Peccatori impenitenti vanno tollerati ? (Matteo 18:15-17)

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claudio.42
00domenica 4 dicembre 2005 13:26
In questo, devo dar ragione a Polymetis. La lettera agli Ebrei, non ha minimamente lo stile di Paolo.
(flash)
00domenica 4 dicembre 2005 20:02
Personalmente sono un sostenitore dell'autenticità dell'attribuzione a S.Paolo della lettera agli Ebrei.

La diversa introduzione rispetto alle altre lettere non è a mio parere un fatto rilevante dal momento che Paolo non scrive ad una precisa congregazione o a qualcuno in particolare come nelle altre lettere ma all'insieme degli Ebrei che sono dispersi in varie parti del mondo, anche se è particolarmente importante per le diverse chiese giudeo-cristiane che gravitavano nell'area geografica della Giudea e della medesima Chiesa di Gerusalemme.

Nè la diversa forma, il diverso stile di scrittura mi sembra un elemento rilevante dal momento che probabilmente, come sostiene Clemente, l'originale stesura fù fatta da S.Paolo in lingua ebraica e successivamente ne fù fatta la versione in lingua greaca da ignoto ( forse S.Luca ). Comunque non c'è alcun motivo di dubitare, a mio parere, che la stesura originale e ,( quel che più conta ) il pensiero sia effettivamente quello di S.Paolo.

Farò una disamina dei paralleli che troviamo fra le diverse lettere paoline e nei quali si integra la lettera agli Ebrei.

Le lettere ai Galati e ai Romani presentano molte affinità tra di loro, per cui possono essere considerate insieme.

Mentre le lettere agli abitanti di Corinto opponevano il Cristo sapienza di Dio alla vana sapienza del mondo, le lettere ai Galati e ai Romani oppongono il Cristo giustizia di Dio alla giustizia che gli uomini pretenderebbero di applicare.

Mentre in primo Corinti il pericolo veniva dallo spirito greco con l'orgogliosa fiducia nella ragione, in Ebrei il pericolo viene evidenziato dallo spirito giudaico con l'orgogliosa fiducia nella legge e nel sacerdozio aroonnico.

La legge di Mosè, in sè buona e santa (Rm 7,12), ha fatto conoscere all'uomo la volontà di Dio, ma senza comunicargli la forza interiore per adempierla; in questo modo è riuscita solo a fargli prendere coscienza del suo peccato e del bisogno che ha dell'aiuto di Dio (Gal 3,19-22; Rm 3,20; 7,7-13). Ma questo aiuto di pura grazia promesso un tempo ad Abramo è appena stato accordato in Gesù Cristo: la sua morte e risurrezione hanno operato la distruzione dell'uomo vecchio e la ricostituzione di una nuova umanità (Rm 5,12-21). Unito a Cristo come eterno Sommo sacerdote che sacrifica se stesso e mediante la fede e animato dal suo Spirito, l'uomo riceve ora gratuitamente la vera giustizia e può vivere secondo la volontà divina (Rm 8,1-4.
Eb 9,11-14)

La sua fede può certamente svilupparsi in opere buone, ma queste opere compiute con la forza dello Spirito (Gal 5,22-25; Rm 8,5-13) non sono più quelle opere della legge nelle quali i giudei ponevano orgogliosamente la propria fiducia. Esse sono accessibili a quanti credono, anche se provengono dal paganesimo (Gal 3,6-9.14; Rm 4,11).

In effetti in questi passi si riconosce la stessa teologia della fede che trova il suo punto culminante nell'undicesimo capitolo della lettera agli Ebrei.

Fin d'ora i fedeli del Cristo, sia di origine giudaica che pagana, devono formare una cosa sola nella carità e nell'aiuto reciproco (Rm 12,1-15,13). Queste sono le grandi prospettive che abbozzate in Galati vengono ampliate in Romani ma completate in Ebrei ( Eb 10,32-39 ), e ci danno sviluppi meravigliosi sul passato peccaminoso di tutta l'umanità (Rm 1,18-3,20) e la lotta interiore di ogni uomo (Rm 7,14-25), la gratuità della salvezza (Rm 3,24), l'efficacia della morte e della risurrezione di Cristo (Rm 4,24ss; 5,6-11) partecipate mediante la fede e il battesimo (Gal 3,26ss; Rm 6,3-11), la chiamata di tutti gli uomini a diventare figli di Dio (Gal 4,1-7; Rm 8,14-17), l'amore infinitamente sapiente di Dio giusto e fedele che porta avanti il piano della salvezza con le sue diverse tappe (Rm 3,21-26; 8,31-39; Eb 12:1-3).

Il filo conduttore che perciò si ritrova in tutta la teologia paolina e che include la lettera agli Ebrei è che nonostante la nostra disperata situazione di peccatori, Dio non ci ha abbandonati. Sono evidenti due concetti: che Dio può essere ancora conosciuto dall'uomo nonostante i suoi peccati, e che Egli non ha sospeso il dialogo con noi, ma ci ha offerto la possibilità di salvezza in Cristo. Gesù infatti è morto per noi che non meritavamo tanto, per poterci ricondurre a Dio.

Dio non cessa mai di amarci ed è in grado di operare per il nostro bene in tutte le cose. In questo modo la lettera agli Ebrei si rivela ricca di teologia, ma anche una guida pratica per i credenti, preziosa per imparare l'essenza del vivere cristiano.

Il piano della salvezza si è sviluppato per tappe secondo i disegni eterni di Dio e il suo termine è l'unione del Cristo con l'umanità salvata tramite il suo sacerdozio secondo la figura tipica di Melchisedec ( Eb 7:17 )

La lettera comprende diversi altri importanti temi teologici strettamente coerenti e collegati con le altre lettere.

Viene dato risalto alla superiorità di Cristo: ai credenti Ebrei che sono esitanti nella loro fede in Cristo, l'autore fa notare che non c'è nessun altro a cui rivolgersi. Dove si può trovare di meglio di Gesù che è l'immagine visibile di Dio, assolutamente superiore a Mosè, ad Aronne, agli angeli ?
L'antica alleanza è stata abolita e la nuova è già operante: perchè quindi si dovrebbe far ritorno ad un patto che Dio ha abolito ?

Gli strettissimi collegamenti con la teologia sostenuta nelle lettere ai Romani e ai Galati sono oltremodo evidenti.

Gesù sacerdote è ora assiso in eterno alla destra del Padre e intercede sempre per noi. Egli sa che cosa significhi essere uomo, perciò la sua perorazione è fatta con cognizione di causa, e noi possiamo presentarci coraggiosamente al trono di Grazia, sicuri di trovarvi aiuto in qualsiasi momento di bisogno.
È assolutamente necessario perseverare.
È' facile arrendersi e smarrirsi nel deserto, come fecero gli antichi padri. Ciò non deve più verificarsi, e non si verificherà se il credente non si scoraggia.

Quanto sopra è assolutamente coerente con la teologia del capitolo dieci della prima lettera ai Corinzi.

I capitoli 12 e 13 contengono istruzioni pratiche per la vita cristiana che riflettono analoghe istruzioni che troviamo un pò dappetrtutto nelle altre lettere paoline.

Nel suo insieme questa lettera è una difesa approfondita della fede cristiana contro i suoi denigratori e contro coloro che vorrebbero cercare la salvezza altrove, uno scritto in cui passa il soffio di San Paolo, ed è uno dei documenti essenziali della rivelazione del Nuovo Testamento.

E certamente fù di grande ravvivamente per i giudeo-cristiani
che vissero contestualmente alla realtà giudaica precedente la distruzione del tempio.

Le altre lettere canoniche scritte da altri autori trattano temi
tanto diversi in modi del tutto differento che non hanno paragone fra le analogie teologiche della lettera agli Ebrei
con le altre lettere riconosciute con certezza paoline.



[Modificato da (flash) 04/12/2005 20.23]

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