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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
10/02/2007 14:24
 
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“Questa ipotesi non ha alcun sostegno storico serio. Mi si porti un solo documento coevo che attesti che “l’altro luogo “ si riferisse a Roma !”

Che cosa vorrebbe dire coevo? Dello stesso secolo, dello stesso decennio, dello stesso cinquantennio? La misura della contemporaneità dipende dall’arco di tempo preso in esame. Se si intende “del primo secolo” la risposta è che non c’è pervenuto nulla, infatti la letteratura patristica di questo periodo che c’è rimasta è condensabile in una trentina di pagine. Per i secoli successivi tutti i riferimenti patristici dell’interpretazione del passo lucano come Roma sono stati raccolti da:
E.Grzybek, Les premiers chéretiens et Rome, in “Neronia” VI (Coll. Latomus) Bruxelles 2002, pp.561 ss. (spero tu legga il francese ma del resto Grzybek insegna all’università di Ginevra e dunque scrive nella sua lingua)
Se analizziamo la frase di Luca non possiamo che chiedersi cosa diavolo dovrebbe mai significare, perché è ovvio che cela un arcano. La frase infatti letta così com’è non vuol dire un emerito nulla e lascia anche interdetti. Infatti è ovvio che, da qualsiasi posto ci si muova, si va in un altro luogo.

“Assolutamente ridicola è l’argomentazione che alcuni portano a sostegno di questa strampalata tesi, ovvero che Luca non scrisse esplicitamente Roma per non danneggiare Pietro giacchè Luca probabilmente scrive quando Pietro è già morto e sepolto.”

Così ridicola che i filologi non se ne accorgono mentre tu sì. In realtà ci sono due questionio:
1)La data degli Atti
2)Il destinatario degli Atti
Come è noto ci sono almeno 2 scuole di pensiero, e la lettura di Thiede e dei Padri ovviamente parte da una datazione alta. La scuola più diffusa vede il 70 come terminus post quem (siccome il Vangelo di Luca, che è stato scritto prima degli Atti, dipende da Marco), mentre il 90 come terminus ante quem. L’idea di una composizione intorno al 70-80 è quella di Ireneo che scrive: “Dopo la loro morte (di Pietro e Paolo) Luca, compagno di Paolo, mise per iscritto il vangelo da lui predicato” (Adversus haereses III,1,1) In questo caso ovviamente è impossibile dire che Pietro fosse vivo mentre Luca scriveva, a meno che Ireneo non intenda semplicemente dire che l’ha concluso dopo la loro morte, e in questo caso ci sarebbero dei capitoli scritti prima. La seconda scuola di pensiero è quella di coloro che seguono Carmignac e che datano il Vangelo di Luca a fine anni 60, quindi gli Atti pochi anni dopo: su questa linea Robinson che per Atti proponeva 57-62. Qui si intende l’adesione al II indirizzo critico. Non è il caso di fare una trattazione del perché questa scuola abbia ridatato il Nuovo Testamento, basterà un accenno ad alcune argomentazioni di critica interna ed esterna per una datazione alta tratte dal già citato saggio di Thiede su Pietro(pag. 151ss.), per argomentazioni più specifiche rimando a Robinson che sviscera meravigliosamente il problema. Esiste, da parecchio tempo, un generale consenso fra gli storici, che si basa su un accurato confronto sia con la storiografia secolare (i suoi metodi, scopi e contenuti) sia con l'archeologia, la storia medica e legale e altre scienze «complementari». Questo consenso può essere riassunto con le parole del filologo classico E.M. Blaiklock: «Luca è uno storico consumato e può essere annoverato a buon ragione fra i grandi scrittori greci». Per le nostre finalità presenti, la strenua ricerca dell'esattezza, confessata in prima persona (cfr. Lc 1,3, akribos) dall'uomo che scrisse i due testi più lunghi del Nuovo Testamento, rimane come prova di autenticità, come già nel caso del Vangelo, finché una prova definitiva (e non delle semplici illazioni) dimostrerà il contrario. Le date e i dati parlano di per sé, e bisogna rispettarli.
Un esempio sarà sufficiente: nella ricerca di date negli Atti, due notizie essenziali ricorrono alla fine, ed entrambe riguardano Paolo; una è positiva, l'arrivo di Paolo a Roma, l'altra è negativa, l'assenza di ogni riferimento alla morte di Paolo (e a quella di Giacomo, il fratello del Signore, nel 63 ca.), bene attestata da fonti non bibliche successive. Sebbene l'anno esatto del suo arrivo (60 ca.) sia ancora oggetto di discussione (come pure l'anno della sua morte, avvenuta sotto Nerone dopo il 64), la conclusione è ovvia: l'anno 62 ca. (cfr. At 28,30) e la fine della persecuzione di Nerone con il suicidio dell'imperatore il 19 giugno 68 determinano il periodo massimo entro il quale gli Atti furono conclusi. Neppure un solo argomento decisivo è mai stato avanzato contro questa osservazione di base; al contrario, essa è supportata da un considerevole numero di osservazioni complementari. Per esempio, le autorità romane sono ritratte come neutrali o persino ben disposte nei confronti di Paolo (cfr. At 13,6-12; 18,12-17; 21,31-40; 28,16); questo atteggiamento mutò improvvisamente dopo l'incendio di Roma del 64. All'evento più catastrofico nella storia ebraica contemporanea, che avrà un'influenza decisiva sul futuro della comunità cristiana di Gerusalemme, cioè la distruzione della città con il suo Tempio da parte dei romani sotto la guida di Tito, non viene fatto neppure un accenno.
Le prove dedotte dal silenzio sono sempre problematiche. Ma se sono presenti in numero considerevole e confermano delle prove interne, presenti nel testo (per esempio la registrazione della morte di Stefano e Giacomo, fratello di Giovanni, ma non quella di Paolo e Giacomo, il fratello del Signore), lo storico non ha altra scelta che accettare l'ipotesi praticamente conclusiva e definitiva di una datazione anteriore alla persecuzione di Nerone e alla morte di Paolo. Non è il caso di essere dogmatici a questo proposito, solo di dire che una datazione bassa si basa su un nulla testuale, su una convenzione. Coloro che sostengono che gli Atti debbano essere postdatati, poiché il Vangelo di Luca utilizza Marco (che fu scritto secondo loro intorno al 70), saranno sorpresi nel dovere spostare la datazione del suddetto Vangelo agli anni 50 del primo secolo, proprio in concomitanza con la prima venuta di Pietro a Roma. Se Luca cela il luogo, e tuttavia le autorità romane non sanno ancora bene come procedere contro Paolo e anzi sono rappresentate con gentilezza, si dovrà supporre un clima politico in cui il cristianesimo non era né ancora ufficialmente perseguitato (questo dopo l’incendio del 64), né era tranquillo ma anzi l’aria che tirava era pessima e i rapporti con l’impero si incrinavano. Come è noto la data della svolta neroniana dal periodo aureo al periodo di follia e dispotismo avvenne nel 62, con tutta una serie di eventi che noi latinisti conosciamo fin troppo bene e fecero cadere in disgrazia metà del mondo stoico e lo stesso Seneca. La data di composizione è dunque da collocare dopo il 62(?) e prima del 64, col terminus ante quem più solido rispetto al termine post quem, in quanto è inspiegabile altrimenti il silenzio di Luca sulla morte di Paolo quando invece parla della morte di personaggi minori

“Il mio ragionamento è lineare e quasi auto-evidente. Invece sono i tuoi che in diversi punti mi sembrano non solo contraddittori ma forzati all’inverosimile”.

Pregasi argomentare

“Veramente dicendogli di non intervenire a suo favore sta già ordinando !”

E’ chiarissimo nel dire “io non vi do ordini come Pietro e Paolo”, nella frase che tu hai in mente si dice: “vi prego (parakalô) di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio.” Una preghiera, non un ordine.

“Per la banalissima ragione che il “peso” dei due documenti è imparagonabile. Un concilio “universale” come quello non può inventarsi una tradizione diversa da quelle che tu sostieni essere quella reale !! Sarebbero stati sbugiardati immediatamente.”

Infatti sono stati sbugiardati immediatamente, da tutto l’occidente e dall’africa. Ma non è questo il problema, io vorrei sapere perché una fonte del V secolo dovrebbe essere più affidabile di una del IV. Girolamo in quella lettera che postai non stava facendo neppure apologia di qualcosa, semplicemente aveva scritto al papa per chiedergli un parere e giustamente diceva che non ne poteva più della disputa lessicale tra “hypostasis” sostanza e “hypostasis” persona e dunque voleva consultare la cattedra di Pietro in proposito. Non aveva un pubblico a cui dare a bere qualcosa, aveva un destinatario. Per di più mi devi spiegare perché un Concilio ecumenico del V secolo sarebbe una fonte più affidabile delle fonti del II secolo dove si dice perché Roma ha quel ruolo, com’è possibile infatti che una fonte del V conosca meglio la tradizione di una molteplicità di attestazioni precedenti? Un conto è se uno storico ortodosso mi rispondesse: credo che lo Spirito Santo assista ai Concili ecumenici, e allora accetterei la sua posizione di fede, ma per uno storico laico non vedo perché una fonte del V secolo dovrebbe essere più importante di una fonte altrettanto orientale come Ireneo che era nativo di Smirne e che dice il contrario. La forza di un Concilio ecumenico sta proprio nel fatto che è ecumenico, cioè che rappresenta la tradizione universale e non i particolarismi e i moventi politici regionali. In quel canone manca tutto ciò: è un canone atto passare dai bizantini senza l’Occidente rappresentato, e questo dice tutto. Salta l’ecumenicità e dunque salta l’infallibilità.

“Scrivere una cosa falsa in un documento ufficiale esponeva il fianco alle critiche e sbugiardate più feroci.”

Cosa che è successa esattamente il giorno dopo che il decreto era stato votato, i delegati occidentali misero agli atti una protesta, e il papa di allora ha risposto giustamente che mai Roma aveva basato la sua preminenza sul fatto che era la città dei cesari ma sempre sulla cattedra petrina. Riassumendo: non abbiamo alcuna fonte prima del V secolo che dica che l’autorità di Roma derivi dal fatto che era la città imperiale, al contrario abbiamo fonti di segno opposto e di tre secoli più antiche. Questo canone è un palese esempio di cesaropapismo che non ha alcun appoggio nelle fonti precedenti.

“ma la motivazione non sta nel ripristinare la “verità” dell’origine del potere, ma sta nel dover ripristinare una falsa tradizione che sta alla base del potere papale”

Questa è una frase indimostrata. Stai cioè dicendo che l’occidente doveva ripristinare una falsa tradizione, ma non hai ancora dimostrato che è falsa, visto che è l’unica attestata dalle fonti prima del Concilio, al contrario la motivazione data da Calcedonia non è attestata in nessuna fonte antecedente, quindi se c’è qualcuno che deve provare la sua innocenza e la validità dei suoi asserti non è certo Roma.

“Hai la telecronaca minuto per minuto ?”

Suppongo che rimandarti a strumenti di lavoro come il MANSI sarebbe inutile perché non sai cos’è, quindi buttati su un motore di ricerca e scoprilo, magari riesci anche a capire quali sono gli storici che ci fanno la cronaca di questo Concilio.

“Quando scrivo e parlo di Roma mi riferisco non all’urbe (va bene così?) ma alla comunità cristiana di Roma !”

E la comunità di Roma è nobilitata in quanto sede della predicazione petrina e paolina, il che è l’unica cosa attestata. Stiamo ancora aspettando qualsiasi testimonianza orientale od occidentale, che dica di rivolgersi a Roma a causa della sua posizione socio-economica. Il tuo paradigma interpretativa è una chiacchiera senza una sola fonte, una lettura sociologica che non tiene conto della disgregazione dei centri sociali di riferimento causata dalla precedente struttura dei regni ellenistici, come se ad exemplum quanto a commerciò, a cultura e a mescolanza di etnie Alessandria avesse qualcosa da invidiare a Roma. Inoltre qualora tu faccia riferimento alla posizione sociale di Roma nell’impero, ai suoi traffici, ecc. ancora una volta stai facendo riferimento non alla comunità in quanto tale ma alla città che la ospita. Né mi hai spiegato perché ad un cristiano come punto di riferimento dottrinale dovrebbe importare qualcosa la posizione commerciale-sociale di qualsivoglia città.

“Come ti ho già detto se mi vuoi dire che Ireneo ritiene Roma la sede apostolica più importante perché vi morì Pietro a me non fa ne caldo ne freddo, quello che invece contesto è che tale importanza sia dovuta ad una sorta di lascito di Pietro a Lino o a Clemente o a chicchessia”

Le due cose coincidono per Ireneo e non sono distinguibili, sostengo entrambe le cose.

“Infatti io ho citato la parte di Lupieri in quel contesto.”

La tua citazione è da pag. 196 e quella parte è di Filoramo, il quale non mi pare dica da nessuna parte che apologia vuol dire menzogna.

“Nei primissimi momenti è ovvio che fu Roma in qualità di comunità cristiana ad assumere importanza per i motivi già più volte citati”

E quali sarebbero i motivi per cui la primissima comunità di Roma assume importanza? Il paolinismo? Ma questa non può bastare da sola, Roma non era neppure di fondazione paolina ed in Oriente aveva un bel po’ di concorrenza.

“quando tale comunità si espanse e iniziò ad avere delle relazioni con il potere politico nei secoli seguenti, allora l’importanza crebbe anche a motivo dell’importanza della città”

Tutto ciò non ha senso. Sì sa che il senato romano era la roccaforte del paganesimo e il primo imperatore romano della storia a diventare cristiano è Costantino nel IV secolo, ed è un orientale, successivo al periodo in cui l’impero era anche amministrativamente spaccato in quattro. Le testimonianze sul primato del II e del III secolo non sono dunque spiegabili con questa benedetta “città imperiale”, altrimenti documentami quali sarebbero queste relazioni, con un non meglio specificato potere politico di cui parli, nel II \III secolo, cioè ancora in fase di piena persecuzione.

“distruzione di Gerusalemme, paolinismo a Roma, martirizzazioni e opposizione alla “bestia”, comunità numericamente e geograficamente importante, comunità economicamente importante che si occupava delle altre chiese, con il tempo importanza perché insediata nella capitale dell’impero.”

In primis mi diresti quali sarebbero i caratteri del paolinismo a Roma e in che cosa Roma non sarebbe petrina? Perché vedi la comunità di Roma al contrario è stata vista dai patrologi di ogni epoca come spiccatamente petrina (J. Daniélou, Théologie du Judeo-Christianisme, Parigi, pp. 43. ss, tr.it Il Mulino 1974), cioè di stampo giudaico ma senza le prescrizioni che il Concilio di Gerusalemme aveva reso superflue. A Roma per secoli quando si dovrà condannare il cristianesimo, e in particolare al tempo di Domiziano, li si accuserà infatti di “ateismo e costumi giudaici”, come dice l’Ambrosiaster (da non confondere con S. Ambrogio da Milano) i romani suceperunt fidem Christi, ritu licet iudaico. Non c’è la comunità del trionfo del pagano-cristianesimo ma anzi una comunità che rimase di stampo giudeo-petrino. Le martirizzazioni poi possono spiegare una preminenza solo negli anni 60, perché è l’unica persecuzione riservata a Roma, quella di Domiziano era su scala totale e dunque Roma non ha alcun privilegio. Quando poi sarebbe il tempo in cui divenne importante perché capitale dell’impero aspetto ancora di saperlo.

“Comunque non ti è dato sapere quale sia la mia preparazione sulla manualistica sei dunque pregato di tenerti i giudizi in tasca.”

Mi scusi dottore, che esami di antichistica ha dato e che lingue antiche conosce visto che gioca tanto coi documenti? Ma almeno li può leggere?

“divertente notare come si condanni il relativismo e poi si caschi in sofismi relativisti per venirne fuori. Il fatto che vi siano diverse correnti di pensiero non significa che siano tutti equivalenti in termini di verità.”

Non ho mai detto una sciocchezza simile infatti. Ho detto che tu ti sei beccato non so quale fonte e convinto che sia l’acme del consensus accademico stai dando dei bigotti a tutti quelli che non ti danno retta, quando il problema è solo la tua ignoranza infatti ignori i resanti 2/3 del panorama. Non ho mai detto che tre posizioni valgano uguali, al messimo si può affermare che tutte e tre siano indimostrabili, non che tutte e tre siano vere. Se poi siano tutte indimostrabili è tutto da discutere, quello che avevo detto è che nel primo decennio del II secolo c’è l’episcopato monarchico, è molto diffuso, ed è nelle maggiori comunità. Ho altresì detto che non credo si possa formare in sette anni una cosa simile dunque l’episcopato monarchico dev’essere almeno di fine I secolo. Che cosa sia avvenuto tra la morte degli apostoli e quella data è oggetto di discussione.

“Poi sono gli altri che tralasciano le argomentazioni. Ho già risposo su questo”

E che cosa di grazia? La tua risposta fu: se fosse come dici, allora gli autori che ho letto io sono scemi. Al che ti replicai che non sono scemi, sono solo 1/3 del panorama

“Io invece sono del parere opposto e le parole di Gesù riscontrabili nei vangeli indirizzate a colui che vorrebbe farsi “primo” sono eloquenti.”

Oh cielo, pensi di sapere qualcosa sulla Bibbia che sia sfuggito a tutti i biblisti pro-episcopato. Ma come puoi pensare che i sostenitori della struttura gerarchica della Chiesa non si siano mai posti il problema di quel versetto? Puoi beccarti una magnifica monografia in proposito, sul tipo di organizzazione della comunità voluta da Gesù: Lohfink Gerhard, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt?, 1982, Freiburg-Basel-Wien, Herder, tr. it. Gesù come voleva la sua comunità, Cinisello balsamo(MI), San Paolo, 2002
Leggiti meglio quel brano. Qui la domanda dei discepoli “chi è il più grande?” è posta male. Il papa non è il più grande in senso ontologico, nel senso che ha una natura superiore. La teologia del ministero petrino recupera in pieno quest’aspetto. Gesù non nega che ci sia qualcuno che comanda, ma risponde: “CHI COMANDA sia come colui che serve”/”IL PIU’ GRANDE, si faccia il più piccolo”. Ministero infatti significa servizio in greco, e il ministero petrino è l’essere al servizio della comunità quali garanti dell’ortodossia. Il papa infatti definisce se stesso “servo dei servi di Dio”. Gesù non dice: “nessuno comandi”, ma “chi comanda sia come colui che serve”, perché potere significa servizio. Scongiurata sia l’anarchia sia il dispotismo.

“Esatto, il collegio dei presbiteri e non il monarca stile vescovo/papa”

Una magnifica forma di anarchia. Un collegio di presbiteri c’è sempre stato, anzi c’è ancora oggi per essere precisi. Il problema non è se esistano dei presbiteri a collegio sotto il vescovo, ma se appunto esista questo benedetto vescovo, se sia uno, e se sia il supervisore dei presbiteri. Infatti come è noto fino al medioevo sarà prevalentemente il capitolo dei canonici della cattedrale metropolitana a nominare il vescovo, dunque non è un problema l’esistenza del presbiteriano, ma ci mancherebbe altro.

“Io credo che tu non abbia mai letto questa lettera altrimenti non potresti sostenere ciò che sostieni a meno di non sperare nell’ignoranza altrui del documento il che sarebbe ancor più grave.”

Che arroganza, che presunzione, una presunzione che può pretendere solo chi abbia compiuto studi in questo campo e tu nei sei nel novero, e soprattutto che illusione di aver capito qualcosa, che ingenuità lessicale! Non so se ti rendi conto che hai dato degli analfabeti ad un’intera branca di storici della Chiesa che sostengono l’esistenza dell’episcopato monarchico a Roma sin dal I secolo, e che a quanto pare secondo te non avrebbero mai letto neppure la lettera a Clemente, che è così chiara (per te)! Renditi conto che se a te le cose sembrano chiare mentre ad molti antichisti no forse il problema è solo tuo che non hai né le categorie mentali per capire quello che leggi né soprattutto la conoscenza del lessico patristico per conoscere i significati delle parole che hai davanti, mi ricordi un buffone con cui discussi dell’esistenza di Nazareth nel I secolo e gli dissi che gli scavi archeologi avevano portato alla luce dei bagni romani, bene quell’uomo era talmente analfabeta di lessico antichistico che pensava stessi parlando di cessi anziché di terme. Qui stiamo avendo una replica del copione, e i protagonisti non sono più i bagni ma i presbiteri. Chi è un presbitero? Presbyteros è un termine greco che vuol dire banalmente anziano, i presbiteri sono gli anziani della comunità che svolgono il mistero sacro, e nell’episcopato monarchico uno dei presbiteri ha la funzione di vescovo. Tutti i vescovi sono presbiteri, non tutti i presbiteri sono vescovi. Le ordinazioni nella sacramentarla non si cancellano a vicenda, diventare cioè presbiteri non toglie il precedente grado d’ordinazione che era il diaconato, né diventare vescovi rende meno presbiteri, specie quello che suona nell’orecchio del greco secondo cui il presbitero è l’anziano, e dunque il vescovo fa parte del gruppo dei presbiteri di cui è capo (questo lo stadio nel NT, la lettera di Tito ci dice chiaramente che il vescovo è un presbitero, anzi per essere precisi tutti i presbiteri prendono parte all’episcopê, cioè la sorveglianza, di cui l’episcopato è la coordinazione). Si può dunque sia far risaltare che il vescovo è il capo dei presbiteri dicendo “il vescovo e i presbiteri”, sia raggrupparli tutti nell’insieme del presbiteriato e dire “i presbiteri” (ad es. “Riuniti in una stessa obbedienza e sottomessi al vescovo e ai presbiteri siate santificati in ogni cosa” (Ef, II). “Poichè nelle persone nominate sopra ho visto e amato tutta la comunità vi prego di essere solleciti a compiere ogni cosa nella concordia di Dio e dei presbiteri”(Magn, VI,1) Ammonire di stare sottomessi ai presbiteri non dice nulla sul nostro problema, perché anche Ignazio nelle lettere in cui nomina qualche suo amico vescovo dice di stare sottomessi ai presbiteri(supra). Dunque puoi capire come ne infischi delle tue citazioni con “capi” al plurale, perché anche in Ignazio dove l’episcopato monarchico rifulge si dice di stare sottomessi sia al vescovo sia ai presbiteri. Metà dei passi che hai citato ricade in questa insignificante casistica, ma siccome parlare di una molteplicità di guide come ho mostrato non prova nulla passiamo oltre. Un altro quarto ricade in un ragionamento ancora più ridicolo, ossia siccome si nomina “anziani” nella tua mente equivale a dire che non c’è il vescovo: “Facendo facilmente comprendere che la comunità fosse retta da un collegio, infatti si ribadisce il tutto quando si nominano gli anziani al plurale.” Ma che follia è mai chiesta? Un vescovo non ha forse sotto di sé decide di presbyteroi(anziani) oggi come allora? Ignazio lo dice chiaro e tondo che le due cose non si escludono a vicenda, anzi dice che gli anziani devono essere in armonia col vescovo “come le corde alla cetra”(Ef 4,1) Non si capisce poi perché nominare “anziani al plurale” dovrebbe essere la prova di alcunché. Ma scusa nella tua mente sotto l’episcopato monarchico non ci sono anziani o ce n’è uno solo? L’episcopato monarchico non c’entra nulla con la pluralità degli anziani che è comunque sempre presente, e a cui si deve sottomissione, come potrebbe fare il povero vescovo in comunità di migliaia di persone come Antiochia o Roma a gestire da solo la comunità?
Tra parentesi non esiste nessuno che neghi che in ciascuna comunità ci siano dei vescovi, perché questa è una direttiva già attestata dal NT, specie negli Atti e nelle lettere deutero-paoline, cioò su cui si litiga è se in questo benedetto collegio di presbiteri ci fosse un vescovo o più vescovi. Di per se la frase “rivolgersi ai presbiteri” è ambigua perché i vescovi sono presbiteri, ma nessuno in base a questo ha mai dubitato che nelle varie comunità ci fossero dei vescovi, proprio per il motivo suddetto, il problema è se ci sia un vescovo, non se ci siano dei vescovi.
C’è poi questa chicca che non c’entra nulla:

“Qui Clemente parla di se al plurale il che significa che parla come se fosse un collegio e non come se fosse il Vescovo a capo della chiesa romana.”

Vorrei ricordare che ancora oggi il papa parla di sé al plurale, si chiama pluralis majestatis, ma questo non vuol dire che le sue lettere siano scritte da una collettività. Nel caso di Clemente non è neppure necessario invocare il pluralis majestatis, infatti qui Clemente scrive al plurale perché banalmente si sente il portavoce della comunità di Roma e dunque scrive anche a suo nome. Non si può evincere dall’uso del plurale che non esiste un vescovo, anche perché altrettanto gratuitamente si potrebbe dedurne in modo diametralmente opposto la sua presa d’autorità. Cicerone usava il plurale maiestatico e Clemente non poteva? C’è chi fa il tuo stesso ragionamento, ad esempio Meier nel suo ultimo articolo su Clemente, ma si è preso le sue critiche come era prevedibile. Ora, gli studi recenti sulla 1 Clemente non sembra che vadano in questa direzione( mi rifaccio qui in toto al recentissimo articolo e ben fatto del prof. Dell’Osso apparso su “Alpha Omega” Volume IX - n. 2 – 2006, pag. 275-286) . Infatti, si è sottolineato come la lettera debba essere considerata come un documento ufficiale e “personale” allo stesso tempo (E. Cattaneo, Un “nuovo” passo della Prima Clementis: la “grande ammonizione” di 58,2-59,2A, in «Studi su Clemente Romano. Atti degli incontri di Roma 29 marzo e 22 novembre 2001», ed. P. Luisier, Roma 2003, 57-58.), e vista la suddetta naturasimultanea di documento ufficiale e “personale”, se è vero che siamo di fronte ad un documento ufficiale della Chiesa di Roma alla Chiesa di Corinto, è pur vero che «lo stile e l’unità di pensiero presuppongono la personalità di un autore (...). Egli non scrive come un semplice segretario, ma come
uno che è ben consapevole del tipo di intervento che sta rappresentando”. (E. Cattaneo, Un “nuovo”... cit. p. 5[SM=g27989]
Pertanto, i due soggetti Clemente e la Chiesa di Roma appaiono talmente uniti che non è possibile separarli. Infatti, se la lettera fosse stata di un semplice privato, e non della Chiesa di Roma, avrebbe per-so il suo valore; d’altra parte, se è vero che era la Chiesa romana a parlare, doveva averlo fatto attraverso il suo più alto rappresentante (Un quadro sintetico di tutte le ricerche moderne e delle testimonianze antiche sulla personalità dell’autore si trova in Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, ed. E. Peretto, Bologna 1999, pp. 23-34. Per la questione prosopografica rimandiamo a D.-A. Mignot,Clément, ce inconnu, in «Studi su Clemente Romano...» cit., pp. 163-195; B. Pouderon, Clément de Rome, Flavius Clemens et le Clément juif, in «Studi su Clemente Romano...» cit., pp. 197-218.)
Tra i negatori del primato nessuno ha ancora saputo spiegare nn base a quale autorità o a quale mandato particolare si fondi l’intervento della Chiesa di Roma su quella di Corinto. Del resto, se la Chiesa di Roma
avesse fatto un atto di prevaricazione, la Chiesa di Corinto avrebbe potuto protestare, cosa che, dalle fonti a nostra disposizione, non risulta essere avvenuto, anzi ci risulta il contrario (Dionigi). Questo esercizio di autorità sembra, piuttosto, delineare una presa di coscienza, in seno alla Chiesa di Roma, di una responsabilità per tutta la Chiesa dopo la scomparsa della generazione degli apostoli. Anzi possiamo ipotizzare che l’attività di Pietro e Paolo e la loro morte a Roma abbia contribuito a far maturare la convinzione di poter esercitare quest’autorità nei confronti delle altre comunità in base alla singolare posizione della Chiesa di Roma, quale custode dei resti mortali dei
due apostoli. A conforto di questa nostra ipotesi sta il fatto che i due apostoli vengono detti “colonne”(1 Clemente 5,2. Il significato di “colonna” è molto pregnante nell’antichità sia classica che cristiana, si pensi alle tre colonne della Chiesa di Gerusalemme in Atti, cfr. E. Peretto in Clemente... cit. p. 123), che «lottarono fino alla morte» e che l’autore della lettera dice: «Teniamo davanti agli occhi i valorosi apostoli» e subito dopo parla dei martiri romani, i quali costituiscono, per così dire, una “genealogia” apostolica che inizia proprio con Pietro e Paolo. Quanto all’uso di episkopos e presbyteros s’è già detto, occorrerebbe una più ampia dissertazione sull’uso e sul significato dei termini “vescovo” e “presbitero” all’epoca dello scritto, per evitare di tirare conclusioni azzardate. (Per conoscere testi patristici sui ministeri cfr. E. Cattaneo, I ministeri nella Chiesa
antica, Milano 1997) Chi sostiene che l’episcopato monarchico non ci fosse nel I secolo è costretto ad ipotizzare che con Ignazio nel 107 si registri in metà della cristianità una rottura brusca, e per giunta su scala globale: tutto di colpo ci troveremmo cioè davanti nelle più importanti comnunità ad una struttura di episcopato spuntata fuori dal nulla; il terreno della cristianità subirebbe inspiegabilmente un mutamento sismico, perché compare per la prima volta il monoepiscopato. La domanda che ci dobbiamo porre è se veramente l’affermazione del monoepiscopato avesse avuto un effetto sismico sulle comunità oppure, come sembra più verosimile, se non fosse stato altro che la registrazione di una realtà originaria, accolta e riconosciuta da tutti i membri delle comunità cristiane senza generare alcun turbamento. Inoltre, ci si chiede come possa essere stato possibile il passaggio dal collegio presbiterale al monoepiscopato in una sede così importante, come Roma, senza essere registrato in nessuna fonte antica del II secolo(data in cui ad es. Meier pone la transizione), visto che Egesippo compila il suo elenco dei vescovi di Roma proprio verso il 150, e come mai il collegio presbiterale avesse ceduto, in modo così semplice e indolore, il suo servizio e “potere” ad un uomo solo. Una risposta probabile a queste perplessità potrebbe essere che i presbiteri, in realtà, non avevano mai avuto collegialmente la funzione episcopale(che ricordo è altra cosa dall’episcopê) che, invece, era stata sempre di uno solo, coadiuvato dagli altri presbiteri per formare insieme l’armonia di una cetra; di conseguenza, i nomi che la tradizione patristica ci ha consegnato cor-
rispondono a coloro che, tra i presbiteri, avevano la funzione episcopale.

“Ma guarda che io sono straconvinto che sia stata una questione di opportunità quella di passare ad una direzione monarchica, cioè per questioni di sopravvivenza”

In che modo l’episcopato monarchico aiuta la sopravvivenza? Anche tu hai capito che la democrazia nelle cose di fede non funziona?

“non si faccia passare questa organizzazione come voluta da Gesù o dagli apostoli !”

No, no, no, non hai capito nulla del discorso. Secondo la teologia cattolica Gesù non ha fondato le’episcopato monarchico per la semplice ragione che la Chiesa s’è fondata dopo Pasqua e lui aveva istituito solo i dodici. La diakonia, il presbiteriato e l’episcopato sono forme di gestione che la Chiesa nascente s’è data con gli apostoli, ma per la teologia cattolica il vescovo è il successore degli apostoli quindi non si può dare un episcopato monarchico finché gli apostoli sono in vita. Nel NT, cioè quando si parla del tempo in cui gli apostoli erano ancora vivi, abbiamo infatti i vescovi ma sono più d’uno per ogni comunità e si accompagnano ai presbiteri, anzi in At e in Tito si fa capire chiaramente, come sopra detto, che anche i vescovi sono presbiteri, con relativa confusione dei ruoli. Chi sostiene l’episcopato monarchico ritiene che questa forma di governo se la sia data la Chiesa alla morte degli apostoli e per volontà degli apostoli, cioè che essi abbiano lasciato dei responsabile i dirigere quando s’assentavano le comunità che avevano fondato, e che questo/i dirigenti al seguito della morte degli apostoli e soprattutto dell’apostolo fondatore abbiano eletto o quello che di loro era più degno, o quello più vicino all’apostolo, ecc. Questo senza escludere che in alcuni casi ci sia stata una designazione monoepiscopale da parte degli apostoli stessi, ciascun apostolo a quanto si evince dal NT dirigeva infatti le comunità che aveva fondato, o almeno Paolo ci fa capire questo, dunque l’apostolo padre della comunità o designava dei successori, o anche un singolo incaricato da lui mandato, come Paolo che spediva il suo Timoteo dove gli serviva.

“Leggendo la lettera è chiaro che siamo di fronte al tentativo di una Chiesa di mettere pace all’interno di una comunità sorella”

Naturale, ma questo esclude forse che il mettere pace in una comunità non si possa fare dall’alto in basso? Mai letto le lettere di Paolo ai Corinzi?

“Il significato è lapalissiano, correzione a vicenda le chiese di Roma e Corinto si correggono a vicenda”

Temo che tu non abbia colto nulla del passo. Il soggetto della frase non è “la correzione tra Roma e Corinto” ma “la correzione fra noi cristiani”. Così come i cristiani si rimproverano a vicenda in quanto Gesù ha dato precise istruzioni in merito, così non ci si deve indispettire per un rimprovero che ora giunge dalla Chiesa di Roma. “Accettiamo il rimprovero per il quale nessuno deve indispettirsi, o carissimi. La correzione che ci facciamo a vicenda è buona e assai vantaggiosa; ci unisce alla volontà di Dio. . Così dice la santa parola: "Il Signore mi ha educato con il rimprovero e non mi ha consegnato alla morte".”

“come infatti avrebbe potuto mai Corinto correggere Roma se quest'ultima fosse stata superiore ?”

Non c’è scritto, e se anche trovassi un documento in cui si afferma una cosa simile non vedo quale sarebbe il problema. Pietro non è fuori dalla possibilità della correzione fraterna. Sebbene Gesù dica chiaramente a Pietro che il suo compito è quello di confermare nella fede i suoi fratelli sperduti (Lc 22, 31-32), è altrettanto palese che nel NT Pietro è un uomo soggetto all’errore come tutti, anzi, Gesù alla vigilia dell’arresto sceglie per confermare i fratelli nella fede proprio colui che lo rinnegherà tre volte.
“Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 31-32)
In questo sta il paradosso e la grandezza del ministero petrino. Pietro non è un super-uomo immune dall’errore e dal peccato, anzi Gesù sceglie Pietro proprio per metterci in guardia da coloro che ritengono che la perfezione della dottrina coincida con la perfezione del comportamento. E’ di grande consolazione vedere come gli apostoli siano le teste di coccio più dure della storia, da ben da sperare per tutti coloro che ne hanno fatte le veci nel corso dei secoli. Ad Antiochia anche Paolo rimprovera Pietro ma non la sua dottrina bensì il suo comportamento, la sua coerenza. Al successore di Pietro quando parla ex cathedra non si può rimproverare infatti il suo essere voce della Tradizione, mentre un papa si può criticare quando al comportamento quando si vuole. La tua obiezione dimostra di avere una concezione della teologia cattolica del papato che è quella degli ultramontanisti.

“Gli ordini sono rivolti palesemente agli scissionisti non alla chiesa di Corinto.”

Ma la Chiesa di Corinto sono gli scissionisti, o per meglio dire è anche gli scissionisti.

“Il Papa è in un singolo anche quando parla ex cathedra ! come si fa a sostenere che è “come se fosse tutta la chiesa” ?”

Non ho mai scritto nulla di simile. Ma mia formula esatta è stata: “Tanto per essere precisi quando ho detto che Dio non ha concesso l'infallibilità ai singoli, sarebbe utile leggersi il testo del concilio Vaticano I "Pastor aeternus" dove fu definita l'infallibilità papale, e in cui si spiega chiaramente che l'infallibilità non è del papa ma è l'infallibilità della Chiesa.” Non ho detto “come se”.
Dice la Lumen Gentium: “In effetti allora il romano Pontefice pronunzia sentenza non come persona privata, ma espone o difende la dottrina della fede cattolica quale supremo maestro della Chiesa universale, singolarmente insignito del carisma dell'infallibilità della Chiesa stessa. L'infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel corpo episcopale quando esercita il supremo magistero col successore di Pietro. A queste definizioni non può mai mancare l'assenso della Chiesa, data l'azione dello stesso Spirito Santo che conserva e fa progredire nell'unità della fede tutto il gregge di Cristo.”(Lumen Gentium, c. 3 n. 25)
Se vuoi conoscere la dottrina dell’infallibilità papale ho un bel saggio di Yves Congar da consigliarti.

“a proposito della precisazione grammaticale sul latino, in questo caso si scrive ex anche se la parola successiva inizia con una consonante”

Confesso che non ci avevo mai fatto caso. Sono andato a rivedermi sia i dizionari di latino sia i manuali di grammatica e ho trovato indicazioni esattamente opposte. Penso che la disputa si possa risolvere dicendo che con la fonetica standard del latino classico “e” non va mai prima di una parola che inizia con vocale, mentre per ex il fatto che possa essere seguita anche da consonante pare una degenerazione che prende piede quanto più ci si allontana dalla Roma dei Cesari. Forse è una formula cristallizzata di latino medioevale, che è noto oscilla parecchio foneticamente rispetto alla dizione standard della restituta. Tuttavia su questo punto non ho indicazioni precise da dare.

“Non ho intenzione di entrare anche in questa problematica, basti sapere che anche gli autori dei vangeli sono contestati, figuriamoci dunque la storielle di Marco allievo di Pietro e Pietro a Roma nel 42 !”

In primis se c’è un Vangelo di cui i più riconoscono un attribuzione classica senza problemi questo è Marco, il vangelo che fa più problemi per il nome tramandato dalla tradizione è Giovanni. Gli studi di neotestamentaria sono in schiacciante maggioranza per la paternità marciana dell’opera, che non c’è alcuna ragione di contestare. Inoltre questo non è necessariamente legato alla credenza di Pietro a Roma nel 42, chi sostiene che l’autore sia Marco e contemporaneamente crede ad una datazione bassa del Vangelo pone la sua stesura e la relativa catechesi orale di Pietro da cui deriva in una delle visite successive dell’apostolo. Non c’è alcun motivo per sospettare della paternità marciana dell’opera né dell’ambiente romano, provato sia dai latinismi sia dal tipo di modifiche che vengono fatte per adattare il kerygma alla comunità ricevente, come sulla questione sul divorzio ad esempio il cui divieto è esteso anche alle donne. E soprattutto non c’è ragione di dubitarne, e infatti quasi nessuno lo fa più, perché questa tradizione è molto antica essendo attestata da uno scrittore che nacque nell’ultima metà del I secolo e morì nella I metà del II, le cui opere giravano ancora nel IV secolo visto che Eusebio ci invita a leggerle. In definitiva per chi non viva di preconcetti Marco è il Vangelo la cui attribuzione e la cui matrice petrina sono più solide.

“Per l’amor del cielo, sito cattolico revisionista astorico di infimo livello !”

Oh, sarà per questo che ti ho indicato le parti riportate del testo di un papirologo luterano! Non spetta a te stabilire cosa sia di infimo livello quando si parla di storia. Già ti credi in grado di discernere la qualità dalla spazzatura quando fino a poco tempo fa giravi sostenendo che Deschner fosse una persona seria? Tu sei in balia delle onde e della disinformazione internettiana. E poi tra parentesi come osi dire che è di infimo livello la pagina che ti ho linkato? Ma ti rendi conto di chi erano gli articoli riportati? Tu, nella tua totale inconsapevolezza del panorama degli studi sai di chi stai parlando? Hai appena insultato persone che sono tra i migliori antichisti del secolo, e nel caso della prof. Sordi la miglior specialista europea nei rapporti tra l’impero romano e il cristianesimo. Studia per 40 anni storia romana e forse poi avrai il diritto di pronunciare il nome delle persone che hai insultato. Un minimo di curriculum. Carter Peter Thiede, storico della letteratura comparata, filologo e paleografo, inizia la sua carriera come assistente alla facoltà di Lettere dell’università di Ginevra. E’ mebro di numero Istituti Accademico, tra cui l’associazione Internazione di Papirologi. Dal 1998 insegna all’università “Ben-Gurion” di Beer-Sheva (Israele) ed è professore di storia neotestamenta e di papirologia al “STH Basel” di Basilea. E’ capo coordinatore del Comitato di verifica e di analisi dei danni subiti dai rotoli del Mar Morto presso l’ “Israel Antiquities Authority” di Gerusalemme.
Marta Sordi, già docente di storia romana all’università di Bari, Messina, Bologna e, dal 1970, professore emerito di Storia greca e romana dall’Università Cattolica di Milano, responsabile delle pubblicazioni dell’Istituto di Storia Antica della stessa Università, membro dell’Accademia di Scienze e Lettere dell’Istituto Lombardo e dell’Istituto di
Studi Etruschi.

“Devi la tua fortuna alla difficoltà di molti ad approfondire queste tematiche”

Ma non mi dire. Vista la tua incredibile abilità nello spaziare a 360 gradi fra letteratura greca e latina, che di sicuro hai ottenuto in anni di studi, c’è davvero da temere.

“più ritengono quella epistola non di Pietro e lo sai benissimo visto che lo hai scritto anche tu.”

Mai detta una cosa simile. Ho detto che 2Pt dai più non è attribuita a Pietro.

“Come buttare a mare decenni di studi e decine di studiosi che invece sostengono l’esatto opposto”

Che tu ovviamente conosci e hai letto…
Inoltre io non butto via niente, a differenza di chi s’è fatto delle confuse idee girando in internet e crede d’essere arrivato a chissà quale consapevolezza perché ha appena iniziato a leggersi un manuale, il sottoscritto conosce il panorama del problema e ha deciso da che parte stare. Tu giudichi la parte in cui ti trovi, considerandola l’intero, e credi che la tua comprensione dei fenomeni, che il tuo sentore di come vada il mondo accademico, sia quello corretto, quando magari non hai mai messo piede in un dipartimento di scienze dell’antichità. Nessuno può conoscere l’intero, ma lasciati dire che c’è chi queste cose le studia a livello universitario da anni, e nessuno dei due “schieramenti” copre di ridicolo l’altro. Il dogmatismo dell’ipercritica è defunto così come dall’altra parte la fede ingenua nell’inerranza della Scrittura tipica di certo cristianesimo pre-conciliare, adesso s’è finalmente trovato un medium e tu non hai idee di quali tendenze paleolitiche stai rimestando.

“ma come ho detto mi occuperò anche di questa presunta quanto astorica fondazione.”

Basta che sia la “fondazione” espressa dal greco “themelioo” e dal latino “fundare”, e non dal tuo “fondare” pensato in italiano.

Ad maiora
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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