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Tommaso

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2008 22:55
01/09/2007 16:55
 
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Ragazi incomincio col salutarvi in praticolar modo Mario, Andreju(andrea poco tempo fa di spedii un e-mail ma dato che non ti è arrivata forse non ti è arrivata, per caso nel tuo indirizzo e-mail vi è l'espressione andreaesara?) e Barnabino.

Ad ogni modo vi espongo la mia opinione su Giovanni 20,28

GIOVANNI 20,28

Questa è senza dubbio una delle testimonianze più eclatanti della piena divinità di Cristo. Tommaso senza mezzi termini appena vide Gesù e si rese conto chi era veramente, esclamò: "Signor mio e Dio mio!"

Il passo tradotto letteralmente dal greco dice: "il Signore di me e il Dio di me!" (Ho kurios mou kai ho theos mou). Nel versetto come possiamo vedere, il termine "Dio", è preceduto dall’articolo determinativo. Ciò vuol dire, tendendo conto delle affermazioni di Barclay e Harner sui predicati nominali evidenziati durante l’esposizione del commento a Giovanni 1,1; una sola cosa: Gesù viene definito "vero Dio".

L’apostolo Tommaso nella sua schiettezza e semplicità credeva semplicemente in quello che vedeva. Il Figlio con la sua risurrezione aveva dimostrato di essere Dio(Figlio) colui in cui abitava la pienezza della "deità", (Colossesi 2,9).

GIOVANNI 20,28; e GIOVANNI 17,3.

Nel passo terzo del capitolo diciassette di Giovanni è scritto:

"Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo".

Il Signore Gesù, durante la sua preghiera sacerdotale, invocò il Padre celeste definendolo il solo "vero Dio", però esaminando (Giovanni 20,28); abbiamo visto come lo stesso Figlio di Dio è definito tale. Vi è contraddizione fra le due espressioni del vangelo di Giovanni? Come conciliare l’affermazione del Cristo con quella di Tommaso?

Effettivamente in apparenza sembra vi sia contrasto, ma vedremo poi che non è così.
Per chiarire la questione è importante prendere in esame e come esempio il passo di 1Corinzi, capitolo otto, dal verso quarto al sesto: "Quanto dunque al mangiar carni sacrificate agli idoli, sappiamo che l'idolo non è nulla nel mondo, e che non c'è che un Dio solo. Poiché, sebbene vi siano cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e signori, tuttavia per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo".

San Paolo in questo scritto fa un raffronto-contrasto fra i numerosi dei e signori in cui confidavano i pagani, con l’unico Dio e Padre e il solo Signore Gesù Cristo in cui credevano i cristiani. Adesso il punto in questione su cui bisogna riflettere è questo. Il fatto che Paolo nella sua lettera ai credenti di Corinto definisce Gesù come "solo Signore" dei cristiani, esclude per caso il Padre da tale giusto privilegio? In sostanza l’apostolo dei gentili voleva dirci che i discepoli del Cristo non riconoscevano o non dovevano riconoscere il Padre come loro Signore? Non credo. Anzi vi sono numerosi prove del contrario. Per esempio in (Atti 4,24-31); la Chiesa primitiva nel rivolgersi a Dio per mezzo del Cristo, si rivolgono a lui nominandolo con l’appellativo di Signore (Despota), senza considerare tutte le volte in cui nelle scritture ebraiche la Signoria del Creatore viene riconosciuta senza problemi dal suo popolo.

Allora perché Saulo di Tarso nell’epistola ai corinzi definisce Gesù come "solo Signore"? Il contesto immediato ci aiuta grandemente a risolvere l’enigma. Il Figlio di Dio è il solo Signore non in contrapposizione al Padre suo, bensì ai falsi signori definiti tali dal paganesimo, (1Corinzi 4,4-5).

Un altro esempio atto a chiarire la questione lo possiamo trovare nella parola "Salvatore". In (Isaia 43,11); troviamo scritto:

"Io, sono io Yahvé, e non ci sono salvatori all'infuori di me". (BJ)

Yahvé è il solo Salvatore per Isaia. Non mi sembra vi siano dubbi a riguardo. L’affermazione del profeta è chiara. Eppure (Matteo 1,21; e Luca 2,11); definiscono anche il Cristo come Salvatore, come mai? Ebbene, seguendo il ragionamento precedente sulla Signoria di Cristo e Dio, il gerosolimitano considera il Padre come solo Salvatore, non in opposizione a Gesù, ma agli idoli di pietra, muti e senza vita. Certo, il Figlio di Dio nelle scritture, e precisamente in Giuda 25 viene visto come il mezzo mediante il quale il Padre salva, ma ciò non toglie che gli scrittori neotestamentari riconoscono in ogni modo il Verbo incarnato come loro Salvatore, (Tito 2,13; 2Pietro 1,1; Ebrei 9,28).

Concludendo, se poi noi confrontiamo, (Zaccaria 14,9; con Apocalisse 19,16); comprendiamo che il Padre è il solo Re in contrapposizione con le false divinità e non certamente in opposizione al Figlio.

Identico discorso deve essere quindi fatto per (Giovanni 17,3). Il Padre è definito il solo vero Dio non in contrapposizione a Gesù Cristo, essendo, come abbiamo visto prima, pure questi "vero Dio", (Giovanni 20,28; e Colossesi 2,9); ma sempre in contrasto con le false divinità.

GIOVANNI 20,28; E MOULE

Un altra teoria tendente a voler indebolire l'efficacia probante del passo giovanneo è quella formulata dal grecista Moule esposta nella sua opera:

"An Idiom Book of New Testament Greek, Cambridge University Press, Cambridge 1975". Secondo tale studioso il passo in questione forse non è stato utilizzato per sostenere la piena deità di Cristo e sarebbe proprio l'elemento grammaticale a suscitare tale dubbio. In sostanza Giovanni dato che era obbligato da motivi grammaticali ad inserire l'articolo, infatti la frase ha il pronome possessivo e quindi "theos" essendo vocativo nominale definito richiede l'articolo, può darsi che ha scritto il passo evangelico in quel modo unicamente perché costretto dalla grammatica e non per comunicare verità teologiche. In pratica tutto ciò secondo il Moule susciterebbe delle perplessità, ossia se considerarlo o no rilevante dal punto di vista teologico.

RISPOSTA

Quì non si vuole certamente impugnare le conclusioni grammaticali raggiunte da Moule a riguardo (Giovanni 20,28). L'apostolo è stato certamente obbligato dalla grammatica ad agire in quel modo, ma proviamo ad esaminare la questione a trecentosessanta gradi in modo da vederla da tutti i punti di vista. Innanzitutto, ammettendo per ipotesi assurda che solo il Padre dovrebbe essere "ho theos", perché Giovanni avrebbe utilizzato una struttura grammaticale che lo avrebbe costretto a definire Gesù Cristo "il Dio" pur sapendo che solo al Padre celeste era attribuibile tale affermazione? Per crearsi delle difficoltà? Per suscitare ai lettori dubbi e incertezze come quelle evidenziate da Moule? L'apostolo se voleva, invece del vocativo nominale "theos" poteva benissimo utilizzare un normale vocativo come "theon", il quale non lo avrebbe obbligato a inserire l'articolo e che lui oltretutto dimostra di conoscere molto bene, infatti sempre nello stesso capitolo, questa volta però al passo diciassette troviamo scritto nel testo greco, (riporto solo la parte essenziale al discorso):

"Anabainô pros ton patera mou kai patera humôn kai 'theon mou' kai theon humôn". Come si può notare in questo caso non vi è l'articolo, contrariamente al verso ventotto dove vi è appunto "theos": "Ho kurios mou kai 'ho theos mou'".

Tutto questo ci porta a comprendere come Giovanni non ha avuto nessun problema a redigere la frase del verso ventotto così come l'ha scritta anche se essa l'obbligava a definire Gesù: "ho Theos", segno evidente che per l'apostolo non vi era alcuna difficoltà ad etichettare il Figlio di Dio in quel modo, in caso contrario è ovvio che avrebbe utilizzato regole grammaticali differenti che gli permettevano di non inserire per forza l'articolo davanti al "Dio" attribuito al redentore.

La parola di Dio nei suoi fondamenti dottrinali è sempre chiara e lineare. Nel ventottesimo verso del quarto vangelo, il Figlio di Dio viene definito da Tommaso, "il Dio", ossia "vero Dio", e se in tal caso notiamo una regola della Koiné la quale ha obbligato Giovanni ha scrivere quello che ha scritto, ciò vuol dire semplicemente che Iddio ha messo nel cuore dell'apostolo ha utilizzare tale struttura del greco antico affinché fosse spinto a proclamare una sacrosanta verità: "Gesù Cristo è Dio come il Padre suo".

Rispondendo quindi alle perplessità del Moule possiamo dire:

"E' vero che l'apostolo era costretto dal "vocativo nominale definito: theos" a inserire l'articolo, ma è altrettanto vero che Giovanni non era certamente obbligato a utilizzare nel passo giovanneo quel tipo di "vocativo". Quindi la libertà dell'evangelista d'inserire o meno l'articolo nel verso in questione rimane e con essa l'importanza teologica dello stesso.
01/09/2007 16:59
 
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Scusate ragazzi ma ho fatto un po di confusione quando vi ho scritto salutandovi. Riporto la frase in modo corretto.

Ragazzi incomincio col salutarvi in praticolar modo Mario, Andreju(andrea poco tempo fa di spedii un e-mail ma dato che non mi hai risposto forse non ti è arrivata, per caso nel tuo indirizzo e-mail vi è l'espressione andreaesara?) e Barnabino.

Ciao
01/09/2007 17:11
 
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Re:
-Gaetano-, 01/09/2007 16.55:

 
Ragazi incomincio col salutarvi in praticolar modo Mario, Andreju(andrea poco tempo fa di spedii un e-mail ma dato che non ti è arrivata forse non ti è arrivata, per caso nel tuo indirizzo e-mail vi è l'espressione andreaesara?) e Barnabino.

Ad ogni modo vi espongo la mia opinione su Giovanni 20,28

GIOVANNI 20,28

Questa è senza dubbio una delle testimonianze più eclatanti della piena divinità di Cristo. Tommaso senza mezzi termini appena vide Gesù e si rese conto chi era veramente, esclamò: "Signor mio e Dio mio!"

Il passo tradotto letteralmente dal greco dice: "il Signore di me e il Dio di me!" (Ho kurios mou kai ho theos mou). Nel versetto come possiamo vedere, il termine "Dio", è preceduto dall’articolo determinativo. Ciò vuol dire, tendendo conto delle affermazioni di Barclay e Harner sui predicati nominali evidenziati durante l’esposizione del commento a Giovanni 1,1; una sola cosa: Gesù viene definito "vero Dio".

L’apostolo Tommaso nella sua schiettezza e semplicità credeva semplicemente in quello che vedeva. Il Figlio con la sua risurrezione aveva dimostrato di essere Dio(Figlio) colui in cui abitava la pienezza della "deità", (Colossesi 2,9).

GIOVANNI 20,28; e GIOVANNI 17,3.

Nel passo terzo del capitolo diciassette di Giovanni è scritto:

"Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo".

Il Signore Gesù, durante la sua preghiera sacerdotale, invocò il Padre celeste definendolo il solo "vero Dio", però esaminando (Giovanni 20,28); abbiamo visto come lo stesso Figlio di Dio è definito tale. Vi è contraddizione fra le due espressioni del vangelo di Giovanni? Come conciliare l’affermazione del Cristo con quella di Tommaso?

Effettivamente in apparenza sembra vi sia contrasto, ma vedremo poi che non è così.
Per chiarire la questione è importante prendere in esame e come esempio il passo di 1Corinzi, capitolo otto, dal verso quarto al sesto: "Quanto dunque al mangiar carni sacrificate agli idoli, sappiamo che l'idolo non è nulla nel mondo, e che non c'è che un Dio solo. Poiché, sebbene vi siano cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e signori, tuttavia per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo".

San Paolo in questo scritto fa un raffronto-contrasto fra i numerosi dei e signori in cui confidavano i pagani, con l’unico Dio e Padre e il solo Signore Gesù Cristo in cui credevano i cristiani. Adesso il punto in questione su cui bisogna riflettere è questo. Il fatto che Paolo nella sua lettera ai credenti di Corinto definisce Gesù come "solo Signore" dei cristiani, esclude per caso il Padre da tale giusto privilegio? In sostanza l’apostolo dei gentili voleva dirci che i discepoli del Cristo non riconoscevano o non dovevano riconoscere il Padre come loro Signore? Non credo. Anzi vi sono numerosi prove del contrario. Per esempio in (Atti 4,24-31); la Chiesa primitiva nel rivolgersi a Dio per mezzo del Cristo, si rivolgono a lui nominandolo con l’appellativo di Signore (Despota), senza considerare tutte le volte in cui nelle scritture ebraiche la Signoria del Creatore viene riconosciuta senza problemi dal suo popolo.

Allora perché Saulo di Tarso nell’epistola ai corinzi definisce Gesù come "solo Signore"? Il contesto immediato ci aiuta grandemente a risolvere l’enigma. Il Figlio di Dio è il solo Signore non in contrapposizione al Padre suo, bensì ai falsi signori definiti tali dal paganesimo, (1Corinzi 4,4-5).

Un altro esempio atto a chiarire la questione lo possiamo trovare nella parola "Salvatore". In (Isaia 43,11); troviamo scritto:

"Io, sono io Yahvé, e non ci sono salvatori all'infuori di me". (BJ)

Yahvé è il solo Salvatore per Isaia. Non mi sembra vi siano dubbi a riguardo. L’affermazione del profeta è chiara. Eppure (Matteo 1,21; e Luca 2,11); definiscono anche il Cristo come Salvatore, come mai? Ebbene, seguendo il ragionamento precedente sulla Signoria di Cristo e Dio, il gerosolimitano considera il Padre come solo Salvatore, non in opposizione a Gesù, ma agli idoli di pietra, muti e senza vita. Certo, il Figlio di Dio nelle scritture, e precisamente in Giuda 25 viene visto come il mezzo mediante il quale il Padre salva, ma ciò non toglie che gli scrittori neotestamentari riconoscono in ogni modo il Verbo incarnato come loro Salvatore, (Tito 2,13; 2Pietro 1,1; Ebrei 9,28).

Concludendo, se poi noi confrontiamo, (Zaccaria 14,9; con Apocalisse 19,16); comprendiamo che il Padre è il solo Re in contrapposizione con le false divinità e non certamente in opposizione al Figlio.

Identico discorso deve essere quindi fatto per (Giovanni 17,3). Il Padre è definito il solo vero Dio non in contrapposizione a Gesù Cristo, essendo, come abbiamo visto prima, pure questi "vero Dio", (Giovanni 20,28; e Colossesi 2,9); ma sempre in contrasto con le false divinità.

GIOVANNI 20,28; E MOULE

Un altra teoria tendente a voler indebolire l'efficacia probante del passo giovanneo è quella formulata dal grecista Moule esposta nella sua opera:

"An Idiom Book of New Testament Greek, Cambridge University Press, Cambridge 1975". Secondo tale studioso il passo in questione forse non è stato utilizzato per sostenere la piena deità di Cristo e sarebbe proprio l'elemento grammaticale a suscitare tale dubbio. In sostanza Giovanni dato che era obbligato da motivi grammaticali ad inserire l'articolo, infatti la frase ha il pronome possessivo e quindi "theos" essendo vocativo nominale definito richiede l'articolo, può darsi che ha scritto il passo evangelico in quel modo unicamente perché costretto dalla grammatica e non per comunicare verità teologiche. In pratica tutto ciò secondo il Moule susciterebbe delle perplessità, ossia se considerarlo o no rilevante dal punto di vista teologico.

RISPOSTA

Quì non si vuole certamente impugnare le conclusioni grammaticali raggiunte da Moule a riguardo (Giovanni 20,28). L'apostolo è stato certamente obbligato dalla grammatica ad agire in quel modo, ma proviamo ad esaminare la questione a trecentosessanta gradi in modo da vederla da tutti i punti di vista. Innanzitutto, ammettendo per ipotesi assurda che solo il Padre dovrebbe essere "ho theos", perché Giovanni avrebbe utilizzato una struttura grammaticale che lo avrebbe costretto a definire Gesù Cristo "il Dio" pur sapendo che solo al Padre celeste era attribuibile tale affermazione? Per crearsi delle difficoltà? Per suscitare ai lettori dubbi e incertezze come quelle evidenziate da Moule? L'apostolo se voleva, invece del vocativo nominale "theos" poteva benissimo utilizzare un normale vocativo come "theon", il quale non lo avrebbe obbligato a inserire l'articolo e che lui oltretutto dimostra di conoscere molto bene, infatti sempre nello stesso capitolo, questa volta però al passo diciassette troviamo scritto nel testo greco, (riporto solo la parte essenziale al discorso):

"Anabainô pros ton patera mou kai patera humôn kai 'theon mou' kai theon humôn". Come si può notare in questo caso non vi è l'articolo, contrariamente al verso ventotto dove vi è appunto "theos": "Ho kurios mou kai 'ho theos mou'".

Tutto questo ci porta a comprendere come Giovanni non ha avuto nessun problema a redigere la frase del verso ventotto così come l'ha scritta anche se essa l'obbligava a definire Gesù: "ho Theos", segno evidente che per l'apostolo non vi era alcuna difficoltà ad etichettare il Figlio di Dio in quel modo, in caso contrario è ovvio che avrebbe utilizzato regole grammaticali differenti che gli permettevano di non inserire per forza l'articolo davanti al "Dio" attribuito al redentore.

La parola di Dio nei suoi fondamenti dottrinali è sempre chiara e lineare. Nel ventottesimo verso del quarto vangelo, il Figlio di Dio viene definito da Tommaso, "il Dio", ossia "vero Dio", e se in tal caso notiamo una regola della Koiné la quale ha obbligato Giovanni ha scrivere quello che ha scritto, ciò vuol dire semplicemente che Iddio ha messo nel cuore dell'apostolo ha utilizzare tale struttura del greco antico affinché fosse spinto a proclamare una sacrosanta verità: "Gesù Cristo è Dio come il Padre suo".

Rispondendo quindi alle perplessità del Moule possiamo dire:

"E' vero che l'apostolo era costretto dal "vocativo nominale definito: theos" a inserire l'articolo, ma è altrettanto vero che Giovanni non era certamente obbligato a utilizzare nel passo giovanneo quel tipo di "vocativo". Quindi la libertà dell'evangelista d'inserire o meno l'articolo nel verso in questione rimane e con essa l'importanza teologica dello stesso.



Perfettamente d'accordo: hai riassunto molto bene ciò che io e Mario abbiamo detto, con altre aggiunte interessanti.
[SM=g28002]




http://andreabelli75.wordpress.com/

http://progettostudiodellabibbia.wordpress.com/
01/09/2007 19:25
 
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Re: Re:
andreiu2, 01/09/2007 17.11:



Perfettamente d'accordo: hai riassunto molto bene ciò che io e Mario abbiamo detto, con altre aggiunte interessanti.
[SM=g28002]





Amen!
Ma tanto è inutile, quello che mi da piu fastidio è il voler aver ragione a tutti i costi, anche quando ci si contraddice o è eclatante che le teorie altrui sono piu che plausibili.
Ammettere questo significherebbe che la dottrina della trinità tanto cattiva e pagana non è, questo implicherebbe relativizzare la colpa di chi comincia a mettere in dubbio la creaturalità del Cristo, ma questo per loro è inammissibile (verrebbero disassociati in tronco!) Ecco perchè mi piacerebbe piu onestà, e l'ammissione che forse il non voler accettare tale dottrina deriva piu dalla paura che da altro... ma forse chiedo troppo!

Ciao Gaetano, la mia stima nei tuoi riguardi cresce sempre piu...



"Il messaggio è chiaro. Il nostro amore per Geova dev’essere più forte del nostro amore per i familiari che gli divengono sleali.
Oggi Geova non mette immediatamente a morte quelli che violano le sue leggi.
Amorevolmente dà loro l’opportunità di pentirsi delle loro opere ingiuste. Ma come si sentirebbe Geova se i genitori di un trasgressore impenitente continuassero a metterLo alla prova frequentando senza necessità il loro figlio disassociato?"(La torre di Guardia 15 luglio 2011 pagine 31)
02/09/2007 14:21
 
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Caro Geatano,


Nel versetto come possiamo vedere, il termine "Dio", è preceduto dall’articolo determinativo. Ciò vuol dire, tendendo conto delle affermazioni di Barclay e Harner sui predicati nominali evidenziati durante l’esposizione del commento a Giovanni 1,1; una sola cosa: Gesù viene definito "vero Dio"



Grazie per il tuo intervento, ma per il versetto, come abbiamo già commentato, sono possibili altre lettura, tutte assolutamente permesse:

1. Tommaso indirizzò quella frase non direttamente a Gesù, ma a "ho theos" (cioè Geova) che aveva risorto Gesù. Ti ricordo che qui la "mancanza di fede" di Tommaso non riguardava la "deità" di Gesù, ma il fatto che fosse davvero stato risorto dal Padre.

2. Giovanni qui usa un "nominativo per vocativo", cioè un semitismo, seguito da un possessivo. In questo caso non sappiamo se l'articolo abbia un valore semantico (cioè se volesse definire Gesù "ho theos") oppure se venisse usato solo per ragioni grammaticali, cioè per formare il vocativo, entrambe le possibilità sono aperte.

Una cosa è certa, nel NT il termine "ho theos" generalmente indica Geova (ci sono solo poche eccezioni dove l'assenza dell'articolo è giustificata da ragioni grammaticali) colui che Gesù chiama suo Padre. Ammettere che Gesù fosse identificato con "ho theos" significherebbe che Tommaso aveva identificato il Cristo con il Padre, cosa che non possiamo naturalmente rifiutare a priori, ma che risulterebbe assai improbabile per l'ambiete giudaico.


Innanzitutto, ammettendo per ipotesi assurda che solo il Padre dovrebbe essere "ho theos"?



A dire il vero quella era LA SOLA ipotesi possibile! Per gli ebrei (e dunque per Tommaso e Giovanni) il solo che era detto "ho theos" nella LXX era Geova, cioè colui che Gesù chiama il Padre. Semmai sarebbe stati "assurdo" affermare che altri esseri oltre a Geova potevano essere definiti "ho theos".

Attenzione a non cadere nel pregiudizio trinitario. Se era difficile nel IV secolo stabilire in che senso Gesù era "theos" figuriamoci nel I secolo!


perché Giovanni avrebbe utilizzato una struttura grammaticale che lo avrebbe costretto a definire Gesù Cristo "il Dio" pur sapendo che solo al Padre celeste era attribuibile tale affermazione



Semplicemente perchè per un lettore contemporaneo quella non era una struttura che definiva Gesù "ho theos". Chi leggeva quel passo sapeva benissimo che l'articolo era solo usato per formare il vocativo. D'altronde nel Salmo 45 risultarebbe che "ho theos" sia il re Davide, ma per un lettore ebreo era ovvio dal contesto che non si trattava di "ho theos". Anche in quel caso poteva essere usato un altro "vocativo", ma evidentemente non era un problema per i traduttori della LXX.

Lo stesso in questo caso, per il lettore era così forte la regola che "ho theos" indica solo Geova che non era possibile alcuna ambiguità, sarebbe stato ovvio che l'articolo non indicava una identità di persona ma che fosse solo un uso grammaticale. Spero che ti sia chiaro quanto voglio dire.

E' quanto ho già fatto notare a Mario. I rari passi in cui Gesù potrebbe essere detto "ho theos" non sono mai univochi, ma grammaticalmente è sempre possibile applicare questo termine anche a Geova, il Padre. La domanda è: per un lettore ed uno scrittore che erano abituati ad usare "ho theos" sempre per Geova, dovendo scegliere se attribuirlo a Gesù o a Geova cosa avrebbero scelto? Il contesto culturale, storico e linguistico ci obbliga a fare la stessa scelta, se non cadiamo nell'anacronismo, non leggiamo il passo come un discepolo del I secolo ma come un vescovo educato nella cultura classica del V secolo, magari introducendo persono concetti di "doppia natura" e così via.

Libero di farlo, ovviamente, ma non mi pare un metodi esegetico corretto. Io cerco, in tutta umiltà naturalmente, di capire il senso che il passo aveva per un ebreo del I secolo e la sua cultura.

Shalom

[Modificato da barnabino 02/09/2007 14:42]
02/09/2007 18:06
 
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Ma tanto è inutile, quello che mi da piu fastidio è il voler aver ragione a tutti i costi, anche quando ci si contraddice o è eclatante che le teorie altrui sono piu che plausibili.


Se ti da fastidio, perchè allora insisti nel voler avere ragione a tutti i costi contro le evidenze che ti smentiscono?

Anzitutto qui si continua a fuorviare il discorso sulla questione dell'articolo. L'uso dell'articolo determinativo ho davanti a thèos in Giovanni 20:28, ha una motivazione diversa, rispetto a quella ontologica che furbescamente cercate di dimostrare. Vi abbiamo ripetutamente spiegato che nella fattispecie l'uso dell'articolo ho davanti a theos e kurios non ha rilevanza semantica essendo richiesto per ragioni grammaticali. Infatti la presenza dell'articolo è data dall'uso del pronome possessio mou, che in greco esige appunto l'articolo determinativo. Ma questa è una nozione grammaticale piuttosto elementare. Perciò questo vostro accanimento non vi fa fare una bella figura!

Circa l'uso di theos in riferimento al Cristo, l'abbiamo spiegato fino alla nausea. Infatti anzichè estrapolare e forzare in maniera univoca e anacronistica un determinato versetto, è doveroso intendere ogni espressione ala luce di tutta la dottrina giovannea che è intrisa di subordinazionismo. Pertanto una cristologia espressa in termini funzionali e di relazione personale piuttosto che nella categoria ontologica, è sicuramente quella più aderente alla prospettiva biblica!

Il contesto inoltre aiuta a fare una corretta luce sul senso dell'espressione tommasea. Ad es. leggiamo in Giovanni 14:8-11:

"Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9 Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. 11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse."

Come è quin ben spiegato, Gesù è venuto per mostrarci il Padre (GV 1:18). Ma Tommaso non vedeva il Padre in Cristo.

Ecco che invece con la risurrezione, dopo essersi accertato che fosse realmente il Cristo risorto, ora Tommaso vede in Cristo la manifestazione di quel Padre che prima non vededa e di cui chiedeva una manifestazione. Ma è chiaro che non vi è alcuna identificazione ontologica, semmai funzionale, perchè Cristo agiva con l'autorità stessa di Dio, facendo la Sua volonta!

Al riguardo è interessante il commento dei biblisti Mateos e Barreto, che possiamo leggere ne Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella editrice, p. 827:

"Il Padre, unico vero Dio (17,3), il Dio di Gesù (20,17), è in lui (14,10) ed è uno con lui (10,30). Gesù è in sua presenza (12,45; 14,9). Tommaso, nel suo contatto con Gesù, sperimenta ciò che egli aveva annunciato ai discepoli: quel giorno sperimenterete che io sono in mio Padre, voi in me e io in voi (14,20). Tommaso è giunto a scoprire l'identificazione di Gesù con il Padre (Dio mio) e l'identificazione con loro (Signore mio). In Gesù si realizza il contatto con il Padre (14,9: chi vede me presente, vede presente il Padre; cfr 1,51 Lett.)".

Credo che sia una citazione piuttosto eloquente!



[Modificato da christofer2006 02/09/2007 18:41]
________________________________________________

02/09/2007 19:28
 
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Re:
christofer2006, 02/09/2007 18.06:


Ma tanto è

Il contesto inoltre aiuta a fare una corretta luce sul senso dell'espressione tommasea. Ad es. leggiamo in Giovanni 14:8-11:

"Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9 Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. 11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse."




Citare questo contesto, addirittura con la giusta traduzione e non vederci nulla di piu di quello che hai scritto tu è incredibile!
Comincio sul serio a credere al plagio mentale...



"Il messaggio è chiaro. Il nostro amore per Geova dev’essere più forte del nostro amore per i familiari che gli divengono sleali.
Oggi Geova non mette immediatamente a morte quelli che violano le sue leggi.
Amorevolmente dà loro l’opportunità di pentirsi delle loro opere ingiuste. Ma come si sentirebbe Geova se i genitori di un trasgressore impenitente continuassero a metterLo alla prova frequentando senza necessità il loro figlio disassociato?"(La torre di Guardia 15 luglio 2011 pagine 31)
02/09/2007 19:50
 
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Comincio sul serio a credere al plagio mentale...


Sai che comincio a crederlo anche io?

Se avessi usato la TNM avrei dimostrato il plagio mentale nell'usare solo quella traduzione

Ho usato la CEI e anche in questo caso avrei dimostrato il plagio mentale...

Tutto ciò mi ricorda un noto episodio evangelico:

(Matteo 11:16-19) 16 “A chi paragonerò questa generazione? È simile a fanciullini seduti nei luoghi di mercato che gridano ai loro compagni di gioco, 17 dicendo: ‘Vi abbiamo suonato il flauto, ma non avete ballato; abbiamo fatto lamenti, ma non vi siete percossi con dolore’. 18 Così, Giovanni è venuto senza mangiare né bere, e dicono: ‘Ha un demonio’; 19 il Figlio dell’uomo è venuto mangiando e bevendo, e dicono: ‘Ecco, un uomo che è un ghiottone e un bevitore di vino, amico di esattori di tasse e peccatori’. In ogni modo, che la sapienza sia giusta è provato dalle sue opere”.


Svegliati amico mio e inizia a ragionare con la tua testa e lascia da parte i prediugizi che ti hanno inculcato!
[Modificato da christofer2006 02/09/2007 19:51]
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03/09/2007 14:12
 
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Re:
christofer2006, 02/09/2007 18.06:


Anzitutto qui si continua a fuorviare il discorso sulla questione dell'articolo. L'uso dell'articolo determinativo ho davanti a thèos in Giovanni 20:28, ha una motivazione diversa, rispetto a quella ontologica che furbescamente cercate di dimostrare. Vi abbiamo ripetutamente spiegato che nella fattispecie l'uso dell'articolo ho davanti a theos e kurios non ha rilevanza semantica essendo richiesto per ragioni grammaticali. Infatti la presenza dell'articolo è data dall'uso del pronome possessio mou, che in greco esige appunto l'articolo determinativo. Ma questa è una nozione grammaticale piuttosto elementare. Perciò questo vostro accanimento non vi fa fare una bella figura!



Innanzitutto non è una nozione elementare. Fatto sta che nelle grammatiche compare l'uso del vocativo al posto del nominativo ma non la regola dell'obbligo dell'articolo. Questo compare, almeno dai libri che ho io, sul Blass-Debrunner che è ben lungi dall'essere una grammatica elementare. In secondo luogo, il vostro discorso si sofferma solo sull'articolo obbligato o meno, ignorando volutamente la forza dell'affermazione di Tommaso che ha almeno due peculiarità:
1) unisce "kurios" con "theos" due appellativi uniti che non si riscontrano MAI nei confronti di una creatura seppure autorevole. Infatti il dualismo "kurios-Theos" si rifà al dualismo veterotestamentario "Adonay- Elohim" > Signore Dio.
2) Il pronome possessivo che si trova nell'affermazione di Tommaso indica che per questo discepolo, Gesù era il SUO Signore ed il SUO Dio. Al di là di quelle che possono essere le disquisizioni gramamticali, questo è il senso dell'affermazione di Tommaso, nè più nè meno.



Circa l'uso di theos in riferimento al Cristo, l'abbiamo spiegato fino alla nausea. Infatti anzichè estrapolare e forzare in maniera univoca e anacronistica un determinato versetto, è doveroso intendere ogni espressione ala luce di tutta la dottrina giovannea che è intrisa di subordinazionismo.



Veramente il vangelo di Giovanni è intriso di affermazioni di Gesù le quali intendono un'uguaglianza con il Padre e nello stesso tempo sottomissione.


Pertanto una cristologia espressa in termini funzionali e di relazione personale piuttosto che nella categoria ontologica, è sicuramente quella più aderente alla prospettiva biblica!


Il contesto inoltre aiuta a fare una corretta luce sul senso dell'espressione tommasea. Ad es. leggiamo in Giovanni 14:8-11:

"Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9 Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. 11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse."

Come è quin ben spiegato, Gesù è venuto per mostrarci il Padre (GV 1:18). Ma Tommaso non vedeva il Padre in Cristo.

Ecco che invece con la risurrezione, dopo essersi accertato che fosse realmente il Cristo risorto, ora Tommaso vede in Cristo la manifestazione di quel Padre che prima non vededa e di cui chiedeva una manifestazione. Ma è chiaro che non vi è alcuna identificazione ontologica, semmai funzionale, perchè Cristo agiva con l'autorità stessa di Dio, facendo la Sua volonta!



Ancora non avete capito che nessuna CREATURA può rilevare appieno Dio se non Dio. Il fatto di dire per una creatura "Chi ha visto Me ha visto Dio, io e Dio siamo uno" (non dico Padre, in quanto è chiaro per voi che solo il Padre è Dio) è assolutamente assurdo. Il fatto di interpretare questa identificazione solo da un punto di vista funzionale è una vostra interpretazione che esula dalla richiesta iniziale "Facci vedere il Padre". Filippo intendeva ben di più...

[SM=g27985]






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03/09/2007 15:58
 
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Caro Andrea,


Fatto sta che nelle grammatiche compare l'uso del vocativo al posto del nominativo ma non la regola dell'obbligo dell'articolo



A dire il vero non si tratta di una regola ma di un semitismo. Esite una forma senza articolo con w o senza w. Non è questo il caso di Giovanni 20:28 che è una forma articolare.

La forma articolare ha due diverse "nuaces", può indicare il vocativo indirizzato ad un inferiore oppure può semplicemente ricalcare la forma Semitica per il vocativo che usava l'articolo, senza riguardo per la posione inferiore o superiore a colui al quale veniva rivolto.

Ne caso di Giovanni 20:28 non possiamo allora sapere se l'articolo è usato con la sila funzione di costruire il vocativo o con la funzione di articolo determinativo ad indicare Gesù come la persona di "ho theos" ovvero Geova, colui che Gesù chiama il Padre.


Questo compare, almeno dai libri che ho io, sul Blass-Debrunner che è ben lungi dall'essere una grammatica elementare



Il Blass-Debrunner dice solo che nella LXX il nom per vocativo non conosce la limitazione dell'attico circa l'uso dell'articolo, dunque un semitismo, per cui nella LXX è possibile usare la forma con l'articolo rivolta a qualcuno superiore. Il Moule a quanto detto aggiunge che l'articolo è tanto più necessario in quanto è usato il possessivo. Il Blass-Debrunner non si occupa di questo aspetto, come di altri, ma questo non vedo come possa significare che il Moule si sbagli.

Circa la difficoltà ad attribuire un valore semantco all'articolo basta considerare il passo di Salmo 45:7 dove "ho theos" potrebbe essere un nom. per voc. e dove ovviamente "theos" (rivolto al figlio del re) non poteva essere inteso come "ho theos" (cioè identificato con Geova) ma semplicemente come "theos", ovvero come una generica attestazione rivolta ad un rappresentante divino, uso di cui abbiamo altre attestazioni nella LXX.


unisce "kurios" con "theos" due appellativi uniti che non si riscontrano MAI nei confronti di una creatura seppure autorevole



Che tale appellativo venne indirizzato davvero a Gesù e non al Padre (come potrebbe essere possibile) è non venne mai usato prima per nessun altro personaggio è abbastanza ovvio visto che Gesù è un essere unico, il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore, l'ultimo Adamo, il Logos preesistente, l'immagine perfetta del Padre. Giovanni non ci dice che Gesù è un "uomo comune" o un'altro profeta. E' qualcosa di più. Ovvio che lo definisca con termoni mai usati prima per una creatura di Dio, Gesù è un essere fuori dal comune per Giovanni, il figlio unigenti di Dio. Ma questo non lo rende necessariamente uguale o consustanziale a Dio, semplicemente ne evidenzia il ruolo unico: egli è Signore dell'umanità e "dio", cioè come dice il Kittel "il rappresentante" di Dio, il Re Messianico che Isaia chiama "dio potente".


Il pronome possessivo che si trova nell'affermazione di Tommaso indica che per questo discepolo, Gesù era il SUO Signore ed il SUO Dio



Che Tommaso riconoscesse personalmente l'autorità di Cristo quale Re Messianico risorto e la sua posizione di sommo rappresentante del Dio supremo non indica in nessun modo che lo mettesse sullo stesso piano del Dio Supremo, Geova, colui che Gesù stesso chiama "il Dio mio e il Dio vostro".

Shalom






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