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Augias - Pesce : Inchiesta su Gesù

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2008 13:38
24/11/2006 00:45
 
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“L'articolo che lessi tempo addietro si rifaceva ai testi di Nah Hammadi ed Ossirinco.”

Sì ma quali, sono moltissimi.

“Siccome siamo in tema vorrei riportare un intervsta ad uno die più stimati biblisti italiani, il Professor Barbaglio.”

Mi sembra del tutto condivisibile tranne che in due punti dove ho un’opinione diversa.

“Anzitutto il dato storico altamente probabile, se non certo, che Gesù è nato effettivamente a Nazaret; non per nulla è stato chiamato il nazareno e il profeta di Galilea.”

Questo non lo condivido. L’idea adesso è di moda tra gli studiosi cattolici, e Barbaglio ne è un esempio, grazie al Meier, e si basa sul fatto che giacché secondo le profezie il messia sarebbe venuto da Betlemme gli agiografi avrebbero inventato il viaggio da Nazareth alla Giudea per fra quadrare la vita del messia con le predizioni dell’AT. Qui abbiamo un movente, ma come insegna il diritto penale un movente non è ancora una prova. A mio avviso qui per dimostrarsi “aggiornati” davanti ai colleghi si tende a diventare ipercritici e ad agire in base al paradigma “colpevole fino a prova contraria”. Qui basta un movente per lanciare l’accusa, e ci si aspetta che sia la scienza storica a discolpare i Vangeli, dimenticando che prima di discolparsi di qualcosa bisogna fondare l’accusa.
Siccome Gesù è il Dio degli occidentali, e gli occidentali si caratterizzano per il fatto che bersagliare la religione è un diritto costituzionale, su quest’argomento salta fuori una panzana al giorno e ormai nelle università ci si è fatti il callo. Oggi ero in biblioteca e m’è scappato l’occhio su una rivista dell’anno scorso, un numero di Archaeology del novembre 2005, con in copertina un’inquietante “Where was Jesus Born?”. Mi aspettavo di trovare il solito: non è nato a Beltlemme ma a Nazareth, invece la tesi era questa: non è nato a Betlemme di Giudea ma nell’omonima Beltlemme di Galilea, molto più vicina a Nazareth e dunque più plausibile. Dunque sarebbe davvero nato in una Beltlemme e gli agiografi colsero l’occasione per accordare ciò alle profezie dell’Antico Testamento con un’aggiustatina di assai minor calibro: è bastato loro cambiare regione. Secondo voi l’articolo portava delle argomentazioni serie? Ovviamente no, perché l’importante non è dimostrare qualcosa ma sparare a zero sui Vangeli per dimostrare a tutto il mondo accademico quanto si è evoluti, quando si è “liberi”. Quella rivista a mio avviso ultimamente si sta dando troppo alla cosiddetta “archeologia dei misteri”, e fa uscire solo articoli la cui prima parola è “Secrets”, dai segreti dei Maya a quelli delle piramidi egizie, in realtà l’unico mistero è perché al dipartimento di archeologia non abbiano ancora disdetto l’abbonamento da una rivista simile.

“Ora la tradizione cristiana, che parte da Girolamo, ha trovato l'escamotage di ritenerli dei cugini e, strano a dirsi, non si parla delle sue sorelle come cugine, per salvare la verginità perpetua di Maria. Ma si tratta di una spiegazione che ha pochissime possibilità di essere buona.”

Anche qui dobbiamo ringraziare Meier di questo “aggiornamento” perché molti studiosi cattolici sono su questa scia grazie a lui, meditando che se il più grande biblista americano pensa una cosa simile allora l’ipotesi non è poi così balzana, specie se i suoi libri escono regolarmente con l’imprimatur. Questa opinione per un cattolico è possibile perché pochi sanno che mentre la verginità ante partum è dogma, quella in e post partum invece è solo verità cattolica e dunque non si è eretici a negarla. Questo è stato portato il Luce soprattutto da Rahner nei suoi saggi sul dogma.
Comunque c’è un errore nella frase di Barbaglio, l’idea che i fratelli di Gesù siano suoi cugini è attestata per la prima volta non con Girolamo ma in Egesippo, nel Vangelo di Pietro (ce lo dice Origene nel comm.in Mt 10,17), nel protovangelo di Giacomo(8,3; 9,2; 17,1s; 18,1), dunque già dal II secolo. Al contrario non è stato possibile rintracciare nessuno che prima del 200 d.C. (cioè inizio III secolo), ci dica che i fratelli di Gesù sono figli di Maria.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 24/11/2006 0.47]

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24/11/2006 09:54
 
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“Mi sembra del tutto condivisibile tranne che in due punti dove ho un’opinione diversa”

Ma scusa Polymetis, a volte davvero non capisco. Non capisco perché parli di moda, se vogliamo dare una parvenza di rigorosità a queste ricerche non possiamo buttarla sulla “moda” altrimenti è davvero finita e diamo ragione a Feyerabend e alle sue estremizzazioni in merito alla scienza al pari degli stregoni e dunque al più radicale relativismo cognitivo. Non ho letto i passaggi logici che portano Barbaglio, Meier e molti altri a ritenere che Gesù non potesse in alcun modo essere nato a Betlemme, ma sono certo che non possono essere solo quelle da te esposte altrimenti, ai miei occhi, tutta la ricerca sul Gesù storico e l’autorevolezza di tutti questi “esimi” studiosi perderebbe ogni credibilità. Ne posso credere che Meier & c. si basino sul principio “colpevole fino a prova contraria” senza altri dati a suffragio delle loro tesi. Sai, fosse un singolo pazzo, ci può stare, ma siamo di fronte a nomi di rilievo anche in ambito cattolico. Studiando i vangeli tutti si sono resi conto che non sono una cronaca bensì una rielaborazione teologica dovuta tra l’altro ad un lungo lavoro redazionale, è dunque più che lecito vagliare criticamente ogni singolo versetto cercandone conferme storiche piuttosto che smentite.

“Questa opinione per un cattolico è possibile perché pochi sanno che mentre la verginità ante partum è dogma, quella in e post partum invece è solo verità cattolica e dunque non si è eretici a negarla. Questo è stato portato il Luce soprattutto da Rahner nei suoi saggi sul dogma"

Anche questa teoria della differenza tra verità cattolica e dogma mi lascia davvero perplesso. Che la CCR sia relativista in merito alle proprie verità cattoliche ? mah… io da quando esisto ho sempre sentito tutti i cattolici papi in testa, affermare senza alcun ombra di dubbio la perpetua verginità di Maria, prima dopo durante e per sempre. Come si faccia ora a ritenere “non contraddittoria” una affermazione del genere non riesco davvero a concepirlo. L'unica spiegazione razionale è che si cerchi sempre e comunque di salvare capra e cavoli.

“Comunque c’è un errore nella frase di Barbaglio, l’idea che i fratelli di Gesù siano suoi cugini è attestata per la prima volta non con Girolamo ma in Egesippo, nel Vangelo di Pietro (ce lo dice Origene nel comm.in Mt 10,17), nel protovangelo di Giacomo(8,3; 9,2; 17,1s; 18,1), dunque già dal II secolo. Al contrario non è stato possibile rintracciare nessuno che prima del 200 d.C. (cioè inizio III secolo), ci dica che i fratelli di Gesù sono figli di Maria.”

Anche qui non voglio entrare nel merito perché dovrei prima analizzare tutti i testi, tuttavia prima di dire che Barbaglio ha fatto un errore forse occorrerebbe analizzare il suo lavoro piuttosto che una sua intervista nella quale, si sa, non si è mai rigorosi e forse la sua frase lasciava intendere qualcos’altro. Sono più che convinto che Barbaglio come Pesce Cacitti Lupieri Filoramo conoscano perfettamente tutte le fonti di quel periodo, se dovessi scoprire che cadono in banali errori e che sono così superficiali da poter essere presi in castagna in un post di poche righe scritto da un non addetto ai lavori, be mi dovrebbero spiegare gli altri accademici in base a quali criteri annoverano questi ricercatori tra “i più stimati biblisti italiani”. Se partiamo da questo presupposto, allora fa bene Donnini a scrivere quel che gli pare, tanto il livello è il medesimo.


Saluti
Andrea

[Modificato da spirito!libero 24/11/2006 9.59]

24/11/2006 13:02
 
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“n capisco perché parli di moda, se vogliamo dare una parvenza di rigorosità a queste ricerche non possiamo buttarla sulla “moda” altrimenti è davvero finita”

nelle ricerche accademiche su Gesù purtroppo le mode e le correnti esistono davvero, questo perché tutto consiste nello scegliere che cosa tenere e che cosa no dei Vangeli, e ognuno lo fa con criteri più o meno condivisibili.

“diamo ragione a Feyerabend e alle sue estremizzazioni in merito alla scienza al pari degli stregoni”

Feyerabend ha solo per una categoria di scienziati: gli psicanalisti. Con un paradigma strutturalista è indubitabile che lo psicanalista nella Vienna dell’epoca di Freud abbia la stessa funzione degli stregoni delle comunità primitive.

“Meier e molti altri a ritenere che Gesù non potesse in alcun modo essere nato a Betlemme, ma sono certo che non possono essere solo quelle da te esposte altrimenti, ai miei occhi, tutta la ricerca sul Gesù storico e l’autorevolezza di tutti questi “esimi” studiosi perderebbe ogni credibilità”

Le argomentazioni sono solo 2:
-Gesù nel resto dei Vangeli è detto nazareno o comunque chiamato “Gesù di Nazareth”
-A Beltlemme doveva nascere il messia e dunque c’è un movente per una leggenda postuma.

“Barbaglio, Meier e molti altri a ritenere che Gesù non potesse in alcun modo essere nato a Betlemme”

Veramente nessuno mi pare sia stato così categorico.

“Ne posso credere che Meier & c. si basino sul principio “colpevole fino a prova contraria” senza altri dati a suffragio delle loro tesi.”

T’assicuro che in questo caso basta a loro il movente. Esattamente come la strage degli innocenti viene rifiutata perché assomiglia troppo alla strage dei primogeniti fatta dal faraone, e dunque si sospetta che l’agiografo volesse equiparare Gesù a Mosè.

“. Studiando i vangeli tutti si sono resi conto che non sono una cronaca bensì una rielaborazione teologica dovuta tra l’altro ad un lungo lavoro redazionale, è dunque più che lecito vagliare criticamente ogni singolo versetto cercandone conferme storiche piuttosto che smentite.”

Non facciamo due passi anziché uno. Quello che s’è capito è che i Vangeli non sono né vogliono essere cronache in quanto gli agiografi illuminano retrospettivamente la vita di Cristo alla luce del cosiddetto “evento Pasqua”, da qui la dicitura “catechesi postpasquale” per alcuni discorsi dei Vangeli come le frasi dei discepoli di Emmaus. Ma da qui ad inventare episodi, anziché reintepretarli, ne passa di acqua sotto i ponti. Si passa dalla rilettura di fede alla frode consapevole, e nessuno è mai riuscito a provare questo secondo passaggio.

“Anche questa teoria della differenza tra verità cattolica e dogma mi lascia davvero perplesso. Che la CCR sia relativista in merito alle proprie verità cattoliche ?”

Semplicemente ci sono verità credute dalla Chiesa sulle quali perché non c’è la certezza del dogma. Questo non vuol dire che i cattolici in generale non vi credano, si dice solo però che non è eresia negarle, cioè non basta a fare uscire dalla comunione ecclesiale, altrimenti i libri di Meier non uscirebbero con l’imprimatur.

“tuttavia prima di dire che Barbaglio ha fatto un errore forse occorrerebbe analizzare il suo lavoro piuttosto che una sua intervista nella quale, si sa, non si è mai rigorosi e forse la sua frase lasciava intendere qualcos’altro.”

Sono d’accordo, sicuramente intendeva dire che il primo sistematizzatore della teoria dei cugini è Girolamo, cioè il primo che l’ha esposto in maniera sistematica nel Contro Elvidio.

Ad maiora
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24/11/2006 14:34
 
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“T’assicuro che in questo caso basta a loro il movente”

A questa stregua allora dovrebbero spiegarmi perché reputano altri studiosi meno “rigorosi” quando utilizzano esattamente il loro stesso metodo, anzi in molti casi sono più cauti !

“Ma da qui ad inventare episodi, anziché reintepretarli, ne passa di acqua sotto i ponti”

A me risulta che essendoci delle contraddizioni nei vangeli proprio sul racconto di fatti precisi uno dei 4 evangelisti qualcosa s’è inventato per forza ! (esempio i viaggi a Gerusalemme in Gv e nei sinottici). Partendo dunque da questo presupposto non vedo perché non si debba introdurre un altro elemento “inventato” per far quadrare le profezie, del resto le stesse cronologie una delle quali fa risalire la genealogia di Gesù addirittura fino ad Adamo non mi sembrano certo credibili non credi ?

Saluti
Andrea
24/11/2006 20:17
 
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“A questa stregua allora dovrebbero spiegarmi perché reputano altri studiosi meno “rigorosi” quando utilizzano esattamente il loro stesso metodo, anzi in molti casi sono più cauti !”

perché loro ipotizzano a partire da dati e contesti veri, i fantabiblisti a partire da dati falsi. Gli scritti ad esempio di David Donnini sono una lista di informazioni false, delle citazioni moderne e quelle antiche. Quell’uomo non è uno studioso e come tale non è al corrente dei dati in possesso del mondo accademico. Ad esempio quando sostiene che Nazareth non è mai esistita ignora che gli scavi archeologici hanno dimostrato che quell’insediamento al tempo di Gesù esisteva non da un secolo ma da millenni, e non occorre consultare il dizionario di archeologia biblica delle Paoline per saperlo, basterebbe leggere l’Enciclopedia Giudaica scritta da ebrei per ebrei alla voce Nazareth:
“NAZARETH, town in Galilee, mentioned several times in the New Testament as the place to which Joseph returned from Egypt and where Jesus was brought up (Matt. 2:23; Luke 2:39, 51). Archaeological evidence has shown that the area was settled as early as the Middle Bronze Age, and tombs have been found dating from the Iron Age to Hasmonean times.” (Lemma a cura di Michael Avi Yonah, professore di archeologia alla Hebrew University of Jerusalem)

“A me risulta che essendoci delle contraddizioni nei vangeli proprio sul racconto di fatti precisi uno dei 4 evangelisti qualcosa s’è inventato per forza !”

Su questo avevo scritto qualche tempo fa:
“Contraddizioni? Tu chiedi alla storiografia antica di qualunque genere un livello di trasparenza che non ha: ci sono molteplici versioni spesso discordanti per molti fatti della storiografia antica, anche la morte di Cesare a seconda degli scrittori ha dei punti diversi. Se si insiste sull’argomento contraddizioni è utile rilevare che sono paradossalmente una prova a favore dei Vangeli. Queste contraddizioni infatti sono assai ridotte, e altrettanto facilmente spiegabili. I Vangeli furono compositi a partire dal 60-70 d.C., cioè trenta- quarant’anni dopo la morte del maestro (mentre Paolo scrive 20 anni dopo). Non so voi, ma io non ricordo con esattezza quello che ho fatto ieri, figurarsi dieci o vent’anni fa (la sostanza del fatto sì, i particolari sfumano). Se dunque i vangeli differiscono in particolari insignificanti, ad esempio uno racconta che un miracolo è avvenuto all’uscita della città mentre un altro quando si entrava in città,la discrepanza non è da addebitare a manipolazione alcuna ma alla semplice difficoltà di ricordare dettagli tanto insignificanti. Inoltre solo due degli evangelisti sono testimoni oculari: Matteo e Giovanni. Luca è discepolo di Paolo, il quale a sua volta non è testimone oculare, mentre Marco è discepolo di Pietro. Visto che questi due ultimi Vangeli dipendono da tradizione orale, sebbene di primissima mano, è ovvio che si siano delle micro-discrepanze coi Vangeli invece scritti dai testimoni oculari. Se invece conosci grosse contraddizioni che non siano spiegabili con quanto ho detto fammi sapere.
Ma veniamo al punto. Perché ritengo che queste micro-contraddizioni siano una prova a favore dell’autenticità di trasmissione del NT? Perché se davvero come ritengono i mitologi del cristianesimo all’inizio della storia cristiana c’è un testo manipolabile a piacimento per inserirvi favole, allora cosa constava fare anche dei piccoli aggiustamenti per eliminare queste contraddizioni che tanta ilarità suscitavano tra i pagani? Celso stesso, il più accanito polemista anticristiano, li derideva per questo fatto. Se dunque i Vangeli ci sono stati tramandati con queste contraddizioni è perché i cristiani, ritenendoli sacri, non si ritenevano in potere di modificare alcunché.”

“(esempio i viaggi a Gerusalemme in Gv e nei sinottici)”

Questa non è una contraddizione, semplicemente c’è chi dà una cronologia più dettagliata (Giovanni), e chi invece sceglie di raccontarci solo un viaggio. Non era il loro obiettivo fare una telecronaca. Un Vangelo dice ciò che l’altro tace, non a caso ne abbiamo quattro.

“le stesse cronologie una delle quali fa risalire la genealogia di Gesù addirittura fino ad Adamo non mi sembrano certo credibili non credi ?”

Per me non sono credibili, ma il punto non è che io ci creda ma se vi credesse l’agiografo mentre le stendeva, e lui non aveva mai letto Darwin. Non c’è ragione per sospettare che l’agiografo fosse in malafede, credeva davvero che quella genealogia fosse vera, anche perché ci sono delle prostitute nell’albero genealogico che gli era stato tramandato, una cosa non certo edificante né da inventare.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 24/11/2006 20.20]

26/11/2006 21:43
 
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“perché loro ipotizzano a partire da dati e contesti veri, i fantabiblisti a partire da dati falsi. Gli scritti ad esempio di David Donnini”

Non mi riferivo a Donnini ma a Donini piuttosto che a Deschner che non partono certo da dati falsi. Quindi se la tua teoria delle multi-opinioni e della metodologia di studio è vera, allora non vedo perché ritenere le teorie di questi due non rigorose.

“Contraddizioni? Tu chiedi alla storiografia antica di qualunque genere un livello di trasparenza che non ha: ci sono molteplici versioni spesso discordanti per molti fatti della storiografia antica, anche la morte di Cesare a seconda degli scrittori ha dei punti diversi”

Ed è proprio per questo che si vagliano le citazioni delle fonti, sei tu che sostieni che se una fonte attesta un evento questo debba essere creduto fin tanto che un’altra fonte non dica qualcosa di diverso. Io invece ritengo che attestato non equivale a plausibile o provato.

“Se si insiste sull’argomento contraddizioni è utile rilevare che sono paradossalmente una prova a favore dei Vangeli”

Questo è il classico gioco del teologo che utilizza una obiezione a suo favore.

“Queste contraddizioni infatti sono assai ridotte e altrettanto facilmente spiegabili.”

Non sono affatto d’accordo.

“I Vangeli furono compositi a partire dal 60-70 d.C., cioè trenta- quarant’anni dopo la morte del maestro (mentre Paolo scrive 20 anni dopo). Non so voi, ma io non ricordo con esattezza quello che ho fatto ieri, figurarsi dieci o vent’anni fa “

Ma come, prima sostieni che i giudei conoscevano a memoria l’intera Scrittura (lo dicesti per dare credito agli scritti di Giovanni perché meno antichi)dimostrando una memoria incredibile e adesso gli stessi sono diventati improvvisamente smemorati su fatti cruciali per la loro esistenza ? Insomma se le ricordano le cose o no ?

“Se dunque i vangeli differiscono in particolari insignificanti”

Non sono affatto insignificanti.

“Inoltre solo due degli evangelisti sono testimoni oculari: Matteo e Giovanni”

Anche qui c’è molto da dire sugli autori, quasi nessuno ormai crede che siano i reali autori dei vangeli.

“Questa non è una contraddizione, semplicemente c’è chi dà una cronologia più dettagliata (Giovanni), e chi invece sceglie di raccontarci solo un viaggio”

Direi che la differenza è sostanziale invece dal punto di vista storico. Io non sto parlando di teologia, ma di storia. Quanta affidabilità hanno dei testi che omettono e si contraddicono su fatti così importanti ?

“Non era il loro obiettivo fare una telecronaca”

Infatti io sto sostenendo che dal punto di vista storico sono molto poco precisi.

Saluti
Andrea
27/11/2006 02:11
 
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“Non mi riferivo a Donnini ma a Donini piuttosto che a Deschner che non partono certo da dati falsi”

Sì lo fanno. Il primo è un marxista che stravolge le citazioni e vede movimenti marxisti ovunque, il secondo è un bugiardo fatto e finito che cita fonti d’antiquariato.

“Ed è proprio per questo che si vagliano le citazioni delle fonti, sei tu che sostieni che se una fonte attesta un evento questo debba essere creduto fin tanto che un’altra fonte non dica qualcosa di diverso. Io invece ritengo che attestato non equivale a plausibile o provato.”

Non ho detto questo. Dire che se una fonte afferma qualcosa va creduta finché qualcuno non sostenga il contrario dipenda da diversi fattori tra cui la vicinanza temporale ai fatti che racconta, la possibilità di mentire a seconda del pubblico cui si rivolge, la conoscenza diretta o indiretta dei fatti, ecc. Tutti criteri esposti da tempo.

“Questo è il classico gioco del teologo che utilizza una obiezione a suo favore.”

Non ha nulla di teologico, mi devi spiegare perché se potevano manipolare la storia a piacimento non hanno accordato i Vangeli.

“Non sono affatto d’accordo.”

Mostrami qualcosa di grosso allora, qualcosa che non si possa spiegare con quanto ho affermati. Ma prima assicurati che non sia qualcosa che è già stato risolto: www.carm.org/bible_difficulties.htm

“Ma come, prima sostieni che i giudei conoscevano a memoria l’intera Scrittura (lo dicesti per dare credito agli scritti di Giovanni perché meno antichi)dimostrando una memoria incredibile e adesso gli stessi sono diventati improvvisamente smemorati su fatti cruciali per la loro esistenza ?”

In primis non ricordo in che contesto ho affermato che i Giudei avevano una grande memoria per dare credito agli scritti giovannei, non vedo neppure il nesso. Giovanni è il Vangelo dei discorsi kerygmatici, cioè il Vangelo in cui si mette in bocca a Gesù ciò che la comunità ha capito su di lui. Ci sono ovviamente anche dei logia che sono riconducibili a parole di Gesù, ed in questo senso avevo citato la scuola scandinava (così come i lavori di Jeremias) sui giochi fonetici nelle retrotraduzioni del NT al fine di facilitare la memorizzazione dei detti del maestro, una prassi seguita anche nelle altre scuole rabbiniche.
Inoltre non vedo come tutto ciò c’entri con ricordare se si era su una sponda del lago piuttosto che su un’altra quando è avvenuto un miracolo: la memoria auditiva è particolarmente sviluppata in tutte le società orali perché è il luogo di trasmissione del sapere, non c’entra nulla con la memoria visiva.

“Direi che la differenza è sostanziale invece dal punto di vista storico. Io non sto parlando di teologia, ma di storia. Quanta affidabilità hanno dei testi che omettono e si contraddicono su fatti così importanti ?”

Perché sarebbe una contraddizione? Raccontare un viaggio a Gerusalemme anziché tre non vuol dire escludere che gli altri due siano esistiti, significa semplicemente non ritenerli significativi nel piano della propria opera. Molte cose stanno in Giovanni proprio perché l’autore vuole volutamente colmare le lacune lasciate dagli altri due, e dunque è molto più vicino al Gesù storico quanto a cronologia degli spostamenti (ormai i biblisti sono unanimi), sulla data delle celebrazioni (specie per il calendario pasquale), mentre è meno vicino al Gesù della storia nei discorsi che sono volutamente teologici. I Vangeli non sono scritti con lo scopo di essere ordinati, perché non appartengono al genere biografico. Ad esempio una testimonianza di Papia del 130 d.C. sui criteri con cui è stato costruito il Vangelo di Marco penso sia illuminante: “Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse accuratamente, ma non certo in ordine quanto si ricordava di ciò che il Signore aveva detto o fatto. Infatti non aveva ascoltato direttamente il Signore né era stato suo discepolo, ma in seguito, come ho detto, era stato discepolo di Pietro. Questi svolgeva i suoi insegnamenti in rapporto con le esigenze del momento, senza dare una sistemazione ordinata ai detti del Signore. Sicché Marco non sbagliò affatto trascrivendone alcuni così come ricordava. Di una cosa sola infatti si preoccupava: di non tralasciare nulla di quanto aveva udito e di non dire nulla di falso in questo” (In Eusebio, Historia Ecclesiastica III,39,15)
Capiamo dunque che in questo caso la preoccupazione dell’evangelista none r ala cronologia, e lo stesso si nota anche per Matteo. Si nota cioè che parabole o detti che in altri Vangeli sono separati cronologicamente in Matteo sono messi insieme perché sullo stesso argomento. Spero d’essermi spiegato.

“nfatti io sto sostenendo che dal punto di vista storico sono molto poco precisi”

C’è una differenza tra l’essere poco precisi perché né la precisione né il genere storiografico sono il tuo obiettivo e la frode. È la differenza che incorre tra la buona e la cattiva fede.

Ad maiora
27/11/2006 10:34
 
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Ragazzi miei, già con quella pappardella copia-incollata avete messo a dura prova la mia ben nota scarsa pazienza, vediamo almeno di stare in topic, please.


EDITO : mi riferivo al titanico taglia-incolla di poly nel thread sul primato.

[Modificato da Teodoro Studita 27/11/2006 22.35]

08/12/2006 01:18
 
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Ecco un altro articolo, stavolta del gesuita Giuseppe De Rosa - pubblicato su "La civiltà cattolica", anno 157 (2006), IV, pp. 456-466, quaderno 3755, 2 dicembre 2006 (http://www.laciviltacattolica.it) - a proposito dell'Inchiesta su Gesù di Corrado Augias e Mauro Pesce.



Un attacco alla fede cristiana
Giuseppe De Rosa S. I.

È stato pubblicato nel settembre scorso e se n’è stampata una seconda edizione nell’ottobre il volume Inchiesta su Gesù (C. Augias - M. Pesce, Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo, Milano, Mondadori, 2006, pagine 257, euro 17), nel quale il giornalista Corrado Augias e il prof. Mauro Pesce, docente di Storia del cristianesimo all’Università di Bologna, discutono il primo ponendo domande e il secondo dando risposte su Gesù, «l’uomo che ha cambiato il mondo». Augias si professa «non cattolico» e non ritiene Gesù «figlio di Dio» (p. 239), ma è interessato a «conoscere meglio Gesù detto il Cristo, che ha così profondamente influenzato la storia del mondo»: cioè a conoscere Gesù qual è stato veramente, prima che «la liturgia, la dottrina, il mito trasformassero la sua memoria in un culto, il culto in una fede, la fede in una delle grandi religioni dell’umanità» (p. 3).
Il prof. Pesce si è mantenuto sul piano della ricerca storica, esprimendo «convinzioni a cui è arrivato dopo una lunga ricerca che gli sembra onesta». Perciò egli afferma «nel dialogo condensato in questo libro ho sempre cercato di mantenermi sul piano storico, evitando di presentare le mie convinzioni personali sulla fede» (p. 236). Egli è «convinto che la ricerca storica rigorosa non allontani dalla fede, ma non spinga neppure verso di essa». In sostanza, il Gesù che la fede cristiana professa dev’essere distinto dal Gesù quale risulta dalla ricerca storica su di lui.
In sintesi il pensiero di Pesce è così riassunto da lui stesso: «Gesù era un ebreo che non voleva fondare una nuova religione. [...] Era convinto che il Dio delle Sacre Scritture ebraiche stesse cominciando a trasformare il mondo per instaurare finalmente il suo regno sulla terra. Era del tutto concentrato su Dio e pregava per capire la sua volontà e ottenere le sue rivelazioni, ma era anche del tutto concentrato sui bisogni degli uomini, in particolare i malati, i più poveri e coloro che erano trattati in modo ingiusto. Il suo messaggio era inscindibilmente mistico e sociale. Il regno di Dio non venne e, anzi, egli fu messo a morte dai romani per motivi politici. I suoi discepoli, che provenivano da ambienti i più vari, ne diedero fin dagli inizi interpretazioni differenti. Si interrogarono sulla sua morte fornendo spiegazioni diverse e molti di loro si convinsero che egli fosse risuscitato. Un certo numero dei suoi seguaci rimase dentro le comunità ebraiche, mentre altri diedero vita a una nuova religione percorsa da diverse correnti, il cristianesimo» (p. 237).

«Gesù è ebreo, non cristiano»

Così l’idea centrale del volume che stiamo esaminando è che Gesù non ha nulla a che vedere col cristianesimo, che egli non l’ha fondato né ha voluto fondarlo: idea che è espressa nella formula «Gesù è ebreo, non cristiano».
Il dialogo tra Augias e Pesce inizia con la domanda: «Che cosa possiamo conoscere di Gesù?». Risponde Pesce: «Una ricostruzione storica è possibile per Gesù come per qualunque altro personaggio del passato. Le fonti sono però particolari, e la ricerca si basa su testi lacunosi, contraddittori, manipolati» (p. [SM=g27989]. Tali fonti sono i Vangeli, canonici e non canonici. Tra questi Vangeli la Chiesa ne scelse quattro, rigettando gli altri come «apocrifi» e perciò condannandoli all’oblio. Le ragioni di questa scelta «sono complesse, incerte nelle motivazioni, hanno a che fare con il tumulto pratico e dottrinale che sempre accompagna la nascita e l’ascesa di un movimento, in particolare quando si proclama ispirato direttamente da Dio» (p. 10). Ad ogni modo «non sono chiare. Si può dire che siano stati esclusi quelli che contenevano un’immagine troppo giudaica di Gesù o che sembravano darne una visione gnostica o spiritualistica, come il Vangelo di Tommaso» (p. 21). In ogni caso, «il credente che frequenta una Chiesa [...] non ha come interesse primario conoscere storicamente Gesù» (p. 22). Né ha interesse storico la Chiesa, perché «la ricerca storica scava e mette in luce le diversità dei Vangeli, le varianti introdotte dopo la morte di Gesù, e questo non è facile da accettare per i fedeli» (p. 23). Del resto «i Vangeli, normalmente considerati fonti primarie per conoscere Gesù, sono in realtà una delle prime forme di cristianizzazione della sua figura».
In realtà Gesù sarebbe stato soltanto ebreo e lo sarebbe stato totalmente: «La novità, un’importante novità, verificatasi nell’ultimo mezzo secolo di studi biblici, è stata proprio il recupero, la riscoperta dell’ebraicità di Gesù, laddove in precedenza l’antiebraismo cristiano tendeva a farne addirittura un critico della religione ebraica» (p. 24). A dire il vero «non c’è una sola idea o consuetudine, una sola delle principali iniziative di Gesù che non siano integralmente ebraiche [...]. Tutti i concetti fondamentali espressi da Gesù sono ebraici: il regno di Dio e la redenzione, il giudizio finale, l’amore per il prossimo. Egli crede come un ebreo fariseo alla risurrezione dei corpi e non come un greco solo all’immortalità dell’anima [...]. Ritiene di essere stato inviato da Dio a predicare solo agli ebrei e non ad altri» (p. 26 s). Gesù rispettava alla lettera le prescrizioni della Torah, comprese quelle riguardanti gli alimenti. «Sono i cristiani dopo di lui che le hanno trascurate» (p. 2[SM=g27989]. Come ogni «ebreo religioso» Gesù pregava. Perciò, «Gesù è un uomo ebreo che non si sente identico a Dio. Non si prega Dio se si pensa di essere Dio» (p. 2[SM=g27989].
Gesù ha insegnato il Padre nostro: ma questa preghiera «non ha nulla di cristiano. Qualsiasi ebreo religioso la potrebbe recitare senza doversi per questo convertire al cristianesimo. In questa preghiera Gesù non è mai nominato. Egli non ha alcuna funzione nella salvezza dell’umanità» (p. 30). Invece i cristiani hanno visto in Gesù un essere soprannaturale, col quale ci si deve mettere in rapporto per ricevere la salvezza. «Gli storici contemporanei al contrario vedono in Gesù un uomo e sono quindi in grado di riscoprire anche la sua ebraicità» (p. 30).
In conclusione, c’è una radicale «differenza fra il Gesù ebreo e il Gesù cristiano: il Gesù cristiano è quello di cui san Paolo dice: “Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture”. Il Gesù ebreo dice: è Dio che rimette i peccati [...]. Quando ha insegnato il Padre nostro, Gesù non pensava di dover morire per i peccati degli uomini» (p. 29). Così «il suo messaggio è sostanzialmente diverso da quello del cristianesimo successivo» (p. 55). «Gesù è insieme un mistico e un grande sognatore religioso, che cerca di collocare la giustizia al centro del mondo» (p. 62). C’è dunque «una differenza fondamentale, direi una discontinuità: se vogliamo un tradimento del cristianesimo rispetto a Gesù» (p. 6[SM=g27989].

«Gesù non è il Figlio di Dio»

Ma chi è stato l’«ebreo» Gesù storicamente, cioè liberato dalle incrostazioni dogmatiche con cui il cristianesimo lo avrebbe rivestito? Pesce ritiene che Gesù sia nato, non a Betlemme, ma «in Galilea, verosimilmente a Nazareth» (p. 10) e che «il padre è Giuseppe e la madre Maria» (p. 11). I Vangeli di Matteo e di Luca affermano la concezione verginale di Gesù, cioè che Maria avrebbe concepito Gesù miracolosamente, quindi per opera di Dio, senza l’intervento di Giuseppe. Luca aggiunge che colui che è concepito in Maria «per opera dello Spirito Santo» sarà chiamato «figlio di Dio». Matteo vede nella concezione verginale di Gesù il compimento di una profezia di Isaia, secondo la quale «la vergine (almâh) concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emanuele», che significa «Dio con noi».Il prof. Pesce rileva in questa insistenza sulla nascita verginale di Gesù «la necessità di mostrare che la vita di Gesù portava a compimento alcune profezie della Bibbia ebraica» e l’«influenza della cultura ellenistica sulle giovani comunità greco-cristiane», poiché «la storia della classicità è piena di figure divine o semidivine la cui nascita veniva detta di carattere soprannaturale», a motivo di dèi (in particolare Zeus) che si univano con donne (cfr. p. 90).
Quanto al termine «Figlio di Dio» osserva ancora Pesce ai tempi di Gesù era piuttosto corrente. Figlio di Dio era un titolo che si poteva dare agli imperatori romani, come Augusto, ai re d’Israele, ai filosofi come Platone e Pitagora. «Insomma il termine in quanto tale non esprime la natura divina di Gesù» (p. 91). Né tale espressione è «connessa in modo privilegiato né esclusivo al messia né indica di per sé un ruolo messianico» (p. 91). È il Vangelo di Marco il più insistente nell’applicare a Gesù questo appellativo. Dio stesso lo proclama tale per ben due volte. «Attenzione, però: per Marco, Gesù era un uomo. Il termine “figlio di Dio” è stato interpretato come se egli volesse davvero alludere a “Dio”, solo dopo che il suo vangelo, inserito nel Nuovo Testamento, venne letto alla luce del Vangelo di Giovanni, per il quale Gesù era la parola di Dio fatta carne» (p. 92).

«Rapporti “omosessuali” tra i discepoli di Gesù»

Segue un capitolo in cui Augias, con un’insistenza un po’ morbosa, riporta le insinuazioni e le ipotesi fatte da taluni che i discepoli di Gesù coltivassero tra loro «rapporti omosessuali» (p. 123); che tra Gesù e il discepolo che Gesù «amava» ci fosse «una vera e propria amitié amoureuse [...] anche se non sempre completata in una relazione esplicitamente erotica» (p. 120); che Gesù avesse un particolare rapporto con Maria Maddalena fino a baciarla sulla bocca, come è detto nell’apocrifo Vangelo di Filippo (cfr. p. 121) e, infine, che, prima dell’arresto avesse passato la notte col ragazzo che sfuggì all’arresto, lasciando in mano a quelli che volevano prenderlo il lenzuolo da cui era ricoperto (cfr. p. 124): ipotesi e insinuazioni che Pesce ritiene «senza fondamento» (p. 123), «assurdità» (p. 124) o «interpretazioni errate del testo» (p. 129), ma sulle quali Augias insiste ancora alla fine del volume.
Su Gesù taumaturgo che viene qualificato come «Gesù mago» (titolo che «l’illustre studioso Morton Smith» ha dato al suo libro su Gesù) Pesce è piuttosto reticente: egli riconosce che «alcuni fenomeni di guarigione o addirittura di risurrezione da lui operati restano inspiegabili alla luce della scienza» (p. 131), ma rileva che «Gesù aveva bisogno per i suoi miracoli di una grande fede in chi lo ascoltava» (ivi). Inoltre, quando Gesù si rende conto di queste sue facoltà, cerca di capire da dove gli vengono e fino a che punto sia in grado di controllarle: ciò che negli altri suscitava ammirazione crea in lui un turbamento profondo; lo vediamo ricorrere alla preghiera nel tentativo di averne un’illuminazione. «Si potrebbe dire che Gesù è stato un mistero non solo per gli altri, ma anche per se stesso [...]. Egli stesso ha probabilmente cercato di chiarire il mistero dell’intervento divino nella sua vita. Lo faceva ricorrendo spesso alla preghiera, chiedendo a Dio di illuminarlo. È una mia ipotesi», suggerita dal fatto che nell’episodio della Trasfigurazione «abbia invocato Elia e Mosè perché gli chiarissero il suo destino futuro» (p. 134 s). Ad ogni modo, Pesce si dice «convinto» che gli episodi miracolosi, come la risurrezione di Lazzaro o la moltiplicazione dei pani, «non siano stati inventati, ma che i suoi seguaci furono realmente convinti di aver assistito a quei fatti straordinari» (p. 134).

«Gesù non è realmente risorto»

I giorni cruciali della vita di Gesù sono gli ultimi: è arrestato la notte del giovedì, è processato, è crocifisso e muore il venerdì. Pesce ritiene che la causa dell’arresto di Gesù sia il pericolo che egli rappresenta per la sorte della nazione giudaica. Nota poi che non è stato Gesù a istituire l’Eucaristia, di cui non parlano né il Vangelo di Giovanni né il Vangelo di Tommaso. Da ciò «alcuni biblisti hanno dedotto che, dopo la morte di Gesù, alcuni gruppi cristiani hanno creato il rituale dell’Ultima Cena». Non si tratta «comunque di un evento storico né di un’istituzione formale stabilita da Gesù» (p. 141). Poi però afferma: «Credo sia impossibile negare che Gesù abbia consumato una cena particolare prima del suo arresto, celebrandovi un rito intorno al pane e al vino» (p. 146). Ad ogni modo, il fatto che il Vangelo di Giovanni non parli dell’Eucaristia, ma della lavanda dei piedi, mentre i sinottici concentrano la propria attenzione sull’istituzione dell’Eucaristia «non autorizza a pensare che la versione dei sinottici sia più attendibile di quella di Giovanni» (p. 147).
Parlando dei racconti della Passione, Pesce osserva che essi non riportano fatti realmente avvenuti, ma «sono solo interpretazioni della fede sulla base di un nucleo storico» (p. 157). In realtà «i redattori dei vangeli hanno trasformato o creato una serie di episodi che, di fatto, non si verificarono. Fra i fatti storicamente inventati c’è l’episodio di Barabba» (p. 15[SM=g27989].
Circa la risurrezione di Gesù, Pesce rileva che «le sue “prove” consistono nelle apparizioni avvenute dopo la morte in croce» (p. 175), che come nel caso dell’apparizione di Gesù a Maria di Magdala potrebbero essere definite come «visioni isteriche» o allucinazioni: in altre parole, «un portato del desiderio, una potente proiezione dell’inconscio» (p. 177). Del resto, «oggi alcuni studiosi cattolici interpretano le apparizioni di Gesù risorto come stati alterati di coscienza» (p. 182). In conclusione «le apparizioni del risorto sono solo delle visioni» (p. 184). Gesù perciò non sarebbe risorto «realmente», ma sarebbero stati i suoi discepoli a credere di averlo «visto»: in realtà si è trattato di allucinazioni.
Chi è allora Gesù, per il prof. Pesce? Non è certamente il Figlio di Dio fatto uomo, quale la Chiesa professa sulla scorta della testimonianza dei discepoli che hanno vissuto con lui: testimonianza che è contenuta nei quattro Vangeli canonici, i quali perciò sono la fonte essenziale della nostra conoscenza di Gesù. Per Pesce «Gesù è ossessionato dal male che domina il mondo [...]. Per lui Dio è il Padre che può salvare e che gli ha dato il potere straordinario di risanare e di guarire. Dio però gli appare anche incomprensibile. Per tutta la vita Gesù cerca di sapere che cosa Dio voglia; alla fine si sente abbandonato e non capisce perché Dio lo destini a una fine ingiusta, a una sconfitta umiliante oltre che a patimenti atroci. A lui attribuisce la sua sconfitta e per questo l’accetta, pur non comprendendola» (p. 213). Così, secondo il prof. Pesce, Gesù è un pover’uomo che sente incombere su di sé un tragico destino, che egli accetta, pur senza comprenderlo: «Egli continua a credere che Dio sia forte, potente e benefico, anche se permette che venga ucciso» (p. 213) e abbandonato alle forze del male.
Così, secondo Pesce, Gesù non è il Salvatore degli uomini che consapevolmente va incontro alla sofferenza e alla morte «per dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,2 . Egli si sottomette a una morte atroce, perché così vuole Dio ma non sa perché. Gesù è un «uomo solo», che prega Dio affinché gli riveli che cosa deve fare.

Rilievi critici

Il primo rilievo generale da fare è che nel volume Inchiesta su Gesù viene negato il cristianesimo nella sua totalità. Sono negate, infatti, tutte le verità cristiane essenziali, quali la divinità di Gesù, la sua incarnazione, la sua concezione verginale, il carattere redentivo della sua morte, la sua risurrezione dalla morte. Queste realtà di fede dice in sostanza Pesce sarebbero incrostazioni con cui la Chiesa ha ricoperto la figura storica di Gesù, facendone un essere divino, il Logos fatto carne di cui parla il Vangelo di Giovanni. Compito dell’esegesi è quella di liberare da tali incrostazioni, che la falsano, la figura storica di Gesù. Di qui l’insistenza di Pesce sull’assoluta ebraicità di Gesù e la sua convinzione che Gesù è stato «cristianizzato», e quindi falsato, fino a farlo diventare il fondatore del cristianesimo.
Quello che a noi sembra assolutamente inaccettabile proprio sul piano della storia è la frattura che il prof. Pesce pone tra il «Gesù della storia» (il «Gesù ebreo») e il «Gesù della fede» (il «Gesù cristiano») scomparso «sotto la coltre fitta della teologia». In realtà, questa frattura non esiste.
Indubbiamente Gesù è stato ebreo: è stato circonciso l’ottavo giorno dopo la nascita secondo la Legge; gli è stato posto un nome ebraico (Jehoshua, che significa «Dio salva»); da bambino ha frequentato ogni sabato la sinagoga del suo paese (Nazaret), dove ha imparato la Sacra Scrittura; compiuti i 12 anni è andato in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme; come tutti gli ebrei adulti (fossero anche scribi famosi) ha esercitato un mestiere manuale. L’unico aspetto che lo ha distinto è stato il fatto che non si è sposato. Quando poi ha lasciato il suo paese per iniziare il ministero di predicatore itinerante, la prima cosa che ha fatto è stata andare da Giovanni il Battezzatore e, come altri ebrei, si è fatto battezzare da lui. Ha voluto restringere la sua predicazione al popolo d’Israele.
Gesù dunque è stato «ebreo», ma dobbiamo contraddire il prof. Pesce quando afferma che Gesù non ha criticato la religione ebraica; che non c’è nessuna sua idea o consuetudine, nessuna sua iniziativa che non sia integralmente ebraica; che tutti i concetti da lui espressi siano ebraici; che Gesù rispettava alla lettera tutte le prescrizioni della Torah, comprese quelle riguardanti gli alimenti.Quanto alla religione ebraica, o meglio, quanto alla Torah, certamente Gesù l’ha ritenuta espressione della volontà di Dio, ma da una parte ne ha corretto talune interpretazioni che ne davano gli scribi, come nel caso del korban: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7, ; dall’altra, ha ricondotto il divorzio, permesso dal Deuteronomio (24,4), al genuino progetto originario di matrimonio, affermando che l’uomo non deve separare quello che Dio ha congiunto nell’atto creativo dell’uomo e della donna (cfr. Gn 1,27; 2,24). Ma quello che è più importante e significativo è che Gesù non intende «abolire la Legge» ma «darle compimento» e quindi metterne in luce le esigenze profonde, che vanno assai al di là di quanto «fu detto agli antichi» (Mt 5,17-31). Circa gli alimenti, che il Levitico divideva in puri e impuri, Gesù, dice Marco, «dichiarava mondi tutti gli alimenti» (Mc 7,19), rilevando che «non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo» (Mc 7,15).
In conclusione Gesù, sulla scia dell’antica Legge, proclama una Legge nuova, che non contraddice la prima, ma la compie, chiedendo, ad esempio, di «non opporsi al malvagio», di «amare i nemici» e di «pregare per i persecutori» (Mt 5,39.44): cose certo che la Torah non prescriveva. Quanto all’osservanza del sabato, Gesù si discosta profondamente dagli scribi e dai farisei, proclamando che «il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27). Perciò è lecito compiere guarigioni e strappare le spighe per nutrirsi in giorno di sabato. Ugualmente scandalosa è la condotta che Gesù tiene con i pubblicani, i peccatori, le donne di malaffare. Tutte cose che mostrano che Gesù è, sì, un «ebreo», ma che esce fuori dai quadri dell’ebraismo del suo tempo. Non si comprende perciò, come si possa affermare che non c’è nulla in Gesù che non sia «integralmente ebraico».

Gesù e il Padre

Meraviglia anche l’affermazione che Gesù pregava perché non si sentiva identico a Dio: «Non si prega Dio afferma Pesce se si pensa di essere Dio» (p. 2 . La preghiera di Gesù, fatta spesso nella notte, è un colloquio «filiale» col Padre, a cui Gesù si rivolge col termine affettuoso di abbà (un termine che non si trova salvo che ci sia sfuggito nel volume che stiamo presentando). Eppure è un termine di grandissima importanza, che ci fa penetrare nella vita interiore di Gesù, o meglio, nel «mistero» della sua coscienza «filiale». In realtà, Dio è il «Padre suo», in maniera diversa da quella di essere Padre di tutti gli uomini, per cui parlando ai discepoli egli dice «Padre mio» (Mt 7,21) e «Padre vostro» (Mt 6,26), e non dice mai «Padre nostro», ponendo cioè, sullo stesso piano se stesso e i suoi discepoli.
Meraviglia anche l’affermazione che la preghiera insegnata ai discepoli da Gesù il Padre Nostro non abbia nulla di cristiano, ma sia totalmente ebraica. Si sa che il termine Padre è assai poco usato nell’Antico Testamento, dove compare soltanto una quindicina di volte, ed è applicato a tutto il popolo, non ai singoli individui, a eccezione del re, il quale soltanto può dire a JHWH: «Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza» (Sal 88 [89],27). Per Gesù il termine «Padre» è il nome proprio di Dio, e tutti gli uomini non solo gli ebrei sono suoi figli. Circa il carattere totalmente ebraico del Padre nostro scrive H. Schürmann: «Hanno ragione tutti coloro che dicono che nel Padre nostro Gesù prega come ebreo e ogni ebreo può unirsi a questa preghiera; ogni frase può essere documentata con testi ebrei uguali o simili [...]. Ma il “peculiare aspetto gesuanico” della preghiera di Gesù fece “saltare” l’ebraismo. Solo chi nella complessità del Padre nostro ha scorto il “peculiare aspetto gesuanico” [...] come cristologia incoativa implicita, ha compreso la preghiera di Gesù nella sua profondità» (H. Schürmann, Padre nostro, la preghiera del Signore, Milano, Jaca Book, 1982, pp. 194 s.). Cioè, soltanto chi crede che Gesù è il Figlio di Dio può recitare il Padre nostro nella sua profondità e verità.

Gesù e il cristianesimo

Strana ci sembra anche l’affermazione che Gesù non sia cristiano e che egli non abbia fondato né abbia voluto fondare una nuova religione, il cristianesimo. In realtà, egli ha rivolto la sua predicazione «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 10,6): a tale scopo ha chiamato a seguirlo dodici discepoli, perché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (Mc 3,14-15). Ma il suo messaggio non è accolto dal popolo d’Israele e dai suoi capi. Ecco che allora egli si consacra all’istruzione dei suoi discepoli e delle persone uomini e donne che credono in lui: insegna loro a pregare, a vedere in Dio il Padre che li ama, che ha cura di loro; insegna loro il retto uso delle ricchezze, il perdono delle offese; nella sua ultima cena, alla vigilia della morte, istituisce un nuovo rito pasquale e chiede ai Dodici di ripeterlo in sua memoria. Dopo la sua morte e la sua risurrezione, i suoi discepoli, pur restando all’interno dell’ebraismo, formano un gruppo a parte, che ha i suoi capi (i Dodici), un suo rito particolare la ripetizione dei gesti compiuti da Gesù nella sua Ultima Cena , gli insegnamenti di Gesù. Proprio questo piccolo gruppo di seguaci di Gesù forma la «sua» Chiesa che, ingrandendosi con l’adesione di nuove persone, sia ebree sia pagane che credono in Cristo, forma il primo cristianesimo. Non c’è dunque nessuna frattura tra Gesù «ebreo» e il cristianesimo, che vive degli insegnamenti di Gesù e lo professa suo Dio e Signore. In realtà, il cristianesimo è nato e si è sviluppato all’interno del giudaismo, e soltanto progressivamente le comunità cristiane si sono staccate dalla comunità giudaica di cui originariamente facevano parte, salvo il caso delle comunità cristiane fondate da san Paolo, fin dall’inizio al di fuori della comunità giudaica (cfr. J. Gnilka, I primi cristiani. Origini e inizio della Chiesa, Brescia, Paideia, 2000, cap. IV, 2, d, «Gesù e la Chiesa», pp. 210-241, e cap. V, «La prima Chiesa», pp. 273-429; G. Jossa, «La separazione dei cristiani dai giudei», in M. B. Durante Mangoni - G. Jossa [edd.], Giudei e cristiani nel primo secolo, Trapani, Il pozzo di Giacobbe, 2006, pp. 105-126).

Valore storico dei Vangeli

Questo è quanto appare con estrema chiarezza dai quattro Vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Ma quale valore storico hanno questi Vangeli? Per il prof. Pesce si tratta di testi «lacunosi, contraddittori, manipolati», che la Chiesa ha scelto tra molti Vangeli per ragioni «non chiare», rigettando altri Vangeli come «apocrifi» e in tal modo condannandoli all’oblio. In realtà, la «scelta» dei quattro Vangeli è avvenuta per ragioni chiare. La prima è che soltanto nei quattro Vangeli «canonici» la primitiva comunità cristiana ha riconosciuto la «tradizione apostolica», cioè quello che hanno insegnato i Dodici, i discepoli che sono stati con Gesù durante tutto il tempo della sua predicazione, dal Battesimo alla Risurrezione, che hanno ascoltato la sua predicazione e hanno assistito ai suoi miracoli e alla sua attività di esorcista, nonché alle sue dispute con gli scribi. La seconda è che, mentre i quattro Vangeli canonici sono stati scritti tutti nel primo secolo (approssimativamente Marco tra il 65 e il 70 d. C., Matteo e Luca tra l’80 e il 90, Giovanni tra il 90 e il 100), i Vangeli «apocrifi» sono posteriori e in buona parte dipendono dai Vangeli canonici, cioè non apportano elementi nuovi per la conoscenza di Gesù, se si eccettua il Vangelo di Tommaso. Il terzo motivo è che molti Vangeli cosiddetti «apocrifi» esprimono tendenze gnostiche, come appare da alcuni detti del Vangelo di Tommaso. Per esempio, nel n. 114 è detto: «Simon Pietro disse a lui [Gesù]: “Maria deve andare via da noi! Perché le femmine non sono degne della vita”. Gesù disse: “Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché ella diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Poiché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei cieli”». Il sapore «gnostico» di questo detto è evidente. Ciò che si può dire di molti altri «detti» di questo Vangelo. Infatti, anche quando concorda letteralmente con i Vangeli canonici, lo spirito è generalmente gnostico.
Indubbiamente i Vangeli canonici pongono molti problemi, in quanto sono scritti da autori diversi ognuno dei quali ha la propria maniera di presentare Gesù e scrive tenendo presente i bisogni della comunità per la quale redige il Vangelo; ma non si può dire che i quattro Vangeli nelle cose essenziali siano «lacunosi, contraddittori, manipolati». Essi danno di Gesù quattro ritratti che si completano a vicenda. In particolare, il Vangelo di Giovanni è molto diverso dagli altri e talvolta si discosta da essi, ma non è in contraddizione sostanziale con gli altri tre, e non c’è nessuna ragione obiettiva per preferirlo agli altri.
In conclusione, non è giustificato lo scetticismo con cui nell’Inchiesta su Gesù sono trattati i quattro Vangeli. Soprattutto dispiace il fatto storicamente ed esegeticamente ingiustificato che in tale volume sia contenuto obiettivamente, quali che siano state le intenzioni dei due autori, un attacco frontale alla fede cristiana
08/12/2006 18:06
 
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Non entro nel merito perchè è assolutametne inutile, vorrei solo commentare la frase conclusiva:

"Soprattutto dispiace il fatto storicamente ed esegeticamente ingiustificato che in tale volume sia contenuto obiettivamente, quali che siano state le intenzioni dei due autori, un attacco frontale alla fede cristiana"

No, al massimo vengono meno le basi della fede cattolica e dei suoi ingiustificati dogmi.

Saluti
Andrea
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