Re:
Scritto da: Polymetis 03/12/2005 16.23
“Fonti? A quali fonti si deve attingere? A quelle della CC?”
Apri un qualsiasi manuale universitario, non mi interessa la provenienza religiosa, basta che sia scritto da un accademico oggi vivente e non da un ottocentesco devoto della religiongeschichte di quelli che è solita citare la WTS. Ad esempio non occorre essere cattolici per sapere che la lettera agli Ebrei non è di San Paolo ed è entrata nel canone definitivamente solo verso il 380 d.C., Ad maiora
Mi fermo a quest'affermazione perchè si comprenda quanto la cosidetta sapienza del mondo abbia completamente smarrito la strada della sapienza di Dio. ( 1 Corinti 2:14-15 )
Come si fa ad affermare che la lettera agli Ebrei non è scritta da Paolo quando viene scritta proprio per incoraggiare gli Ebrei
cristiani quando erano sottoposti alle pressioni del mondo e delle consuetudini giudaiche quando era ancora attivo il tempio di Gerusalemme con i suoi riti e i suoi sacrifici.
E chi più di Paolo poteva chiarire le relazioni esistenti fra i sacrifici tipici offerti secondo la Legge e le antitipiche realtà spirituali che prefiguravano?
Paolo che era stato anche persecutore conosceva i loro bisogni e poteva dare loro conforto e aiuto.
Naturalmente, Dio in cielo conosceva la loro condizione. Per ispirazione spinse l’apostolo Paolo a preoccuparsi delle circostanze che si presentavano loro. E così Paolo scrisse a quei fedeli in Gerusalemme, e il libro di Ebrei contiene la sua risposta alle molte accuse mosse indubbiamente dai suoi nemici contro il cristianesimo del primo secolo.
Servendosi delle medesime asserzioni dei Giudei, Paolo mostra la superiorità del sistema cristiano e del suo sacerdozio in paragone con il giudaismo. Era importante che facesse questo. Quei cristiani a Gerusalemme erano senz’altro, per la maggior parte Giudei di nascita. Essi conoscevano bene la legge di Mosè e gli argomenti dei capi giudei. Per tale ragione Paolo aveva l’obbligo di mostrare loro gli argomenti con cui controbatterli, la verità delle cose e di esporre la falsità delle accuse mosse contro di loro dai capi religiosi giudei.
Un'aspetto centrale della lettera agli Ebrei èil rapporto esistente fra il tempio di Gerusalemme e la realtà spirituale che rappresenta.
In realtà, era questo tempio era bello e sontuoso. Poteva far colpo con il suo aspetto e far sembrare insignificanti le realtà dell'adorazione cristiana.
Ma che significato avrebbe avuto un tempio materiale in paragone con l’essere spiritualmente alla medesima presenza di Dio? Fu il re Salomone a costruire il primo bel tempio sul monte Moria a Gerusalemme nell’undicesimo secolo avanti la nostra Èra Volgare, e alla sua dedicazione egli disse che Dio non dimorava veramente in quell’edificio costruito dall’uomo. Piuttosto, disse che i cieli dei cieli non potevano contenere l’Onnipotente Dio, tanto meno il tempio che egli aveva edificato! (1 Re 8:27)
Quindi, essere alla medesima presenza spirituale di Dio era molto, molto più gratificante che prestare servizio in qualsiasi tempio terrestre.
Perciò Paolo scrive di Cristo Gesù che “ha attraversato i cieli”, per entrare alla presenza del Padre suo, Geova. (Ebr. 4:14) E in quanto al sacerdozio aaronnico, che a quei giorni prestava servizio nel tempio di Gerusalemme, Paolo lo paragona al sacerdozio di Cristo e mostra che quest’ultimo è di gran lunga superiore, poiché è secondo la maniera di Melchisedec.
Le parole di Paolo in Ebrei 5:5, 6 furono: “Il Cristo non glorificò se stesso divenendo sommo sacerdote, ma fu glorificato da colui che disse a suo riguardo: ‘Tu sei mio figlio; oggi, io son divenuto tuo padre’. . . . ‘Tu sei sacerdote per sempre secondo la maniera di Melchisedec’”.
Sì, sacerdote per sempre, ed era qualcosa che dipendeva non dall’eredità della carne peccaminosa, ma dal giuramento di Dio. Le parole di Paolo su questo soggetto si trovano in Ebrei 7:19-22: “Poiché la Legge non ha reso nulla perfetto, ma vi è l’introduzione d’una ulteriore speranza migliore, per mezzo della quale ci avviciniamo a Dio. E, poiché ciò non è stato senza giuramento . . . Gesù è anche divenuto garante di un patto migliore”.
E in quanto a continuare senza aver bisogno di un successore, Paolo quindi dice: “Inoltre, molti dovettero divenire sacerdoti in successione [sotto la Legge giudaica] perché erano impediti dalla morte di rimanere tali, ma egli [Gesù] siccome rimane vivente per sempre ha il proprio sacerdozio senza successori. Quindi egli può anche salvare completamente quelli che accedono a Dio per mezzo suo, perché è sempre vivente per intercedere a loro favore”. — Ebr. 7:23-25.
Certamente questi furono vigorosi argomenti che l' apostolo Paolo era specificatamente qualificato per rafforzare la posizione dei cristiani ebrei e aiutarli a rimanere fermi nella fede. Ma non era tutto qui.
Paolo continua mostrando la superiorità di Gesù come sommo sacerdote nel celeste tempio di Dio. Egli va proprio al nocciolo della questione fornendo ai cristiani ulteriori argomenti. Egli paragona il sacrificio del Signore Gesù a quei sacrifici offerti dal sacerdozio aaronnico di cui i capi giudei si vantavano tanto. Ai versetti da 26 a 28 del settimo capitolo Paolo scrive: “Poiché a noi conveniva un sommo sacerdote come questo, leale, semplice, incontaminato, separato dai peccatori e innalzato al di sopra dei cieli. Egli non ha bisogno di offrire sacrifici ogni giorno, come quei sommi sacerdoti, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: (poiché fece questo una volta per sempre quando offrì se stesso); poiché la Legge costituisce sommi sacerdoti uomini aventi debolezza, ma la parola del giuramento che venne dopo la Legge costituisce un Figlio, che è reso perfetto per sempre”.
Pensate all’incoraggiamento che quelle parole recarono ai fedeli in Gerusalemme. Sì, il sommo sacerdote Cristo, che offrì la sua propria vita perfetta per il genere umano è ora per giuramento di Dio sacerdote per sempre senza successori.
Chi se non l'apostolo Paolo aveva competenza e autorità per trasmettere tale incoraggiamento al tempo opportuno?
ma l'argomento portato da alcuni critici che obbiettano che il nome di Paolo non compare sulla lettera è un argomento realmente valido? Questo non è realmente un ostacolo, poiché molti altri libri biblici canonici non nominano il loro scrittore, che è spesso identificato da prove interne. Inoltre, alcuni pensano che Paolo abbia omesso di proposito il suo nome scrivendo ai cristiani ebrei della Giudea, perché lì il suo nome era divenuto oggetto di odio fra i giudei. (Atti 21:2
Nemmeno il cambiamento di stile rispetto alle sue altre epistole costituisce una valida obiezione al fatto che lo scrittore sia stato Paolo.
Che si rivolgesse a pagani, a giudei o a cristiani, Paolo dimostrava sempre la sua capacità di divenire “ogni cosa a persone di ogni sorta”. Qui egli presenta il suo ragionamento ai giudei come farebbe un giudeo, con argomenti che essi potevano pienamente capire e apprezzare. — 1 Cor. 9:22.
Gli indizi interni comprovano tutti che il libro fu scritto da Paolo. Lo scrittore era in Italia ed era in compagnia di Timoteo. Questi fatti corrispondono alla situazione di Paolo. (Ebr. 13:23, 24) Inoltre, la dottrina è tipica di Paolo, benché gli argomenti siano presentati da un punto di vista giudaico, destinati a suscitare interesse nella congregazione strettamente ebraica cui la lettera era indirizzata. A questo proposito un commentario biblico dice della lettera agli Ebrei: “Che fosse scritta a giudei, per natura tali, è provato dalla struttura dell’intera epistola.
Se fosse stata scritta ai gentili, nemmeno uno su diecimila avrebbe potuto comprendere l’argomento, perché essi non avevano dimestichezza con il sistema giudaico, la conoscenza del quale è data ovunque per scontata dallo scrittore di questa epistola”. Questo contribuisce a spiegare la differenza di stile rispetto alle altre lettere di Paolo.
La scoperta del papiro P46 verso il 1930 ha fornito un’ulteriore prova che lo scrittore fu Paolo. Commentando questo codice papiraceo, scritto all’incirca solo un secolo e mezzo dopo la morte di Paolo, Frederic Kenyon, noto critico testuale inglese, disse: “È da notare che Ebrei è posto immediatamente dopo Romani (posizione quasi senza precedenti), il che mostra che nella data antica in cui fu redatto questo manoscritto non si nutriva nessun dubbio che l’autore fosse Paolo”. Su questa stessa questione un’altra opera appropriatamente afferma: “Non c’è nessun sostanziale indizio, esterno o interno, che permetta di attribuire la paternità di questa epistola a uno scrittore diverso da Paolo”.
Devo aggiungere altro per dimostrare con quanta leggerezza il cosidetto mondo accademico neghi la paternità di Paolo nella redazione della lettera agli Ebrei?
Sandra.