Ogni promessa è debito. Promisi al moderatore di questa sezione un sunto chiaro e comprensibile della teoria dell’evoluzione e delle sue prove, ed ecco quanto (per adesso) sono riuscito a produrre. Premetto che sto attendendo una serie di slides illustrative da parte di uno dei miei professori di biologia e genetica; non so quando arriveranno ma, nel caso, cercherò di postare i loro dati ed eventualmente le immagini più comprensibili.
Per adesso io proporrei di iniziare da qualcosa di facile, e di relativamente generico. Se necessario poi scenderemo anche nei dettagli, ma in questo momento quello di cui penso avrebbero bisogno alcune persone che hanno parlato in questo topic, è di osservare più da vicino la logica che sottintende alla teoria dell'evoluzione. Pertanto, dividerò in piccoli capitoletti alcune riflessioni utili a comprenderne la natura.
FONDAMENTI DELLA TEORIA
La teoria dell'evoluzione moderna (o sintesi moderna, o teoria dell'evoluzione neo-darwiniana) si basa su tre differenti concetti chiave. Questi concetti sono:
- La MUTAZIONE CASUALE, teorizzata da Darwin nel 1856
- La SELEZIONE NATURALE, teorizzata da Darwin ma formalizzata da Muller nel 1926
- La DERIVA GENETICA, formalizzata da Wright nel 1945
Non sono concetti facili da capire come sembrano, o come i sostenitori delle teorie alternative vorrebbero far credere.
La mutazione casuale darwiniana ha due caratteristiche fondamentali: innanzi tutto è PREadattativa, ovvero pre-esiste allo stimolo ambientale fornito dalla selezione naturale. Questo è importante da ricordarsi, perché è controintuitivo: in genere per come siamo abituati a pensare, si tende a supporre che un adattamento avvenga perché c’è stato un cambiamento; fino agli anni '50 del secolo scorso, anche una forte corrente di evoluzionisti ha favorito una concezione più Lamarckiana (causa-effetto, ripresa dall'originale teoria di Lamarck) del concetto di mutazione casuale: ipotizzava infatti che la mutazione casuale insorgesse in seguito allo stimolo selettivo, e non pre-esistesse ad esso. Per conseguenza essi vedevano ad esempio, in una coltura batterica sottoposta ad agente tossico, che se 1 battere su 10.000 sopravviveva alla tossificazione della coltura, allora
l'insorgenza media della mutazione adattativa alla tossina X in quella specie, è di 1/10.000.
La corrente evoluzionista più darwiniana invece, applicando quello che a posteriori si è visto essere il corretto approccio interpretativo, leggeva quello stesso dato empirico con l'affermazione che
il numero medio di mutanti resistente alla tossina X in una qualsiasi coltura di quel dato batterio, è di 1/10.000.
La disputa fu infine sistemata da un celebre esperimento, che rispose positivamente alla "sfida" di riuscire a creare un batterio totalmente resistente ad una determinata tossina (sopravvivenza di 10.000 su 10.000), senza che quel batterio avesse mai incontrato in precedenza la tossina in questione. Ciò dimostrò la totale natura pre-adattativa della mutazione casuale, e da quei tempi lontani ad oggi naturalmente, molte altre schiaccianti conferme sono arrivate con l’avvento della biologia molecolare.
In secondo luogo, la mutazione casuale ha nel suo secondo termine, la parola "casuale" (random) una forte avversità ideologica da parte delle credenze religiose, ma non solo: si scambia molto spesso il concetto di mutazione casuale per "qualcosa che si pretenderebbe essere immune da ogni influenza causa-effetto". Questo è del tutto falso. La biologia non è la meccanica quantistica, non stiamo ragionando sul fatto che degli eventi siano intrinsecamente impredicibili poiché nascono a-causalmente "dal nulla". La nozione di casualità in biologia è soltanto quella di EVENTO NON CORRELATO. Ad esempio, se avessimo tutte le informazioni necessarie, potremmo tranquillamente risalire ai dettagli di ognuno dei miliardi di eventi casuali che ha determinato le mutazioni nel genoma della prima cellula nata su questo pianeta, fino a originare la comparsa della nostra specie. Potremmo contare tutti i singoli raggi x che l’hanno ionizzato, tutti gli errori di mitosi, tutti gli incidenti di duplicazione, tutti i mis-pairing delle basi, tutte le tautomerie cheto-enoliche che hanno causato l’insorgenza di mutazioni puntiformi, e così via.
Non c'è nessun motivo fisico per cui questo sia impossibile; non siamo di fronte ad un “principio di indeterminazione” o a una forma di divieto a priori: l'impossibilità pratica a reperire le informazioni, è il solo motivo per cui tale procedura fino ad oggi non è stata fattibile.
E' evidente quindi che qui, quando si parla di casualità in ambito evolutivo ci si riferisce all'impossibilità di prevedere e/o di rintracciare le cause di un dato evento naturale, mentre NON si sta invece affermando che queste cause siano prive di un'origine materiale. Essa c'è sempre, a prescindere da quale sia; ma è irrintracciabile e/o irrilevante ai fini del dibattito.
Aggiungo, sia detto per inciso, che per il credente la causa prima di ogni evento nell’universo è proprio la sua divinità… dal che si evince che non esiste alcuna forma di conflittualità fra questa teoria e una sua interpretazione conciliante con la fede religiosa.
La selezione naturale.
Essa è l'insieme di circostanze ambientali che agisce come "filtro" adattativo sulla specie, sull’individuo della determinata specie e soprattutto, secondo la teoria ortodossa attualmente supportata, sui geni del singolo individuo (e quindi sulla frequenza genica della razza).
Una frase che è entrata nella mente delle persone come correlata all’evoluzione, è “il più forte sopravvive, il più debole muore”, stereotipo che si presta a interpretazioni personali prive di legami con la teoria; in realtà, la frase va semmai riformulata in qualcosa del tipo “il più adattato sopravvive, il meno adattato muore”. Infatti non ha nessuna rilevanza il fatto che l’individuo adattato sia più grande o più piccolo, più muscoloso o meno muscoloso, più aggressivo o meno aggressivo dei suoi rivali: l’unica cosa importante è che sia il più adattato a riprodursi nelle condizioni ricorrenti.
La selezione naturale agisce sulle mutazioni casuali preesistenti per selezionare quei geni che in quel momento sono utili; il che non vuol dire naturalmente che “tutti gli individui che non posseggono il carattere X muoiono”, eventualità che possiamo osservare soltanto in casi davvero estremi, come le colture batteriche di laboratorio; significa bensì che su scala di milioni di anni, la frequenza relativa dei discendenti dell’individuo avvantaggiato, supererà fino a schiacciare quella dei discendenti dell’individuo non avvantaggiato. Ragion per cui da una specie vincente nel suo habitat naturale ci si aspetta NON che si sappia difendere splendidamente dai suoi predatori, NON che abbia modo di ricavare ingenti risorse di cibo, NON che la sua efficienza in questa o quell'attività sia perfetta (basti pensare al ghepardo, un cacciatore la cui velocità è frutto di straordinari e costosissimi adattamenti evolutivi, ma attualmente prossimo all’estinzione), bensì da essa ci si aspetta una sola cosa soltanto: che sappia riprodursi meglio dei propri competitori. Non ha assolutamente nessuna importanza come ci riesca, l’importante è che accada.
I topi non hanno artigli micidiali, né corazze chitinose, né cervelli ipertrofici, né tanto meno corrono a cento chilometri orari; ma sono una delle forme di vita mammifere più vincenti in assoluto, perché sanno occupare nicchie ecologiche che altri animali trascurano, e in esse sanno adattarsi a prosperare con grande efficienza. Sono antichissimi e sono sopravvissuti agli sconvolgimenti più radicali, proprio perché altamente prolifici ed adattati a condizioni ricorrenti che sono cambiate molto poco nel corso della storia degli ecosistemi. Del resto erano delle grosse specie di topi proprio quei mammiferi da cui noi stessi ci siamo distaccati, circa 80 milioni di anni fa. Le forme di vita mammaliformi che riuscivano a sopravvivere già sotto il tacco dello stivale dei dinosauri, e da cui tutto il resto è disceso, erano creature molto simili a loro.
In virtù di quanto detto, possiamo affermare che l'adattamento di una specie non è mai un processo finalistico verso uno sviluppo universale di integrazione ad hoc, ma un meccanismo cieco (perché pre-adattativo) di conformazione all'ambiente attuale (dove per ambiente si intende l’intero ecosistema, inclusi predatori, prede, competitori e così via). Da un punto di vista biologico, non esiste un “fine” superiore a quello dell’auto-propagazione della vita nel presente: la pressione selettiva ambientale fa sì che alla lunga prevalgano gli individui che si erano pre-adattati meglio, ma è proprio l’ambiente che in qualsiasi momento potrebbe variare, determinando un'altrettanto brusca variazione del processo di adattamento. Richieste ambientali eccessivamente divergenti dalle attuali caratteristiche di una specie, sono in genere la causa primaria della sua estinzione.
L’ecosistema che noi osserviamo, e che appare “stabile”, non altro è che la somma degli “stalli” competitivi raggiunti dalle forme di vita attualmente vincenti, ognuna delle quali ha raggiunto un livello di integrazione equivalente alle altre e non riesce in alcun modo a “prevalere” su di esse.
Quest’ultimo capoverso in realtà meriterebbe un approfondimento, e cioè il concetto di E.S.S., sigla traducibile in “strategia evolutivamente stabile”, coniata da Richard Dawkins e divulgata nel suo libro “Il gene egoista”. Il concetto di E.S.S. è oggi un’importante chiave interpretativa, sia matematica sia concettuale, della biologia evoluzionistica moderna, che getta inoltre un ponte di collegamento fra il concetto di selezione naturale e quello di deriva genetica; tuttavia questo, meriterebbe studi approfonditi da parte degli interessati. Qui dobbiamo rimandarne la trattazione.
La deriva genetica (o deriva genica, a seconda degli autori) è un concetto un po’ più difficile da spiegare, e che spero entri nei nostri futuri ragionamenti in modo limitato per non causare problemi. Wikipedia comunque ci viene in aiuto con un’utile trattazione:
it.wikipedia.org/wiki/Deriva_genetica
Di cui invito alla completa lettura; per brevità qui ricopio il punto saliente:
“In Genetica delle popolazioni, la deriva genetica è l'effetto statistico risultante dall'influenza di una possibilità di manifestazione degli alleli (varianti di un gene). Questo effetto può far divenire un allele e il carattere biologico da esso rappresentato più comune o più raro col passare di generazioni successive. In definitiva la deriva può sia rimuovere l'allele dal pool genetico, sia rimuovere tutte le altre varianti. Dato che la selezione naturale è la tendenza di alleli con effetti positivi a divenire più comuni nel tempo (e di quelli con effetti negativi a divenire meno comuni), la deriva genetica è la tendenza fondamentale di ogni allele di variare casualmente in frequenza nel tempo per una variazione statistica sola, così che lungo questo processo non siano comprese tutte le distribuzioni, ma neanche nessuna.”
A RITROSO NEL TEMPO: OSSERVAZIONI MACROSCOPICHE.
Il fenomeno che porta all’evoluzione di una razza in una o più razze con caratteri somatici nettamente differenti da quelli dei propri antenati, è definito speciazione, o macroevoluzione.
E’ un processo estremamente lento, che viene a formarsi a causa della pressione selettiva (che agisce sul margine di variabilità offerto dalle mutazioni casuali) e della deriva genica; in sostanza, a causa della pressione esercitata dalla selezione naturale, ogni specie tende entro vari gradi ad una lenta evoluzione di caratteri utili a incrementare le proprie chance di sopravvivenza. Nel caso di specie già ben collocate nella propria nicchia ecologica, si tratta in genere di caratteri limitati e “microevolutivi” – un arto più efficace per arrampicarsi, un artiglio un po’ più lungo, un’ala più efficiente. Ma altre volte, e questo è stato vero soprattutto in passato, nelle epoche successive alle “grandi estinzioni”, ci sono state specie che per le nuove condizioni in cui vennero a trovarsi, dovettero cercare di adattarsi a nicchie ecologiche molto diverse da quelle dei loro antenati; inevitabilmente questo implicò lo sviluppo di caratteri appropriati alla sopravvivenza nelle nuove condizioni… oppure l’estinzione della specie.
Che i fossili possano essere ordinati in una scala coerente con una datazione evoluzionistica, è un fatto noto. Contrariamente a quello che alcuni pensano, in linea generale non è il fossile a definire l’età del terreno, ma il terreno a definire l’età del fossile (salvo casi eccezionali). La paleontologia fa affidamento sulla geologia, per identificare la stratigrafia del terreno in cui è nato il fossile; ne consegue naturalmente che, se mettiamo in fila gli scheletri dei mammiferi nati per speciazione dal megazostrodon, il “topo preistorico” da cui originarono le specie destinate a sopravvivere all’estinzione dei dinosauri, non stiamo stabilendo quell’ordine in un modo che sia comodo a una qualsiasi forma di interpretazione dei fossili, né evoluzionistica né di altro genere: il reperto viene messo in quel punto della linea cronologica perché è lì che lo abbiamo trovato, fine del discorso.
La moderna stratigrafia, così come le datazioni degli isotopi radioattivi, sono ormai tecniche estremamente raffinate e vengono usate in concomitanza fra loro per raggiungere verdetti attendibili; nulla è immune da errori naturalmente, ma come sempre, noi stiamo guardando l’aspetto statistico e non i singoli casi: sbagliare la datazione stratigrafica di un fossile di gallimimus del Cretaceo è possibile, sbagliare quella di tutti suoi i fossili rinvenuti nel continente risulta decisamente meno probabile.
I fossili sono una prima e importantissima verifica che sostenne, già ai tempi di Darwin, la teoria dell’evoluzione: quasi tutti sono coerenti con i lenti e costanti cambiamenti evolutivi teorizzati dalla moderna visione scientifica. In alcuni casi, come in quello “recente” dell’uomo, ai giorni nostri abbiamo ricche documentazioni fossili (e a volte perfino non-fossili) che riportano di specie e sottospecie straordinariamente aderenti al nostro sviluppo fisico: la stazione eretta, il pollice opponibile, lo sviluppo del cranio, del bacino, della mandibola, della colonna vertebrale e degli arti sono caratteri estremamente ricchi di informazioni, solo per dirne alcuni dei principali. La comunità scientifica non ha dubbio alcuno sull’evoluzione dell’uomo per speciazione da alcune varietà di scimmia; gli scettici (pochi) da sempre sostengono che “i tempi siano troppo ristretti”, “la comparsa di questo determinato carattere non è spiegata in modo attendibile”, “manca questo determinato anello di congiunzione” e così via; ma queste obiezioni, oltretutto in larga parte falsificate dalle moderne scoperte della paleoantropologia (che ha ricostruito un albero filogenetico della razza umana ormai considerevolmente dettagliato, soprattutto grazie all’apporto della biologia molecolare) hanno validità fintanto che si cerchi una risposta coerente all’interno del modello evolutivo stesso. In effetti spiegare perché una cosa sia andata in un modo invece che in un altro fra tutti quelli possibili, è proprio la sfida che gli scienziati affrontano ogni giorno; ci si scontra ogni volta con la consapevolezza che il fatto che non si possegga ancora un fossile della specie X, non è indice che tale specie non sia mai esistita; o un’insolita discrepanza in un dato osso fra gli antenati Y e i discendenti Z non è serio motivo per dubitare della loro parentela, quando gli altri duecento sono compatibili e i dati paleogeografici sull’ambiente ci assicurano la loro continuità. L’evoluzione non è un processo prevedibile, e il suo “motore” selettivo può avere le più disparate velocità, a seconda delle condizioni ambientali in cui si trova una determinata specie e la sua capacità di adattamento; la deriva genica di popolazioni isolate, il famoso “effetto del fondatore”, è un ulteriore spinta di grande potenza e di scarsa prevedibilità: il modo in cui delle specie opportunamente segregate si adattano all’ambiente, può avere velocità inaudite… basti pensare ai fringuelli delle Galapagos studiati da Darwin, che ancora oggi, decennio dopo decennio, continuano ad evolvere i loro becchi sotto gli occhi ammirati degli ornitologi!
Gli interrogativi di cui i creazionisti si fregiano come fossero prove, a volte (spesso) sono falsi o vetusti, ma altre volte sono invece dei punti di domanda evoluzionisti ben noti nell’ambiente, e preziosi per spingere in avanti la nostra ricerca di risposte. Essi non costituiscono alcun motivo per screditare il modello, dal momento che non suggeriscono alcuna forma di teoria alternativa capace di spiegare l’oggettiva mutazione e diversificazione delle razze di primati verso la forma attuale.
A RITROSO NEL TEMPO: OSSERVAZIONI MICROSCOPICHE.
La biologia molecolare è qualche cosa che il povero Darwin nemmeno si sognava. La cosa sorprendente è che in effetti, le conferme più schiaccianti dell’evoluzione biologica sono arrivate proprio dall’infinitamente piccolo; insomma se già un naturalista dell’800 poteva argomentare che le stesse strutture biologiche erano ricorrenti in più forme di vita simili, o che determinate rassomiglianze sembravano occorrere un po’ dappertutto in una determinata classe di esseri viventi, allora che cosa dovrebbe dire un moderno biologo molecolare, che si trova davanti alla sconcertante realtà che TUTTI gli esseri viventi posseggono una molecola di trasmissione dell’informazione ereditaria costruita con gli stessi componenti e usata nel medesimo modo? Non sembra già soltanto questo dato basilare, un indizio di incredibile portata a favore di una comune parentela?
Le basi azotate possibili sono centinaia se non migliaia, perché delle specie non imparentate (o, come direbbero i sostenitori dell’Intelligent Design, “aiutate dal progetto di un architetto”) dovrebbero usare soltanto le stesse cinque? Non sono neanche le più utili, tanto è vero che nel corso dell’evoluzione, Guanina e Citosina sono state progressivamente messe in minoranza da Adenina e Timina per motivi di efficienza meccanica, e il nostro attuale codice genetico è ben lontano dall’essere scritto con caratteri “fifty-fifty” fra le coppie AT/TA e CG/CG.
E questo era solo per fare un esempio… facciamone un altro, sempre sugli acidi nucleici: l'unità strutturale di base del DNA e dell'RNA è il nucleoside, formato da una base azotata (A,T,C,G,U) legata ad uno zucchero furanosico (ribosio per l'RNA, desossiribosio per il DNA) e ad un gruppo fosforo.
Le bizzarrie sono molte... gli zuccheri ad anello furanosico (cioè a forma di pentagono chiuso) più comuni sono dozzine, quindi perché ogni specie avrebbe dovuto mettersi ad usare sempre e solo il ribosio e il desossiribosio? Non parliamo poi del gruppo fosforo, che fa da collante fra i nucleotidi degli acidi nucleici: è il gruppo meno indicato per stare lì! Il suo utilizzo primario nella cellula è nella forma di ATP (adenosin-trifosfato), la molecola trasportatrice di energia; usarlo con un ruolo strutturale per il DNA e l’RNA, due molecole altamente specializzate che non hanno nulla a che vedere con l’ATP, sembra un’idea poco furba che rischia di causare incidenti… per esempio un DNA elettricamente carico che tende a raddrizzarsi ed è incapace di stare ripiegato nel nucleo, ragion per cui necessita del (dispendioso) controllo costante da parte delle sue controparti proteiche, gli istoni.
Che senso ha l’uso di componenti così inadatte? Che senso ha il riciclo degli stessi generici mattoni molecolari, per costruire componenti così diversificate, quando invece per tenere insieme il DNA sarebbe bastata una catena di carbonio e idrogeno, o un gruppo carbonilico, qualsiasi altra banalità biologica? Sembra anti-economico e illogico… a meno che… un tempo, ai primordi della vita unicellulare, l’ATP non esistesse ancora e ci fossero quindi molecole meno specializzate, come l’RNA, che dovevano usare i propri gruppi fosforo per svolgere anche quella funzione!
Naturalmente queste sono osservazioni indiziarie, non prove inconfutabili; le scrivo per far capire che quando si iniziò ad entrare nel regno della cellula, tutto – e sottolineo, TUTTO – assunse gradualmente un significato evolutivo di straordinaria evidenza; molte cose che secondo schemi logici in cerca di “ordine prestabilito” non avrebbero mai avuto senso, diventarono lampanti se si provava ad immaginare come avrebbero potuto formarsi da strutture più semplici e aspecifiche.
Il coronamento di questa visione, o almeno l’episodio più bello che mi viene in mente a questo proposito, fu lo scoprire che il mitocondrio, l’organulo deputato alla respirazione cellulare, non era una struttura nativa delle nostre cellule primordiali, ma un batterio procariote che si era fuso simbioticamente ad esse nel corso dei milioni di anni. Oggi siamo arrivati alla stupefacente (e a mio giudizio meravigliosa) conclusione che molto probabilmente noi, così come ogni altra specie eucariote sul pianeta, siamo da un punto di vista evolutivo la somma dell’attività di più organismi arcaici, raggruppati in una sola forma di vita. E’ stato questo che ci ha permesso di aspirare alla pluricellularità, allo sviluppo di cellule differenziate con compiti specifici, e così via.
E’ stato questo l’inizio della conquista del mondo macroscopico che ci circonda.
Ma non divaghiamo. In realtà, tutto questo era emerso “in separata sede”, rispetto al lavoro dei biologi classici. Gli evoluzionisti degli anni ’60 erano ancora pionieri che si servivano degli scarsi mezzi tecnologici a disposizione all’epoca, per cercare conferme molecolari dell’evoluzione, a livello di analisi di cellule appartenenti a specie uni e pluricellulari. E trovarono cose che rasentavano l’inverosimile, superando di gran lunga le aspettative del più fanatico fra i sostenitori dell’origine comune della vita.
Elencare il numero di prove che venne fuori nei decenni successivi è assolutamente fuori dalla mia portata, sia per il numero che per la complessità degli esperimenti e delle dimostrazioni; anche quella di qualsiasi generica trattazione enciclopedica scritta o virtuale, non potrà mai presentarvi un elenco soddisfacente. Dal canto mio, posso soltanto scegliere alcune delle “chicche” più spettacolari emerse nell’era del sequenziamento dei genomi, e riportarvele qui al meglio delle mie capacità, corredate degli appropriati ragionamenti di cui costituiscono le prove scientifiche.
Inizierò riportandone una che mi ha sempre affascinato moltissimo:
SEMPLICI PROVE BIOMOLECOLARI DELL’EVOLUZIONE - 1
Sapete perché il topo è usatissimo nelle sperimentazioni mediche e farmacologiche? Non solo perché il suo allevamento è economico, cosa che comunque non guasta; e neanche soltanto perché è prolifico e ha un rapido ricambio generazionale, altra cosa che pure è di grande utilità; bensì perché, attenti alla cifra… il 98% dei suoi geni sono esattamente quelli del patrimonio della specie umana. Sono perfino disposti su cromosomi simili nei rispettivi cariotipi, il che significa che sono raggruppati secondo sequenze perlopiù analoghe.
Tutto ciò rende questo animale l’organismo fisiologicamente più simile a noi dopo i primati, e quindi un eccellente modello semplificato del corpo umano; addirittura, ho avuto l’onore di assistere personalmente nei laboratori del S.Raffaele all’opera di ricercatori che erano in grado, studiando i dettagli nelle interazioni molecolari sulla superficie della membrana delle cellule di Schwann e su quella dei neuroni del topo, di formulare precise teorie sulle analoghe interazioni esistenti fra le cellule si Schwann e i neuroni dell’uomo.
Una cosa impressionante!
Ora, voglio farvi presente il motivo pratico fondamentale per cui il topo avrebbe potuto essere quello che è, anche avendo un patrimonio genetico totalmente diverso da quello umano (se non fosse nato per speciazione da un antenato comune alla nostra razza).
Un gene codifica per la sintesi di una proteina*, e una proteina esiste unicamente per acquisire una determinata forma che sia utile al ruolo affidatole dall’organismo (la forma molecolare è infatti il requisito indispensabile per il ruolo enzimatico che tale proteina svolge a livello chimico, o per il ruolo statico che essa possiede nelle strutture di sostegno dell’organismo). Esistono molte specie biologiche che si sono trovate a dover affrontare le stesse sfide metaboliche, e hanno sviluppato proteine aventi specializzazioni analoghe. L’emoglobina di pecora non è certo uguale all’emoglobina dell’uomo, giusto? Eppure sono molto molto simili, così come tutto il sangue di pecora è simile al sangue umano, al punto che la prima trasfusione di sangue mai tentata (cinque secoli or sono) fu da pecora a uomo, e non fu letale per l’individuo. Ancora oggi, i maiali (altra specie molto simile a noi) vengono usati in determinate procedure mediche per filtrare il sangue umano, possedendo essi un fegato estremamente efficace nello smaltimento di alcune tossine organiche.
Ma tali analogie chimiche fra le proteine, non erano assolutamente NECESSARIE. E’ possibile costruire al computer (o nella realtà, facendo uso di un po’ di semplice ingegneria genetica) un’emoglobina perfettamente funzionale per il metabolismo del topo, capace di fare le stesse identiche cose, ma radicalmente differente nella sequenza dei suoi amminoacidi da qualsiasi gene emoglobinico dei mammiferi.
Basta prendere uno ad uno tutti i domini (domains), cioè le unità funzionali della proteina, e riprogettarli con catene più coerenti e capaci di svolgere il proprio ruolo.
Ne consegue che ognuno dei circa 22-23.000 geni che il topo condivide con noi, se ipoteticamente non fosse stato originato da un gene arcaico che possedevamo entrambi, allora in seguito ad un’evoluzione separata non avrebbe avuto alcun motivo pratico per essere uguale al suo omologo umano. Figuriamoci poi, se per ipotesi fosse stato costruito in base ad interventi “intelligenti”!
Una similarità del 98% implica un’analogia perfetta (entro i limiti delle singole mutazioni individuali e sub-razziali) nel confronto comparato di miliardi di coppie di basi azotate; è una coincidenza impossibile da un punto di vista casuale e illogica dal punto di vista causale… a meno che non ci fosse un antenato comune, dal quale abbiamo mutuato tale eredità genetica.
Una semplice, banalissima deduzione logica.
Naturalmente si tratta soltanto di un caso esemplare; il genoma umano e quello murino sono stati completamente sequenziati, ma in moltissimi animali per i quali il sequenziamento è incompleto, si notano analogie simili, secondo vari livelli. E questi livelli guarda caso, coincidono perfettamente con quelli della tassonomia già ammessa da Darwin e basata sulla versione originale di Linneo: ad esempio l’emoglobina di pollo è praticamente identica a quella del tacchino (di cui condivide il genere), mentre ha discrete differenze con quella del cavallo (di cui condivide la classe ma non il genere); differenze comunque molto meno evidenti di quelle che ha con l’emoglobina dello squalo (di cui condivide il subphylum ma non la classe), e così via. Nessuna di queste emoglobine aveva motivo pratico per mostrare rassomiglianze con le sue omologhe di altre specie, oltretutto secondo dei precisi schemi di progressiva differenziazione in base alla classificazione tassonomica, se non fosse esistito un L.U.C.A., ovvero un Last Unique Common Ancestor, per l’intero regno animale. E ho parlato di emoglobine perché sono proteine dotate di un tasso di mutazioni mediano, perfetto per il nostro esempio; quando invece potevo citare migliaia di altre proteine aderenti a tale schema di classificazione, ognuna con una propria velocità strettamente correlata al proprio ruolo biologico.
In definitiva che cosa vogliamo fare, quindi? Neghiamo il LUCA? E come giustifichiamo le prove a suo favore?
Lo conoscete il principio del rasoio di Occam, suppongo…
1) Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.
2) Pluralitas non est ponenda sine necessitate.
3) Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora.
Con questo primo, semplice “caso” su cui riflettere per trovare una risposta creazionista che abbia un po’ di coerenza (e soprattutto delle autorevoli prove a proprio sostegno), vi lascio.
Alla prossima.
* = salvo casi particolari che qui ignoreremo… a meno che non ci sia qualcuno erudito nell’ambito dell’interferenza genica dei micro-RNA, con il quale discuterei volentieri su dettagli di altro tipo.
[Modificato da spirito!libero 28/06/2007 16.52]