Complessità del concetto
Posta sotto il controllo di divinità diverse e non di rado contraddittorie – da Afrodite ad Era, da Eros a Hímeros («Desiderio») e Póthos («Struggimento») – la realtà articolata dell’amore presso i Greci è stata oggetto, negli ultimi cinquant’anni, di ricerche ispirate innanzitutto alla psicoanalisi, alla sociologia, all’antropologia e al femminismo, che continuano a costituire uno dei più ricchi e controversi campi d’indagine dell’antichistica contemporanea.
Al di là dei molti dissensi e delle diverse prospettive che hanno animato gli studiosi, alcuni elementi possono essere considerati punti fermi:
1) la necessità di considerare l’amore, in tutti i suoi aspetti, quale àmbito in cui si gioca la definizione di un codice comportamentale che influenza la stessa divisione dei ruoli sessuali (maschio/femmina, eterosessuale/omosessuale) e la loro collocazione sociale e politica: in questo senso, l’amore appare più che mai – in Grecia come del resto altrove – quale prodotto di una costruzione storica e culturale;
2) la stretta connessione fra il tema dell’amore, in tutti i suoi aspetti, e la fondamentale caratterizzazione sessista e maschilista della società greca nell’assoluta maggioranza – se non nella totalità – delle sue manifestazioni storiche e geografiche (cfr. condizione femminile);
3) la grande cautela resa indispensabile dalla frammentarietà della documentazione in nostro possesso, non solo per la sostanziale esclusione, dalle nostre fonti, di voci femminili non mediate dal mondo maschile, ma anche per l’inevitabile differenza fra ‘teoria’ e ‘pratica’ dell’amore: cioè fra la sua codificazione in norme, paradigmi o storie esemplari, e la sua effettiva realtà quotidiana e privata, strutturalmente sottratta alla nostra conoscenza.

Evoluzioni dell’amore antico
È opinione assai diffusa che si possa operare una distinzione fra la concezione omerica dell’amore – per lo più intonata a una certa naturalezza, in buona parte spontanea e aproblematica – e la successiva concezione sviluppata dalla polis classica, e in particolare ad Atene, che vede un progressivo incremento dei meccanismi repressivi e normativi, volti a controllare e a disciplinare le manifestazioni dell’eros. Certo è che oggi nessuno può più sostenere l’idea che godette di una certa fortuna fra Otto e Novecento, e che opponeva in blocco l’amore pagano (libero, spontaneo e naturale) al moralismo e alla sessuofobia che avrebbe invece caratterizzato il cristianesimo.

Immagini e concezioni ricorrenti
Sin dalla grecità più arcaica, in ogni caso, la letteratura ha elaborato un sistema di metafore destinato a una lunghissima durata nell’immaginario occidentale: l’amore come ‘fuoco’, come ‘follia’, come ‘malattia’, come ‘rete’, ‘trappola’ o comunque dispositivo di ‘cattura’, e in generale come forma di sentimento dispotico, incontrollato e virtualmente pericoloso per il dominio di se stessi. È una concezione largamente diffusa presso i Greci, e poi presso i cristiani, quella che vede nella donna un soggetto particolarmente incline ai molteplici eccessi dell’amore (la sessualità incontrollata, la passionalità, il sentimentalismo); resterà per lo più limitata all’àmbito greco, invece, la sublimazione dell’amore omosessuale e in particolare pederotico – non a caso chiamato per antonomasia amor Graecus – spesso opposto per le sue caratteristiche di maggiore moralità e nobiltà all’amore eterosessuale: ricerche recenti, in ogni caso, dimostrano l’ampia diffusione in tutto il dominio indoeuropeo di pratiche pederotiche (relazioni omosessuali coinvolgenti giovani in età puberale o adolescenziale), caratterizzate da una forte valenza rituale e paideutica, né si può dimenticare, per converso, che sin dall’età classica i Greci espressero altresì atteggiamenti di forte condanna nei confronti dell’omosessualità: in particolare, benché appaia sconsigliabile ogni sorta di schematismo sociologico, è verosimile che l’omosessualità costituisse una pratica valorizzata (o uno status symbol) specialmente in seno all’aristocrazia, e diversamente giudicata – se non apertamente biasimata – in ceti più umili.
Gli aspetti che possono essere considerati più diffusi e costanti, nella concezione greca dell’amore, sono i seguenti:
1) una generale tendenza a considerare l’eros come una realtà ambivalente, positiva se posta sotto il controllo di precisi meccanismi rituali (a cominciare dal matrimonio), negativa se espressa in tutta la sua violenza; di qui il timore e il rispetto dovuti ad Afrodite – tà aphrodísia, «le cose di Afrodite», comprendevano ogni aspetto dell’amore – e la sua frequente connessione con l’apáte (l’«inganno») e la thélxis (l’«incantamento» o la «fascinazione»), ma anche con una forma di díke («giustizia») che, specialmente in àmbito aristocratico, codificò come regola la necessità di una corrispondenza paritaria e quasi fatale tra i sentimenti dell’amante e i sentimenti dell’amato: sicché sia tradimento che mancata corresponsione potevano apparire come autentiche colpe;
2) l’attribuzione a Eros (divinizzato) di un potere assoluto e incontenibile, che in ampia parte della produzione letteraria – specialmente lirica e tragica, dall’arcaismo sino alla grecità tarda – pare talvolta superiore allo stesso potere degli dèi: una concezione che sul piano teologico e cosmologico ispirò teorie che ne fecero il primo e il più originario fra le divinità (così, in parte, già Esiodo).

Il Simposio di Platone
Un’articolata riflessione filosofica sull’amore è offerta dal Simposio di Platone, che per molti aspetti, attraverso le voci dei diversi partecipanti al dialogo, si può considerare una summa delle concezioni via via elaborate dai Greci e consegnate alla riflessione teorica successiva: il giovane Fedro istruisce un’apologia dell’Amore come massimo dio, sprone alla virtù, alla lealtà, alla tenacia, e massima causa della felicità umana; Pausania, da parte sua, distingue fermamente l’Amore celeste, sublime e spirituale – rivolto piuttosto ai maschi che alle femmine, e piuttosto alle anime che ai corpi – dall’Amore terrestre, volgare e carnale; il medico Erissimaco traduce tale opposizione in termini di salute e di malattia, anticipando così la vasta riflessione che, specialmente in età imperiale, tenterà di elaborare un’autentica ‘teoria igienica’ dell’amore e dei suoi eccessi; il commediografo Aristofane, con il celebre mito degli androgini originari, successivamente divisi da Zeus in maniera tale che ciascuna delle due metà fosse destinata a una perpetua e inesausta ricerca dell’altra; l’elogio di Eros offerto dal tragediografo Agatone, invece, ne sottolinea l’ansia per la bellezza, l’indole giovanile e aggraziata, la spontanea inclinazione all’arte e alla poesia; da ultimo Socrate, riferendosi a un discorso udito dalla sacerdotessa Diotima, fa di Amore un figlio di Póros (l’«Espediente») e di Penìa (la «Povertà»), perpetuo alternarsi di vuoto e di pienezza, di insicurezza e di possesso, atto a stimolare l’individuo – per la sua essenziale natura di ‘demone’ intermediario – all’incessante ricerca della bellezza, della verità e del bene.

Conclusioni
È indispensabile osservare come la tradizione greca abbia elaborato prospettive eterogenee e complesse circa la natura dell’amore, che rendono impossibile – e spesso ideologicamente faziosa – l’elevazione a regola di una sola concezione: dall’esaltazione di un modello repressivo o contenitivo, al riconoscimento della natura liberatoria dell’eros; da una concezione spesso asettica e puramente utilitaristica del matrimonio, all’elaborazione di figure paradigmatiche di coniugi amorosi e devoti (Alcesti e Admeto, Òrfeo ed Euridice, ecc.); dall’elogio dell’amore omosessuale alla sua aspra condanna, con simmetrica e inversa valutazione dell’amore eterosessuale; dall’amore come vizio all’amore come virtù e fomento di virtù, con le rispettive sopravvalutazioni degli aspetti sessuali e/o spirituali dell’eros.

Federico Condello
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18/01/2006 23:20
 
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In parole povere
L'Eros è la ricerca della profondità/complessità. L'amore vive nella povertà in quanto vive nella mancanza e muore nonappena soddisfatto.
Manca la macchina=amo la macchina
manca la ragazza=amo la ragazza (l'amore cortese si basa proprio su questo, si parla di donne come fossero Dei ma di sesso neanche l'ombra)
manca il cibo=amo il cibo
sono stressato=amo la tranquillità
mi credo ignorante=amo la sapienza

in quanto uomini completi le cose di noi che neghiamo col tempo diventano oggetti d'amore all'esterno, e tenderemo a tornare completi riavvicinandoci a quello che abbiamo negato; chi disprezza compra.

Le persone ambiziose(amore platonico trasfigurato) non a caso sono quelle che non sanno fare niente, una volta trovato il tuo posto l'ambizione cala.

Probabilmente non si è capito niente, ma che ci volete fare, nessuno nasce imparato.
19/01/2006 15:45
 
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22/01/2006 22:19
 
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Per chiudere il discorso su "eros" / "erws" / "eraw", c'è da dire che negli scritti biblici questi termini non ricorrono.

L'unica testimonianza relativamente vicina a questo contesto è Ignazio, dove troviamo il tema in Rm:2,1; 7,2; Pol: 4,3

II,1. Non voglio che voi siate accetti agli uomini, ma a Dio come siete accetti. Io non avrò più un'occasione come questa di raggiungere Dio, né voi, pur a tacere, avreste a sottoscrivere un'opera migliore. Se voi tacerete per me, io diventerò di Dio, se amate la mia carne di nuovo sarò a correre.

2. Anche se vicino a voi vi supplico non ubbiditemi. Obbedite a quanto vi scrivo. Vivendo vi scrivo che bramo di morire. La mia passione umana è stata crocifissa, e non è in me un fuoco materiale. Un'acqua viva mi parla dentro e mi dice: qui al Padre.

3. Non disprezzare gli schiavi e le schiave; ma essi non si gonfino, e si sottomettano di più per la gloria di Dio, perché ottengano da lui una libertà migliore. Non cerchino di farsi liberare dalla comunità per non essere schiavi del desiderio.


In tutti i casi si vedrà che "eraw/erws" è utilizzato per indicare un amore "passionale", parzialmente svuotato del suo senso di "amore carnale", ma con una connotazione decisamente negativa, come di qualcosa che "tiene in vincoli".
Nell'uso di questo termine in relazione alle umane passioni, sembra di scorgere anche qualche eco di stoicismo.

Se non ci sono ulteriori commenti passerei a Philia
24/01/2006 00:17
 
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Ciao Teodoro,


Per chiudere il discorso su "eros" / "erws" / "eraw", c'è da dire che negli scritti biblici questi termini non ricorrono.


Volevo solo ricordarti che la LXX usa il verbo eraw in Proverbi 4,6 ed in Ester 2,17.

Ciao
29/01/2006 22:52
 
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Grazie Barnabino, vediamo i testi

___________________________
Pr:4,5-7

5 Acquista la sapienza, acquista l'intelligenza;
non dimenticare le parole della mia bocca
e non allontanartene mai.
6 Non abbandonarla ed essa ti custodirà,
amala e veglierà su di te.
7 Principio della sapienza: acquista la sapienza;
a costo di tutto ciò che possiedi
acquista l'intelligenza.

Ester 2,17

Il re amò Ester più di tutte le altre donne ed essa trovò grazia e favore agli occhi di lui più di tutte le altre vergini. Egli le pose in testa la corona regale e la fece regina al posto di Vasti.
________________________

Il campione non è certo significativo, ma sostanzialmente conferma il quadro che già avevamo delineato. Eraw indica anche qui un amore "passionale", soprattutto di un amore "che vincola", che stabilisce una relazione stretta o strettissima tra il soggetto amante e l'oggetto amato.
Gli esempi sono talmente pochi che non mi sembra opportuno spendere altre parole. Vorrei solo finire di leggere l'enciclica, che nella prima parte si occupa di questo, per inserire un commento finale su eraw e poi passare a philia.

13/02/2006 11:14
 
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Vi scriverò il capitolo per intero dell'Enciclica del Papa Benedetto XVI

"Eros" e "Agape" - differenza e unità

Par.3 pag.10
All'amore tra uomo e donna, che non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo s'impone all'essere umano, l'antica Grecia ha dato il nome di eros. Diciamo già in anticipo che l'Antico Testamento grco usa solo due volte la parola eros, mentre nel Nuovo Testamento non usa mai: delle tre parole greche relative all'amore - eros, philia (amore di amicizia) e agape - gli scritti neotestamentari privilegiano l'ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini.

Quanto all'amore di amicizia (philia), esso viene ripreso e approfondito nel Vangelo di Giovanni per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli. La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell'amore che si esprime attraverso la parola agape, denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell'amore.

Nella critica al cristianesimo che si è sviluppata con crescente radicalità a partire dall'illuminismo, questa novità è stata valutata in modo negativo. Il Cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all'eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio.

Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: La Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?

FINE PRIMA PARTE seguè una seconda parte...se qualcuno desidera postare chiedo serietà nell'esposizione grazie! Benimussoo Dana
15/02/2006 10:23
 
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Par.4 pag.12 dall'Enciclica del Papa Benedetto XVI

Ma è veramente così? Il Cristianesimo ha davvero distrutto l'eros? Guardiamo al mondo pre-cristiano. I greci - senz'altro in analogia con altre culture - hanno visto nell'eros innanzitutto l'ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una "pazzia divina" che strappa l'uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine.

Yutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d'importanza secondaria: "Omnia vincit amor" afferma Virgilio nelle Bucoliche - l'amore vince tutto - e aggiunge: " et nos cedamus amori= - cediamo anche noi all'amore. Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la prostituzione "scacra" che fioriva in molti templi. L'eros venne quindi celebrato come forza divina, come comunione col Divino.

A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede nell'unico Dio, l'Antico Testamento si è opposto con massima fermezza, combattendola come perversione della religiosità. Con ciò però non ha per nulla rifiutato l'eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poichè la falsa divinizzazione dell'eros, che qui avviene, lo priva della sua dignità, lo disumanizza. Infatti, nel tempio, le prostitute, che devono donare l'ebbreza del Divino, non vengono trattate come esseri umani e persone, ma servono soltanto come strumenti per suscitare la "pazzia divina" in realtà, esse non sono dee, ma persone umane di cui si abusa.

Per questo l'eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa,"estasi" verso il Divino, ma caduta, degradazione dell'uomo. Così diventa evidente che l'eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all'uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende.


SEGUIRA LA TERZA PARTE...
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