Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
Vota | Stampa | Notifica email    
Autore

L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
01/02/2007 21:30
 
Modifica
 
Quota
Post: 9.983
Post: 1.802
Registrato il: 06/06/2005
Sesso: Maschile
Scripta Manent...
Junior Forum
OFFLINE
Si è poi veramente sorpassato ogni limite della decenza dicendo che Roma sarebbe diventata la sede più importante perché elargiva denaro(mi si trovi un solo stoprico che sostiene una boiata simile!). Tutto ciò che le fonti antiche invece ci dicono è che nei primi tempi la comunità di Roma era sollecita verso i bisogni degli altri fratelli. Anzi per essere precisi mi ricordo una sola testimonianza che lo dice, Dionigi di Corinto, che tuttavia non si sogna nella sua lettera di dire che il primato romano viene da questo, bensì come egli stesso afferma esso viene dalla “piantagione” che Pietro ha piantato a Roma. Il tuo è stato rozzo tentativo di cercare una spiegazione del perché l'Oriente avrebbe dovuto scegliere proprio Roma come comunità paolina guida invece di altre comunità paoline orientali come Efeso, e a meno che tu non abbia testimonianze di bustarelle, o per essere più seri di questo ipotetico " elargire a tutto spiano", e soprattutto finché non avrai una teoria logica del come questo sia in connessione con un primato dottrinale nei secoli, è meglio se eviti certe uscite ridicole. Inoltre io non ho detto che l'episcopato monarchico è presente sin dal primissimo cristianesimo, infatti i vescovi sono i successori degli apostoli, e dunque finché ci sono gli apostoli non c'è alcun episcopato monarchico. Quello che sto contrastando è idea che esso sia sorto nel secondo secolo. Una data molto più probabile stando alle fonti è la fine del primo secolo, cioè quando gli apostoli erano spariti e le comunità dovevano organizzarsi. Ho fatto questa deduzione poiché dalle lettere di Ignazio scritte nel 107 si evince che tale forma di governo era già diffusa in tutte le comunità a cui egli scrive, e sono comunità di primo piano come Efeso o Smirne; or bene Ignazio non è morto a vent'anni, era già vescovo, e per giunta vescovo di Antiochia, la prima cattedra di Pietro, una delle tre comunità più importanti di quel tempo insieme ad Alessandria e Roma. O si vuole seriamente sostenere che quegli episcopati di cui egli parla sono sorti nei sette anni precedenti, oppure si deve ammettere che già nel primo secolo esisteva l'episcopato monarchico. Se ci sono delle posizioni differenti è unicamente perché prima di Ignazio abbiamo un autentico buco. C'è ovvero chi ipotizza un'evoluzione e chi invece sostiene che questo modello si sia formato dopo la dipartita degli apostoli, magari sul loro esplicita richiesta. Non c'è modo di dirimere una simile questione, tutto quello che possiamo dire è che a fine primo secolo l'episcopato monarchico esisteva. Il buco che precede Ignazio infatti non attesta modi di governo alternativi, e dunque non è utilizzabile in alcun modo né per un partito né per la parte opposta. L'unico precedente sono gli Atti degli apostoli, ma come ho detto essendo i vescovi i loro successori è ovvio che non è possibile sostenere l'esistenza di un episcopato monarchico mentre erano ancora vivi i 12. Mi si dice poi che non c'è alcuna testimonianza coeva del fatto che Pietro lasciò a Roma un successore, eppure questa deduzione è logica una volta che si sia dimostrato che ha diretto quella comunità infatti è ovvio che alla sua dipartita abbai scelto chi doveva guidare la comunità al suo posto. Siamo di fronte all'ennesimo argumentum e silentio (fino a fine I secolo almeno, perché poi la predicazione di pietro a Roma è attestata). Non si è ancora cioè capito che non è che abbiamo storici che ci parlino dell'organizzazione ecclesiastica di Roma e che questi ci dicano di modelli alternativi a quello che sto proponendo, semplicemente non abbiamo nessuno che ci parli di come fosse organizzata la comunità di Roma negli anni 60, quindi non è rilevante che nessuno ci dica niente, infatti si parte dalla errata prospettiva che quella gente stesse pensando a noi del ventunesimo secolo e dunque avrebbe dovuto per forza commissionare a uno storico di scrivere un libro per parlarci di come stavano andando le cose in quella comunità. Vorrei ricordare che mettersi a scrivere opere letterarie non è una cosa che nel mondo antico riusciva a tutti, in una città che a quel tempo contava un milione di abitanti come Roma, abbiamo per quell’arco cronologico una quindicina di scrittori pagani di cui ci sono rimaste le opere (considero dal 60 al 180 d.C.), e nessuno scrittore cristiano fuorché Clemente Romano (i pagani sono Seneca, Lucano, Petronio, Persio, Giovenale, Stazio, Valerio Flacco, Silio Italico, Plinio il Vecchio, Marziale, Quintilliano, Plinio il Giovane, Tacito, Svetonio, Apuleio). Questo solo per fare una statistica, che sarebbe da abbassare ancora di più perché non ho citato solo storici ma anche poeti). Se su milioni di persone ci sono rimasti una quindicina di scrittori romani coevi, perché mai dunque dovremmo aspettarci che proprio uno storico cristiano dimorasse nella comunità di Roma del primo secolo e avesse voglia di raccontare quello che gli succedeva intorno? Anzi, non dico neppure che dovesse essere uno storico, anche la probabilità che tra la piccola comunità di Roma ci fosse uno scrittore generico è insignificante. Se ipotizziamo, puramente a caso, che la comunità cristiana di Roma fosse di mille persone, giacché la percentuale di scrittori è 15 su un milione, la probabilità che su quei mille ce ne sia uno sarebbe dello 0,015%, cioè praticamente inesistente. In quella comunità non avevano preoccupazioni di apologetica, non avevano nessun protestante del sedicesimo secolo da smentire. Era una comunità che banalmente viveva la sua fede. Stai pretendendo dalla storia antica un livello di certezza e di coerenza che nessun antichista pretenderebbe mai, e questo perché non sei abituato a lavorarci. Per di più uno la comunità cristiana primitiva era convinta dell’apocalisse imminente, ed è uno degli argomenti che si usano per posdatare i Vangeli, infatti come è stato giustamente osservato chi è convinto della prossima fine del mondo non si prodiga certo nell’arte di scrivere testi per i posteri. Non gliene fregava niente di scrivere un testo di storia, come se pensassero di essere qualcosa di particolare, un unicum da tramandare alle future generazioni. Gli unici generi letterari che possiamo aspettarci in una comunità convinta che la fine incomba sono quelli che servono nell’immediato, cioè lettere per comunicare ed esortare e anche letteratura apocalittica. Motivo per cui i Vangeli compaiono solo dopo il 70 (ovviamente con la datazione standard).
Quanto all'unica testimonianza che ci parli di Roma nel primo secolo, cioè Clemente, guarda caso nome proprio Pietro e Paolo (non è proprio l’unica, c’è anche Papia, ma questo dopo). Ma siccome non sta parlando della struttura della sua comunità, non c'è ragione di aspettarci nell'unica sua lettera che ci è rimasta parli di qualcosa di simile: si tratta infatti di una lettera esortativa per un'altra comunità cristiana perseguitata da Domiziano, e non si vede proprio perché dovrebbe mettersi a parlare di come funziona la gerarchia romana; e non c'è ragione di aspettarsi una descrizione del genere se tanto più i romani erano consapevoli che anche i corinzi avevano una struttura simile e dunque non c'era ragione di parlarne. Quello che si può ricavare da quella lettera è che Clemente dà degli ordini a Corinto e addirittura minacci l'ira di Dio per chi gli disubbidisce. Se questa voi la chiamate correzione fraterna a me va anche bene, ma la correzione fraterna si può fare sia da una posizione di altezza sia da una posizione di parità, e questo decisamente è il primo caso altrimenti non si spiega il tono. Non so poi cosa diavolo centri l'idea della letteratura antigiudaica creata ad hoc, né cosa c’entri la citazione di Filoramo circa questa letteratura.
Innanzitutto non so neppure se hai capito quello che hai letto, infatti l'autore non dice che questi scrittori cristiani mentano sapendo di mentire, spero che tu sappia la differenza tra finzionalità, che secondo la teoria dei generi è tra l'altro la caratteristica di qualunque testo narrativo, e la menzogna. La letteratura finzionale è quella che presenta situazioni, persone, oggetti, e fatti inventati, e come tale fanno parte di essa i romanzi con una storia inventata di qualunque genere o anche dialoghi filosofici come quelli di Platone dove s'inventano situazioni per il dialogo. Quando Filoramo dice che questi testi sono funzionali non sta dicendo che mentano su qualcosa ma che inventino situazioni, ad esempio Giustino immagina di avere un interlocutore e di passeggiarci insieme mentre discute, esattamente come Platone inventava i dialoghi e gli ambienti in cui si svolgevano i suoi dialoghi. Una definizione di “finzionalità” aggiornata si può trovare nel saggio “Finktionalität und poetizität” di Lutz Rühling in “Grendzüge der Literaturwissenschaft”, Munchen 1996, traduco un passaggio dall’introduzione su www.amazon.de : “I testi finzionali formano una determinata classe di testi che trattano di figure, oggetti, e avvenimenti inventati”. Questa definizione è sintetica, precisa, perfetta. Punto.
Riguardo poi al fatto che gli argumenta e silentio non valgano nulla, mi si obietta che in una lettera simile se Clemente avesse conosciuto Pietro ne avrebbe parlato. Ora, a parte che trovo molto presuntuoso il pensare di poter essere nella mente di qualcuno, il sapere gli scopi per cui scriveva con precisione, e quindi poter stabilire matematicamente se gli sarebbe passato per la mente di nominare qualcuno; a parte tutto questo come dicevo, Pietro Paolo sono nominati, e si dice appunto che divennero un grande esempio fra di loro. Chi si aspetta altro deve ricordarsi che questa lettera è per consolare di una persecuzione, non per dare una descrizione di come funzioni la comunità romana. Chiedo poi di nuovo dove avresti appreso che Pietro passò il suo soggiorno a Roma in cattività, veramente non riesco a spiegarmelo. Mi si dice inoltre che quanto ho scritto non significa alcunché se non che Corinto avesse a cuore la comunità di Roma, ma si dimentica volutamente che in quella lettera di Dionigi non c'è scritto solo questo, bensì che dopo aver predicato a Corinto pietre Paolo lo fecero anche a Roma, e per questo le due chiese sono in un certo senso sorelle, perché gli apostoli hanno piantato la stessa vite in entrambe: Roma ha un surplus dato dal fatto che in essa l'apostolo morì. Quanto alla disputa di Aniceto abbiamo davvero toccato il fondo, mi si sta cioè dicendo che se Pietro fosse stato il capo della comunità di Roma allora il Papa, pur sapendo che è un'usanza non era riconducibile a lui, avrebbe dovuto mentire. Io francamente mi sentirei un po' offeso fossi in Aniceto.
Invece ritengo che se San Pietro è stato veramente il capo della comunità di Roma qualcosa di buono deve aver pur insegnato, è tra le cose di sicuro c'è anche il fatto che il diavolo e il padre della menzogna, come dice Gesù. Per di più non stava parlando con un idiota ma con San Policarpo, discepolo di Giovanni. In definitiva se anche Aniceto fosse stato un disonesto, non avrebbe funzionato una menzogna in cui si sosteneva l'origine apostolica di un'usanza che non era apostolica, perché il suo interlocutore gli apostoli li conosceva di persona. Da ultimo si afferma che molte volte nella storia ci si è richiamati all'insegnamento di Pietro affermando cose che Pietro non avrebbe mai detto: ma siccome di Pietro ci è rimasta soltanto una lettera, giacché la seconda non è sua, viene da chiedersi come tu possa sapere cosa pensasse Pietro soltanto da poche righe. Sarebbe un modo di ragionare da Sola Scriptura, del tutto incompatibile con la predicazione orale del cristianesimo primitivo. Inoltre quando il papa di Roma parla in nome di Pietro lo fa intendendo qualcosa che nulla ha a che fare con una rivendicazione che Pietro avrebbe detto proprio quella cosa nella comunità di Roma, l’autorità del Papa infatti è di discernimento per le sfide della fede anche nel futuro, discernimento in problemi che al tempo di Pietro non erano neppure ancora ipotizzabili né erano stati aperti. Lo Spirito Santo e gli apostoli per la teologia cattolica assistono il successore di Pietro non nella mera ripetizione della catechesi orale del I secolo ma nella capacità di decidere in base allo Spirito apostolico quale posizione avrebbe preso Pietro di fronte alle sfide del presente se fosse nato nella nostra epoca. E’ cioè del tutto diverso dire che in quanto successore di Pietro si riconosce che c'è stata una maturazione teologica di una dottrina e che tale dottrina dunque può definirsi ortodossa con l'avallo del successore di Pietro, e invece l'affermare che una dottrina nella sua stessisima formulazione risalga all'apostolo. Il successore di Pietro non ha il compito di fare da pappagallo del Pietro storico, né Pietro né Paolo sono la Chiesa, e Gesù stesso disse che lo Spirito avrebbe condotto la Chiesa ad una maturazione successiva alla sua morte. Si tratta del famoso pezzo in cui si afferma " molte cose ho ancora da dirvi ma per il momento non siete ancora in grado di portarne tutto il peso, quando verrà lo Spirito Santo egli vi guiderà alla verità tutta intera".
Inoltre è stata del tutto scavalcata, limitandosi a dire che non è convincente, la mia confutazione di una presunta contraddizione tra Tertulliano ed Ireneo, dimenticandosi evidentemente che usare aggettivi contro le teorie del proprio interlocutore è segno che si è rimasti senza sostantivi, Voltaire docet. Nel brano di Tertulliano infatti non si dice che Clemente succedette a Pietro ma che Clemente era stato consacrato da Pietro. quindi o si vuole sostenere che Pietro abbia consacrato una sola persona nella sua vita, oppure il fatto che ci sia un Clemente consacrato da Pietro ma non succedutogli, non è assolutamente strano. Devo inoltre rammentare che se abbiamo testimonianza dell'imposizione delle mani di Pietro ad Antiochia non è per la pur pregevole importanza di questa comunità, che in seguito fa parte della pentarchia, ma unicamente perché ne parlano gli Atti degli apostoli. Perché ne parlano? Per la banale ragione che Luca non ha raccontato i viaggi apostolici più importanti ma i viaggi apostolici a cui ha assistito, e solo quelli. Per saperlo basterebbe aver letto il canone muratoriano.
Quanto alla tua analisi di Ignazio, è stata citata da Barnaba e quindi ho risposto ad essa nel post che ho indirizzato a lui, che spero vivamente tu abbia già letto. È veniamo a trattare uno degli ultimi punti. Si afferma che Pietro non aveva la carta " 1000 miglia" dell'Alitalia, e che dunque non poteva andare e venire da Roma in pochi giorni quando gli pareva e piaceva. Innanzitutto io non ho affermato che andasse e venisse in pochi giorni, infatti mentre i nostri aerei impiegano 2 h per andare in Grecia a quel tempo ci si metteva una settimana. Abbiamo le testimonianze scritte sulla velocità dei tabellarii e ci è rimasta ad esempio la notizia che una nave che partiva da Corinto arrivava nel porto di Pozzuoli in una settimana, 5 giorni per la precisione. Né ho inteso affermare che si assentasse da Roma una settimana ogni tanto, per quanto mi riguarda può essere mancato anche con intervalli di anni, a seconda di dove era necessaria sua opera. Un'estrema mobilità del principe degli apostoli non è contestabile. A chi fa una facile ironia sui viaggi vale la pena di ricordare un personaggio come Paolo: lo sappiamo in diverse comunità all'interno di un medesimo anno. Ad esempio nel 46 era ad Antiochia, Cipro, Antiochia di Pisidia, Listra, poi di nuovo Antiochia di Siria. Negli anni che vanno dal 49 al 52 stette a Listra, in Frigia, in Galazia, a Filippi, a Tessalonica, ad Atene. E’ sempre all'interno di questo arco di tempo nel 51 era a Corinto, nella primavera del 52 era davanti a Gallione sempre in Acaia, e l'estate di quell'anno era a Gerusalemme, poi di nuovo ad Antiochia. Potrei andare avanti con gli altri anni ma ho pietà, addirittura di una permanenza ad Efeso nel 54 sappiamo la durata precisa perché ci viene detta: 2 anni e tre mesi.
In teoria dovrei incollare qualche cartina con i viaggi di Paolo, così ci si farebbe un'idea di quanto gli apostoli potevano muoversi. È volendo elencare le località in cui sappiamo che l'apostolo è stato dovremmo dire: Gerusalemme Cesarea, Damasco, Tiro, Sidone, Mira, Patara, Rodi, Creta, Malta, Siracusa, Pozzuoli, Foro di Appio, Tre Taverne, Roma, Antiochia, Gerapoli, Efeso, Smirne, Troade, Asso, Filippi, Tessalonica, Berea, Atene, Corinto, Seleucia, Salamina, Pafo, Attalia, Perge, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra, Derbe, e mi fermo perché mi sono rotto di elencare.
Mi si accusa poi di essere incoerente nell'affermare da una parte che Roma non può dovere il suo primato dottrinale all'impero, e dall'altra ritenere che essa in quanto capitale avrebbe potuto richiamare Pietro quale capo della missione giudeo cristiana. Un po' di sana istruzione antichistica avrebbe insegnato che le due cose non c’entrano minimamente. Nel primo caso infatti si ipotizzerebbe che dei cristiani attribuiscano il potere dottrinale a una città in virtù del potere politico che in essa risiede (Calcedonia docet), mentre quando dico che Pietro era attratto da Roma quale capitale intendo semplicemente dire che essa ospitava una delle due più grandi comunità della diaspora nell'impero. Paolo è stato richiamato in quella città non perché ci stesse un imperatore ma perché ci stavano degli ebrei; e non sta a te giudicare l'obiettività di qualcuno in merito a questioni di storia antica, non ha gli strumenti per farlo.
Inoltre suppongo che anche tu ti voglia suicidare. Ti avevo accusato di aver copiato le tue coordinate da Internet, ed era seguita la mia richiesta di non disturbarti a citare le coordinate dal sito evangelico che avevo linkato, in quanto erano di una obsoleta edizione critica del 1911. E tu che cosa fai? Mi riporti esattamente le stesse coordinate del sito da cui ti avevo accusato di prenderle. Quel sito è ben noto per la sua incompetenza, copia a sua volta da un noto libercolo finito in rete opera di Fausto Salvoni, ex-cattolico arrabbiato diventato protestante che si diede alla composizione di notissimi libelli anticlericali. Ora a me non interessa se hai copiato quella citazione dal sito evangelico o dai pamphlets di Salvoni , ovviamente trovati anche questi in Internet, basta che non pretendi di dare a bere a qualcuno di averli trovati su un supporto cartaceo, da uno "studio serio" come tu l'hai definito. Non vorrei inoltre sottolineare che non si vede proprio come un pagano di fine terzo secolo dovrebbe saperne di più dei cristiani del secondo secolo. Ma soprattutto la domanda è come avrebbe potuto saperne di più, visto che questo tipo di informazioni sulla morte degli apostoli erano tramandate all'interno delle comunità cristiane e dunque nessuno meglio di queste ultime avrebbe potuto saperlo? Per fare critica delle fonti occorre chiedersi quale sia la fonte di Porfirio, visto che la sua unica fonte avrebbero potuto essere i cristiani che tuttavia a fine terzo secolo non si sognavano di mettere in dubbio il ruolo di Roma. Per di più come tutti gli opportunisti pagani Porfirio è del tutto disinformato sul cristianesimo. Per chi non lo sapesse l'edizione critica dei cui oggi gli studiosi citano Porfirio è la seguente "Porphyrius fragmenta", ed. di Andrew Smith, Leipzig, 1993.
Lo dico unicamente perché un'edizione che ha più di cent'anni oltre a essere impossibile da reperire non può competere quanto ad accuratezza con una edizione che ne ha solo 14.
Quanto all'obiezione che sia difficile il fatto che a Pietro sia stata affidata la missione giudeo-cristiana in tutto l'ecumene basta replicare che la missione in parallelo, quella di Paolo verso i gentili, non ha conosciuto limiti geografici e si è protesa fin a Roma, ed essi erano ben più numerosi dei giudei; non si vede dunque perché una missione ecumenica di San Pietro dovrebbe fare problemi, specie perché le fonti in nostro possesso non ci dicono di alcuna limitazione di sorta.
Il problema successivo è quello dove mi si chiede di quale coro io stia parlando, e vorrei ricordare che in quel frangente non stavo parlando del primato petrino ma della presenza di Pietro a Roma, e credo proprio di avere prodotto un coro polifonico. A futura memoria "ex" va davanti alle parole latine che iniziano per vocale, "e" davanti a quella che iniziano per consonante. E lo dico non perché voglia mostrare che non sai il latino, è un errore comunissimo che faccio anch’io molto spesso perché raramente coloro che scrivono libri conoscono la grammatica latina e dunque la mia mente si è assuefatta a questi errori, bensì lo dico perché in futuro potrebbe capitarti che un latinista legga i tuoi post, ergo " e silentio". Ad ogni modo non hai capito il senso del testo che avevo citato, quando ho scritto che non c'è bisogno in una lettera mandata alla comunità tramite il capo di nominare il capo stesso, intendevo dire Paolo avrebbe spedito la sua lettera ai romani facendola arrivare alla comunità tramite San Pietro e che dunque avrebbe potuto o avergli dato la lettera di persona e dunque averlo salutato faccia a faccia, oppure aver fatto consegnare la lettera da un messaggero a cui aveva affidato un messaggio verbale a parte per Pietro. Ma come già detto non c'è alcun bisogno di sforzare la testa con queste ipotesi, basta rispondere che Paolo sapeva che Pietro non era Roma in quel momento.
Alcuni studiosi invece hanno preso come un paletto cronologico l'assenza di saluti a Pietro per dedurne che non era ancora arrivato a Roma, e siccome ci sono due date possibili per la lettera ai romani, ossia il 52 e il 57, qualora ci si volesse attenere a questa linea di pensiero si dovrà dire che Pietro è venuto a Roma dopo la prima o la seconda data.
Quanto poi al tuo accostamento con le procedure diplomatiche moderne è del tutto infondato, vorrei proprio sapere in quale testo della letteratura antica avresti trovato in parallelo di quello che dici, cioè che qualcuno scriva ad uno stato e pur sapendo che il suo sovrano era assente lo saluta. E se anche lo trovassi non vedo cosa c’entri, non stiamo parlando di un capo di Stato eletto, stiamo parlando di un servitore di Dio nella sua opera di evangelizzazione. Se Paolo sapeva che non era lì, e visti gli scambi di notizie tra le comunità di sicuro lo sapeva, a che pro salutarlo?
Inoltre vorrei che fosse chiaro cosa si intende con argumentum e silentio: quando si dice che non si può negare che Pietro abbia designato un successore per il semplice fatto che mancano fonti coeve, non si sta affatto chiedendo una fonte del primo secolo che sbugiardi un futuro falso storico, cioè una fonte che dica " Pietro qui non ha ordinato nessuno". parlare di argumentum e silentio significa dire che dalla mancanza di fonti non si può dedurre una prova in negativo. Vale a dire che da un silenzio non si può dedurre né una tesi né il suo opposto, infatti gli argumenta e silentio come già spiegato valgono solo qualora ci sia un'assenza di menzione a qualcosa in un testo che parli dell'argomento che ci interessa. Se cioè, per fare un esempio inventato, in un secolo di letteratura latina non c'è rimasto per ipotesi alcun testo che ci parli della guerra presso i Parti, è inutile rigettare una fonte di due secoli dopo che ci dà il nome di quel generale che combatté contro i Parti solo perché nessuna fonte coeva alla guerra ha fatto il suo nome: infatti noi non abbiamo alcuna fonte coeva che parli di quell'argomento quindi è inutile stupirsi che quel nome non salti fuori. Ci si può stupire che manchi la genealogia dell'episcopato Romano solo qualora avessimo un testo del primo secolo che ci parli dell'organizzazione della Chiesa di Roma, non per smentire una menzogna che ancora non sapevano sarebbe venuta, bensì un testo che ci faccia sapere di un modello alternativo. L'obiezione secondo cui Ireneo potrebbe dire quello che vuole ma bisogna vedere se le altre chiese sono d'accordo con lui, dimentica quale sia la struttura di quel testo.
Non cita Roma contro gli eretici nel tentativo di crearle una fama, al contrario ha bisogno della città contro gli eretici perché ha già una fama.
Il suo argomento contro gli eretici non avrebbe senso, non avrebbe appiglio se ciò a cui si sta appellando non avesse alcuno charme su di loro. Infatti la chiama la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, ed è proprio perché lo è che può usarla, altrimenti tanto valeva citare qualunque altra Chiesa. Tuttavia è bene ricordare che Ireneo benché vescovo francese era originario dell'Asia minore, discepolo di Policarpo, e dunque rappresenta anche il punto di vista orientale. Tuttavia giacché mi si chiedono altre fonti, orientarli ovviamente, non avrò problemi a citarle. Per ora mi basti dire di quanto sia contraddittorio dire che non si ritiene che Roma sia diventata la comunità più importante in virtù della città di Roma ma in virtù della comunità che vi abitava, e poi sostenere che il canone 28 di Calcedonia ha visto giusto, infatti in esso si dice che i privilegi furono accordati a Roma perché "era la città imperiale", e ripeto, la città imperiale. Vale a dire che per Calcedonia il fatto che la città sia la sede della capitale dell'intero è un valore positivo, e non per niente hanno un imperatore che gli para il culo da dietro; penso sia inutile spiegare perché questa non poteva essere la posizione dei primi secoli, non si poteva ammirare una città in quanto sede dell'impero che li perseguita. Occorrerà ritornare brevemente su cosa significhi argumentum e silentio, infatti non è un argumentum e silentio dire che se qualcosa non è nominato non vuol dire che non esista, è un argumentum e silenzio dire che se qualcosa non è nominato allora non esiste.
Infatti nel primo caso dal silenzio non si ricava niente, cioè non si ricava né che qualcosa esista né che qualcosa non esista, mentre dal secondo caso si ricava qualcosa, cioè che quella cosa non esista, siamo cioè di fronte ad un argumentum per derivare qualcosa. Questo lo dico unicamente come precisazione perché non sia mai che chi ci legga si faccia delle errate idee sulla logica deduttiva e la sua terminologia, ci tengo troppo al fatto che si possa imparare qualcosa di positivo leggendo questo forum… Chiamatela deformazione professionale.
Vorrei inoltre pregarti non scambiare la tua ignoranza manualistica per il parere della comunità scientifica. Sull'episcopato monarchico ci sono ben tre scuole di pensiero, e se tu hai scambiato una di esse per dogma non è un mio problema. Se vuoi una bibliografia aggiornata per ciascuna delle tre posizioni, e ovviamente parlo delle principali, basta che me lo fai sapere. Tra parentesi il problema non è se durante il periodo apostolico ci fosse un episcopato monarchico, perché chiunque sa che non c'era e basta leggere gli Atti degli apostoli per saperlo. Il problema sta in quei trent'anni che vanno dalla scomparsa degli apostoli all'inizio del secondo secolo. Siccome all'inizio del secondo secolo abbiamo Ignazio che ci descrive una situazione già ì definita e assai diffusa io propendo nel dire che alla morte degli apostoli le singole comunità, nel loro collegio di presbiteri, avessero eletto un capo. È non c'è alcun modo di sapere se in questi trent'anni, soprattutto perché non sappiamo se le comunità fossero omogenee, ci sia stato o questo modello appena enunciato, cioè i presbiteri locali che eleggono un vescovo, o un semplice governo di presbiteri e magari di più vescovi. Quello che vorrei far notare è che Ignazio ha una teologia così rigida a inizio secondo secolo che viene proprio da chiedersi come abbia fatto a svilupparsi nella sua mente nei primi soli sette anni che lo separavano dall'anno 100. È evidente, visto che per di più si tratta di comunità molto importanti, e che Ignazio era nientemeno che amico di Policarpo di cui c'è rimasta pure una lettera a lui indirizzata, che egli ne sapeva qualcosa di più degli storici moderni. Un parere a mio avviso illuminante, e che tanto per essere chiari rappresenta la terza scuola di pensiero, è quella del grande biblista McKenzie. Nel suo dizionario biblico egli commenta così l'episcopato: "Probabilmente il supremo governo di ogni comunità continuava a rimanere nelle mani dell’apostolo che l’aveva fondata, sotto la direzione del quale i vescovi locali dovevano amministrare gli affari. Dato che sia prima della fine del I secolo si trovano chiese sotto un unico vescovo (ad es. Ignazio) si può presumere che uno dei membri del collegio fosse eletto a succedere all’apostolo, dopo la morte di lui, come capo monarchico della Chiesa” (John L. Mckenzie, Dizionario Biblico, Assisi, 1981, Cittadella Editrice, pag. 1032). Questo è tutto quello che si può dire dai dati, il resto è interpretazione libera su un arco di tempo di trent'anni di cui sappiamo poco o nulla e di cui francamente mi importa poco o nulla. Temo che dietro queste manie contro la gerarchia che sia il pregiudizio protestante che vuole un rapporto con Dio senza mediazioni, ossia tutta la retorica della presunta ingombrante mediazione del clero che sarebbe da scavalcare. Come ho già avuto occasione di scrivere, da parte mia ritengo che siano stati gli apostoli stessi, non certo malati di cripto-anarchia come i protestanti, a stabilire nelle comunità che fondavano gli episkopoi che loro volevano. Da un punto di vista meramente organizzativo o i dodici erano dei meri sprovveduti e volevano che alla loro morte la Chiesa piombasse nel caos con nessuna voce in grado di dire che cosa fosse giusto, oppure avevano lasciato il potere in mano a della gente in grado di dirigere il gregge al posto loro. Questo passaggio di consegne tra apostoli e vescovi è avvenuto nell’epoca della disillusione, quando ci si pose il problema della continuità e della permanenza perché la tanto agognata fine del mondo non era giusta, è lo stato di disillusione che si registra nelle lettere deutero-paoline. E vi assicuro che la democrazia nella gestione delle cose di fede non è mai stata una buona idea, infatti oltre ad una critica filosofica che le potrei fare in quanto la verità non si decide a colpi di maggioranza, resta il fatto che non è per nulla attestata nel mondo giudaico quale forma di scuola rabbinica.. In questa chiave di retta trasmissione del deposito di fede ad esempio Clemente d’Alessandria ci dice che Giovanni si trasferiva di città in città per fondare comunità e “stabilirvi dei vescovi” (Quis dives salvetur, 42) Paolo stesso ci parla della trasmissione della Traditio accanto allo scritto: “le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.” (2 Tm 2,1) ed è proprio perché il nuovo testamento presenta molto spesso i caratteri di una scuola rabbinica che alcuni si sono messi a chiamare Gesù "rabbi" (ed è il NT stesso ad attestarlo).
Di tutto ciò parlo molto spesso con gli amici protestanti, e sto a dir poco faccendo delle discussioni clone anche questa volta: trovo tutto ciò noiosissimo.
Quanto alla questione di presunte altre lettere che sarebbero giunte alla comunità di Corinto oltre a quella di Clemente, purtroppo sappiamo solo di quella che le venne da Roma, coi suoi bei toni. Non si tratta cioè solo dell'assenza della fonte diretta, cioè le presunte lettere delle altre chiese non pervenuteci, infatti è più che ovvio che, qualora vi siano state, siano anche andate perdute, ma il fatto è che non abbiamo neppure notizie indirette di queste lettere. Questo ovviamente non vuol dire che non siano esistite, ancora una volta dal silenzio non si può dedurre alcunché, e io mi sono limitato a dire questo. Poi è ovvio che il salto della fede lo fa solo chi vuole, io mi limito a dire che Roma scrive ad una comunità orientate, e che si può certamente chiamarla correzione fraterna ma che quella lettera contiene degli ordini e delle minacce, quindi è una correzione fatta dall'alto. Inoltre non capisco davvero cosa sia tutto questo insistere sul fatto che Clemente parla a nome della sua comunità. Ciò è del tutto ovvio in quanto ancora oggi i vescovi parlano a nome della loro comunità, anzi a norma di diritto canonico antico un vescovo può essere eletto dal capitolo dei canonici della cattedrale metropolitana. Tuttavia non vedo come il fatto che una Chiesa si è radunata intorno al suo vescovo, diminuisca il potere di quest'ultimo. Come dirà Ignazio 11 anni dopo " dove c'è il vescovo, lì ce la Chiesa". Ho trovato poi particolarmente divertente come si consideri Girolamo non istruttivo perché del quarto secolo, mentre si pende dalle labbra di un canone di un concilio del quinto secolo. Incoerente vero? Qualcuno poi mi deve spiegare cosa diavolo sarebbe questa predicazione paolina e in cosa differirebbe dalla predicazione di San Pietro (Pietro infatti era molto più vicino a Paolo che non a Giacomo, e Paolo ad Antiochia non rimprovera a Pietro la dottrina ma la coerenza, anzi gli dice che egli normalmente vive come un pagano, ma oggi a causa dei suoi confratelli giudei “bigotti” si mette a fare l’osservante. “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?” (Gal 2,14). Come già detto sono stanco di sentirmi citare dei modelli se poi non li si sanno contestualizzare, e soprattutto se li si applica male. Facciamo un sunto della questione: avevo chiesto perché mai la comunità di Roma dovrebbe essere preminente sulle altre in quanto di comunità paoline era pieno l'impero, e mi si è risposto prima che era causa del potere imperiale di Roma, poi ci si è rimangiati tutto ed è diventato a causa della bravura nel martirio dei romani. A tutto ciò io ho replicato che sin dal primo secolo Roma non è stata l'unica sede di martirio, infatti l'unica persecuzione esclusiva di Roma è quella di Nerone, già a fine primo secolo come vediamo a Corinto c'è la terribile persecuzione di Domiziano che pretendeva di essere chiamato "dominus et deus", immaginate con quale gioia dei cristiani…
Passiamo ad un argomento squisitamente teologico ossia come sia possibile che se 12 apostoli erano guidati dallo spirito Santo fossero in disaccordo su temi di fondamentale importanza dottrinale. Innanzitutto vorrei sapere quali sono questi termini, ma temo di sapere la risposta: quali pratiche giudaiche debbano osservare i convertiti provenienti dal paganesimo. La risposta è che lo spirito Santo non ha concesso l'infallibilità ai singoli ma alla Chiesa, che ricordo è insieme dei fedeli, motivo per cui è nel concilio ecumenico che si ha lo strumento di infallibilità. Se si legge il decreto del concilio di Gerusalemme tenuto dagli apostoli si vedrà infatti che esso inizia con " abbiamo deciso lo spirito Santo e noi che…". Tanto per essere precisi quando ho detto che Dio non ha concesso l'infallibilità ai singoli, sarebbe utile leggersi il testo del concilio Vaticano I "Pastor aeternus" dove fu definita l'infallibilità papale, e in cui si spiega chiaramente che l'infallibilità non è del papa ma è l'infallibilità della Chiesa. Il papa serve da sentinella, e parla come interprete della tradizione viva e dinamica, essa è lo scrigno da cui estrarre cose vecchie e cose nuove per affrontare i tempi: e serve una sentinella perché come già detto la democrazia ha dei limiti, si può eleggere anche Adolf Hitler. Motivo per cui un Concilio per essere ecumenico deve avere rappresentata Roma e le sedi della pentarchia, che primeggiano. Ovviamente non ho alcuna intenzione di parlarne in questo messaggio, è teologia di alto livello e se vorrete discuterne aprite un messaggio a parte. Vorrei poi ricordare che qualcuno ho parlato del martirio degli apostoli come fondamentale per il prestigio di Roma non ho escluso la successione apostolica, semplicemente quest'ultima non è l'unica causa del primato di Roma, e forse non è neppure la più importante.
Ti ricordarti inoltre, dinnanzi alle tue recriminazioni, che non hai citato degli storicI bensì uno storico, di cui non hai capito due tesi su tre, e vorrei capire quale monografia mi avresti citato visto che sostiene di averlo fatto. Vorrei poi dire che quando parlo della portata intellettuale delle persone lo faccio per lunga esperienza, so cioè che gli anni di liceo e di università preparano le categorie mentali per apprendere e per capire determinate questioni, senza di essi i testi vengono puntualmente fraintesi ed io mi trovo nella situazione in cui si trova uno storico delle religioni che cerca di parlare dell'Islam a un leghista, semplicemente è impossibile. Non si discutono i dati se non si conosce il contesto, lo sfondo in cui sono inseriti, e quello sfondo si chiama impero romano, uno dei mondi più complessi che esistano e che si apprende in anni ed anni di sforzi.
Un ultimo accenno alla questione di Clemente in quanto sostieni che " fra noi" voglia dire "in mezzo a noi cristiani" e non "fra noi romani". Non ho intenzione di escludere matematicamente la tua ipotesi perché non è possibile, la scuola ermeneutica di filosofia dell'Università di Venezia ha proprio come sua tesi portante che l'interpretazione non può finire, e io sono un fedele discepolo di questa scuola. Io mi limito a far osservare alcuni dati che a mio avviso rendono questa tua ipotesi improbabile, poi ognuno decide per sé. Bisogna tener conto di tutto il contesto del testo. Clemente scrive alla comunità di Corinto perseguitata al fine di darle forza, in questo senso l'esempio dei romani che hanno già subito una cosa simile è di conforto e di edificazione. Clemente dunque non può che parlare dell'esperienza che era loro capitata, e paragona i martiri di Roma ad esempi mitologici tipici della cultura dei suoi destinatari, cioè le Dirci e le Danaidi. In questo contesto in cui la comunità di Roma dev’essere di esempio a quella di Corinto Clemente scrive: "osserviamo dunque i nostri gloriosi apostoli", e in seguito descrive e tormenti di Paolo e di Pietro. Il problema è cosa significhi quel nostri, in quanto potrebbe essere un primo indizio che intenda "nostri" come "della comunità di Roma". Questo è tanto più probabile se ci si ricorda che il suo destinatario, "nostri" infatti era doppiamente valido visto che Clemente si rivolgeva ai corinzi, discepoli anch'essi di Pietro e Paolo. Non a caso Dionigi commemorando la lettera di Clemente parla proprio di questo, ossia dell'esempio di Pietro e Paolo portato alle due comunità. Quell' "emon" (di noi\nostri) è in rapporto diretto col "tes geneas emon" che precede, e con il "en emin"(fra noi) che segue. Tanto più che come ho già detto con Cullmann non c'è stata alcuna altra persecuzione a cui Clemente avrebbe potuto riferirsi se non quella di Roma sotto Nerone, che non ha coinvolto altre comunità. Se ne deduce dunque che Clemente può parlare di "nostri apostoli" e del fatto che siano diventati un esempio fra di loro in quanto subirono il martirio in quella comunità (en emin). Per Paolo nessuno ne dubita ovviamente, e il fatto che venga accostato a Pietro in una lista di patimenti che avrebbe subito la comunità di Roma e che può dunque edificare Corinto, significa che ci vuole poco a fare due più due. Un altro indizio seppure indiretto è che quando dice "osserviamo i nostri apostoli" letteralmente c'è un "lathômen pro ophtalmôn", “gettiamo gli occhi su”, come se parlasse di una cosa su cui il suo sguardo è caduto in prima persona, ma tale suggestione linguistica è difficilmente rendibile in italiano. Il problema che ci resta da affrontare è quello della prima venuta di Pietro a Roma che secondo la cronologia tradizionale è del 42 e su che tipo di presenza fu. C’è testimonianza di una predicazione di Pietro a Roma o vi venne solo per subirvi il martirio? Anche nella seconda ipotesi, o lo hanno catturato un minuto dopo che varcò la soglia di Roma oppure per qualche tempo ai romani dovrà pur aver predicato, fossero anche dei mesi. Ma qui si segue il primo indirizzo, c’è una predicazione di anni, sebbene non contigui. La testimonianza più antica di questo è del I secolo: Papia vescovo di Gerapoli (70-150) ci dice che Pietro venne a Roma e vi predicò, su richiesta della comunità primitiva che voleva conservare le parole dell’apostolo dalla trascrizione della sua catechesi orale nacque il Vangelo di Marco. Per i contesti e gli studi sulla venuta dell’apostolo a Roma e sul tipo di comunità ci si basa su quella che da decenni è opera di riferimento, di recente uscita in nuova edizione, “I cristiani e l’impero romano” di Marta Sordi, Milano, Jaka Book, 2004, pag. 31 ss. Occorre chiedersi cioè quali tracce abbiamo della comunità di Roma e se essa presenta i caratteri della predicazione petrina. Siccome Pietro fu ucciso dai romani bisogna indagare quand’è stata la fine del periodo di tolleranza verso i cristiani al fine di poter datare il suo martirio e anche i motivi che lo spinsero a venire a Roma, nonché se si ciò resti traccia nello stesso Nuovo Testamento e a che data questo avvenne. Conosciuti molto presto dal governo romano come una delle sette in cui era diviso il giudaismo palestinese e individuati fin dall'intervento del 36/37 da Vitellio (se non già prima a Roma nelle discussioni del senato nel 35) con il nome di Christiani, i seguaci di Cristo furono considerati favorevolmente, sia in Giudea che nella diaspora giudaica, da quello stesso governo che, almeno fino al 62, manifestò apertamente la sua intenzione di non permettere azioni violente contro di essi e che vide forse nel messianismo senza implicazioni politiche che caratterizzava la predicazione degli apostoli uno strumento da utilizzare per la pacificazione della Palestina, turbata da messianismi politicamente rivoluzionari e apertamente antiromani.
---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 01:09. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com