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Miti e Fatti Ebrei - Palestina

Ultimo Aggiornamento: 05/08/2014 10:40
04/10/2007 12:59
 
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I Profughi

Miti da confutare

16.a. "Un milione di Palestinesi è stato espulso da Israele tra il 1947
ed il 1949".

16.b. "Gli Ebrei chiarirono fin dall'inizio che non avevano alcuna
intenzione di vivere in pace con i loro vicini arabi".

16.c. "Gli Ebrei hanno creato il problema dei profughi espellendo i
Palestinesi".

16.d. "L'invasione araba ha fatto poco danno agli Arabi palestinesi".

16.e. "I capi arabi non hanno mai incoraggiato i Palestinesi a fuggire".

16.f. "Gli Arabi palestinesi sono dovuti fuggire per non essere
massacrati come era accaduto ai pacifici abitanti di Deir Yassin".

16.g. "Israele si è rifiutato di consentire ai Palestinesi di tornare
alle loro case in modo che gli Ebrei potessero rubare i loro beni".

16.h. "Le risoluzioni dell'ONU chiedono ad Israele di rimpatriare tutti
i profughi palestinesi".

16.i. "Israele ha bloccato i negoziati della Commissione di
Conciliazione sulla Palestina".

16.j. "I Palestinesi che volevano tornare a casa non erano un pericolo
per la sicurezza d'Israele".

16.k. "I profughi palestinesi sono stati ignorati da un mondo
noncurante".

16.l. "I Paesi arabi hanno fornito gran parte dei fondi per l'aiuto ai
profughi palestinesi".

16.m. "I Paesi arabi hanno sempre dato il benvenuto ai Palestinesi ed
hanno fatto del loro meglio per risistemarli".

16.n. "Milioni di Palestinesi sono confinati in squallidi campi
profughi".

16.o. "Israele ha costretto i profughi palestinesi a rimanere nei campi
della Striscia di Gaza".

16.p. "I profughi sono sempre stati rimpatriati, soltanto ai Palestinesi
è stato impedito di tornare a casa".

16.q. "Se i profughi palestinesi fossero stati rimpatriati, il conflitto
arabo-israeliano sarebbe potuto terminare".

16.r. "Israele ha espulso altri Palestinesi nel 1967".

16.s. "L'UNRWA è un'organizzazione puramente umanitaria che non ha
responsabilità alcuna per il terrore e l'istigazione che nascono nei
campi profughi".

[I Miti in dettaglio]

16.a. [Mito]

"Un milione di Palestinesi è stato espulso da Israele tra il 1947
ed il 1949".

16.a. [Fatti]

I Palestinesi lasciarono le loro case nel 1947-1949 per diverse ragioni.
Migliaia di ricchi Arabi partirono prevedendo una guerra, altre migliaia
risposero agli appelli dei capi arabi di levarsi dal percorso delle
armate d'invasione, una manciata fu espulsa, ma la maggior parte è
semplicemente fuggita per non trovarsi nel bel mezzo di una battaglia.

Molti Arabi sostengono che da 800.000 ad 1.000.000 di Palestinesi sono
diventati profughi nel 1947-1949. L'ultimo censimento fu compiuto dai
Britannici nel 1945. Esso rinvenne circa 1.200.000 residenti permanenti
arabi in _tutta_ la Palestina. Un censimento del 1949 compiuto dal
Governo d'Israele contò 160.000 Arabi viventi nel paese dopo la guerra.
Nel 1947 viveva un totale di 809.100 Arabi nel medesimo territorio [1].
Questo significa che non più di 650.000 Arabi palestinesi sarebbero
potuti diventare profughi. Un rapporto del Mediatore ONU sulla Palestina
totalizzò una cifra ancora minore - 472.000, e calcolò che soltanto
360.000 profughi arabi avevano chiesto aiuto [2].

Sebbene si sia sentito parlar molto sulle sventure dei profughi
palestinesi, si dice molto poco degli Ebrei fuggiti dai paesi arabi. La
loro situazione è stata per molto tempo precaria. Durante i dibattiti
ONU del 1947, i capi arabi li minacciariono. Per esempio, il delegato
egiziano disse all'Assemblea Generale: "Le vite di un milione di Ebrei
nei paesi islamici sarebbero messe in pericolo dalla spartizione" [3].

Il numero degli Ebrei fuggiti dai Paesi arabi in Israele negli anni
seguiti all'indipendenza d'Israele fu quasi il doppio del numero di
Arabi che lasciarono la Palestina. A molti Ebrei fu consentito di portar
via poco più della camicia che indossavano. Questi profughi non
desideravano affatto essere rimpatriati. Si sente parlar poco di loro
perché non sono rimasti profughi a lungo. Degli 820.000 profughi ebrei
tra il 1948 ed il 1972, 586.000 furono sistemati in Israele con grande
spesa, e senz'offerta alcuna di risarcimento da parte dei governi arabi
che avevano confiscato i loro beni [3a]. Israele ha pertanto sempre
sostenuto che ogni accordo per risarcire i profughi palestinesi deve
comprendere anche un risarcimento arabo per i profughi ebrei. Finora i
Paesi arabi si sono rifiutati di pagare qualsiasi risarcimento alle
centinaia di migliaia di Ebrei che furono obbligati ad abbandonare i
loro beni prima di fuggire da quei paesi.

Il contrasto tra le accoglienze dei profughi ebrei e dei palestinesi è
reso ancora più evidente quando uno pensa alla differenza tra gli
spaesamenti geografici e culturali esperiti dai due gruppi. La maggior
parte dei profughi ebrei ha viaggiato per centinaia (ed alcuni per
migliaia) di miglia verso un paesucolo i cui abitanti parlavano una
lingua diversa. La maggior parte dei profughi arabi non ha mai lasciato
la Palestina: essi viaggiarono per poche miglia fino all'altra parte
della linea d'armistizio, rimanendo in seno all'ampia nazione araba a
cui appartenevano linguisticamente, culturalmente ed etnicamente.

16.b. [Mito]

"Gli Ebrei chiarirono fin dall'inizio che non avevano alcuna intenzione
di vivere in pace con i loro vicini arabi".

16.b. [Fatti]

In molte occasioni i capi ebrei chiesero agli Arabi di rimanere in
Palestina e di diventare cittadini d'Israele. L'Assemblea degli Ebrei di
Palestina emise quest'appello il 2 Ottobre 1947:

"Faremo tutto quel che potremo per mantenere la pace e stabilire una
cooperazione vantaggiosa per entrambi [Ebrei ed Arabi]. È adesso, qui ed
ora, proprio da Gerusalemme, che un appello deve uscire verso le nazioni
arabe perché uniscano le loro forze con gli Ebrei e lo Stato ebraico che
nascerà e lavorino spalla a spalla per il nostro bene comune, per la
pace ed il progresso di [paesi] sovrani ed eguali [4].

Il 30 Novembre, il giorno dopo il voto di spartizione dell'ONU,
l'Agenzia Ebraica annunziò: "Il tema principale dietro le celebrazioni
spontanee a cui stiamo assistendo oggi è il desiderio della nostra
comunità di cercare la pace e la sua determinazione ad ottenere una
fruttuosa cooperazione con gli Arabi" [5].

La Proclamazione d'Indipendenza d'israele, emessa il 14 Maggio 1948,
invitò inoltre i Palestinesi a rimanere nelle loro case e divenire
eguali cittadini del nuovo Stato:

Nel mezzo di un'aggressione assurda, noi chiamiamo comunque gli abitanti
arabi dello Stato d'Israele a mantenere le vie della pace ed a fare la
loro parte nello sviluppo dello Stato, sulla base di una piena ed uguale
cittadinanza ed adeguata rappresentatività in tutti i suoi corpi ed
istituti ... Noi porgiamo la nostra mano in pace e da buoni vicini a
tutti i paesi vicini ed ai loro popoli, e li invitiamo a cooperare con
la nazione ebraica indipendente per il bene comune di tutti.

16.c. [Mito]

"Gli Ebrei hanno creato il problema dei profughi espellendo i
Palestinesi".

16.c. [Fatti]

Se gli Arabi avessero accettato la risoluzione ONU del 1947, nessun
Palestinese sarebbe divenuto un profugo, ed esisterebbe uno stato arabo
indipendente accanto ad Israele. La responsabilità del problema dei
profughi è degli Arabi.

L'inizio dell'esodo arabo si può far risalire alle settimane
immediatamente seguenti all'annuncio della risoluzione di spartizione
dell'ONU. I primi a partire erano circa 30.000 ricchi Arabi che
previdero la guerra imminente e fuggirono nei paesi arabi vicini
aspettandone la fine. Degli Arabi meno ricchi dalle città a popolazione
mista della Palestina si trasferirono in cittadine completamente arabe
per restare con i parenti o gli amici [6]. Alla fine del Gennaio 1948,
l'esodo fu così allarmante che l'Alto Comitato Arabo-Palestinese chiese
ai paesi arabi vicini di rifiutare il visto a questi profughi e di
rendere i confini a loro impenetrabili [7].

Il 30 Gennaio 1948 il giornale di Giaffa Ash-Sha'ab, riferì: "I primi
della nostra quinta colonna sono coloro che abbandonano le loro case ed
attività e vanno a vivere altrove ... Al primo segno di guai essi se la
filano per evitare di portare la loro parte del peso della lotta" [8].

Un altro giornale di Giaffa, As-Sarih (30 Marzo 1948) fustigò gli
abitanti dei villaggi arabi presso Tel Aviv per aver "attirato la
disgrazia su di noi 'abbandonando i villaggi'" [9].

Intanto, un capo del Comitato Nazionale Arabo ad Haifa, Hajj Nimer
el-Khatib, disse che i soldati arabi a Giaffa stavano maltrattando i
residenti. "Essi rapianvano persone e case. La vita valeva ben poco, e
l'onore delle donne veniva profanato. Questo stato di cose indusse molti
residenti [arabi] a lasciare la città sotto la protezione dei carri
armati britannici" [10].

John Bagot Glubb, il comandante della Legione Araba di Giordania, disse:
"I villaggi venivano frequentemente abbandonati prima ancora che fossero
minacciati dall'avanzare della guerra" [11].

I resoconti della stampa contemporanea di grandi battaglie in cui un
gran numero di Arabi fuggì mancano in modo palese di citare qualsiasi
espulsione forzata da parte delle forze ebraiche. Si descrivono di
solito gli Arabi come "in fuga" od "evacuando" le loro case. Quando si
accusano i Sionisti di "espellere e spossessare" gli abitanti arabi di
città come Tiberiade ed Haifa, la verità è ben diversa. Ambo le città
erano nei confini dello Stato ebraico secondo lo schema di spartizione
dell'ONU e per entrambe combatterono sia gli Ebrei che gli Arabi.

Le forze ebraiche si impossessarono di Tiberiade il 19 Aprile 1948 e
l'intera popolazione araba di 6.000 persone fu evacuata sotto la
supervisione militare britannica. Il Consiglio della Comunità Ebraica
avrebbe poi emesso un comunicato: "Noi non li abbiamo spossessati: loro
hanno scelto da sé questa via ... Che nessun cittadino tocchi i loro
beni" [12].

Ai primi di Aprile, 25.000 Arabi (si stima) lasciarono l'area di Haifa
in seguito ad un'offensiva delle forze irregolari capitanate da Fawzi
al-Qawukji, ed a voci che l'aviazione araba avrebbe presto bombardato le
zone ebraiche intorno al Monte Carmelo [13]. Il 23 Aprile l'Haganah
prese Haifa. Un rapporto di polizia britannico da Haifa, datato 26
Aprile, spiegò che "gli Ebrei compiono ogni sforzo per persuadere la
popolazione araba a restare ed a continuare le loro vite normali, a
mantenere aperti i loro esercizi ed i loro affari, e di stare certi che
le loro vite ed i loro possedimenti saranno al sicuro" [14]. Infatti,
David Ben-Gurion aveva manadato Golda Meir ad Haifa per tentare di
persuadere gli Arabi a restare, ma ella non riuscì a convincerli perché
essi temevano di essere considerati traditori della causa araba [15].
Alla fine della battaglia, più di 50.000 Palestinesi se n'erano andati.

"Decine di migliaia di uomini, donne e bambini arabi fuggirono verso la
periferia est della città in auto, camion, carretti ed a piedi in un
tentativo disperato di raggiungere il territorio arabo finché gli Ebrei
non catturarono il Ponte Rushmiya verso la Samaria e la Palestina del
Nord e non li tagliarono fuori. Migliaia spinsero ogni natante
disponibile, anche delle barche a remi, in acqua dalla costa per fuggire
via mare verso San Giovanni d'Acri". - New York Times (23 Aprile 1948)

A Tiberiade ed Haifa, l'Haganah diede ordine che nessuno dei beni degli
Arabi fosse toccato, ed ammonì che i trasgressori sarebbero stati
severamente puniti. Ad onta di questi sforzi, tutti gli Arabi, salvo
5.000 o 6.000 evacuarono Haifa, e molti partirono con l'assistenza dei
trasporti militari britannici.

Il delegato della Siria all'ONU, Faris el-Khouri, interruppe il
dibattito all'ONU sulla Palestina per descrivere la presa di Haifa come
un "massacro" e disse che quest'azione era "ulteriore prova che il
'programma sionista' è annichilire gli Arabi all'interno dello stato
ebraico se si compie la partizione" [16].

Però il giorno dopo il rappresentante britannico all'ONU, Sir Alexander
Cadogan, disse ai delegati che i combattimenti ad Haifa erano stati
provocati alcuni giorni prima dai continui attacchi degli Arabi contro
gli Ebrei, e che i resoconti di massacri e deportazioni erano erronei
[17].

Lo stesso giorno (23 Aprile 1948) Jamal Husseini, il presidente
dell'Alto Comitato Palestinese, disse al Consiglio di Sicurezza dell'ONU
che invece di accettare l'offerta di tregua dell'Haganah, gli Arabi
"preferivano abbandonare le loro case, le loro proprietà ed ogni cosa
che possedevano al mondo e lasciare la città" [18].

Il Console Generale USA ad Haifa, Aubrey Lippincott, scrisse il 22
Aprile 1948, ad esempio, scrisse che "i capi arabi locali, dominati dal
Muftì" stavano ordinando "a tutti gli Arabi di lasciare la città, e
molti lo hanno fatto" [19].

Un ordine dell'esercito emesso il 6 Luglio 1948 chiarì che le città ed i
villaggi arabi non si dovevano demolire o bruciare, e che gli abitanti
arabi non dovevano essere espulsi dalle loro case [20].

Certo, l'Haganah impiegò la guerra psicologica per incoraggiare gli
Arabi ad abbandonare alcuni villaggi. Yigal Allon, il comandante del
Palmach (la "forza d'urto dell'Haganah") disse di aver fatto sì che
degli Ebrei parlassero agli Arabi nei villaggi vicini e dicessero loro
che una grande forza ebraica era in Galilea con l'intenzione di bruciare
tutti i villaggi arabi nella regione del Lago Hula. Agli Arabi fu detto
di andarsene finché erano in tempo e, secondo Allon, fecero proprio
quello [21].

Nell'esempio più drammatico, nell'area Ramle-Lod, le truppe israeliane
che cercavano di proteggere i loro fianchi ed alleviare la pressione
sulla Gerusalemme assediata, costrinsero una parte della popolazione
Araba a recarsi in un'area ad alcune miglia di distanza che era occupata
dalla Legione Araba. "Le due cittadine avevano funto da base per le
unità irregolari arabe, che avevano frequentemente attaccato i convogli
ebraici e gli insediamenti vicini, bloccando al traffico ebraico la via
principale per Gerusalemme" [22].

Come fu chiaro dalle descrizioni di ciò che accadde nelle città con la
più grande popolazione araba, questi casi erano chiaramente le
eccezioni, che spiegano solo una piccola parte dei profughi palestinesi.

16.d. [Mito]

"L'invasione araba ha fatto poco danno agli Arabi palestinesi".

16.d. [Fatti]

Una volta iniziata l'invasione nel Maggio 1948, la maggior parte degli
Arabi rimasti in Palestina partirono per i paesi vicini.
Sorprendentemente, anziché agire come una "quinta colonna"
strategicamente rilevante che avrebbe combattuto gli Ebrei da dentro il
paese, i Palestinesi scelsero di fuggire verso la sicurezza degli altri
paesi arabi, confidando ancora di poter tornare. Uno dei principali
nazionalisti palestinesi dell'epoca, Musa Alami, rivelò l'atteggiamento
degli Arabi in fuga:

Gli Arabi di Palestina lasciarono le loro case, furono dispersi e
persero tutto. Ma lì rimaneva una solida speranza: gli eserciti arabi
erano alla vigilia del loro ingresso in Palestina per salvare il paese e
riportare le cose al loro stato normale, punir l'aggressore e gettare
l'oppressivo Sionismo con i suoi sogni e pericoli in mare. Il 14 Maggio
1948 folle di Arabi erano in piedi lungo le strade che portavano alle
frontiere della Palestina, dando un benvenuto entusiasta agli eserciti
che avanzavano. Passarono i giorni e le settimane, sufficienti per
adempiere alla sacra missione, ma gli eserciti arabi non salvarono il
paese. Non fecero altro che lasciarsi scappar di mano San Giovanni
d'Acri, Sarafand, Lod, Ramle, Nazaret, gran parte del sud ed il resto
del nord. Ed allora la speranza svanì (Middle East Journal, Ottobre
1949).

Come i combattimenti raggiunsero aree che erani prima rimaste
tranquille, gli Arabi iniziarono a vedere la possibilità della
sconfitta. Come la possibilità divenne realtà, la fuga degli Arabi
crebbe - più di 300.000 partirono dopo il 15 Maggio - lasciando circa
160.000 Arabi nello Stato d'Israele [23].

Sebbene la maggior parte degli Arabi fosse fuggita prima del Novembre
1948, ce n'erano ancora che scelsero di partire perfino dopo la fine
delle ostilità. Un esempio interessante è stato l'evacuazione di 3.000
Arabi da Faluja, un villaggio tra Tel Aviv e Bersabea:

Gli osservatori pensano che se fosse stata ben consigliata dopo
l'armistizio israelo-egiziano, la popolazione araba avrebbe potuto
restare, guadagnandoci. Essi affermano che il Governo israeliano aveva
garantito la sicurezza delle persone e dei beni. Ma nessuno sforzo fu
fatto dall'Egitto, dalla Transgiordania o perfino dalla Commissione di
Conciliazione sulla Palestina per consigliare gli Arabi di Faluja ad
agire in un modo o nell'altro (New York Times, 4 Marzo 1949).

"Il problema [dei profughi] fu una conseguenza diretta della guerra che
i Palestinesi - e ... i Paesi arabi confinanti - avevano iniziato" - Lo
storico israeliano Benny Morris, The Guardian, (21 Febbraio 2002).

16.e. [Mito]

"I capi arabi non hanno mai incoraggiato i Palestinesi a fuggire".

16.e. [Fatti]

C'è una congerie di prove che dimostrano che i Palestinesi furono
incoraggiati a lasciare le loro case per aprire la strada agli eserciti
arabi d'invasione.

The Economist, che spesso criticava i Sionisti, riferì il 2 Ottobre
1948: "Dei 62.000 Arabi che una volta vivevano ad Haifa non ne sono
rimasti più di 5.000 o 6.000. Diversi fattori hanno contribuito alla
loro decisione di cercar scampo nella fuga. Ci sono pochi dubbi ormai
che il fattore più potente è stato l'annuncio radiofonico dell'Alto
Comitato Arabo, che ordinava agli Arabi di andarsene ... Fu chiaramente
intimato che quegli Arabi che fossero rimasti ad Haifa ed avessero
accettato la protezione ebraica sarebbero stati trattati da rinnegati".

Il resoconto di Time della battaglia di Haifa (3 Maggio 1948) era
simile: "L'evacuazione di massa, in parte stimolata dalla paura, in
parte dagli ordini dei capi arabi, ha fatto del quartiere arabo di Haifa
una città fantasma ... Ritirando i lavoratori arabi i loro capi
speravano di paralizzare Haifa".

Benny Morris, lo storico che documentò casi in cui dei Palestinesi
furono espulsi, scoprì anche che i capi arabi incoraggiarono i loro
fratelli ad andarsene. Il Comitato Nazionale Arabo a Gerusalemme,
seguendo le istruzioni dell'8 Marzo 1948 dell'Alto Comitato Arabo,
ordinò che le donne, i bambini ed i vecchi di diverse parti di
Gerusalemme abbandonassero le loro case: "Ogni opposizione a
quest'ordine ... è un ostacolo alla guerra santa ... e nuocerà alle
operazioni dei combattenti in questi distretti" (Middle Eastern Studies,
Gennaio 1986).

Morris disse inoltre si dice che ai primi di Maggio delle unità della
Legione Araba ordinarono l'evacuazione di tutte le donne ed i bimbi
dalla cittadina di Beisan. Si dice che l'Esercito di Liberazione Arabo
avesse ordinato l'evacuazione di un altro villaggio a sud di Haifa. La
partenza delle donne e dei bambini, dice Morris, "infiacchì il morale
degli uomini rimasti a guardare le case ed i campi, contribuendo infine
all'evacuazione definitiva dei villaggi. Una simile evacuazione a due
stadi - prima le donne ed i bambini, e gli uomini settimane dopo - si
verificò a Qumiya nella Valle di Izreel, tra i Beduini di Awarna nella
Baia di Haifa ed in diversi altri luoghi".

Chi diede simili ordini? Capi come il Primo Ministro iraqeno Nuri Said,
che dichiarò: "Frantumeremo il paese con le nostre armi e distruggeremo
ogni posto in cui gli Ebrei cercheranno rifugio. Gli Arabi dovrebbero
portare le loro mogli ed i loro figli in zone sicure finché i
combattimenti non saranno terminati" [24].

Il Segretario delll'Ufficio della Lega Araba a Londra, Edward Atiyah,
scrisse nel suo libro "The Arabs": "Quest'esodo all'ingrosso fu dovuto
in parte alla credenza degli Arabi, incoraggiati dalle millanterie di
una stampa araba irrealistica e dalle irresponsabili esternazioni di
alcuni capi arabi che sarebbe stata solo una questione di settimane
prima che gli Ebrei fossero sconfitti dagli eserciti dei Paesi arabi e
gli Arabi palestinesi avessero la possibilità di rientrare e riprendere
possesso del loro paese" [25].

Nelle sue memorie, anche Haled al Azm, il Primo Ministro siriano del
1948-1949, ammise il ruolo arabo nell'aver persuaso i profughi a
partire: "Sin dal 1948 noi abbiamo continuato a chiedere il ritorno dei
profughi alle loro case. Ma siamo stati proprio noi ad incoraggiarli ad
andarsene. Soltanto alcuni mesi separavano la nostra richiesta a loro
perché se ne andassero ed il nostro appello alle Nazioni Unite perché
emanassero una risoluzione sul loro ritorno" [26].

"I profughi confidavano che la loro assenza non sarebbe durata a lungo,
e che sarebbero tornati entro una o due settimane", disse Monsignor
George Hakim, un Vescovo cattolico greco-ortodosso [sic!] di Galilea, al
giornale di Beirut Sada al-Janub (16 Agosto 1948). "I loro capi avevano
promesso loro che gli eserciti arabi avrebbero schiacciato le 'bande
sioniste' assai rapidamente e che non c'era motivo di farsi prendere dal
panico o di temere un lungo esilio".

Il 3 Aprile 1949 la Near East Broadcasting Station (Cipro) disse: "Non
si deve dimenticare che l'Alto Comitato Arabo incoraggiò la fuga dei
rifugiati dalle loro case a Giaffa, Haifa e Gerusalemme" [27].

"I Paesi arabi incoraggiarono gli Arabi di Palestina a lasciare le loro
case temporaneamente in modo da essere lontani dall'itinerario degli
eserciti arabi d'invasione", secondo il giornale giordano Filastin (19
Febbraio 1949).

Un profugo citato nel giornale giordano Ad Difaa (6 Settembre 1954)
disse: "I Governi arabi ci dissero: uscite cosicché noi si possa
entrare. Usciti noi siamo, ma entrati non sono".

"Il Segretario Generale della Lega Araba, Azzam Pasha, rassicurò i
popoli arabi che l'occupazione della Palestina e di Tel Aviv sarebbe
stata tanto semplice quanto una passeggiata militare", disse Habib Issa
nel giornale libanese di New York Al Hoda (8 Giugno 1951). "Egli rimarcò
che essi erano già alla frontiera e che tutti i milioni che gli Ebrei
avevano speso per la terra e lo sviluppo economico sarebbero stati
facile bottino, poiché sarebbe stata una cosa semplice gettare gli Ebrei
nel Mediterraneo ... Fu dato fraterno consiglio agli Arabi di Palestina
di lasciare la loro terra, le loro case ed i loro beni e di stare
temporaneamente negli stati fratelli e confinanti, per evitare che le
armi degli eserciti arabi invasori li falciassero".

Il timore degli Arabi fu naturalmente esacerbato da panzane di atrocità
ebraiche seguite all'attacco di Deir Yassin. La popolazione nativa non
aveva capi che li calmassero; i loro portavoce, come l'Alto Comitato
Arabo, agivano dalla sicurezza degli stati confinanti ed agirono più per
suscitare timori che per placarli. I capi militari locali furono di
consolazione scarsa o nulla. In un caso, il comandante delle truppe
arabe a Safed si recò a Damasco. Il giorno dopo, i suoi soldati si
ritirarono dalla città. Quando i residenti si resero conto di essere
senza difesa, fuggirono in preda al panico [28].

Secondo il Dr. Walid al-Qamhawi, un ex-membro del Comitato Esecutivo
dell'OLP, "furono il timore collettivo, il disintegrarsi del morale ed
il caos in ogni campo ad esiliare gli Arabi di Tiberiade, Haifa e di
dozzine di cittadine e villaggi" [29].

Come il panico si diffuse per tutta la palestina, il rivoletto di
profughi divenne un fiume, arrivando ad oltre 200.000 al momento in cui
il Governo provvisorio dichiarò l'indipendenza dello Stato d'Israele.

Perfino Re Abdullah di Giordania, scrivendo nelle sue memorie, incolpò i
capi palestinesi del problema dei profughi:

"La tragedia dei Palestinesi fu che la gran parte dei loro capi li aveva
paralizzati con promesse false ed infondate che essi non erano soli; che
80 milioni di Arabi e 400 milioni di Mussulmani sarebbero venuti in loro
soccorso all'istante e per miracolo" [30].

"Gli eserciti arabi entrarono in Palestina per proteggere i Palestinesi
dalla tirannia sionista, ma invece li abbandonarono, li costrinsero ad
emigrare ed a lasciare la loro patria, e li rinchiusero in prigioni
simili ai ghetti in cui vivevano un tempo gli Ebrei" - Il Portavoce
dell'OLP Mahmud Abbas ("Abu Mazen") [31].

16.f. [Mito]

"Gli Arabi palestinesi sono dovuti fuggire per non essere massacrati
come era accaduto ai pacifici abitanti di Deir Yassin".

16.f. [Fatti]

Le Nazioni Unite avevano deciso che Gerusalemme fosse una città
internazionalizzata separata dagli stati arabo ed ebraico demarcati
nella risoluzione di partizione. I 150.000 abitanti ebrei erano sotto
costante pressione militare; i 2.500 Ebrei che vivevano nella Città
Antica furono vittime di un blocco arabo che durò cinque mesi prima che
fossero costretti alla resa il 29 Maggio 1948. Prima della resa, e per
tutto l'assedio a Gerusalemme, i convogli ebraici tentarono di
raggiungere la città per alleviare la scarsità di cibo, che in Aprile
era divenuta critica.

Intanto le forze arabe, che si erano impegnate in imboscate sporadiche e
disorganizzate fin dal Dicembre 1947, iniziarono un tentativo
organizzato di tagliare la strada maestra che collegava Tel Aviv a
Gerusalemme - l'unica via per i rifornimenti alla città. Gli Arabi
controllavano diversi punti strategici che guardavano sulla strada e
consentivano loro di sparare ai convogli che cercavano di portare
rifornimenti alla città assediata. Deir Yassin era posto su una collina,
ad un'altezza di poco meno di 800 metri, con una splendida vista sui
dintorni, ed era posto a meno di un miglio dai sobborghi di Gerusalemme.
La popolzione era di 750 abitanti [32].

Il 6 Aprile iniziò l'Operazione Nachshon, volta ad aprire la strada per
Gerusalemme. Il villaggio di Deir Yassin fu compreso nella lista dei
villaggi arabi che si dovevano occupare nel quadro dell'operazione. Il
giorno dopo il comandante dell'Haganah David Shaltiel scrisse ai capi
del Lehi e dell'Irgun:

"Ho saputo che avete in programma un attacco a Deir Yassin. Vorrei far
notare che la presa e la tenuta di Deir Yassin sono una sola fase del
nostro piano strategico. Non mi oppongo a che siate voi a condurre
l'operazione, purché siate capaci di tenere il villaggio. Se non ci
riuscite vi diffido dal farlo saltare in aria, perché i suoi abitanti lo
abbandonerebbero, e le sue rovine e le sue case abbandonate verrebbero
occupate da forze straniere ... Per giunta, se delle forze straniere lo
rilevassero, questo ostacolerebbe il nostro piano strategico per la
creazione di un campo d'aviazione" [33].

L'Irgun decise di attaccare Deir Yassin il 9 Aprile, mentre l'Haganah
era ancora impegnata nella battaglia di Kastel. Questo fu il primo
grande attacco dell'Irgun contro gli Arabi. Prima l'Irgun ed il Lehi
avevano concentrato i loro attacchi contro i Britannici.

Secondo il capo dell'Irgun Menachem Begin, l'attacco fu condotto da 100
membri di quell'organizzazione; altri autori dicono che c'erano 132
uomini di ambo i gruppi. Begin affermò che un camioncino dotato di un
altoparlante fu guidato fino all'ingresso del villaggio prima
dell'attacco, ed emise un'avviso ai civili di evacuare la zona, cosa che
molti fecero [34]. La maggior parte degli autori sostiene che l'avviso
non fu mai emesso perché il camioncino con l'altoparlante finì in un
fossato prima che potesse trasmetterlo [35]. Uno dei combattenti disse
che il fossato fu colmato ed il camioncino proseguì verso il villaggio.
"Uno di noi parlò all'altoparlante in Arabo, dicendo agli abitanti di
gettar le armi e svignarsela. Non so se udirono, ma so che questi
appelli non fecero effetto" [36].

Contrariamente a ciò che sostengono le storie revisioniste per cui la
città era piena di pacifici innocenti, i residenti e dei soldati
stranieri aprirono il fuoco sugli attaccanti. Un combattente descrisse
la sua esperienza:

"La mia unità si lanciò all'attacco e superò la prima fila di case. Fui
tra i primi ad entrare nel villaggio. C'eranno alcuni altri ragazzi con
me, ognuno incoraggiando l'altro ad avanzare. In cima alla strada vidi
un uomo con abiti color cachi che stava correndo in avandi. Pensai che
fosse uno dei nostri e gli dissi: 'Avanza verso quella casa'.
Improvvisamente si voltò, prese la mira col fucile e sparò. Era un
soldato iraqeno, ed io fui colpito al piede" [37].

La battaglia fu feroce e durò diverse ore. L'Irgun subì 41 perdite, tra
cui quattro morti.

Sorprendentemente, dopo il "massacro", l'Irgun scortò per tutta la
cittadina un rappresentante della Croce Rossa e tenne una conferenza
stampa. La successiva descrizione della battaglia compiuta dal New York
Times fu in sostanza uguale a quella di Begin. Il Times disse che oltre
200 Arabi furono uccisi, 40 catturati e 70 donne e bambini poi liberati.
Nell'articolo non si faceva cenno alcuno ad un massacro.

"Paradossalmente, gli Ebrei dicono che circa 250 dei 400 abitanti del
villaggio [furono uccisi], mentre i superstiti arabi dicono solo 110 di
1.000" [38]. Uno studio dell'Università di Bir Zeit, basato su
discussioni con ogni famiglia del villaggio, giunse ad una cifra di 107
civili arabi morti e 12 feriti, insieme con 13 "combattenti", prova che
il numero dei morti fu inferiore al proclamato e che nel villaggio si
erano acquartierati dei soldati [39]. Altre fonti arabe hanno poi
suggerito che il numero avrebbe potuto essere anche inferiore [40].

Di fatto, gli attaccanti lasciarono aperta una via di fuga dal
villaggio, ed oltre 200 residenti se ne andarono illesi. Per esempio,
alle 9:30 del mattino, circa cinque ore dopo l'inizio del combattimento,
il Lehi evacuò 40 vecchi, donne e bambini su un camion e li portò ad una
base a Sheikh Bader. Poi gli Arabi furono portati a Gerusalemme Est.
Vedendo gli Arabi in mano agli Ebrei sollevò il morale della gente di
Gerusalemme, che era in quel momento demoralizzata dagli impasse nei
combattimenti [41]. Un'altra fonte dice che 70 donne e bambini furono
portati via e consegnati ai Britannici [42]. Se l'intento fosse stato
massacrare gli abitanti, non si sarebbe evacuato nessuno.

Dopo che gli Arabi rimasti finsero la resa e poi spararono ai soldati
ebrei, alcuni Ebrei uccisero indiscriminatamente soldati e civili arabi.
Nessuna delle fonti specifica quante donne e bambini furono uccisi (il
resoconto del Times dice che si trattò di circa la metà delle vittime;
le cifre originali sulle perdite vennero dalla fonte Irgun), ma ce
n'erano tra le vittime.

Almeno alcune delle donne che furono uccise erano divenute dei bersagli
a causa di alcuni uomini che tentarono di camuffarsi da donna. Il
comandante dell'Irgun riferì, ad esempio, che gli attaccanti "trovarono
degli uomini vestiti da donna e pertanto iniziarono a sparare alle donne
che non si affrettavano ad andare al luogo designato per raccogliere i
prigionieri" [43]. Un'altra storia fu raccontata da un membro
dell'Haganah che udì un gruppo di Arabi di Deir Yassin che dicevano:
"Gli Ebrei scoprirono che i guerrieri arabi si erano camuffati da donne.
Gli Ebrei perquisivano anche le donne. Una delle persone che veniva
controllata, capì di essere stato scoperto, prese una pistola e colpì il
comandante ebreo. I suoi nemici, pazzi di rabbia, spararono in ogni
direzione ed uccisero gli arabi della zona" [44].

Al contrario di alcune affermazioni dei propagandisti arabi dell'epoca e
qualcuna anche dopo, non si è mai potuto provare che una qualsiasi delle
donne sia stata stuprata. Al contario, tutti gli abitanti del villaggio
intervistati hanno negato l'accusa. Come molte affermazioni, questo fu
un trucco propagandistico deliberato, ma che si ritorse contro i suoi
autori. Hazam Nusseibi, che lavorava per il Servizio Radiodiffusione
della Palestina nel 1948, ammise che gli fu detto da Hussein Khalidi, un
capo arabo palestinese, di inventarsi le accuse di atrocità. Abu Mahmud,
un residente a Deir Yassin nel 1948, disse a Khalidi: "Non c'è stato
stupro", ma Khalidi rispose: "Noi dobbiamo dir questo, cosicché gli
eserciti arabi vengano a liberare la Palestina dagli Ebrei". Nusseibeh
disse alla BBC 50 anni dopo: "Questo è stato il nostro errore più grave.
Non ci rendemmo conto di come avrebbe reagito il nostro popolo. Non
appena essi udirono che delle donne erano state stuprate a Deir Yassin,
i Palestinesi fuggirono terrorizzati" [45].

L'Agenzia Ebraica, non appena avuta notizia dell'attacco, espresse
immediatamente il suo "orrore e disgusto". Essa inviò inoltre una
lettera che esprimeva lo shock e la disapprovazione dell'agenzia al Re
di Transgiordania Abdullah.

L'Alto Comitato Arabo sperava che dei resoconti esagerati su un
"massacro" a Deir Yassin avrebbero scosso la popolazione dei paesi arabi
e li avrebbe indotti a premere sui loro governi per intervenire in
Palestina. Invece, l'impatto immediato fu stimolare un nuovo esodo
palestinese.

Appena quattro giorni dopo la pubblicazioni degli articoli su Deir
Yassin, una forza araba tese un'imboscata ad un convoglio ebraico che si
recava all'Ospedale Hadassah, uccidendo 77 Ebrei, tra cui dottori,
infermiere, pazienti, ed il direttore dell'ospedale. Altre 23 persone
furono ferite. Questo massacro non ricevette molta attenzione, e non
viene mai citato da chi è lesto a tirar fuori Deir Yassin. Comunque, ad
onta di attacchi come questo contro la comunità ebraica in Palestina, in
cui più di 500 Ebrei furono uccisi nei primi quattro mesi dopo la
decisione di spartizione, gli Ebrei non fuggirono.

I Palestinesi sapevano, ad onta di tutta la loro retorica contraria, che
gli Ebrei non stavano tentando di annichilirli; altrimenti non sarebbe
stato permesso loro di evacuare Tiberiade, Haifa, od qualsiasi altra
città catturata dagli Ebrei. Inoltre, i Palestinesi poterono trovar
rifugio negli stati vicini. Ma gli Ebrei non avevano nessun luogo in cui
rifugiarsi se lo avessero voluto. Erano pronti a combattere fino alla
morte per il loro paese. E così fu per molti, dacché gli Arabi erano
interessati ad annichilire gli Ebrei, come palesò il Segretario Generale
della Lega Araba Azzam Pasha in un'intervista alla BBC alla vigilia
della guerra (15 Maggio 1948): "Gli Arabi intendono condurre una guerra
di sterminio ed uno straordinario massacro di cui si parlerà come dei
massacri mongoli e delle Crociate".

I riferimenti a Deir Yassin sono rimasti per decenni un argomento
fondamentale della propaganda anti-israeliana proprio perché l'incidente
fu un caso unico.

16.g. [Mito]

"Israele si è rifiutato di consentire ai Palestinesi di tornare alle
loro case in modo che gli Ebrei potessero rubare i loro beni".

16.g. [Fatti]

Israele non poteva semplicemente consentire a tutti i Palestinesi di
tornare, ma ha sempre cercato una soluzione al problema dei profughi. La
posizione d'Israele fu espressa da David Ben Gurion (1 Agosto 1948).

"Quando i Paesi arabi sono pronti a concludere un trattato di pace con
Israele, questo problema potrà ricevere una soluzione costruttiva come
parte della sistemazione generale, e con la giusta considerazione per le
nostre controrichieste a proposito della distruzione di vite e beni
ebraici, degli interessi a lungo termine delle popolazioni ebraica ed
araba, della stabilità dello Stato d'Israele e della durevolezza delle
basi della pace tra esso ed i suoi vicini, l'attuale posizione e destino
delle comunità ebraiche nei paesi arabi, le responsabilità dei governi
arabi per la loro guerra di aggressione e le loro responsabilità per le
riparazioni, tutto questo conterà nella questione se, fino a che punto,
ed a che condizioni, gli ex-residenti arabi del territorio d'Israele
avranno il permesso di tornare [46].

Il Governo d'Israele non era indifferente alla piaga dei profughi; fu
approvata un'ordinanza che creava un Amministratore delle Proprietà
Abbandonate "per prevenire l'occupazione illegale di case vuote e sedi
commerciali, per amministrare le proprietà senza padrone, e per
garantire la coltivazione dei campi abbandonati, e salvare i raccolti
..." [47].

Il pericolo implicito nel rimpatrio non impedì ad Israele di consentire
ad alcuni rifugiati di ritornare, e di offrirsi di riprenderne un numero
sostanzioso come condizione per firmare un trattato di pace. Nel 1949
Israele si offrì di consentire alle famiglie che furono separate durante
la guerra di ritornare, di sbloccare i conti dei profughi congelati
nelle banche israeliane (furono alla fine sbloccati nel 1953), di
risarcire le terre abbandonate e di rimpatriare 100.000 profughi [48].

Gli Arabi respinsero tutti i compromessi israeliani. Essi non
intendevano compiere alcuna azione che potesse essere interpretata come
riconoscimento d'Israele. Essi fecero del rimpatrio una precondizione
per i negoziati, cosa che Israele rifiutò. Il risultato fu il
confinamento dei profughi nei campi.

Ad onta della posizione presa dai Paesi arabi, Israele sbloccò i conti
bancari congelati dei profughi arabi, il cui totale superava 10 milioni
di Dollari, risarcì in contanti migliaia di richiedenti, e diede
migliaia di ettari di terreno come proprietà alternative.

16.h. [Mito]

"Le risoluzioni dell'ONU chiedono ad Israele di rimpatriare tutti i
profughi palestinesi".

16.h. [Fatti]

Le Nazioni Unite presero in mano il problema dei profughi ed adottarono
la Risoluzione 194 l'11 Dicembre 1948. Essa chiedeva ai Paesi arabi e ad
Israele di risolvere tutti i problemi aperti o direttamente, o con
l'aiuto della Commissione di Conciliazione sulla Palestina creata da
questa risoluzione. Inoltre, il Punto 11 sancisce:

" ... che ai profughi desiderosi di ritornare alle loro case _e di
vivere in pace_ con i loro vicini si dovrebbe permettere di farlo non
appena sia praticamente possibile, e che si dovrebbe pagare un
risarcimento per i beni di coloro che scelgono di non tornare e per la
perdita od il danno di beni che secondo i principi del diritto
internazionale o dell'equità dovrebbero essere risarciti dai Governi o
dalle autorità competenti. Ordina alla Commissione di Conciliazione di
facilitare il rimpatrio, la _risistemazione_ e la riabilitazione
economica e sociale dei profughi ed il pagamento dei risarcimenti ... "
(sottolineature aggiunte).

Le parole sottolineate dimostrano che l'ONU ammetteva che non ci si
poteva aspettare che Israele rimpatriasse una popolazione ostile che
avrebbe potuto mettere la sua sicurezza a repentaglio. La soluzione al
problema, come a tutti i precedenti problemi di profughi, richiedeva che

almeno alcuni Palestinesi si risistemassero in terra araba; inoltre la
risoluzione coniuga il verbo "dovere" al condizionale [should] anziché
all'indicativo [shall], cosa che dal punto di vista giuridico lo svuota
del valore imperativo.

La risoluzione accoglieva gran parte delle preoccupazioni d'Israele a
proposito dei profughi, ritenuti una potenziale quinta colonna se si
consentiva loro di tornare senza condizioni. Gli Israeliani
considerarono la soluzione del problema dei profughi una parte
negoziabile di un complessivo piano di pace. Come spiegò il Presidente
Chaim Weizmann: "Noi siamo ansiosi di aiutare queste risistemazioni,
purché si stabilisca una vera pace ed i Paesi arabi facciano la loro
parte. La soluzione del problema arabo si può ottenere solo attraverso
uno schema di sviluppo di tutto il Medio Oriente, a cui le Nazioni
Unite, i Paesi arabi ed Israele daranno ognuno il suo contributo" [49].

All'epoca gli Israeliani non si aspettavano che il problema dei profughi
diventasse tanto importante; essi pensavano che i Paesi arabi avrebbero
risistemato la maggior parte e che si potesse mettere a punto un
compromesso sul resto nel contesto di un accordo complessivo. Ma gli
Arabi non avevano più voglia di compromessi nel 1949 di quanta ne
avessero nel 1947. Infatti, essi rigettarono la risoluzione ONU
all'unanimità.

La discussione dell'ONU sui profughi era cominciata nell'estate del
1948, prima che Israele avesse ottenuto la piena vittoria militare;
pertanto gli Arabi credevano ancora di poter vincere la guerra e
consentire ai profughi di tornare trionfanti. La posizione araba fu
espressa da Émile Ghoury, Segretario dell'Alto Comitato Arabo:

"È inconcepibile che si debbano rimandare i profughi alle loro case
finché sono occupate dagli Ebrei, dacché questi ultimi li prenderebbero
in ostaggio e li maltratterebbero. Questa proposta non è che un'evasione
dalle responsabilità da parte dei responsabili. Sarà il primo passo per
il riconoscimento arabo dello Stato d'Israele e della spartizione [50].

Gli Arabi chiesero che le Nazioni Unite affermassero il "diritto" dei
Palestinesi di tornare alle loro case, e non intendevano accettare
niente di meno finché la loro sconfitta non divenne a tutti evidente.
Allora gli Arabi reinterpretarono la Risoluzione 194 come se avesse dato
ai profughi il diritto assoluto al rimpatrio e da allora hanno sempre
chiesto che Israele accettasse quest'interpretazione. In ogni caso,
qualunque sia l'interpretazione, la 194, come le altre risoluzioni
dell'Assemblea Generale, non è legalmente vincolante.

"La richiesta palestinese del 'diritto al ritorno' è completamente
irrealistica e la si sarebbe potuta risolvere con risarcimenti monetari
e la risistemazione nei Paesi arabi" - Il Presidente egizio Hosni
Mubarak [51].

16.i. [Mito]

"Israele ha bloccato i negoziati della Commissione di Conciliazione
sulla Palestina".

16.i. [Fatti]

Ai primi del 1949, la Commissione di Conciliazione sulla Palestina aprì
i negoziati a Losanna. Gli Arabi insistettero che Israele cedesse il
territorio perduto nei combattimenti del 1948 ed acconsentisse al
rimpatrio. Gl Israeliani dissero alla commissione che la soluzione del
problema dei profughi dipendeva dalla conclusione della pace.

Israele fece una sostanziosa offerta di rimpatrio durante questi
negoziati. Il governo disse che avrebbe accettato 100.000 profughi nel
quadro di una soluzione generale del problema. Israele sperava che ogni
stato arabo prendesse un simile impegno. L'offerta fu respinta.

Il 1 Aprile 1950 la Lega Araba adottò una soluzione che vietava ai suoi
membri di negoziare con Israele.

La CCP fece un'altro sforzo per riunire le parti nel 1951, ma alla fine
gettò la spugna. Essa riferì:

"I Governi arabi ... non sono del tutto pronti ad implementare il
paragrafo 5 della suddetta risoluzione, che richiede la completa
composizione di tutte le questioni aperte tra loro ed Israele. I Governi
arabi nei loro contatti con la commissione non hanno dimostrato alcuna
disponibilità ad arrivare ad un simile accordo di pace con il Governo
d'Israele [52].

16.j. [Mito]

"I Palestinesi che volevano tornare a casa non erano un pericolo per la
sicurezza d'Israele".

16.j. [Fatti]

Quando si fecero i piani per costituire uno stato ai primi del 1948, i
capi ebraici della Palestina si aspettarono che la nuova nazione avrebbe
incluso una significativa popolazione araba. Dal punto di vista
israeliano ai profughi era già stata data la possibilità di stare nelle
loro case ed essere parte del nuovo stato. E circa 160.000 Arabi avevano
scelto di farlo. Rimpatriare quelli che erano fuggiti sarebbe stato,
nelle parole del Ministro degli Esteri Moshe Sharret, "pazzia suicida"
[53].

Nel mondo arabo, i profughi furono visti come una potenziale quinta
colonna dentro Israele. Come scrisse un giornale libanese:

"Il ritorno dei profughi dovrebbe creare una grande maggioranza araba
che servirà come il più efficace dei mezzi per ripristinare il carattere
arabo della Palestina, formando una possente quinta colonna per il
giorno della vendetta e della resa dei conti" [54].

Gli Arabi credevano che il ritorno dei profughi avrebbe virtualmente
garantito la distruzione d'Israele, un desiderio espresso dal Ministro
degli Esteri Egizio Muhammad Salah ad-Din:

"È beninteso e ben noto che gli Arabi, chiedendo il ritorno dei profughi
in Palestina, intendono il loro ritorno come signori della Madrepatria,
non come schiavi. Ad essere più schietti, essi intendono la liquidazione
dello Stato d'Israele" (Al Misri, 11 Ottobre 1949).

La sventura dei profughi non cambiò dopo la Guerra di Suez. Anzi, anche
la retorica rimase invariata. Nel 1957, la Conferenza dei Profughi ad
Homs, in Siria, approvò una risoluzione che affermava:

"Ogni discussione volta alla soluzione del problema palestinese che non
si basi sull'assicurare il diritto dei profughi ad annientare Israele
sarà ritenuta una profanazione del popolo arabo ed un atto di
tradimento" (Beirut al Massa, 15 Luglio 1957).

Si può tracciare un parallelo con l'epoca della Rivoluzione Americana,
durante la quale molti coloni fedeli all'Inghilterra fuggirono in
Canada. I Britannici vollero che la neonata repubblica consentisse ai
lealisti di tornare per rivendicare le loro proprietà. Benjamin Franklin
respinse la proposta in una lettera a Richard Oswald, il negoziatore
britannico, datata 26 Novembre 1782:

"I Vostri ministri esigono che noi si debba ricevere ancora nel nostro
seno coloro che sono stati i nostri più amari nemici e restituire le
loro proprietà a coloro che hanno distrutto le nostre: e questo quando
le ferite che ci hanno inflitto sanguinano ancora!" [55].

16.k. [Mito]

"I profughi palestinesi sono stati ignorati da un mondo noncurante".

16.k. [Fatti]

L'Assemblea Generale in seguito votò, il 19 Novembre 1948, la fondazione
del Sollievo delle Nazioni Unite per i Profughi Palestinesi (UNRPR) per
somministrare aiuti ai profughi. L'UNRPR fu sostituita l'8 Dicembre 1949
dall'Agenzia per il Sollievo ed i Lavori delle Nazioni Unite (UNWRA), a
cui fu dato un bilancio di 50 Milioni di Dollari.

L'UNWRA fu progettata per continuare il programma di sollievo iniziato
dall'UNRPR, sostituire le erogazioni dirette con lavori pubblici e
promuovere lo sviluppo economico. Nell'ideale dei proponenti il piano,
le erogazioni dirette sarebbero state quasi completamente sostituite da
lavori pubblici, e l'assistenza residua sarebbe stata fornita dai
governi arabi.

L'UNRWA aveva poche possibilità di successo però, dacché cercava di
risolvere un problema politico con mezzi economici. A metà degli anni
'50 era diventato evidente che né i profughi né i Paesi Arabi erano
disposti a cooperare ai progetti di sviluppo su larga scala
originariamente previsti dall'Agenzia come strumento per alleviare la
situazione dei Palestinesi. I Governi arabi, e gli stessi profughi, non
erano disposti a contribuire ad un qualsiasi piano che si potesse
interpretare come un incoraggiamento a risistemarsi. Essi preferirono
aggrapparsi alla loro interpretazione della Risoluzione 194, che essi
ritenevano avrebbe alla fine portato al rimpatrio.

Profughi palestinesi registrati dall'UNRWA [56]:

............ (1) - (2) - ..... (3) - ..... (4)

Giordania ...... - .10 - 1.639.718 - ..287.951
Libano ......... - .12 - ..382.973 - ..214.728
Siria .......... - .10 - ..391.651 - ..109.466
Cisgiordania ... - .19 - ..607.770 - ..163.139
Striscia di Gaza - ..8 - ..852.626 - ..460.031

Totale ......... - .59 - 3.874.738 - 1.235.315

(1) = Zona di operazioni
(2) = Campi ufficiali
(3) = Rifugiati censiti
(4) = Rifugiati censiti nei campi

16.l. [Mito]

"I Paesi arabi hanno fornito gran parte dei fondi per l'aiuto ai
profughi palestinesi".


16.l. [Fatti]

Mentre i profughi ebrei dai Paesi arabi non ricevettero aiuti
internazionali, i Palestinesi ricevettero milioni di dollari attraverso
l'UNRWA. All'inizio, gli Stati Uniti diedero un contributo di 25 Milioni
di Dollari, ed Israele di appena 3 Milioni. L'impegno totale arabo
ammontò a circa 600.000 Dollari. Per i primi 20 anni, gli Stati Uniti
hanno fornito più di due terzi dei fondi, mentre i Paesi arabi
continuarono ad offrirne solo una porzioncella. Israele ha dato più
soldi all'UNRWA della maggior parte dei Paesi arabi. I Sauditi non hanno
raggiunto il contributo israeliano fino al 1973, il Kuwait e la Libia
non lo raggiunsero fino al 1980. Addirittura, nel 1994 Israele ha dato
più denaro all'UNRWA di tutti i Paesi arabi salvo l'Arabia Saudita, il
Kuwait, il Marocco.

Gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggior contribuente
all'organizzazione, che ha donato quasi 90 Milioni di Dollari, circa il
31% delle entrate dell'organizzazione (293 Milioni di Dollari). Intanto,
pur con tutta la retorica sul sostegno alla Palestina, i paesi arabi
hanno contribuito solo per il 2% al bilancio dell'UNRWA [57].

Dopo aver trasferito la responsabilità per praticamente tutta la
popolazione palestinese in Cisgiordania ed a Gaza all'Autorità
Palestinese, Israele non controlla più alcun campo profughi ed ha smesso
di contribuire all'UNRWA. Nel frattempo, oltre a ricevere un'erogazione
annuale dall'UNRWA per i profughi, l'AP ha ricevuto miliardi di dollari
in aiuti internazionali, eppure non è ancora riuscita a costruire una
sola casetta per consentire ad una sola famigliola di uscire da un campo
profughi ed avere una residenza permanente. Dato l'ammontare degli aiuti
(circa 5 Miliardi e mezzo di Dollari fin dal 1993) che l'AP ha ricevuto,
è scioccante ed offensivo che più di mezzo milione di Palestinesi sia
obbligato dai suoi stessi capi a rimanere in squallidi campi.

16.m. [Mito]

"I Paesi arabi hanno sempre dato il benvenuto ai Palestinesi ed hanno
fatto del loro meglio per risistemarli".

16.m. [Fatti]

La Giordania è stata l'unico paese arabo a dare il benvenuto ai
Palestinesi ed ad offrir loro la cittadinanza (fino ad oggi la Giordania
è l'unico paese arabo dove i Palestinesi, intesi come gruppo, possono
diventare cittadini). Re Abdullah considerava gli Arabi palestinesi ed i
Giordani un popolo solo. Nel 1950 egli annesse la Cisgiordania e vietò
l'uso del termine "Palestina" nei documenti ufficiali [58].

Sebbene la demografia mostrasse che c'era ampio spazio per il
reinsediamento in Siria, Damasco rifiutò di prendere in considerazione
l'accettare qualsiasi profugo, salvo quelli che avrebbero potuto
rifiutare il rimpatrio. La Siria ha inoltre rifiutato di risistemare
85.000 profughi nel 1952-1954, sebbene le fossero stati offerti aiuti
internazionali a questo scopo. Anche dall'Iraq ci si aspettava che
accettasse un gran numero di profughi, ma si dimostrò riluttante. Il
Libano insisteva che spazio per i Palestinesi non ne aveva. Nel 1950
l'ONU tentò di risistemare 150.000 profughi da Gaza in Libia, ma ebbe un
altolà dall'Egitto.

Dopo la guerra del 1948, l'Egitto controllava la Striscia di Gaza ed i
suoi abitanti (più di 200.000), ma rifiutò di lasciar entrare i
Palestinesi in Egitto o di consentir loro di trasferirsi altrove. Il
modo in cui l'Egitto trattava i Palestinesi a Gaza era tanto orribile
che la radio dell'Arabia Saudita paragonò il regime di Nasser a Gaza al
dominio hitleriano nell'Europa occupata durante la 2^ Guerra Mondiale
[59].

Nel 1952 l'UNWRA costituì un fondo di 200 Milioni di Dollari per offrire
casa e lavoro ai profughi, ma esso rimase intatto.

"I Paesi Arabi non vogliono risolvere il problema dei profughi. Vogliono
mantenerlo come una piaga aperta, come affronto alle Nazioni Unite ed
arma contro Israele. Non gliene importa nulla ai capi arabi se i
profughi vivono o muoiono" - L'ex-direttore dell'UNRWA Ralph Garroway,
Agosto 1958 [60].

Negli anni seguenti è cambiato ben poco. I governi arabi hanno spesso
offerto lavoro, casa, terra ed altri benefici ad Arabi e non-Arabi,
salvo i Palestinesi. Per esempio, l'Arabia Saudita decise di non
adoperare i profughi palestinesi per alleviare la sua carenza di
manodopera a cavallo tra gli anni '70 ed '80, ed reclutò invece migliaia
di Sud-coreani ed altri Asiatici per coprire i posti.

La situazione è addirittura peggiorata dopo la [Prima] Guerra del Golfo.
Il Kuwait, che impiegava un gran numero di Palestinesi, ma aveva negato
loro la cittadinanza, ne espulse più di 300.000. "Se della gente è una
minaccia per la sicurezza, come stato sovrano abbiamo il diritto di
escludere chiunque non vogliamo", disse l'Ambasciatore kuwaitiano negli
Stati Uniti Saud Nasir As-Sabah (Jerusalem Report, 27 Giugno 1991).

Al giorno d'oggi, i profughi palestinesi in Libano non hanno diritti
sociali e civili, ed un accesso assai limitato alle cure mediche ed
all'istruzione. La maggior parte si affida esclusivamente all'UNRWA come
unica fornitrice di istruzione, sanità, sussidi e servizi sociali.
Considerati stranieri, ai profughi palestinesi la legge vieta di
lavorare in oltre 70 mestieri e professioni [61].

I profughi palestinesi ritennero l'ONU responsabile del miglioramento
della loro condizione; eppure, molti Palestinesi erano infelici del
trattamento ricevuto dai loro fratelli arabi. Alcuni, come il leader
nazionalista palestinese Musa Alami, erano increduli: "È vergognoso che
i Governi arabi impediscano ai profughi arabi di lavorare nei loro paesi
e chiudano loro le porte in faccia e li imprigionino nei campi" [62]. Ma
la maggior parte dei profughi concentrò il loro scontento sui
"Sionisti", incolpando della loro sventura loro, anziché gli eserciti
arabi sconfitti.

16.n. [Mito]

"Milioni di Palestinesi sono confinati in squallidi campi profughi".

16.n. [Fatti]

A metà del 2001, il numero dei profughi palestinesi nei ruoli UNRWA era
salito a 3,9 milioni, cinque o sei volte il numero che aveva lasciato la
Palestina nel 1948. Un terzo dei profughi palestinesi registrati, circa
1,2 milioni, vive in 59 campi profughi riconosciuti in Giordania,
Libano, Siria, Cisgiordania e Gaza. Gli altri due terzi dei profughi
registrati vivono nelle città e cittadine (o nei loro paraggi) dei paesi
ospiti, ed in Cisgiordania ed a Gaza, spesso nei paraggi dei campi
profughi ufficiali [63].

16.o. [Mito]

"Israele ha costretto i profughi palestinesi a rimanere nei campi della
Striscia di Gaza".

16.o. [Fatti]

Durante gli anni in cui Israele ha controllato la Striscia di Gaza, si è
fatto uno sforzo consistente per dare una residenza stabile ai
Palestinesi. I Palestinesi si opposero perché gli abitanti frustrati ed
amareggiati dei campi fornivano manodopera alle diverse fazioni
terroristiche. Inoltre, i Paesi arabi abitualmente spingevano per
l'adozione di risoluzioni ONU che chiedessero ad Israele di desistere
dal trasferire i profughi palestinesi dai campi a Gaza ed in
Cisgiordania. Essi preferivano tenere i Palestinesi come simbolo
dell'oppressione israeliana.

Ora i campi sono nelle mani dell'Autorità Palestinese, ma poco si fa per
migliorare la condizione dei Palestinesi che ci vivono. La giornalista
Netty Gross visitò Gaza e chiese ad un funzionario perché i campi del
luogo non erano stati smantellati. Le si rispose che l'Autorità
Palestinese aveva preso la "decisione politica" di non far nulla per gli
oltre 400.000 Palestinesi che vivevano nei campi finché non avessero
luogo i negoziati conclusivi con Israele (Jerusalem Report, 6 Luglio
1998). Fino ad oggi, l'AP non ha usato un cent dei miliardi di dollari
di aiuti stranieri che ha ricevuto per costruire alloggi permanenti per
i profughi.

16.p. [Mito]

"I profughi sono sempre stati rimpatriati, soltanto ai Palestinesi è
stato impedito di tornare a casa".

16.p. [Fatti]

Ad onta dell'intransigenza araba, nessuno pensava che il problema dei
profughi sarebbe durato. John Blandford Jr., il Direttore dell'UNRWA,
scrisse nel suo rapporto del 29 Novembre 1951 che egli si aspettava che
i Governi arabi si assumessero la responsabilità dei sussidi entro il
Luglio 1952. Inoltre, Blandford evidenziava la necessità di por fine ai
sussidi: "La continuazione dei sussidi porta inevitabilmente in sé il
germe del deterioramento umano" [64].

Ed infatti i Palestinesi sono gli unici profughi divenuti i pupilli
della comunità internazionale.

L'assenso d'Israele ad indennizzare i Palestinesi fuggiti nel 1948 si
può confrontare con il trattamento dei 12 milioni e mezzo di Tedeschi in
Polonia e Cecoslovacchia, che furono espulsi dopo la Seconda Guerra
Mondiale, e fu permesso loro di portar con sé solo ciò che potevano
trasportare. Essi non ricevettero alcun indennizzo per i patrimoni
confiscati. Gli effetti della Seconda Guerra mondiale sui confini e
sulla popolazione della Polonia furono considerati "fatto compiuto" che
non si poteva annullare dopo la guerra.

Un altro paese notevolmente colpito dalla guerra fu la Finlandia, che fu
obbligata a cedere quasi un ottavo del suo territorio e ad assorbire
oltre 400.000 profughi (l'11% della popolazione del paese) dall'Unione
Sovietica. Al contrario d'Israele, questi erano gli _sconfitti_ della
guerra. Non ci fu aiuto alcuno per risistemarli.

Forse una delle migliori analogie si può trovare nell'integrazione di
150.000 profughi turchi dalla Bulgaria nel 1950. La differenza tra il
trattamento dei loro profughi da parte dei Turchi ed il trattamento dei
Palestinesi da parte degli Arabi era l'atteggiamento dei rispettivi
governi.

"La Turchia ha avuto un problema di profughi più grave della Siria o del
Libano, e quasi altrettanto grave dell'Egitto. Ma raramente ne senti
parlare perché i Turchi hanno fatto un così buon lavoro a risitemarli
... La grande differenza è nello spirito. I Turchi, pur assai riluttanti
ad assumersi quel fardello, lo accettarono come una responsabilità e si
misero all'opera per risolverlo il più in fretta possibile [65].

Se i Paesi arabi avessero voluto alleviare le sofferenze dei profughi,
avrebbero potuto facilmente adottare un atteggiamento simile a quello
della Turchia.

Un altro massiccio trasferimento di popolazione derivò dalla spartizione
dell'India e del Pakistan nel 1947. Gli otto _milioni_ di Indù che
abbandonarono il Pakistan, ed i sei _milioni_ di Mussulmani che
lasciarono l'India temevano di divenire una minoranza nei loro
rispettivi paesi. Come i Palestinesi, queste persone non volevano
trovarsi nel mezzo della violenza che si era impadronita delle loro
nazioni. Contrariamente al conflitto arabo-israeliano però, lo scambio
di popolazioni fu considerato la miglior soluzione al problema delle
relazioni tra le due comunità all'interno di ognuno dei due stati. Ad
onta dell'enorme numero di profughi e della relativa povertà delle due
nazioni coinvolte, non furono create organizzazioni speciali
internazionali di sussidio per aiutarli nel reinsediamento.

"... Se ci fosse uno Stato palestinese, perché mai vorrebbero i suoi
capi che i loro potenziali cittadini fossero rimpatriati in un altro
stato? Dal punto di vista della costruzione della nazione, non ha senso
alcuno. Infatti, le prime discussioni sul rimpatrio ci furono in un
periodo in cui non c'era speranza alcuna di uno Stato palestinese. Ora
che emerge la possibilità che quello stato nasca, i Palestinesi devono
decidere se essi vogliono considerarsi uno stato legittimo od è per loro
più importante conservare la loro autodefinizione di profughi oppressi e
senza stato. Non possono proprio essere ambo le cose" - Fredelle Spiegel
[66].

16.q. [Mito]

"Se i profughi palestinesi fossero stati rimpatriati, il conflitto
arabo-israeliano sarebbe potuto terminare".

16.q. [Fatti]

Israele ha sempre cercato una soluzione al problema dei profughi, ma
semplicemente non poteva consentire a tutti i Palestinesi di ritornare.

"Nessun paese, qualunque siano le ragioni ed i torti passati, potrebbe
pensare di accogliere una quinta colonna di quelle dimensioni. E sarebbe
proprio una quinta colonna: gente per vent'anni [nel 1967] allevata
nell'odio e totalmente dedita alla sua distruzione. Riammettere i
profughi equivarrebbe all'ammissione negli USA di circa 70 milioni di
nemici giurati della nazione" [67].

Nel frattempo gli Arabi rifiutavano inflessibilmente di negoziare un
accordo separato. Il punto cruciale era la riluttanza dei Paesi arabi ad
accettare l'esistenza d'Israele. Questo era esemplificato dagli atti
bellicosi del Presidente egizio Nasser verso lo Stato ebraico, che non
avevano nulla a che fare con i Palestinesi. Egli era interessato ai
profughi solo in quanto potessero contribuire al suo scopo ultimo. Come
disse in un'intervista del 1 Settembre 1961: "Se i profughi tornano in
Israele, Israele cesserà di esistere" [68].

16.r. [Mito]

"Israele ha espulso altri Palestinesi nel 1967".

16.r. [Fatti]

Dopo aver ignorato gli avvertimenti israeliani a star fuori dalla
guerra, Re Hussein lanciò un attacc a Gerusalemme, la capitale
d'Israele. L'UNRWA ha stimato che durante i combattimenti 175.000 dei
suoi assistiti sono fuggiti per la seconda volta e circa 350.000 sono
fuggite per la prima volta. Circa 200.000 si trasferirono in Giordania,
115.000 in Siria e circa 35.000 lasciarono il Sinai per l'Egitto. La
maggior parte degli Arabi che partì veniva dalla Cisgiordania.

Israele consentì ad alcune famiglie cisgiordane di tornare. Nel 1967
furono riunite più di 9.000 famiglie, e fino al 1971 Israele aveva
riammesso 40.000 profughi. Di contro, nel Luglio 1968 la Giordania
proibì alle persone che volevano restare in Transgiordania di emigrare
dalla Cisgiordania e da Gaza [69].

Quando il Consiglio di Sicurezza autorizzò U Thant ad inviare un
rappresentante per indagare sul benessere dei civili dopo la guerra,
egli ordinò alla missione di indagare sul trattamento delle minoranze
ebraiche nei paesi arabi, non solo su quello degli Arabi nel territorio
occupato da Israele. La Siria, l'Iraq e l'Egitto rifiutarono di
consentire al rappresentante ONU di compiere la sua indagine [70].

16.s. [Mito]

"L'UNRWA è un'organizzazione puramente umanitaria che non ha
responsabilità alcuna per il terrore e l'istigazione che nasce nei campi
profughi".

16.s. [Fatti]

Il Capo dell'Ufficio Pubbliche Informazioni dell'UNRWA, Paul McCann, ha
sostenuto che "l'UNRWA è scrupolosa nel proteggere le sue strutture
dall'abuso da parte di qualsiasi persona o gruppo. Solo una volta, in
Libano, nel 1982, ci sono state prove credibili di tale abuso da parte
dei Palestinesi, ed abbiamo prontamente affrontato il problema" [71].

Il fatto è che i campi profughi sono stati a lungo dei nidi di
terrorismo, ma la prova non è stata resa pubblica che dopo l'Operazione
Scudo di Difesa condotta da Israele ai primi del 2002. Si è scoperto che
i campi gestiti dall'UNRWA in Cisgiordania avevano delle fabbriche di
armi leggere, laboratori per esplosivi, riserve di armi ed un gran
numero di bombaroli suicidi ed altri terroristi che si facevano scudo
dei profughi.

L'aver mancato l'UNRWA di riferire queste attività o di prevenirle viola
le stesse convenzioni delle Nazioni Unite. Le risoluzioni del Consiglio
di Sicurezza impongono ai rappresentanti dell'UNRWA di intraprendere
"azioni appropriate per contribuire a creare un ambiente sicuro" in
tutte "le situazioni in cui i profughi [sono] ... vulnerabili
all'infiltrazione di elementi armati". A proposito dell'Africa, il
Segretario Generale dell'ONU Kofi Annan disse che i campi profughi
dovrebbero "essere tenuti liberi da ogni presenza od equipaggiamento
militare, comprese le armi e le munizioni" [72]. La stessa norma vale
per i territori contesi.

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mio video contro la guerra (22 messaggi, agg.: 06/07/2007 07:36)

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