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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
06/01/2007 00:17
 
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Caro Teodoro,

Tralascio le tue solite accuse che stanno solo a dimostrare quanto la tua religione sia incapace di educare i suoi seguaci. Ma non puoi una buona volta evitare di fare apprezzamenti sui TdG? Prova di immaginare di parlare con un Buddista!

Vengo al punto


Se Pietro non fu a Roma, magari barnabino ci potrebbe dire da dov'è che scriveva. Forse da Babilonia: in tal caso dobbiamo evincere che Pietro aveva fatto un giro a raccogliere cocci, o a guardare il panorama delle antiche e gloriose rovine, mi sembra una teoria molto verosimile!



In realtà nel I secolo, ed anche dopo, quella in Babilonia vi era una delle più importanti comunità giudaiche del tempo. Giuseppe Flavio ne parla diverse volte nelle Antichità, come puoi controllare tu stesso. Certo più importante di Roma ed anche di Alessandria, tanto che vi è una scuola talmudica che porta il nome della città. Certo Babilonia era decaduta, ma non abbiamo ragione di credere che fosse disabitata, del resto può trattarsi della regione e non della città, le colonie ebraiche erano infatti situate nel suburbio. Poichè Pietro fu mandato a predicare ai giudei l'ipotesi non è tanto balzana come tu vuoi far credere.

Sappiamo anche che uomini della Mesopotamia erano presenti alla pentecoste e dunque non sorprende che una comunità cristiana vi fosse presente. E d'altronde non abbiamo nessuna prova che Roma fosse identificata dai cristiani con Babilonia prima della persecuzione neroniana (dovrenno ritenere la lettera non autentica) inoltre prima di tale epoca non vi era ragione di usare un linguaggio di quel tipo in una lettera che, piuttosto, invita al rispetto dell'autorità imperiale.

Shalom




06/01/2007 10:44
 
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Dall’Alsazia con amore…

Leggo solo le e-mail quando sono via, e qualcuno ha avuto il buon senso di avvertirmi che in questo forum qualcuno stava giocando a fare l’antichista con profonde dissertazioni di patristica. In riferimento al primo messaggio di Barnabino in questa pagina, quello del 04/01/2007 23.46, ho avuto l’impressione di leggere un messaggio cui avevo già risposto. Barnabino evidentemente non ha letto una sola riga del mio ultimo post a lui indirizzato, visto che le sue obiezioni sono un autentico CLONE a quanto è stato già confutato. Chi volesse trovare smascherate tutte le panzane e gli autentici ERRORI di Barnabino, tanto per fare un esempio la sua fissazione sull’idea errata che in Ireneo si parlerebbe del bollito di Giovanni a Roma (e si confonde con Tertulliano) o che egli sia la prima fonte diretta del martirio di Pietro nell’Urbe, può trovare tutto meticolosamente svolto nel mio post che è stato saltato a piè pari. Sono state ignorate tutte le attestazioni nella letteratura cristiana del I secolo quali l’Ascensio Isaiae o il fr. Rainer che parlano del martirio di Pietro, si è continuati imperterriti a dire che Pietro andò a Babilonia appoggiandosi a Giuseppe Flavio quando bastava leggere il mio post per sapere se nelle Antichità Giudaiche lo storico dice l’esatto contrario, ossia afferma addirittura a chiare lettere che a metà del I secolo gli ebrei non erano a Babilonia in quanto la comunità era migrata in massa dalla città(e se volete le coordinate temo dovrete leggerlo). Si sono dette sciocchezze come il fatto che nella letteratura precedente alla distruzione del tempio non sarebbe attestata un’equivalenza tra Roma e Babilonia quando invece l’uso di questa “metafora” viene proprio dai testi apocalittici giudaici composti prima di Cristo. Insomma una serie di madornali errori dal nostro antichista della domenica, e c’è risposta a ciascuno di essi in quanto avevo scritto. Riporto il mio ultimo post nella parte dedicata a Barnabino, perché come già detto c’è letteralmente la risposta ad ogni sua singola frase del primo intervento di questa pagina, essendo queste una copia di ciò a cui avevo già risposto. Mi auguro davvero come moderatore che una cosa tanto penosa non abbia mai più a ripetersi. Quanto ai suoi interventi successivi, c’è qualche frase nuova, quindi la commenterò in appendice.

Per Barnabino

Questo tuo messaggio è un capolavoro di mezze verità, insinuazioni, ipotesi ad hoc, teoremi di colpevolezza fino a prova contraria, un pastiche di metodo astorico.

"Dire "assai probabile" con queste considerazioni mi pare azzardato, diciamo che potrebbe essere al massimo "compatibile" ma dalla lettura di Ignazio in sé non si può evincere nulla"

Al contrario storici anche protestanti sono di parere diverso. [E quanto segue risponde anche alla lettura secondo cui la frase vorrebbe dire"io non do ordini come lo farei se fossi Pietro e Paolo]. Per i motivi già elencati e che non ti sei degnato di commentare:

"Nel cap. 4, 3 di questo scritto leggiamo: “lo non v'impartisco ordini come Pietro e Paolo, quelli (erano) apostoli, io un condannato; quelli liberi, io finora uno schiavo; ma se soffro diventerò un liberto di Gesù Cristo, e risorgerò in lui uomo libero”. Così scrive Ignazio alla comunità di Roma, ed è degno di nota che egli richiami alla memoria proprio di quella comunità gli esempi di Pietro e di Paolo. Poiché Pietro non ha mai scritto leggere ai romani, se ne evince che sia stato a Roma direttamente. (...) Dà da pensare che egli proprio nella lettera ai Romani non si accontenti di un espressione generica ma citi per nome proprio Pietro e Paolo. Non si può assolutamente considerare automatica la giustapposizione di Pietro e di Paolo, quando si menzionavano nomi di apostoli: questo potrebbe infatti valere per il periodo posteriore, ma non certo per quello di Ignazio. Non si può eludere il problema del perché i due apostoli fossero menzionati insieme, benché essi, a parte l'incontro di Gerusalemme e lo scontro di Antiochia, non avessero mai operato insieme e anzi, in base all'accordo di Gerusalemme (Gal. 2, 9), dirigessero due organizzazioni missionarie distinte. (...) Nel passo parallelo della lettera ai Tralliani (3, 3) Ignazio non menziona il nome di alcun apostolo : non aveva alcuna ragione di farlo, scrivendo a una comunità che non aveva ricevuto alcuna visita apostolica. Invece nella lettera agli Efesini, fra i quali Paolo era stato, egli menziona per nome questo apostolo, se pure in tutt'altro contesto (12, 2). Egli chiama gli Efesini “i consacrati di Paolo”, poiché Paolo ha esercitato l'apostolato in Efeso. Analogamente Ignazio menziona Pietro e Paolo nella lettera ai Romani, poiché entrambi erano stati a Roma. Questo passo permette di trarre qualche conclusione anche in merito a un'attività precedente dei due apostoli, in Roma? Il verbo “dare ordini” sembra suggerirlo. Qualcuno ha affermato, è vero, che in tal modo sarebbero semplicemente indicate le istruzioni date da Paolo nella sua lettera ai Romani, ma in tal caso non si comprenderebbe l'accostamento del nome di Pietro" Inoltre come s'è visto il testo di Ignazio parla proprio del martirio di Pietro e Paolo col classico "eleutheroi" legato alla gloria e alla persecuzione, in una lettera ai romani.

"specialmente se confrontate con gli scritti canonici che tacciono perfino la presenza di Pietro a Roma."

Come già detto è falso, ne parla Pietro nella sua prima lettera. Del resto non potremmo aspettarci altro. L'unico testo "storiografico" del Nuovo Testamento, che pretenda di raccontarci la vita della Chiesa, cioè gli Atti, si chiude addirittura prima della morte di Paolo, dunque è inutile cercarvi notizie sul martirio di Pietro. Inoltre la distinzioni tra fonti canoniche o meno è del tutto irrilevante per lo storico, ho portato all'attenzione sulla scia di Cullmann cosa dicano a proposito della morte di Pietro a Roma il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae, entrambe opere apocrife di fine I secolo.

"Per altro sarebbe da capire anche quanto storici siamo gli scritti di Ignazio (a partire dallo strano viaggio per essere messo a morte e dal fatto che nessuna fonte antica ne attesta il martirio a Roma!)"

Iniziano le insinuazioni ingiustificate, col negazionismo a priori in testa. Il viaggio a Roma per subirvi il martirio è assimilabile al viaggio fatto da Paolo stesso, delle sue lettere ci parla per primo Policarpo nella sua lettera ai Filippesi, i quali gli chiedevano una copia delle lettere del vescovo di antiochia. Non me ne intendo di agiografia e dunque non so quali siano le più antiche fonti del martirio di Ignazio a Roma, che tanto per inciso è irrilevante perché nelle sue lettere ovviamente non se ne parla essendo l'autore ancora in vita. Se si scrive di martirio romano è perché l'autore stesso si immagina divorato dalle belve quando sarà giunto nell'Urbe. Comunque non è vero che nessuna fonte antica ne attesta il martirio a Roma, il riferimento più antico che, da non addetto ai lavori, sono riuscito a trovare, è in una fonte ben antica, cioè in Ireneo che ci dice venne condannato ad bestias (Adv. Haeres., V, 28,4) Questa è un'informazione di prima mano perché Ireneo era discepolo di Policarpo, e quest'ultimo era amico di e corrispondente epistolare di Ignazio.

“con la sua esaltazione ed il suo punto di vista che non sappiamo quanto fosse condiviso..."

Punto di vista su che cosa?

"insomma egli rappresenta solo un punto di vista limitato e non la realtà storica del momento che invece sembra essere molto più complessa."

Non mi dici di cosa parli e dunque non posso risponderti. Ad ogni modo Ignazio è il vescovo di Antiochia, quindi a meno che non avesse meno di cinquant'anni non solo era successore di Pietro nella cattedra di quella città ma l'aveva anche conosciuto. Antiochia non è il Bronx, la chiesa siriaca è tra le più importante nei primi secoli, addirittura una delle sedi della pentarchia. Inoltre scrive ai maggiori centri cristiani del tempo, come Efeso, Smirne e Roma, evidentemente era ben informato sulla situazione generale. Ma sappiamo che il tuo negazionismo è puramente a macchinetta dunque non ho alcuna possibilità di farti desistere dalla tua assurda convinzione di conoscere il cristianesimo meglio di un vescovo del primo secolo, per giunta di un vescovo di tradizione petrina.

"A mio parere le sue parole, se lette in modo neutrale, farebbero propendere addirittura per l'assenza di Pietro in quella città, infatti non vi è alcun riferimento diretto al suo martirio"

Anche questo è falso. Ho scritto: "Nella Lettera ai Romani Ignazio parla del martirio che lo aspetta a Roma. Davanti agli occhi spirituali vede l'arena nella quale sarà maciullato dalle fiere: “Lasciatemi diventare cibo delle fiere mediante le quali mi è possibile giungere a Dio... Lusingate piuttosto le fiere, affinché diventino la mia tomba...” Queste parole precedono immediatamente la menzione di Pietro e Paolo. Qui egli gioca con le parole libero e schiavo: fino a questo momento si sente schiavo. Col martirio diventerà liberto di Gesù Cristo perché risorgerà uomo libero in lui. Quando descrive Pietro e Paolo come uomini che sono liberi, Ignazio si riferisce certamente al loro martirio con il quale anche loro hanno raggiunto la libertà definitiva (anche perché dice di essere schiavo “finora”, ma dopo il martirio non lo sarà più). Nella lettera ai cristiani di Efeso Ignazio dichiara esplicitamente di voler essere trovato a seguire le impronte di Paolo sul cammino che porta a Dio, cioè seguire l'apostolo nel martirio. Come la città di Efeso fu per Paolo un passaggio del suo cammino definitivo verso Dio, così sarà anche per lui, Ignazio, che nella traduzione da Antiochia a Roma passa in catene per Efeso. Se Ignazio paragona, anzi mette in parallelo, il proprio destino con quello di Pietro e Paolo, evidentemente sa del loro martirio romano. Come lui sta andando incontro alla morte violenta a Roma, così essi sono già giunti a destino percorrendo il medesimo cammino che porta a Dio."
Rileggiamo il testo: "Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi do ordini come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi, io finora uno schiavo. Ma se soffro sarò affiancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla."
Ignazio è finora uno schiavo, perché quando sarà martirizzato sarà libero, come Pietro e Paolo, morti martiri anch'essi e dunque liberi. Si parla dunque del loro martirio.

"E' certo possibile che cominciassero a nascere delle leggende sulla presenza Pietro a Roma, ma come pie invenzioni e non come fatti storici devono essere considerate"

Abbiamo già discusso della follia metodologica di questo metodo altrove quando contestualizzai il tuo tarocco di O. Cullmann, e ancora non ho avuto risposta, giacché lo storico prende chiaramente posizione su questo punto.
Riproposizione dell'episodio…
Avevi scritto



Oscar Cullmann (pur favorevole alla tesi di Pietro a Roma) deve ammettere: "Questi testi tardivi che affermano, ormai in crescente numero che Pietro è venuto a Roma e vi ha subito il martirio, non presentano alcun interesse storico, se non per chi si occupa di storia dei dogmi, perché a lui mostrano la storia della tradizione" (O. Cullmann, op. cit., p.102)



Risposta che diedi e che aspetta ancora una replica:


Qui ci sono due problemi. In primis hai tagliato quanto scritto prima, ed è ciò che illumina le affermazioni successive. In secondo luogo la traduzione nell’edizione italiana è diversa (hai tradotto direttamente dall’originale o hai una versione italiana diversa? Citazione completa: “non è però corretto attribuire a tali tendenze(il crescere dei particolari N.d.R.) l’invenzione del soggiorno e del martirio di Pietro a Roma: la funzione di esse può essersi limitata a sottolineare e a prolungare tradizioni più correnti. D’altra parte questi testi più tardivi, che con forza e uniformità sempre maggiori attestano che Pietro è stato a Roma e vi è morto martire, dal punto di vista storico possono avere per noi interesse soltanto per ciò che riguarda la storia dei dogmi, in quanto attestano lo sviluppo della tradizione”(pag. 154-155) Quindi non definisce i testi “tardivi” ma solo “più tardivi” degli altri (in riferimento alla crocifissione a testa in giù), il che è una constatazione temporale e non un giudizio, e non si dice che non hanno “alcun interesse storico”, né tanto meno che possano aver inventato tradizioni così dal nulla.




Come già detto, qualunque fatto della storia antica viene amplificato con il passare degli anni, ma il dedurre nell'analizzare fonti di secoli dopo, per il solo fatto che aumentano i particolari, che il nucleo storico non esiste, farebbe crollare tutti i manuali di storia antica. Ho già fatto un esempio a Spirito su questo punto. Prima le informazioni che abbiamo sull'omicidio di Cesare sono scarne, poi invece veniamo addirittura a sapere che la moglie l'aveva sognato la sera prima e l'aveva pregato di non andare in senato. Se dovessimo usare il tuo metodo leggendo questo ridicolo brano di Svetonio sulle idi di Marzo ne dovremmo dedurre che visto il cumulo di particolari leggendari l'assassinio del divo Giulio non sia mai avvenuto:

"La morte imminente fu annunciata a Cesare da chiari prodigi. Egli venne a sapere che le mandrie di cavalli che aveva consacrato, attraversando il Rubicone, al dio del fiume, e aveva lasciato libere di vagare senza guardiano, si rifiutavano con assoluta ostinazione di pascolare e piangevano a dirotto. E mentre faceva un sacrificio, l'aruspice Spurinna lo ammonì di guardarsi dal pericolo, che non si sarebbe protratto oltre le Idi di marzo. In quella notte, poi, che precedette il giorno dell’assassinio, anche Cesare stesso sognò ora di volare al di sopra delle nubi, ora di stringere la mano di Giove; e la moglie Calpurnia sognò che crollava la sommità della casa e che il marito veniva ucciso nel suo grembo; e all’improvviso le porte della camera da letto si aprirono da sole. A causa di questi presagi, ed anche per il cattivo stato di salute, Cesare, a lungo indeciso se restare in casa e differire gli affari che si era proposto di trattare davanti al Senato, alla fine, poiché Decimo Bruto lo esortava a non deludere i senatori accorsi in gran numero e che lo stavano aspettando ormai da un pezzo, verso la quinta ora s’incamminò, e quando gli fu consegnato da uno che gli era venuto incontro un biglietto che denunciava la congiura, lo mise insieme con gli altri biglietti che teneva nella mano sinistra, come se volesse leggerlo più tardi. Dopo aver fatto quindi molti sacrifici, poiché non riusciva ad ottenere auspici favorevoli, entrò in curia incurante di ogni scrupolo religioso, deridendo Spurinna ed accusandolo di dire il falso, perché le Idi erano arrivate senza alcun danno per lui: Spurinna però gli rispose che erano arrivate, sì, ma non erano ancora passate." (Svetonio, Vita di Cesare, 81 passim)

Questo a significare che non bisogna scambiare i particolari di contorno col nucleo duro di una tradizione che invece è ben attestata. Non solo infatti non c'è alcuna altra tradizione concorrente, eppure parliamo del principe degli apostoli, ma per di più è una tradizione riconosciuta anche dall'Oriente.

"alla stregua del presunto "bollito" che secondo Ireneo fu tentato con Giovanni a Roma"

Digiti a macchinetta fregandotene delle obiezioni che ti vengono fatte?
Avevo scritto:
a)Non so di che testo di Ireneo stai parlando, probabilmente ti confondi con Tertulliano b) Ireneo, vescovo proveniente dall’Asia minore ed in seguito venuto a Roma, è uno dei meglio informati su tradizioni di qualunque tipo grazie al suo legame con Policarpo. c)Io non ho nessun problema a credere che anche Giovanni sia passato per Roma, ma visto che non so neppure di che testo tu stia parlando sospendo il giudizio prima di analizzarlo. Spero che non si riveli un altro caso di Gesù sopravvissuto alla crocifissione e morto a 50 anni, passo inesistente.

"Insomma dagli scritti appare una volontà di "legittimare" Roma in modo via via crescente con gli anni."

Come già detto i primi scritti non hanno nulla a che fare con la legittimazione sono di carattere apocalittico. Inoltre come già detto trovare un movente non vuol dire dimostrare la colpevolezza: stai procedendo in base al paradigma del colpevole fino a prova contraria. Si noti come questa legittimazione di Roma data dal martirio di Pietro non sia mai stata contestata in Oriente, anzi da Dionigi sappiamo che la lettera di Clemente a Corinto fu ricevuta proprio in virtù della comune predicazione petrino-paolina delle due comunità.

"Questa mi pare l'unica conclusione seria e non apologetica"

Allora evidentemente gli studiosi protestanti che oggi non mettono più in dubbio la venuta di pietro a Roma sono tutti poco seri e addirittura apologetici. Se la mia è apologetica la tua che è faziosità e partigianeria da setta fondamentalista americana, che con la scienza non ha nulla a che fare. Nessuno studioso protestante contesta più il martirio di Pietro a Roma, a questo proposito hai saputo citare solo delle mummie che al momento stanno nell'empireo.

"che possiamo trarre da documenti (per di più numerosi!) che nel I secolo non testimoniano la presenza di Pietro"
Anche a questo modo ridicolo di fare storia ho già risposto, Riporto quanto già scritto e ancora in attesa di replica (chi ha letto il mio post a Spirito qui salti pure, il brano è già stato riportato).
Avevi scritto:



“Abbiamo il silenzio totale di una ventina di libri e lettere. Niente male, non credi?”



Mia risposta:


Non se questi scritti parlano di tutt’altro fuorché Roma. Gli argumenta e silentio notoriamente non valgono nulla, valgono qualcosa solo nel caso ci sia un silenzio su qualcosa in un testo che tratta proprio di quell’argomento. Ad esempio se mi dicono che Cesare è il comandante della campagna in Gallia ma in un testo coevo sulla guerra gallica nessuno mi nomina mai Cesare posso pensare che ci sia sotto qualcosa. Ora analizzando la miseria che c’è rimasta dell’epoca apostolica bisogna considerare quali testi avrebbero avuto l’occasione di parlare di Pietro a Roma, perché degli altri è ovvio che l’assenza di menzioni su Pietro a Roma è equivalente all’assenza di menzioni della ricetta per cucinare i cannelloni, giacché semplicemente quell’argomento non c’entra nulla col testo. Si ha occasione di parlare di Pietro a Roma ovviamente se si parla di Roma. Analizziamo dunque nei Padri Apostolici quanti scritti ci siano rimasti che parlino della comunità di Roma o di Roma in generale.
-Ignazio di Antiochia, (otto lettere di una paginetta ciascuna rimaste, parla di Pietro e Paolo proprio nelle lettera ai romani, proprio come in quella agli Efesini che erano depositari dell’insegnamento di Paolo parlo di lui) 8
-Pseudo-Barnaba, (sopravvissuta una lettera di otto paginette su questioni giudaiche, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Erma (Uno scritto rimasto, Il pastore d’Erma, un’opera in visioni che ha tutto fuorché la realtà di cui occuparsi, credo che sarebbe più probabile trovare menzione di Pietro in un libro di oroscopi) 1
-Policarpo di Smirne, (1 lettera di una paginetta rimasta, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Papia di Ierapoli (Rimasti solo frammenti, parla della predicazione di Pietro a Roma e della stesura del Vangelo di Marco su richiesta dei romani che ne derivò, in Eus, op. cit., II, 15, 2) 0
-Anonimo, Didaché(5 paginette,Non parla né di Roma né di Pietro)1
-Clemente Romano (vescovo di Roma, parla del martirio di Pietro e Paolo “fra noi”, ne ho trattato specificatamente in un articolo) 1
-Anonimo, A Diogneto (Sopravvissuta una lettera di 4 paginette, Non parla né di Roma né di Pietro)1
Ho dimenticato qualcuno? Vediamo dunque. Voi amici lettori siete riusciti a contare 20 opere?Io ne ho contate 14, di cui 7 sono lettere di Ignazio scritte ad altre comunità come Efeso o Tralle, ergo ridicolo domandarsi perché non ci parli della comunità di Roma. Delle restanti 7 opere apostoliche nessun altra c’entra qualcosa con Roma o parla di quella chiesa tranne l’epistola di Clemente che parla della comunità romana per confrontarla con quella di Corinto, e infatti saltano fuori Pietro e Paolo, tra le sette rimanenti c’è l’ottava lettera di Ignazio che abbiamo lasciato fuori dal computo precedente, cioè quella ai Romani, della quale abbiamo già discusso. Alla luce dei fatti parandosi dietro una quantità così misera di fonti, fonti brevissime e non storiografiche, e per giunta fonti che parlano di tutt’altro fuorché l’argomento in questione, un argumentum e silentio vale meno di una cicca. Questo signori miei si chiama metodo storco-critico, ed è il motivo per cui oggigiorno i biblisti protestanti non contestano più la venuta di Pietro a Roma.




Avevo aggiunto, ovviamente senza ottenere risposta, le testimonianze nella letteratura apocalittica del I secolo nell'analisi di Cullmann e Gnilka:



E ora vorrei aprire una parentesi su delle nuove fonti, l’attestazione della morte di Pietro a Roma negli apocrifi dei primi due secoli. Il primo passo è tratto da un testo apocrifo del I secolo (per la datazione si veda Cullmann, op.cit. pag. 150), l’Ascensione di Isaia, composto in tre parti e contenente una piccola apocalisse cristiana(Asc. Is. 3,13-4,18 ). Per chi volesse leggerlo in italiano lo potete trovare in M. Erbetta, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, tomo III, 175-204. In questa apocalisse si trova un passo che dovrebbe riferirsi al martirio di Pietro. Si parla di un re ingiusto, di un matricida, nel quale si sarebbe incarnato Beliar(=il diavolo). In una finta profezia si predice che avrebbe perseguitato la piantagione piantata dai dodici apostoli del Diletto (del Figlio Diletto) e che uno dei dodici sarebbe stato dato in sua mano (Asc. Is 4,2 s.). Non c’è alcun dubbio che col re matricida si voglia indicare Nerone,. Questo nome si era attaccato saldamento all’imperatore. (Dione Cassio 62,18,4; Or. Sib. 4,121)Egli ha perseguitato la piantagione del diletto, cioè la Chiesa. Quando, in un siffatto contesto, si menziona uno dei dodici apostoli, non può trattarsi che di Pietro. Paolo non appartiene al gruppo dei dodici apostoli. Se il nome di Pietro non viene fatto esplicitamente ciò è dovuto allo stile apocalittico che procede per riferimenti indiretti. “Dato in mano a qualcuno” è una formulazione già di per sé minacciosa; ma se la mano di un matricida quella in cui si cade, può trattarsi solo del peggio. Merita di osservare che il passo connette ancora una volta la persecuzione della comunità e il destino di Pietro con Nerone. C’è uno stretto nesso tra questo testo e il frammento Rainer dell’Apocalisse di Pietro, anch’esso di fine I secolo (E. Peterson, Das Martyrium des hl. Petrus nach der Petrus-Apocalypse, in Frühkirke, Judentum und Gnosis, Roma, 1959, 88-91; O. Cullmann, op. cit. pag. 151)). Il passo rilevante ai nostri scopi recita: “Ecco, o Pietro, ti ho rivelato e spiegato tutto. Ora va nella città della prostituzione (ovviamente Roma N.d.R.) e bevi il calice che ti ho promesso dalle mani del figlio di colui che si trova nell’Ade. Così la sua distruzione avrà inizio, ma tu sarai invece degno della promessa”. Anche qui collimano nello stesso discorso Nerone, Pietro e l’orizzonte escatologico. Importante è anche la concentrazione su Pietro che contraddistingue questa tradizione. Essa è più antica di quella che pone Pietro e Paolo in parallelo. Dovrebbe essere sorta come tradizione autonoma: essa ci diviene accessibile verso gli anni novanta del I secolo, cioè trent’anni dopo gli eventi. Questa distanza cronologica relativamente breve garantisce l’attendibilità del martirio romano di Pietro. In questa medesima decade rientra la composizione della prima lettera di Clemente, della piccola apocalisse contenuta nell’Ascensione di Isaia, dell’Apocalisse di Giovanni e certamente anche del testo contenuto nel frammento Rainer (da Gnilka, op. cit. pag. 114-115)




"Il fatto stesso che Ignazio non ne faccia riferimento diretto indica che evidentemente poteva facilmente essere smentito."

Siamo al delirio del paralogismo. Adesso Ignazio diventa qualcuno che voleva parlare del martirio di Pietro ma non ne fa riferimento diretto perché poteva essere smentito e dunque vela la questione. La domanda: se il successore di Pietro ad Antiochia sapeva di un suo martirio romano, tu ne sai forse più di lui? Inoltre dire che l'ha detto indirettamente perché aveva paura di essere smentito presuppone la malafede, cioè che sapesse di mentire e dunque celasse quello che voleva dire. Ma sorge la domanda: perché lui che era vescovo di Antiochia dovrebbe mentire sul martirio di Pietro a Roma? Non è un cattolico del XVI secolo intendo a dissertare con un protestante, a lui che Pietro sia morto a Roma non fa né caldo né freddo, non ha un partito ideologico basato su tale Traditio da difendere. Inutile cioè inventarsi qualcosa che non torna utile. E poi, se a tuo dire scrive in modo velato per non essere smentito dai romani, e dunque sa che il martirio è falso se immagina che i romani lo smentirebbero, perché usa questa Tradizione che sa essere falsa? Cosa aveva da guadagnarci? "Cui prodest?" direbbe Cicerone. Poteva essere smentito da chi, dai romani? Perché mai dovrebbe scrivere di un martirio, ma farlo in modo criptico, alla città che quel martirio non l'aveva visto? Sia che non si capisse il linguaggio velato, sia che lo si capisse, in nessun caso avrebbe raggiunto un risultato, infatti nel I caso il suo messaggio non arrivava e nel II caso, da coloro tra i romani che avessero inteso il suo parlare del martirio, sarebbe stato comunque smentito, giacché anch'essi erano romani e dunque testimoni oculari come chi il simbolismo non l'aveva inteso. In definitiva non ha il benché minimo senso quello che hai scritto.

"Se poi come tu sostieni"

Io sostengo? Il mondo accademico sostiene. Ho portato le argomentazioni seguenti:


A ciò si aggiunga la testimonianza dello steso Pietro, o chi per lui, che scrive da Roma “vi saluta la comunità che sta in Babilonia”, che i commentari e la Bibbia stessa nell’Apocalisse identificano con Roma. Sull’identificazione nel tardo giudaismo e nel cristianesimo primitivo di Babilonia con Roma si possono vedere gli Oracoli Sibillini V, 59; Ap. Bar. 11,1; 67,7; e IV Esdra 3,1.18.21. Per il cristiani: Papia e Clemente Alessandrino (in Eus, Storia Ecclesiastica II, 15,2), Tertulliano, Adv. Judeos 9; Adv. Marcionem 3,13, molteplici in Origene ed Agostino, ecc. Per un elenco H. Fuchs, Der geistige Widerstand gegen Rom, 1938, pag 74 ss. E B. Altaner, art. Babylon, in Reallexikon fü Antike und Christentum, I, coll. 1121 ss, e O. Cullmann, op. cit. pag. 111(nota 65). Per i passi nella letteratura rabbinica Strack- Billerbeck, III, 816 e inoltre Num. R. 7; Midr. Ps 121). Ma ovviamente si veda l’Apocalisse, che da sola basta. Su questo lascio la parola al GLNT: la città di cui si profetizza la distruzione esiste già nel presente: Ap 17,18 “he gynê… estin hê (si noti l’articolo determinativo) polis hê megalê hê echousa(al presente!) basileian epi tôn basileôn tês gês, e non può che essere Roma, infatti sta sui sette monti (i sette colli di Roma), si è prostituita coi re della terra, anzi è la loro sovrana, e controlla i traffici commerciali in tutto il mondo. E’ l’impero romano. Tra l’altro il GLNT sulla questione Pietro a Roma ha questa esplicita uscita: la storicità della sia permanenza e del suo martirio in Roma non può più ormai essere messa in dubbio (vol. II, pag 10-12) Si aggiunga poi che apprendiamo da Giuseppe Flavio di come verso la metà del primo secolo gli Ebrei avevano abbandonato Babilonia e si erano trasferiti nella città di Seleucia (Ant. Giud. XVIII,9.8 ), e dunque sebbene abbiamo testimonianze di attività giudaica a Babilonia nei secoli successivi non sono credibili in questo periodo. L’interpretazione di Babilonia nell’epistola petrina come la città mesopotamica, e riferisco gli ipsissima verba di Cullmann visto che mi si accusa di portare solo studiosi cattolici, non è affatto verosimile né si appoggia alla tradizione cristiana posteriore, la quale non conosce in quelle regioni attività missionario di Pietro bensì solo dell’Apostolo Tommaso; si aggiunga il fatto che anche il Talmud babilonese menziona soltanto a partire dal III secolo la presenza di cristiani in questa regione (pag. 113) Di particolare nota, tanto per ricordarci che la comunità di Roma non s’è inventata un mito da sola ma anche le altre comunità Asia sapevano che Pietro era stato là, la lettera di Dionigi di Corinto ai Romani del 170 d.C. riportata da Eusebio, II, 25,8 dove si menziona la predicazione dell’apostolo nell’Urbe.




Ovviamente non ho avuto risposte.

"se nella 1 di Pietro Babilonia sarebbe una maniera criptata per intendere Roma l'uso di un eufemismo"

Non è un eufemismo (parola del tutto inappropriata), e non c'entra nulla con la paura di essere smentiti, semplicemente come ho dimostrato nel lessico del tardo giudaismo e del cristianesimo primitivo Babilonia era un appellativo di Roma a causa dei vizi di questa città, vista come una sorta di Sodoma. Se dunque Pietro o chi per lui scrive Babilonia è perché tutti sapevano cosa intendeva.

"farebbe pensare che quello che tu ritieni un anonimo autore evitasse di scrivere "Roma" in modo chiaro perché poteva essere smentito da quanti sapevano benissimo che Pietro non vi era mai stato."

Siamo al doppiamente ridicolo. 1)In primis se tu sostieni che l'autore sia Pietro ne verrebbe fuori che Pietro mente su dove si trovi per paura di essere smentito. Assurdo! 2)Sostenendo invece che 1Pt non sia opera di Pietro avremmo comunque la testimonianza che nel I secolo la tradizione di Pietro a Roma esisteva già ma il suo autore, sapendo di dire il falso, scriverebbe Babilonia per paura di essere smentito. Anche qui sorge la domanda: che senso ha mettere un messaggio criptato se non vuoi che venga decifrato? E se una volta decifrato porta al tuo sbugiardamento, a che scopo lo hai messo dentro? nella comunità di ricezione sapevano o no che Pietro non era stato a Roma? E se sapevano che non era stato a Roma che senso ha mettere un messaggio velato visto che sia che venga decifrato sia che non venga decifrato tu comunque non hai raggiunto lo scopo di comunicare quello che intendevi. Un'assurdità dietro l'altra, e questo giocare alle ipotesi controfattuali ha dimostrato come il tuo sia il semplice rimanere fisso su una posizione tentando di smontare i ragionamento altri con indimostrate ipotesi ad hoc. Quod gratis adfirmatur, gratis negatur.

“Il fatto che la località fosse "nota" a Clemente ed ai Corinti non indica che fosse Roma. Poteva benissimo essere una qualunque altra località.”

Si è semplicemente voluto rispondere alla tua obiezione ridicola in base alla quale siccome non c’è scritto “è morto proprio qui a Roma” allora paradossalmente per te vorrebbe dire che: “Da questo pezzo io capisco che per Clemente Pietro non è affatto morto a Roma.” Cioè siamo alla conclusione, e non trovo una parola abbastanza offensiva per etichettarla, che se qualcosa non è affermata da un autore allora automaticamente l’autore pensava il contrario. Cioè è l’apoteosi dell’assurdità degli argumenta e silentio. Si è invece voluto far notare con Cullmann di quanto sia strano, se Pietro non fosse morto a Roma come Paolo, che guarda caso proprio Clemente citi lui accanto all’apostolo dei gentili parlando del martirio di entrambi. Perché questo accostamento di Pietro e Paolo visto dai TdG quest’apostolo è uno fra i tanti apostoli? Perché non mettere accanto Giacomo e qualunque altro apostolo morto martire nel I secolo? Caso assurdo che proprio Clemente che è di Roma, in un brano dove si parla di martirio sia petrino che paolino, accosti i due in una lettera ai Corinzi.

“Quello che Clemente dice è molto vago e generico, il che dimostra che non ha alcuna testimonianza di prima mano”

Anche qui bisogna essere fuori del tutto? Ma come si fa a dire che è vago? E’ vago per te che cerchi una scritta stampata a chiare lettere “qui è morto Pietro”. Siccome non era quello lo scopo del suo brano, inutile aspettarsi informazioni che sono importanti per te lettore del XXI secolo ma che per Clemente era irrilevante dare. Non si tiene sul vago dopo aver promesso di fare un trattato sul martirio degli apostoli, lì sì dimostrerebbe scarsezza documentale. Ma non voleva parlare specificatamente di dove sono morti, quello che chi non ha una formazione antichistica si ostina a non capire e che gli autori antichi a meno che non stessero scrivendo un libro di storia non pensavano ai loro lettori dei secoli futuri. Per chi scrive un’epistola esortativa quello che importa è il messaggio che vuole trasmettere, e se qualche informazione in più trapela non saranno altro che allusioni, visto che non era il suo scopo scrivere una documentazione ai Corinzi sul martirio di chicchessia, di come fossero morti Paolo e Pietro era già al corrente ogni cristiano dell’impero. Il suo scopo come già detto era scrivere una lettera parenetica, e se dunque qualche informazione ci arriva non è perché l’autore volesse darcela, bensì dobbiamo essere come mendicanti che raccolgono le briciole che casualmente questi autori accennano parlando magari di tutt’altro.

“Ma è chiaro che tali ordini sono quelli scritti e non quelli dati oralmente dai due apostoli.”

Peccato che Pietro non ha mai scritto una lettera ai romani quindi viene da chiedersi di che ordini scritti tu stia parlando, altre ipotesi ad hoc?

“Siamo ad una testimonianza di seconde per non dire di terza mano. Eusebio è una fonte sospetta a questo riguardo perchè egli vissuto sempre in oriente era un acceso sostenitore della presenza di Pietro a Roma”

Perché una fonte sospetta? Semplicemente cita autori contemporanei ai fatti visto che ne possedeva le opere, e soprattutto le possedeva anche il suo pubblico. Aveva la testimonianza di Papia e l’ha citata, ma se per te i suoi lettori erano tutti scemi accomodati. Sta di fatto che quella testimonianza, secondo suo il vangelo di Marco è la trascrizione della catechesi orale di Pietro a Roma, non solo quadra coi latinismi del Vangelo, ma anche con alcune modifiche ai brani dove ad esempio si specifica che neppure la donna può divorziare, cosa assente in Matteo perché che l’iniziativa del divorzio partisse dalla femmina è diritto romano e non giudaico.
Se tu sai meglio di un autore che nel I secolo respirava dove sono stati composti i Vangeli accomodati pure, alla presunzione non c’è limite.

“Come ti ho già fatto notare si tratta di testimonianze tarde e spesso contradditorie”

ora le fonti del II secolo sarebbero tarde? E dove starebbe la contraddizione tra i quattro che Luigi ti ha citato, cioè Dionigi di Corinto, Origine, Clem. Aless, e Ireneo?

“A Clemente non interessa parlare di "martirio" ma piuttosto di invidie e gelosie”

E infatti il problema è questo. Sta parlando dei delatori che denunciavano i cristiani. L’abbinamento tra martirio e invidia sta lì.

“Di Pietro non sappiamo neppure se morì martire”

Questo ce lo dice il vangelo di Giovanni cap. 21

“fatti a quell'epoca non è ancora confermato l'uso di marturein nel senso di subire il martirio.”

Io non l’ho tradotto così. Ma viene da chiedersi cosa cavolo altro potrebbe voler dire in un brano dove si parla di persecuzione, ceppi e catene, di “lottare fino alla morte”, e che dopo “rese testimonianza” prosegue immediatamente con “andò al luogo della gloria che gli spettava”. Ma ci sei o ci fai? Non occorre aver studiato patrologia per capire che qui come altrove “doxa” è la morte martire.

“Anche qui, è ben strano che in una serie di epistole in cui vuole affermare la monarchicità del vescovo”

Anche qui non hai capito nulla. Non vuol affermare un emerito nulla. Quelle epistole non sono apologetica, non sta cercando di convincere alcuno della sua posizione, semplicemente descrive la situazione che ha davanti, dice di conoscere i vescovi della comunità e che le notizie che gli vengono da quelle chiese lo rallegrano. Non dice: “Cari efesini, lo sapete vero che sebbene voi siate governati da un collegio di presbiteri invece fareste bene a essere governati da un vescovo?”
Nulla di tutto ciò, semplicemente conosce i vescovi delle comunità a cui scrive e fa esortazioni spirituali sull’obbedienza. Non certa di creare una situazione che ancora non esista ma spiega come far andare avanti una sistematizzazione che già c’era.

“Io non ritengo priva di valore la tradizione del III secolo”

La strategia teocratica non attacca. Tu la ritieni senza valore perché come tutte le sette fondamentaliste americane imbevute di libelli antipapali i TdG ritengono che Pietro non sia mai morto a Roma, e questo perché si cibano di propaganda vetero-protestante che a livello di mondo accademico nessuno studioso di qualunque confessione si sogna più di fare. Oggi i biblisti protestanti accettano la presenza di Pietro a Roma, anzi già al tempo in cui fu redatto il GLNT l’autore (protestante) scriva che “la presenza di Pietro non può più essere messa in dubbio” (le coordinate le ho date in un precedente post.)

“Tralascio le tue solite accuse che stanno solo a dimostrare quanto la tua religione sia incapace di educare i suoi seguaci. Ma non puoi una buona volta evitare di fare apprezzamenti sui TdG?”

L’irritazione è la stessa di Striscia la Notizia quando smaschera i medici che praticano senza licenza. Voi pseudo-antichisti settari improvvisati che vi illudente di padroneggiare la materia siete alla strega di chi volesse costruire ponti senza essere un ingegnere ergo evitare di scandalizzarvi per l’indignazione sacrosanta che il vostro comportamento suscita.

“tanto che vi è una scuola talmudica che porta il nome della città.”

Il Talmud Babilonese è di quattro secoli dopo.

“a non vi era ragione di usare un linguaggio di quel tipo in una lettera che, piuttosto, invita al rispetto dell'autorità imperiale.”

Perché tu pensi a uno scrupolo di segretezza, ma non è affatto necessario. Semplicemente Roma era ritenuta a buone ragioni la capitale di ogni lussuria e depravazione, ergo non era probabilmente per essere criptici che si faceva questo scambio ma per puro modo di dire cementato nella mentalità, allo stesso modo in cui il chiamo New York “la grande mela”. Inoltre denunciare la depravazione di una civiltà non ha nulla a che fare col dire che al contempo non è possibile diventare anarchici.


Per Luigi

“Mi chiedevo: fondare una sede, non è collegata ad esserne i “primi” evangelizzatori?
Posso porre delle fondamenta se non ho prima preparato il terreno-evangelizzando?”

Ti sei perso questo passaggio del mio post dove era spiegato il significato di “fondare” in Ireneo:
“Il sigillo che il martirio pone alla parola, la consumazione della testimonianza verbale nella testimonianza del sangue versato, ecco ciò che 'fonda e costituisce' la chiesa di Roma nella sua 'più eccellente origine', nella sua più salda autenticità apostolica, nella sua potentior principalitas. Quando la versione latina di Ireneo adopera il verbo fundare (in Adv. Haer. III, 3,1-2), sembra proprio che traduca il greco themelioô, che Ireneo usa subito dopo là dove possediamo l'originale greco. Ora, tra i vari sensi del termine, è "rendere incrollabile', 'fissare per sempre', 'consolidare con fermezza le fondamenta' quello che qui va ritenuto (dal Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, Stuttgart, t. 3, 64). Pietro e Paolo, con la loro testimonianza di una Parola evangelica suggellata e glorificata nel martirio e nella morte 'gloriosa', hanno dato alla chiesa di Roma incrollabili fondamenta di una qualità particolare. Inoltre, la presenza dei loro “trofei” i loro corpi e le loro tombe - rende permanente, nella mentalità dei primi secoli, la loro appartenenza alla comunità di Roma. La loro testimonianza diventa il bene proprio della Chiesa che celebra l'Eucaristia sulla loro 'confessione'. Essi fondano così la sua potentior principalitas, che si edifica su di loro.”

“quello che volevo sapere, è detto di Pietro: "non essendo né il più anziano".
1)Mi domandavo dove era reperibile la fonte di questa affermazione o se sembra che così faccia intendere la Scrittura, in quali versi?”

Ho concluso che l’elenco non va in ordine d’età per la semplice ragione che quasi all’inizio delle liste apostoliche c’è sempre Giovanni, che invece sappiamo era il più giovane. Né va in ordine di chiamata, in questo caso Andrea andrebbe vicino a Pietro. Invece le liste apostoliche di Mc 3,16 e Mt 10,2 iniziano con la triade Pietro, Giacomo, Giovanni. Vi ricorda nulla questa terna? Sono le tre colonne della Chiesa, così li definisce Luca negli Atti. E guarda caso Pietro è sempre il primo. Non ha senso scrivere che “il primo” voglia semplicemente dire che si sta iniziando un elencazione, in questo caso infatti per quale oscura combinazione della sorte questo apostolo, che presso i TdG è stato ridotto a “mister un apostolo qualunque”, viene guarda caso sempre nominato per primo negli elenchi? Ci sono 12 apostoli, e la probabilità che stendendo un elenco casuale senza basare ad alcunché, casualmente per tre volte la prima persona che viene in mente sia sempre la stessa, è risibile. Secondo voi perché metà degli Atti sono dedicati a Pietro? Iniziate a pensarci.
Inoltre come si fa ad iniziare un elenco con “il primo” e poi non mettere altri numeri ordinali o comunque degli avverbi? Ha certamente senso dire, se elenco gli imperatori di Roma: “Il primo Augusto, il secondo Tiberio, il terzo Caligola, ecc.”, ed ha anche senso dire “il primo Augusto, poi Tiberio, poi Caligola, ecc.”, mentre non sta sintatticamente in piedi né in greco né in italiano dire “Il primo Augusto, Tiberio, Caligola”. Sentite che manca qualcosa.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 06/01/2007 10.47]

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
06/01/2007 12:49
 
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Caro Polly,

Puoi trattare un argomento alla volta? Siamo su un FORUM e non è possibile sostenere 3d tanto lunghi. Possibile che tu non riesca a capirlo? Basta un pò di buon senso.

Comunque non aggiungi nulla di nuovo a quento detto. Se vogliamo trattare punti specifici facciamolo senza finire in discussioni generali. Si è capito che abbiamo punto di vista diversi:

1. tutto il NT non accenna, neppure in saluti e parti specificamente storiche, della presenza di Pietro a Roma

2. La letteratura del I secolo è troppo aspecifica e vaga per dimostrare qualcosa, benchè non escluda le presenza di Pietro

3. solo dal 170 (dunque oltre un secolo dopo la morte di Pietro) si accenna alla sua presenza e poi morte a Roma, ma spesso tali autori sono imprecisi.


Spero che non si riveli un altro caso di Gesù sopravvissuto alla crocifissione e morto a 50 anni, passo inesistente



E dai... impara a leggere bello mio! [SM=x511441]

Non dimostri un bel nulla

Ripeto, non esiste nessuna prova che prima del 70 i cristiani parlassero di Roma come di Babilonia. Il confronto con la letteratura (posteriore) apocalittica non ha senso trattandosi di una lettera il cui tono non è anti-romano. Stranissimo poi che Pietro se mai fosse stato a Roma non citasse mai Paolo!


Il Talmud Babilonese è di quattro secoli dopo.



Il Talmud nasce da una tradizione di molto antica, centinuaia di anni, in Babilonia, o nell'area Mesopotamica, vi fu sempre una consistente presenza giudaica, non ci stupisce che divenne terreno di evangelizzazione da parte di Pietro.


Shalom




[Modificato da barnabino 06/01/2007 13.00]

06/01/2007 14:14
 
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Un grazie dall'Italia Polimetis!

Avevo saltato o meglio dimenticato il passaggio sulla "potentior principalitas".

Sul "non essendo né il più anziano" di Pietro, aldilà del giusto ragionamento che fai e concordo,
possiamo nello stesso tempo pensare che Pietro potesse essere anche il più vecchio di età, senza con questo togliere nulla.
Poichè anche per pura curiosità mi chiedevo chi poteva essere più vecchio di età di Pietro, se magari c'era qualche verso che poteva indicarci qualcosa.

Infine mi sei debitore di questa che hai tralasciato:

4)Sul primo vescovo,
Da Ireneo ad Eusebio passando per Gnilka, leggevo numerosi passi dove vengono citati insieme sempre gli apostoli Pietro e Paolo inseparabili possiamo dire, anche in una stessa commemorazione attestata sin dall’anno 258.
Eppure mi chiedo il perché si parla solamente di un primato petrino e della cattedra di Pietro, quando scorgo dalle testimonianze scritte di Polimetis un intreccio quasi inseparabile dei due, sia a livello di fondazione che d’importanza stessa. Perché non parlare anche di cattedra paolina?
Dire di Pietro primo vescovo di Roma sarebbe riduttivo e discriminante nei confronti di Paolo?

Grazie e buon rientro a presto.
06/01/2007 14:43
 
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Caro Luigi,


leggevo numerosi passi dove vengono citati insieme sempre gli apostoli Pietro e Paolo inseparabili possiamo dire, anche in una stessa commemorazione attestata sin dall’anno 258.



Ripeto, non vedo davvero come il fatto che Pietro e Paolo siano spesso citati assieme sia una prova del fatto che furono entrambi a Roma. Ti faccio notare che Paolo e Pietro in nessuna delle loro lettere fanno mai accenno al fatto di essere assieme. Sarebbe assurdo che Pietro scrivesse da "Roma" la sua lettera e non citasse Paolo, così come è assurdo che Paolo non saluti, tra i Romani, proprio colui che secondo le incerte fonti del II secolo, fondo la congregazione con lui.

Inoltre alcuni di questi scrittori dicono che i due apostoli erano assieme anche a Corinto, ma questo è chiaramente un anacronismo di cui, di nuovo, non vi è traccia nei documenti del I secolo, certo storicamente più attendibili.

A me sembra davvero impossibile che si possa pensare di escludere la tesi opposta (per altro basata sul SILENZIO dei documenti del I secolo)


Perché non parlare anche di cattedra paolina?
Dire di Pietro primo vescovo di Roma sarebbe riduttivo e discriminante nei confronti di Paolo?



Per la semplice ragione che non vi è nulla di storico in questa scelta. Nessuna fonte antica dice che Pietro e Paolo fossero "vescovi" della chiesa di Roma! La scelta di Pietro è puramente funzionale ad una scelta ideologica tesa a dare alla chiesa di Roma maggior prestigio e con il tempo preminenza.

Tra la morte di Pietro e il 170 circa (Dionigi di Corinto) stanno solo le allusioni di Clemente e di Ignazio (il cui significato è incerto, prova a dire il contrario!) e la chiusa, per molti versi discutibile, della I di Pietro. Contro questo pallidi indizi sta il silenzio assoluto del NT

A te la scelta.... come ti ho detto se vogliamo convincerci di qualcosa troveremo sempre delle conferme!

Shalom

[Modificato da barnabino 06/01/2007 14.50]

[Modificato da barnabino 06/01/2007 14.51]

06/01/2007 15:04
 
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in questo caso infatti per quale oscura combinazione della sorte questo apostolo, che presso i TdG è stato ridotto a “mister un apostolo qualunque”, viene guarda caso sempre nominato per primo negli elenchi?



Tengo a precisare che questo OT contro i TdG è assolutamente fuori luogo.

Io nessun post io mi sono mai permesso di giudicare o denigrare la posizione che Piatro ha per i cattolici. POSSO AVERE LO STESSO RISPETTO? Questo è quello che insegna la chiesa di Pietro?

Per i TdG Pietro non è un "mister un apostolo qualunque" ma è primo in molto aspetti. Sembrerebbe essere il più anziano d'età, era il primo ad essere stato chiamato e non a caso il passo dove si dice che è il "primo" è messo prima di Andrea. Inoltre è primo in quanto fu il primo a cominciare l'opera di conversione dei gentili.

Insomma, nessuno tra i TdG vuole sminuire la sua figura come insinua l'anonimo forumista Polymetis. Quello che si vuoe evidenziare è semplicente che il fatto che sia citato per primo negli elenchi non può essere considerato un indizio del fatto che gli fosse attribuita una preminenza rispetto ad altri.

Shalom

[Modificato da barnabino 06/01/2007 15.07]

06/01/2007 16:49
 
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Per Barnabino

“Siamo su un FORUM e non è possibile sostenere 3d tanto lunghi. Possibile che tu non riesca a capirlo?”

Continua a vivere della tua banalità concettuale, io tratto le cose in modo serio.

“tutto il NT non accenna, neppure in saluti e parti specificamente storiche, della presenza di Pietro a Roma”

Già risposto. “Come già detto è falso, ne parla Pietro nella sua prima lettera. Del resto non potremmo aspettarci altro. L'unico testo "storiografico" del Nuovo Testamento, che pretenda di raccontarci la vita della Chiesa, cioè gli Atti, si chiude addirittura prima della morte di Paolo, dunque è inutile cercarvi notizie sul martirio di Pietro. Inoltre la distinzioni tra fonti canoniche o meno è del tutto irrilevante per lo storico, ho portato all'attenzione sulla scia di Cullmann cosa dicano a proposito della morte di Pietro a Roma il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae, entrambe opere apocrife di fine I secolo.”

“La letteratura del I secolo è troppo aspecifica e vaga per dimostrare qualcosa”

Non abbiamo opere di storia della Chiesa del I secolo dunque è ovvio che con quella miseria che c’è rimasta, concentrabile in venti paginette, possiamo aspettarci solo delle allusioni per grazia divina. Ripeto: loro non scrivano pensando a noi, savano per scontate mille cose perché parlavano a cristiani del I secolo. Si è semplicemente fatto notare che Ignazio non cita mai altri apostoli in nessuna lettera rivolta alle comunità. Le uniche eccezioni? Cita Paolo nella lettera agli Efesini, perché sappiamo bene che Paolo vi si recò, e cita guarda caso Pietro e Paolo in una lettera ai romani dove sta parlando di martirio. E’ il caso di fare due più due.

“solo dal 170 (dunque oltre un secolo dopo la morte di Pietro) si accenna alla sua presenza e poi morte a Roma”

Stai dimenticando un piccolo particolare. Una lettera di un vescovo del 170 non è scritta da qualcuno nato nel 170. O questo vescovo era un giovincello oppure, visto che notoriamente sceglievano le persone più anziane, costui aveva almeno 50 anni. Lo stesso vale per Ireneo che era un discepolo di Policarpo, dunque ci riallaccia ad una tradizione apostolica del I secolo. Stai inoltre dimenticando Papia, che nel I secolo ci visse, nonché i frammenti apocrifi citati. Inoltre vorrei sapere cosa altro t’aspetti visto che come ripeto delle opere del I secolo a noi sopravvissute non ce n’è solo una che parli specificatamente della situazione interna della Chiesa di Roma, quindi un argumentum e silentio qui non ha senso. Avevo scritto: “Gli argumenta e silentio notoriamente non valgono nulla, valgono qualcosa solo nel caso ci sia un silenzio su qualcosa in un testo che tratta proprio di quell’argomento. Ad esempio se mi dicono che Cesare è il comandante della campagna in Gallia ma in un testo coevo sulla guerra gallica nessuno mi nomina mai Cesare posso pensare che ci sia sotto qualcosa. Ora analizzando la miseria che c’è rimasta dell’epoca apostolica bisogna considerare quali testi avrebbero avuto l’occasione di parlare di Pietro a Roma, perché degli altri è ovvio che l’assenza di menzioni su Pietro a Roma è equivalente all’assenza di menzioni della ricetta per cucinare i cannelloni, giacché semplicemente quell’argomento non c’entra nulla col testo.”

Ma c’è un aspetto più importante. Questa tradizione è attestata non solo dai “partigiani” della Chiesa di Roma ma anche da autori orientali, Ireneo stesso pur essendo vescovo di Lione era cresciuto a Smirne, nell’attuale Turchia. La cosa magnifica è che nessun altra città ha mai rivendicato la morte di Pietro, e che l’oriente cristiano accettava pacificamente la morte dell’apostolo a Roma, si tratta dunque non di una cosa tirata fuori dal nulla dai romani ma di una tradizione ben attestata. L’alternativa al contrario, un Pietro a Babilonia in Mesopotamia, si appoggia sul nulla. Come già scrissi riportando quando diceva Cullmann: non è affatto verosimile né si appoggia alla tradizione cristiana posteriore, la quale non conosce in quelle regioni attività missionario di Pietro bensì solo dell’Apostolo Tommaso; si aggiunga il fatto che anche il Talmud babilonese menziona soltanto a partire dal III secolo la presenza di cristiani in questa regione (pag. 113)
Abbiamo i luoghi di morte anche di sperduti predicatori del II secolo, possibile che nelal cristianità nessuno abbia conservato il nome della città dove ci fu il vero martirio di Pietro? Una tradizione così solida nel II secolo, solida non solo a livello letterario ma anche archeologicamente e che ha riportato in luce il culto dei due apostoli nella prima metà del II secolo, affonda certamente le sue radici nel I secolo Ex nihilo nihil fit.

“ma spesso tali autori sono imprecisi.”

Aspetto di sapere quali autori dei primi due secoli sarebbero imprecisi su questo punto.

“... impara a leggere bello mio! “

Guarda che in Europa l’onere della prova spetta a chi fa le affermazioni. Tu hai affermato che in iIeneo si parlerebbe di uno scampato martirio di Giovanni a Roma e anche del fatto che Cristo non morì in croce ma si salvò e sopravvisse sino a 50 anni. Attendiamo ancora le coordinate di queste due perle. Dire “impara a leggere” implicherebbe che dovrei essere io a produrre le prove che mi condannerebbero, cioè sarei io a dover dimostrare le tue argomentazioni. Ma sì può pretendere una simile sciocchezzA?

“Non dimostri un bel nulla”

Lo statuto epistemologico dell’antichistica, e cosa voglia dire “dimostrare” per un grecista, ma soprattutto con che metodi venga condotta quest’operazione di accertamento, ti è del tutto ignoto. Tu non sia come si lavora in questo capo, non sai quanto valgs una prova nmé quali prove è opportuno pretendere. Tu annaspi tra citazioni lette qua e là in qualche forum o nelle letture della serata, ma c’è gente che queste cose le fa di professione è s’è giunti, tuo malgrado, ad un’universale accettazione accademica sia cattolica che protestante della presenza di Pietro a Roma.

“Ripeto, non esiste nessuna prova che prima del 70 i cristiani parlassero di Roma come di Babilonia.”

Tu abbondi di testi cristiani di prima del 70? Io veramente no, anzi, prima del 70 neppure c’erano i Vangeli. Siccome Pietro era ebreo, e ultimamente si ama ricordarlo, è bastato produrre tutte le testimonianze del caso prese dagli apocrifi dell’epoca del II tempio per sapere che in ambiente giudaico l’equivalenza metaforica Roma=Babilonia è attestata, e continua anche nel Talmud. (citazioni nel post precedente)

“. Il confronto con la letteratura (posteriore) apocalittica non ha senso trattandosi di una lettera il cui tono non è anti-romano.”

Ma siamo seri. Distinguiamo per favore il rispetto per le autorità, che servono per mantenere l’ordine, col rispetto per il sistema in sé. I TdG fanno la stessa cosa. Incitano ad essere rispettosi della legge e delle autorità perché altrimenti sarebbe l’anarchia, ma al contempo sanno bene che, con a capo l’ONU, si tratta di un sistema satanico desinato a scomparire. L’atteggiamento cristiano del I secolo è quello di chi vede in Roma la meretrice, Babilonia la grande, colei che versa il sangue dei martiri e s’è prostituita coi re della terra controllando ogni commercio. Inoltre cosa vorrebbe dire “letteratura posteriore”? Ho citato ad esempio il IV libro di Esdra e l’Apocalisse di Baruch, che sono proprio di fine I secolo, cioè il periodo che stiamo trattando, e mostrano che quel modo di dire era in voga tra gli ebrei negli anni in esame. (E l’Apocalisse di Giovanni infatti non fa eccezione insieme a Papia che era vivo mentre l’Apocalisse veniva scritta)

“Stranissimo poi che Pietro se mai fosse stato a Roma non citasse mai Paolo!”

Qui si alzano tutta una serie di problemi.
1)Di chi è 1Pt?
2)Se è di Pietro, come io stesso ritengo, quando è stata scritta e perché? C’era occasione nella lettera per nominare altre persone? Di sicuro nei saluti finali.
3)E’ stato martirizzato prima Pietro o prima Paolo?

La lettera viene data verso il 64 dai conservatori, a fine I secolo dai biblisti più liberali. Sposando la prima idea, si ha comunque il 50% di probabilità che Paolo fosse già morto. Ad esempio sul Dizionario della Bibbia della Sociey of Biblical Literarature si legge: “E’ più probabile che l’esecuzione di Paolo abbia avuto luogo alla fine della sua originaria carcerazione romana, probabilmente nel 62 e.v.” (Il dizionario della Bibbia, Bologna, 2003, Zanichelli, pag. 628 )
Ad ogni modo chi crede ad un martirio successivo a quello di Pietro si può spingere a ritardare la morte di Paolo fino al 67.

“Il Talmud nasce da una tradizione di molto antica, centinuaia di anni, in Babilonia, o nell'area Mesopotamica”

Paralogismo. Il fatto che un testo sia stato redatto in un luogo non implica che il materiale redazionale venga da quel luogo. L’Odissea di Omero fu cucita insieme nell’Atene dei pisistratidi, mentre l’origine del materiale epico è l’Asia Minore (tutti sanno spero che Omero non è mai esistito). Le tradizioni del Talmud babilonese Essendo il Talmud un commento enciclopedico alla Mishna (200 d.C), la sua redazione è per forza di secoli successiva. In particolare il Talmud di Babilonia è del sesto secolo d.C.; dire che è fatto a Babilonia non vuol dire che riporta materiale specificatamente babilonese, in esso sono discusse come ovunque le sentenze attribuite ai maestri dell’epoca del II tempio, e molto altro ancora ovviamente. Ad ogni modo qui non c’è negata la presenza degli ebrei a Babilonia nell’arco dei secoli, bensì s’è contestato che questo c’entri qualcosa col Talmud babilonese, usato per dimostrare qualcosa che non può dimostrare. Infatti abbiamo una fonte diretta che ci dice il contrario, ossia che una comunità ebraica (Ant. Giud. XVIII,9.8 )

“non ci stupisce che divenne terreno di evangelizzazione da parte di Pietro.”

E guarda caso nessuno ne sa nulla, né di Pietro né dei cristiani di questa città.

“così come è assurdo che Paolo non saluti, tra i Romani,”

Già risposto nel mio post a Spirito: “Il problema in primis è la datazione della lettera ai romani, di solito si oscilla tra il 51 e il 57, tu hai scelto la datazione più bassa (il 57). Supponendo che la data di composizione sia il 51-52 Pietro non era ancora nella capitale poiché Paolo non avrebbe certo omesso di salutarlo.
E se invece volessimo sostenere che era già a Roma in quella data? A questo proposito si possono trarre interessanti informazioni dal classico testo di Arialdo Beni, La nostra Chiesa, Firenze, 1976, pag. 477 ss. e da Salvatore Garofalo, La prima venuta di S. Pietro a Roma nel 42, Roma, 1942; a cui anch'io mi rifaccio. Si fa notare innanzitutto che il silenzio di uno, o di pochi, non può mai annullare un coro così potente di voci tutte concordi ed unanimi. Tanto meno, quando ci siano delle ragioni che lo giustifichino appieno. Prima di tutto, se si ammette che Pietro era presente a Roma quando Paolo scriveva, è necessario fare un'osservazione ovvia. Quando Paolo ha inviato la sua lettera alla comunità di Roma, a chi l'ha indirizzata? Alla comunità, naturalmente; ma una lettera non si consegna ad una folla; si consegna ad una persona, la quale, in questo caso, non poteva essere che il capo della Chiesa. E allora che bisogno c'era, in una lettera mandata alla comunità, tramite il capo, di nominare il capo stesso? ( S. Garofalo, op. cit p. 19). Non va dimenticato, d'altra parte, che siamo in tempi calamitosi, in cui è necessario uno spirito di somma discrezione per non arrecar danno alla Chiesa nascente. Ora, se l'eucarestia era una cosa da nascondere, certamente non era meno da nascondere il capo della Chiesa, S. Pietro. Del resto, nell'elogio caloroso della fede dei Romani "celebrata in tutto il mondo " (1, 8 ), nella confessione che Paolo fa di aver come regola di non invadere il campo degli altri "per non edificare su fondamento altrui " (15, 29), nella protesta di voler venire a Roma non per insegnare, ma per consolarsi (1, 11 e 12), per "saziarsi " (15, 24), ecc. Non c'è, forse, tutta una trasparente, allusione ad un fondatore, di quella Chiesa, più importante dell'apostolato stesso dei pagani, una allusione a S. Pietro? Comunque, una risposta più radicale all'obiezione è quella già data all'inizio: Paolo non saluta Pietro, perché costui si trovava momentaneamente assente da Roma. “

“mi sono mai permesso di giudicare o denigrare la posizione che Piatro ha per i cattolici.”

Si chiama strategia teocratica, e funziona solo nei forum dove dote nascondere le vostre dottrine per sembrare persone aperte. Tu hai criticato la posizione che Pietro ha in seno alla Chiesa cattolica, e hai tutto il diritto di farlo, si chiama libertà d’espressione, ma non si abbia l’ipocrisia di dire hce non è così. Io dico chiaro e tondo che la denigrazione contro i tdG è un diritto costituzionale, perché sono una setta americana della peggior specie e rappresentano il più colossale caso di fonsamentalismo istituzionalizzato e di chiusura mentale nonché di travisamento biblico esistente, bando all’ipocrisia. Per i tdG la Chiesa di Roma è una sorta di serve di Satana, Babilonia la grande come tutte le altre religioni. Ma queste cose ovviamente le sa solo chi sia andato a sentire i loro fanatici e apocalittici discorsi nelle Sale del Regno, chi legge le loro riviste dove le chiese con le loro croci sono sormontate dalla bestia selvaggia dell’Apocalisse. Ergo giù la maschera, tirate fuori il vostro pensiero, tanto qui consociamo bene la forma mentis delle vostre sale del regno e non avete la speranza di spacciare la vostra religione come aperta di mente. Iniziate a dirci che siamo Babilonia come fate nelle vostre sale, tanto qui non fate proseliti.

“Sembrerebbe essere il più anziano d'età,”

Ma davvero? E da cosa sembra? Inoltre quella lista non va in ordine d’età, l’ho già evidenziato Giovanni, che sappiamo era il più giovane, viene messo per terzo.

“era il primo ad essere stato chiamato e non a caso il passo dove si dice che è il "primo" è messo prima di Andrea.”

Come già detto non va in ordine di chiamata. Da Giovanni, che completa i sinottici, sappiamo che prima del famoso episodio della pesca miracolosa Gesù aveva incontrato precedentemente Andrea e Simone. Andrea fu il primo ad essere chiamato e fu lui a presentare a Gesù Simone. “Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» e lo condusse da Gesù. “(Gv 1,35-40)
Che ci fosse stato un’incontro precedente a quello descritto da Matteo era ovvio, perché in quest’ultimo Gesù si limita a chiamare i due con un cenno ed essi subito lo seguono. Va bene avere la personalità magnetica, ma o voleva togliere il libero arbitrio a quei due oppure per quale motivo dovrei mollare le mie barche di punto in bianco ed andare dietro ad uno sconosciuto che passa vicino e mi dice semplicemente “seguimi”?
“Inoltre è primo in quanto fu il primo a cominciare l'opera di conversione dei gentili.”

Un po’ poco per essere l’apostolo più nominato nel Nuovo Testamento, la colonna della Chiesa, quello a cui sono dedicati metà degli Atti. A quanto pare per i tdG è stato semplicemente il primo a fare alcune cose, ma allora non si vede perché non ci sia limitati a raccontare solo quelle cose in cui fu il primo per poi dedicarsi ad altro nella narrazione, magari alle avventure degli altri 11 apostoli. Invece no, Pietro è al centro di metà dell’unico libro storico del Nuovo Testamento ed è la seconda figura meglio rappresentata nei Vangeli, in proporzioni colossalmente più estese rispetto agli altri.
Dice “il primo” e poi segue un elenco, quindi se si presume che l’ordinalità dell’elemento 1 è l’essere il primo per la conversione ai pagani, anche il resto della lista dovrebbe essere ordinata in base a questo criterio, altrimenti che senso ha dire che qualcuno è “il primo” (per questo motivo non specificato tra l’altro), e poi fare seguire qualcosa che non c’entra nulla, per di più in un Vangelo dedicato ai giudei. Questo è un indizio che va insieme a tutti gli altri e che forma un quadro completo.

Per Luigi

“Eppure mi chiedo il perché si parla solamente di un primato petrino e della cattedra di Pietro, quando scorgo dalle testimonianze scritte di Polimetis un intreccio quasi inseparabile dei due, sia a livello di fondazione che d’importanza stessa.”

Non si parla solo di primato petrino in verità. Ad esempio nella bolla di Pio XII dove fu dichiarato dogma l’assunzione in cielo di Maria, venne scritto per introdurre la definizione di fede: “per l'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo […]”
Questo è solo un esempio tra i molti, la Chiesa di Roma si richiama sovente all’autorità di Paolo. Suppongo che la preminenza sia data a Pietro perché Cristo stesso conferì a lui il primato e dunque la comunità di Roma ha fatto leva su questo, Paolo poi non era neppure uno dei dodici.

“Perché non parlare anche di cattedra paolina?”

C’è un piccolo problema. Cosa vuol dire cattedra? Aveva senso dire “sono il vescovo di X”? O semplicemente essere vescovi voleva dire che si possedeva un grado ma poi si girava per fare i sorveglianti? Paolo era cioè episkopos anche prima di giungere a Roma, e così anche Pietro. L’idea di un vescovo preposto ad una sola comunità è di fine I secolo, quando si dice che Pietro era vescovo di Roma a mio avviso si deve intendere che egli fu un vescovo che passò e morì a Roma, ammaestrando la comunità e istituendo la linea episcopale. Nel mio post stava scritto:

“Interessava solo l’elenco nel suo insieme, come un tutto unico che vuole dimostrare la successione apostolica relativa alla chiesa di Roma. Il risultato era dato dai nomi nella loro concatenazione, quali anelli di una catena. Importanti erano i nomi degli apostoli all’inizio, che proprio per la loro peculiarità non venivano neanche inclusi nella numerazione. Essi denotano la sorgente dalla quale sono fluite la tradizione e la predicazione attendibili” J. Gnilka, Pietro e Roma, Brescia, 2003, Paideia, pag. 222)
Questo è estremamente importante. Concepire Pietro quale primo anello di una catena di vescovi, in una visione puramente giuridica di trasmissione di poteri, significa svalutare il suo ruolo. Questo è unico, efapax. Pietro 'fonda' la chiesa romana perché con Paolo, mediante il suo insegnamento ed il suo martirio, ne fa quello che è: la chiesa testimone della fede evangelica.



Per mie ulteriori repliche temo dovrete aspettare il mio ritorno, ho già sprecato abbastanza tempo della mia epifania a discutere coi brillanti antichisti di questo simposio di accademici.

Au revoir

[Modificato da Polymetis 06/01/2007 16.56]

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
06/01/2007 17:37
 
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Caro Polly,

Scusami ma trovo il tuo atteggiamento è davvero infantile!


Continua a vivere della tua banalità concettuale, io tratto le cose in modo serio



E' proprio per evitare di dire banalità e per affrontare i temi in modo serio che ti chiedo di approfondire un argomento per volte. Sei, siamo, in grado di usare un pò di buon senso?


Già risposto. Come già detto è falso, ne parla Pietro nella sua prima lettera



Abbiamo anche detto che il passaggio è piuttosto controverso, per diverse ragioni, come ho detto non ci sono traccede fatto che prima del 70 ci fosse l'abitudine di identificare Roma con Babilonia, i testi che citi sono posteriori a tale data e per di più di carattere apocalittico, inoltre sono di area orientale piuttosto che latina.

Inoltre non credo davvero che la lettera abbia un carattere anti romano tale da giustificare quella chiusa così negativa, non c'era davvero ragione alcuna di non esplicitare il nome di Roma usando un nome criptato, basta pensare che la II di Timoteo (1:17) non esista affatto a parlare esplicitamente di Roma. Che senso avrebbe invece quel "Babilonia"? Sarebbe incomprensibile.

Altra anomalia, la I di Pietro è di fattoo sconosciuta a Roma (almeno a Clemente) e non è accettata neppure nel canone muratoriano, probabilmente scritto a Roma alla fine del II secolo. Le più antiche attestazioni sono tardive e orientali, il primo confermare che l'autore è Pietro è il solito Ireneo, sinceramente mi sembra un quadro molto improbabile se davvero Pietro scrisse una lettera a Roma.


L'unico testo "storiografico" del Nuovo Testamento, che pretenda di raccontarci la vita della Chiesa, cioè gli Atti, si chiude addirittura prima della morte di Paolo, dunque è inutile cercarvi notizie sul martirio di Pietro



Se fu scritto dopo il 70 è strano che non accenni al martirio di Pietro e se venne concluso prima è strano che non faccia comunque alcun riferimento all'opera congiunta di Paolo e Pietro a Roma. Tutti i riferimenti a Pietro sono invece estranei a questa città.


nessun altra città ha mai rivendicato la morte di Pietro, e che l’oriente cristiano accettava pacificamente la morte dell’apostolo a Roma, si tratta dunque non di una cosa tirata fuori dal nulla dai romani ma di una tradizione ben attestata



Questo potrebbe essere un indizio che Pietro morisse in "Babilonia" inteso letteralmente, in quanto l'assenza di uno sviluppo del cristianesimo in quell'area impedì il nascere di leggende o l'appropriarsi di paternità apostoliche da parte della comunità.

Secondo Conzelmann(Le Origini del Cristianesimo - I risultati della critica storica) potrebbe essere morto nei pressi della "sua chiesa" ovvero nei pressi di Antiochia di Siria, che sia in questa regione che in Babilonia non vi siano luoghi di memoria di Pietro è failmente spiegabile con il fatto che per i giudeo-cristiani ignoravano ogni forma di culto delle tombe dei martiri e evitavano di toccare spoglie umane.

Babilonia, e questa è tesi di Huessi seguita anche da Boismard, potrebbe anche essere solo una metafora per indicare la difficile condizione del cristiano in esilio in questa terra di dolori, come lo erano i santi che vivono forestieri nella diaspora, senza dunque nessun riferimento a qualche città reale. Babilonia sarebbe sinonimo di "diaspora" cioè di sofferenza, fuori dalla patria naturale, Gerusalemme.

Vogliamo parlare di questo punto, anche con l'apporto di Luigi e Teodoro? Dimmi tu, vorrei che però evitassimo post fiume dove non è possibile approfondire seriamente nulla. Guarda io non ho tesi preconcette, che Pietro sia stato a Roma o meno non cambia di una virgola la mia fede (forse la tua) trovo solo ridicolo il tuo atteggiamento di chiusura su tesi alternative considerando la vaghezza delle fonte che porti.

Shalom e vedi di essere meno acido!



[Modificato da barnabino 06/01/2007 17.44]

06/01/2007 17:53
 
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Abbiamo anche detto che il passaggio è piuttosto controverso, per diverse ragioni, come ho detto non ci sono traccede fatto che prima del 70 ci fosse l'abitudine di identificare Roma con Babilonia, i testi che citi sono posteriori a tale data e per di più di carattere apocalittico, inoltre sono di area orientale piuttosto che latina.

Veramente singolare come la tanto amata, rispettata e difesa "Parola di Dio" tale da migliaia di anni cambi cosi' disinvoltamente da bocca a bocca, da luogo a luogo e da religione a religione.

Che venga semplicemente sfruttata per convenienze di potere e manipolazione di masse nessun dubbio, eh? [SM=g27993]

Ciao
Claudio

06/01/2007 21:13
 
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Grazie per le delucidazioni Polimetis.




Per mie ulteriori repliche temo dovrete aspettare il mio ritorno, ho già sprecato abbastanza tempo della mia epifania a discutere coi brillanti antichisti di questo simposio di accademici.



Spero che non mi hai incluso anche me.

A presto.
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