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Persecuzione dei Cristiani nel Mondo

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2010 14:14
13/04/2006 14:42
 
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P. George: Nelle prigioni saudite, ho partecipato alle sofferenze di Cristo crocefisso

di Nirmala Carvalho

In un’intervista ad AsiaNews il sacerdote racconta l’arresto al termine della celebrazione della messa e l’interrogatorio; la polizia religiosa conosceva tutti i suoi spostamenti.



Trivandrum (AsiaNews) – “È stata una chiamata a partecipare e servire le sofferenze di Cristo”: così p. George Joshua, 41 anni, descrive i giorni passati in prigione a Riyadh e la sua espulsione dall’Arabia Saudita solo per aver celebrato una messa nel Paese dove la pratica di ogni altra religione, escluso l’Islam, è proibita.
In un’intervista esclusiva ad AsiaNews, p. George, sacerdote cattolico di rito malankar, racconta la sua piccola odissea. Tutto è cominciato la settimana scorsa, quando il p. George, col benestare del suo vescovo, è andato in Arabia saudita per preparare alla Pasqua le migliaia di indiani cattolici che lì vivono senza sacerdoti, eucaristia, o catechesi.

Il 5 aprile scorso P. George si trovava a Riyadh in una sala privata con un gruppo di cattolici stranieri per celebrare la messa. “Ho cominciato l’Eucaristia alle 20.30 ed era dedicata ai malati e a coloro che soffrono. Il rito orientale del Malankar è molto elaborato e la liturgia è durata fino alle 22.30. Avevo appena tolto i paramenti quando un gruppo di poliziotti della muttawa (polizia religiosa) e 2 poliziotti ordinari sono arrivati nella sala. I muttawa hanno un costume speciale e all’inizio ho pensato che fossero dei sacerdoti che volevano aggiungersi a noi”.

“Subito si sono diretti verso di me e mi hanno elencato tutti i luoghi dove io ero stato fino allora, le mie attività, le preghiere di gruppo che avevo organizzato nelle case private, ecc.”.

“Mi hanno domandato che tipo di visto io avevo e ho loro risposto: Un visto per business.

“Al che i muttawa mi dicono: Non lo sai che è illegale svolgere attività cristiane senza un visto speciale per religiosi? E io: Io sono un sacerdote, il mio ‘business’ è Gesù Cristo; per questo il visto da business va bene”.

“I muttawa mi hanno poi costretto a rivestirmi con i paramenti e mi hanno fatto stare di fronte al tavolo usato come altare e davanti a un crocefisso. Hanno scattato un sacco di foto, come prova che io ero un prete cristiano che svolgeva attività religiose illecite”.

“A un certo punto mi fanno parlare al telefono con il quartier generale della Muttawa. Qualcuno mi grida con arroganza: Non sai che posso mandarti in prigione anche per un anno? Io ho detto loro che svolgevo il mio lavoro religioso per la ‘mia’ gente e non per la loro. Gli ho detto che non sono colpevole, sono venuto cosicché, essendo buoni cristiani, possono amare e servire meglio il vostro popolo. Questo è il mio business”.

La muttawa ha portato Thomas, un guardiano sudanese, e me in un ufficio.

La polizie religiosa era entrata nella sala dove avevo finito di celebrare la messa intorno alle 22.30 e mi hanno interrogato fino alle 3 di notte, prima di portarmi al comando. Da lì sono stato portato alla stazione di polizia di Al Badia. Alle 4.30 sono stato gettato nella cella della polizia. Ho provato una sensazione di pace ed un’intensa gioia: Cristo era nato in una stalla, una mangiatoia, ed era morto sulla Croce. Per me partecipare alla sua sofferenza, proprio una settimana prima del Venerdì Santo era un dono speciale. Io ero benedetto”.

La sera di sabato 8 sono atterrato a Trivandrum (Kerala), ospite nella casa dell’arcivescovo.
13/04/2006 23:18
 
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Esprimo la mia solidarietà a questo sacerdote, mentre nel frattempo collaboro nella denuncia del paese per la violazione del diritto alla libertà religiosa.

Va comunque ricordato che anche nel nostro paese le libertà individuali sono spesso soppresse, anche per mano delle proprie comunità religiose. Le conseguenze non saranno le stesse, ma il principio di libertà è comunque impunemente violato.
Non bisogna abbassare la guardia ed attendere che le situazioni precipitino come in questi paesi, dove non sanno nemmeno che cosa siano le libertà di scelta, di coscienza, di parola etc.
Chi è attento al minimo è a maggior ragione attento a questioni più grandi (principio del cristianesimo).
Ci strappiamo giustamente le vesti per quel povero sacerdote, ma spesso ci accorgiamo di non essere altrettanto attenti alle violazioni dei diritti, per fare un esempio, del giudice Tosti e dell'avv. Pucci e di quanti soffrono per mano del potere religioso.

Tanti saluti

Il Gabbiano
14/04/2006 19:07
 
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India: lo Stato del Rajasthan instaura una legge anti-conversione

Lo Stato del Rajasthan è il sesto Stato ad aver votato una
legge che vieta ogni tentativo di convertire una persona che ha
già la sua religione "con l'utilizzo della forza, della
seduzione o con mezzi fraudolenti". La mancata osservanza di questa
legge è punita da 2 a 5 anni di carcere e con una multa di
50000 rupie (950 euro).

Gli ultranazionalisti indù accusano i missionari cristiani di
corrompere e di sedurre gli indù delle caste inferiori
affinché cambino fede. Le opere caritatevoli sono considerate
come dei tentativi di seduzione e possono quindi rientrare
nell'ambito della legge contro il proselitismo ironicamente chiamata
"legge della libertà religiosa". Il BJP (The Bharatiya Janata
Party) partito ultranazionalista indù è riuscito a far
instaurare questa legge in sei stati indiani: il Rajasthan, il
Gujarat, l'Orissa, il Madhya Pradesh, il Chhattisgarh, l'Arunachal
Pradesh. La legge è stata promulgata lo scorso 7 aprile col
pretesto "di mantenere l'armonia tra persone di diverse religioni".

In questi sei stati i missionari e i cristiani sono molestati,
incarcerati e assassinati. Nel 1998, nello Stato del Gujarat, tutti i
luoghi di culto sono stati incendiati. Nel 1999, nello Stato
dell'Orissa, il missionario australiano Staines e i suoi due figli,
dell'età di sette e dieci anni, sono stati bruciati vivi nella
loro macchina. Il missionario Staines lavorava accanto ai lebbrosi da
trentaquattro anni. Nel 2005, i cristiani sono stati vittime di
almeno 200 aggressioni da parte degli ultranazionalisti indù.

In India, i cristiani rappresentano il 2,3 % della popolazione, i
musulmani il 13,4 % e gli indù l'80,5 %.

Magdaléna Morisset

Fonte: www.aleloo.com
18/04/2006 11:37
 
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Copti - Mussulmani
Cairo

After three days of sectarian tension following a series of attacks on Coptic Christian church-goers in Alexandria, activists blamed the government for failing to subdue rising interdenominational friction.

"There have been signs of growing tension between Muslims and Christians for years," said director of the Egyptian Initiative for Personal Rights Hossam Bahgat. "Under the pretext of preserving national unity and harmony, the state has failed to implement adequate strategies - now it's paying the price."

The criticism came after violent street clashes between dozens of Christians and Muslims in the Mediterranean port city of Alexandria, 225 km north of Cairo, entered their fourth day. The clashes first broke out during the funeral on 15 April of Sobhi Girgis, an elderly Copt who died from stab wounds inflicted the day before, and continued through the next day.

The alleged perpetrator of the attack, described by the interior ministry as "mentally unstable", reportedly entered two separate churches on 13 April wielding a knife, where he injured five people and killed one before being caught trying to enter a third church.

According to the interior ministry, clashes broke out the following day when Christian and Muslim "fundamentalists and extremists" hurled rocks and bottles at each other, set fire to cars and destroyed public and private property. Dozens of rioters from both sides have since been arrested, while security forces have reportedly stepped up their presence in Alexandria. There have also been unconfirmed reports of the death of a Muslim man wounded during the disturbances.

Meanwhile, the government blamed the clashes on the existence of "extremist elements" on both sides. "In general, relations between Muslims and Christians in Egypt are very good," said an interior ministry official on condition of anonymity. "The attack on the church was an exception to the rule of good coexistence."

According to veteran local journalist Gamal Essam al-Din, political discourse has also worked against national unity. "Regardless of what Islamist groups say to the media about coexistence, they encourage sectarian hatred with slogans that mix politics and religion," he said.

On the party's website, however, the Muslim Brotherhood condemned the attacks as "cowardly". The online statement also urged an end to the clashes and warned against "exploiting these random acts of violence either to paint a false picture of religious persecution of Copts in Egypt or to be used by the government as an excuse to extend the emergency law".

While relations between Christians and Muslims are generally peaceful, two prominent incidents of sectarian violence have taken place over the past year: one in Alexandria in October of last year, and another near the Upper Egyptian city of Luxor in January.

Many Coptic Christians, who comprise approximately 10 percent of Egypt's population of 70 million, say they suffer from discrimination, mostly in the form of job exclusion in the civil services. "There are growing signs of anti-Christian sentiments in Egypt," said leading Coptic thinker Samir Morcos. "Growing religiosity in Egypt only compounds such sentiments, while the government turns a blind eye to its responsibility to work harder to promote notions of citizenship."

In an attempt to show that the government does not discriminate against the country's Christian minority, a full half of the executive appointments to the People's Assembly after last year's parliamentary elections were Copts.

Nevertheless, pointing to the recent occurrence of similar incidents, activists criticised the authorities for treating them as isolated acts. "The government resorts to describing such acts as perpetrated by madmen, and fails to act on the pattern," said Nigad al-Borai, director of the Cairo-based Group for the Development of Democracy. "Meanwhile, the legitimate concerns of both Muslims and Copts aren't dealt with."

That pattern, say activists, is the result of social frustrations harboured by both Muslims and Christians, which are then powered by an increasingly politicised religious discourse visible in media and educational outlets. "The fact that the man accused of the stabbings in Alexandria said he was acting to avenge insults to the Prophet Muhammad by the Danish press is worrying," said al-Borai, adding that the Egyptian media played no small part in enflaming passions during that crisis in an apparent bid to compete with Islamist-leaning publications.

Relevant Links

North Africa
Crime and Corruption
Egypt
Religion
Legal and Judicial Affairs
Human Rights



Another source of the problem, activists maintained, is a continued policy of exclusion - both of Muslims and Christians - from debate on religious and social issues alike. "The violence is the result of an exclusion from debate on religious and social matters, which is enforced by the emergency law," said George Ishaq, coordinator of the Kifaya opposition movement. "If such matters were open to discussion, rather than being hijacked by state security under the emergency law, then it wouldn't be hard for people to reconcile their differences."

Ishaq added, however, that it was not unlikely that the incident was instigated by foreign agents in a bid to stir up instability in Egypt. "Nevertheless, the matter should be dealt with in a national context," he said. "Civil society needs to act in order to promote education and better media coverage of religious and sectarian affairs."

17/05/2006 13:51
 
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ASIA/SRI LANKA - Continua l’escalation di violenza, gli operatori umanitari lasciano il paese

Colombo (Agenzia Fides) - I timori espressi nelle settimane scorse si stanno trasformando in realtà: molte organizzazioni non governative internazionali stanno chiudendo i progetti di ricostruzione post-tsunami, lasciando lo Sri Lanka. La difficile situazione di violenza attualmente in corso non garantisce la sicurezza degli operatori. Come denunciato dalla Chiesa locale, dalla Caritas Internationalis (che aveva definito la guerra “un secondo tsunami”) e da numerose organizzazioni non governative, l’escalation di violenze incide pesantemente sui lavori di ricostruzione
Numerosi operatori hanno dovuto lasciare l’area Nord-Est del paese, centro degli scontri. Alcuni progetti nell’area procedono grazie alla rete di collaboratori locali, ma molti risentiranno dell’assenza dei coordinatori e degli operatori umanitari stranieri.
La popolazione intanto “si sente quasi spettatrice di una tragedia che nessuno vuole e alla quale, però, non ci si può opporre”, notano alcuni operatori del Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (Vis), mentre gli osservatori parlano già di “conflitto civile a bassa intensità”.
Soprattutto nel Nordest dell’isola numerose famiglie hanno abbandonato le proprie abitazioni e c’è grande incertezza per il futuro. Nel resto del paese - anche se il rischio di una nuova ondata di ostilità si percepisce in misura minore - molte aree sono fortemente militarizzate. “Quel sentimento di appartenenza comune del popolo srilankese, affiorato dopo lo tsunami, sembra sparito. Anzi, il maremoto sembra ormai dimenticato, così come le speranze di concordia. Il nuovo presidente non trova la strada del dialogo, le pressioni della comunità internazionale non hanno portato a grandi risultati”, nota il Vis che un mese fa a Kallampathai, 40 chilometri da Trincomalee, ha consegnato 86 nuove abitazioni agli sfollati dello tsunami.
Intanto nell’ultimo fine-settimana le vittime del conflitto sono state almeno 19 e “il cessate-il-fuoco siglato nel 2002 resta ormai lettera morta”, come affermano fonti della Chiesa locale, notando che nell’ultimo mese il conteggio delle vittime tocca quota 200

«Il Mondo non sarà mai abbastanza vasto, né l’Umanità abbastanza forte per essere degni di Colui che li ha creati e vi si è incarnato»
(P. Teilhard de Chardin, La vision du passé, in “Inno dell’universo”, Queriniana, Brescia 1995, p. 76)>>



06/06/2006 16:34
 
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ASIA/PAKISTAN - Conversioni forzate all’islam: denunce dei cristiani e delle altre comunità religiose di minoranza

Lahore (Agenzia Fides) - Il fenomeno delle conversioni forzate all’islam sta creando preoccupazioni nella comunità cristiana e in altre minoranze religiose del Pakistan.
Di recente un forum di leader religiosi ha scritto un documento dal titolo “Conversioni forzate di donne e diritti delle minoranze in Pakistan” che ha lanciato l’allarme per una pratica che si diffonde con crescente capillarità nel paese, soprattutto a scapito di donne e bambini. Fra i firmatari del documento, Mons. Joseph Cutts,Vescovo di Faisalabad, ha notato: “E’ triste constatare che le minoranze religiose, in particolare i cristiani e gli indù, non possano godere dell’uguaglianza dei diritti, un principio sancito nella Costituzione del Pakistan”.
A essere interessate dal fenomeno delle “conversioni forzate” sono soprattutto le province del Punjab, della Frontiera di Nord Ovest e del Sind, dove è diffuso un islam integralista che vede la presenza di comunità religiose diverse come “corpi estranei” nella società pakistana. Spesso la bassa condizione sociale delle comunità cristiane, indù e sikh, è un elemento sfavorevole: i grandi proprietari terrieri, tutti musulmani, chiedono ai contadini di convertirsi all’islam prima di dare loro un lavoro oppure, forti del loro potere economico e politico, sequestrano giovani donne, le costringono a convertirsi all’islam e le prendono come mogli.
Secondo diverse organizzazioni non governative che monitorano la situazione dei diritti umani in Pakistan, il fenomeno delle conversioni forzate all’islam è diffuso e molto preoccupante, soprattutto perché nessuno cerca di mettere un freno alla pratica, e si agisce nella più completa impunità. I leader delle associazioni civili e i leader religiosi hanno deciso di stilare un documento che raccolga gli episodi più eclatanti, di sottoporlo alle autorità civili e politiche, di lanciare una campagna di pressione internazionale.
La Chiesa in Pakistan, attraverso la Commissione “Giustizia e pace” e la Caritas è in prima linea in questa lotta e da anni sta conducendo una campagna a largo raggio in difesa delle minoranze religiose. Fra le proposte in agenda, vi è l’abolizione della “legge sulla blasfemia”, ritenuta ingiusta, iniqua e discriminatoria. In Pakistan, su 156 milioni di persone, la popolazione è al 96% musulmana. I cristiani sono il 2,5% (circa 1,2 milioni i cattolici), gli indù l’1,5%. [SM=x511458]
03/07/2006 14:19
 
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2 Luglio 2006
TURCHIA
Turchia, aggredito sacerdote cattolico

Aveva riaperto la chiesa di don Andrea Santoro. Ferito ad un fianco, è ricoverato in ospedale non in pericolo di vita. Già fermato il suo aggressore.



Trabzon (AsiaNews) – Un sacerdote cattolico di nazionalità francese, padre Pierre Brunissen, è stato accoltellato oggi in Turchia da uno sconosciuto, subito fermato dalla polizia.

Il sacerdote aveva riaperto la chiesa di don Andrea Santoro, il sacerdote italiano assassinato il 5 febbraio scorso mentre pregava nella sua chiesa di Trabzon.

Secondo un funzionario della polizia locale, il sacerdote cattolico è stato aggredito in una strada di Samsun, località balneare a circa 350 chilometri da Trabzon, e ferito a un fianco.

Padre Brunissen è stato ricoverato in un ospedale del posto, ma non è in pericolo di vita. L'aggressione è avvenuta a un chilometro circa dalla chiesa in cui il sacerdote esercita il suo magistero.

La conferma della sua identità e la situazione di salute del padre sono state confermate dal nunzio apostolico in Turchia, mons. Antonio Lucibello.

Il 5 marzo scorso padre Brunissen aveva riaperto con una funzione eucaristica la chiesa di S.Maria a Trebisonda, la chiesa in cui era parroco don Andrea Santoro.

Il 21 febbraio scorso alcuni giovani - bollati dalla polizia locale come “drogati” - sono penetrati nella chiesa di Samsun ed hanno minacciato don Pierre Brunissen.

Si tratta del terzo attacco contro esponenti cattolici avvenuto in Turchia: dopo la tragica morte di don Santoro, infatti, aveva ricevuto minacce di morte un francescano sempre di Trebisonda. cvbn
15/09/2006 13:29
 
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14 Settembre 2006
CINA - VATICANO
Arrestato il vescovo di Zhouzhi, aveva sfidato il governo per amore del Papa

L’11 settembre scorso un commando di circa 30 poliziotti ha scavalcato il muro della parrocchia dove vive mons. Wu Qinjing e l’ha portato via senza alcuna accusa dopo aver molestato un sacerdote 80enne e delle suore . Il presule, della Chiesa ufficiale, era stato ordinato da mons. Li Duan senza il permesso del governo.



Zhouzhi (AsiaNews) – La polizia della provincia settentrionale dello Shaanxi ha arrestato il vescovo di Zhouzhi, mons. Martino Wu Qinjing, l’11 settembre scorso: per non scendere a compromessi con la sua fede e la lealtà al Papa, aveva celebrato una messa solenne nonostante le minacce del governo. Lo denuncia ad AsiaNews una fonte locale, anonima per motivi di sicurezza.

Alle dieci di sera dell’11, circa 30 poliziotti - arrivati con 4 autoblindo – si sono fermati davanti alla parrocchia maggiore della diocesi e, trovata chiusa la porta, hanno scavalcato il muro e svegliato il vescovo.

Gli agenti, con atteggiamento violento, hanno allontanato un anziano sacerdote di 80 anni, quattro seminaristi e quattro suore che cercavano di fermarli. Appena arrivati davanti al presule lo hanno minacciato ed arrestato: la polizia non ha fornito alcuna accusa contro di lui e l’ha portato in un luogo sconosciuto. Non è chiaro se siano state arrestate anche le religiose.

Il presule, è un vescovo della Chiesa ufficiale. É stato ordinato nell’ottobre del 2005 dal defunto arcivescovo di Xian, mons. Antonio Li Duan. La sua ordinazione - approvata dalla Santa Sede - non è stata riconosciuta dal governo, che la definisce “illegale”.

In realtà le autorità locali avevano pensato di mettere al posto di mons. Wu un altro sacerdote, Zhao Yinshen, famoso per il suo fiuto negli affari e per aver fatto favori al governo. L’unico problema è che nessuno dei cattolici locali lo rispetta, tranne pochissimi membri dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi [Ap, organizzazione di controllo della Chiesa in Cina che ha come scopo l’edificazione di una chiesa nazionalista e separata da Roma ndr].


Sin dall’ordinazione, il governo ha avvertito il presule di “non comportarsi da vescovo” e mantenere un basso profilo nei confronti dei fedeli: egli è stato molestato in continuazione dalla polizia che è arrivata ad impedirgli di portare avanti il suo ministero, “fermandolo per controlli” ogni volta che vi erano occasioni pubbliche come prime comunioni o cresime.

La sua ordinazione è stata resa finalmente pubblica il 22 maggio scorso. Il 25 dello stesso mese è morto mons. Li Duan e due giorni dopo, nonostante le minacce del governo, mons. Wu ha celebrato la messa nella cattedrale di Zhouzhi: non indossava i paramenti episcopali ma aveva in testa lo zucchetto episcopale e portava al dito l’anello pastorale.

Secondo una fonte locale, l’Ap “lo ha avvertito, poi gli ha chiesto ed infine ordinato di non comportarsi da vescovo: quella di maggio è stata la sfida finale”. “Il nostro vescovo – continua la fonte - vorrebbe dare al governo il tempo necessario per farsi riconoscere, ma nello stesso tempo è fermo nel proposito di non scendere a compromessi con la fede cattolica e con la lealtà al Papa”.

La diocesi di Zhouzhi ha 60 mila cattolici, 54 sacerdoti, 200 chiese, 120 seminaristi e 208 religiose. “Questo modo di comportarsi – conclude la fonte – è degno dei terroristi e fa piangere chiunque ami la pace. Chiediamo a tutti di pregare per il nostro vescovo, affinché torni presto ed in salute”. [SM=x511472]

23/09/2006 13:00
 
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Esecuzione ..ma chi se frega

PALU (Indonesia) - Tre cattolici sono stati fucilati nella provincia indonesiana di Sulawesi. Erano stati condannati a morte nel 2001 per aver capeggiato l'anno prima un attacco a una scuola islamica di Poso in cui erano stati uccisi oltre 200 musulmani. Il sanguinoso episodio era avvenuto in un periodo di violenti scontri tra le due confessioni religiose. Secondo diverse organizzazioni umanitarie, l'iter giuridico che ha portato alle sentenze di condanna è stato viziato da varie irregolarità, quali testimonianze non ascoltate e prove non accettate.

Un funzionario di polizia trinceratosi dietro l'anonimato ha riferito che Fabianus Tibo, Marianus Riwu e Dominggus Silva sono stati giustiziati nei pressi dell'aeroporto di Palu, capoluogo della provincia. In un primo momento l'esecuzione era stata fissata per agosto ma all'ultimo momento era stata rinviata per le manifestazioni inscenate da migliaia di indonesiani e per un appello lanciato da papa Benedetto XVI.

L'anno scorso il presidente Susilo Bambang Yudhoyono aveva respinto la richiesta di grazia avanzata dai tre condannati, che avevano invocato clemenza ancora una volta il mese scorso.

Padre Federico Lombardi, direttore della sala Stampa del Vaticano, si è detto sgomento per la notizia dell'esecuzione: "E' una notizia tristissima e dolorosa. Ogni volta che viene eseguita una pena capitale è una sconfitta per l'umanità. Spiace che gli sforzi fatti da varie organizzazioni, tra cui anche Sant'Egidio, non abbiano avuto successo. Anche il Papa era intervenuto con un appello". [SM=x511472]
04/04/2007 17:45
 
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ASIA/FILIPPINE - Ucciso da criminali comuni un missionario Verbita nel Nord delle Filippine
Manila (Agenzia Fides) - Si conferma la pista della criminalità comune e del banditismo per la morte del sacerdote cattolico indonesiano assassinato il 1° aprile nella provincia di Kalinga, nel Nord dell’isola di Luzon, una fra le maggior isole delle Filippine. Padre Franciskus Madhu, 30 anni, della Società del Verbo Divino, si apprestava a celebrare la Santa Messa della Domenica della Palme nella chiesa del villaggio di Labuagan, quando è stato avvicinato da quattro uomini, uno dei quali ha esploso sei colpi contro di lui, uccidendolo con un fucile da guerra M-16.
La polizia è sulle tracce dell’assassino, identificato come Nestor Wailan, un contadino di Lubuagan, e dei suoi complici. Secondo fonti di polizia, l’omicida, già ricercato per altri crimini, aveva minacciato il missionario poche ore prima dell’agguato. Sembra che la banda forse sotto gli effetti dell’alcool. Stando a queste informazioni, sparse e frammentarie, il movente dell’omicidio non sembra essere legato all’attività pastorale o missionaria del sacerdote, impegnato al servizio della comunità locale dal 2005. “L’omicida è un uomo con problemi personali, ricercato dalla polizia”, ha spiegato P. Antonio Pernia, Superiore Generale dei Missionari Verbiti.
P. Franciskus era nato nel 1976. Ha emesso i voti perpetui nella Società del Verbo Divino nel 2003 ed è stato ordinato sacerdote nel 2004. Era in servizio presso la stazione missionaria di Lubuagan, nella provincia montuosa di Kalinga. I suoi parrocchiani e confratelli lo ricordano come una persona gentile, sempre disponibile e solidale con le necessità del prossimo, attivo e loquace.
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