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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
15/11/2006 03:46
 
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Pars I

Per Spirito

“Non metto in dubbio che vi siano, in questo campo, autori che dicono tutto e il contrario di tutto. Proprio per questo ho analizzato le bibliografie per gli esami universitari di Storia del cristianesimo antico di diversi atenei e in tutti ho trovato come testo base di riferimento per l’esame proprio il manuale di Filoramo. Dunque date le premesse mi sembra più che sensato accettare come fondate le tesi esposte in questo testo.”

E qui a Venezia non si fa eccezione, per gli esami di storia del cristianesimo si usano i manuali da Filoramo e Menozzi, che hanno colmato una lacuna importante nei manuali universitari del settore. Quello che sto dicendo è che trovare un testo in bibliografia per gli esami di una disciplina ci dice solo che l’impianto dell’opera è buono e che gli autori sono studiosi quotati, non ci dice nulla col fatto che l’autore sia specialistista in questa o quell’altra materia che trovi esposta nel corso di un manuale che analizza 4 secoli. Vorrei far capire che il fatto di trovare un manuale in bibliografia per corsi universitari generici che introducono alla storia del cristianesimo non significa che per un corso monografico (quelli che attualmente si fanno nel II modulo), troveresti questa stessa opera che è propedeutica. Ci sono motli studiosi di storia del cristianesimo e ognuno con ambiti d’indagine diversificati, per questo dire che un manuale è ovunque non vuol dire che tutte le sue letture su tutti gli argomenti rappresentino il top della specializzazione. Quello che avresti dovuto fare con quel manuale dopo averlo letto è consultare la bibliografia specialistica che trovi consigliata a fine volume. Un manuale per forza di cose è generico, ad esempio Filoramo non è specializzato sul primato petrino ma sullo gnosticismo. Inoltre se dovessimo guardare la diffusione dei manuali per stabilire cosa è vero su ciascun argomento che presentano saremmo nei guai. Ad esempio fino a non molto tempo fa tutti usavano il Jedin, che ormai risente dei suoi 40 anni, e fa a pugni con le idee di Filoramo e Lupieri su una marea di questioni, specie di storia conciliare.

“leggendo il libro è più che evidente che il primato di Roma sia dovuto a ciò che ho già esposto”

E questo esitto te l’ha reso evidente con delle fonti? Finora io ho visto solo Padri della Chiesa che elogiano Roma per la sua tradizione apostolica privilegiata, se ne trovi qualcuno che le attribuisca supremazia perché capitale dell’impero fammi sapere, fino ad allora io da antichista mi rifiuto di discutere su degli ipse dixit, specie se non da monografie ma da manuali.

“ovvero alla vittoria della corrente di Paolo di cui la comunità romana Roma fu la più importante”

E perché mai il paolinismo sarebbe più forte a Roma che a Corinto? Per la precisione il centro dei cristiani ellenisti era Antiochia.

“Inoltre il contrasto con Pietro non pare affatto appianato a Gerusalemme, ma sembra sia una interpretazione lucana per far apparire la predicazione di Paolo approvata dallo stesso Pietro, come ho già evidenziato nei post precedenti.”

Tu non hai evidenziato con delle fonti, hai riportato una lettura. Gli Atti degli apostoli fanno vedere come il contrasto tra Pietro e Paolo si sia appianato a Gerusalemme, se hai altre fonti antiche che siano in contrasto con la ricostruzione “mielosa” di Luca vorrei sapere quali siano. Ovviamente il fatto che Paolo e Pietro si siano riconciliati non dice nulla sul fatto che i cristiani provenienti dal giudaismo si siano tutti messi il cuore in pace, io sto parlando di loro due, non di cosa facciano le frange estremistiche di insoddisfatti,m perché la storia è piena di folle che rigettano gli accordi stipulati dai loro capi con la parte avversa, ma ciò non permette di dire che i loro capi non esitano o che l’accordo che hanno raggiunto sia stato reso di latte e miele dalla storiografia, semplicemente gente non disposta a scendere a compromessi c’è dovunque. Anche l’IRA all’inizio degli anni venti rigettò gli accordi raggiunti dai suoi capi a Londra sulla costituzione dello stato irlandese e formò dunque un nuovo movimento indipendente. Questo m’è venuto in mente solo perché ho di recente visto un il documentario sulla questione irlandese che ha visto quest’anno la palma d’oro a Cannes, penso che l’esempio possa essere chiarificatore su quanto intendo.

“Tuttavia quella comunità seguiva pienamente la teologia paolina che era in contrasto con quanto stabilito proprio dal concilio di Gerusalemme nel quale si stabilì che anche i genitli dovevano comunque attenersi ad alcune leggi giudaiche in merito alla purezza dei cibi et similia.”

Il Concilio di Gerusalemme ha stabilito solo queste cose:
1)asternervi dalle carni offerte agli idoli (idolotiti)
2)dal sangue
3)dagli animali soffocati
4)Dall’impudicizia (unioni illegittime, sia a livello di fornicazione sia a livello di incesto)
E l’ha fatto per una banale ragione: il quieto vivere coi giudeo-cristiani.
Ora mi dici dove Paolo avrebbe invitato a violare queste norme?L’unica cosa cui immagino poresti appigliarti è la carne sacrificata agli idoli, ma anche qui Paolo agisce nel solco del Concilio di Gerusalemme, e dice una cosa banalissima: a chi sono sacrificate le carni? Agli idoli. Gli idoli esistono? No. Dunque a chi sono sacrificate quelle carni? A nessuno, è come mangiare carne normale. Voi l’avete capito, ma ciononostante alcuni si scandalizzano per via delle loro precedenti usanze, e, se così è, voi dovete astenervi da quella carne per non essere motivo di scandalo per altri. “Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò più carne, per non dare scandalo al mio fratello” (1Cor 8,13) “Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi” (Rm 14,21)
E’ tutta questione di opportunità.

“Non si tratta di scisma perché la struttura della Grande Chiesa nasce quando il contrasto tra i giudeocristiani e i paganocristiani o ellenisti si sta già risolvendo a favore di questi ultimi.”

Non è chiaro cosa intendi con “la struttura della grande chiesa nasce”. Le nostri fonti, sin dal NT, ci dicono che era già presente la tripartizione diakonoi, presbyteroi, episkopoi, cioè quella della Chiesa attuale. E’ ovvio che la Chiesa delle primissime origini non funzionasse con la struttura episcopale, ciò è dovuto al banalissimo fatto che c’erano ancora gli apostoli e i vescovi sono i successori degli apostoli, e dunque non devono reggere una comunità se loro sono presenti.
Furono gli apostoli stessi, non certo malati di cripto-anarchia come i protestanti, a stabilire nelle comunità che fondavano gli episkopoi che loro volevano. Da un punto di vista meramente organizzativo o i dodici erano dei meri sprovveduti e volevano che alla loro morte la Chiesa piombasse nel caos con nessuna voce in grado di dire che cosa fosse giusto, oppure avevano lasciato il potere in mano a della gente in grado di dirigere il gregge al posto loro. In questa chiave di retta trasmissione del deposito di fede ad esempio Clemente d’Alessandria ci dice che Giovanni si trasferiva di città in città per fondare comunità e “stabilirvi dei vescovi” (Quis dives salvetur, 42) Paolo stesso ci parla della trasmissione della Traditio accanto allo scritto: “le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.” (2 Tm 2,1)
Gli apostoli nominavano tali ministri a governare le chiese che fondavano, cito un dizionario biblico per chiarire la questione: “Probabilmente il supremo governo di ogni comunità continuava a rimanere nelle mani dell’apostolo che l’aveva fondata, sotto la direzione del quale i vescovi locali dovevano amministrare gli affari. Dato che sia prima della fine del I secolo si trovano chiese sotto un unico vescovo (ad es. Ignazio) si può presumere che uno dei membri del collegio fosse eletto a succedere all’apostolo, dopo la morte di lui, come capo monarchico della Chiesa” (John L. Mckenzie, Dizionario Biblico, Assisi, 1981, Cittadella Editrice, pag. 1032)
Dunque un problema gestionale. Come osserva giustamente Girolamo la Chiesa è fondata su Pietro, "affinché, istituito un capo, fosse eliminata l'occasione dello scisma" (Adv. Jovinianum 1,26).a trasmissibilità del magistero e dell’incarico apostolico è il fulcro dell’organizzazione della Chiesa primitiva. Clemente Romano che fu collaboratore di San Paolo(Ef 4,3), già nel 96 ci raccontava la storia della Chiesa in modo assai diverso da come se la sognano i luterani, conferma cioè, lui che la storia della Chiesa evidentemente la conosceva meglio di chiunque altro, che i vescovi sono una creazione degli apostoli:
“Gli apostoli predicarono il Vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo fu inviato da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente secondo la volontà di Dio. Ricevuto il mandato e pieni di certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella parola di Dio con l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare che il regno di Dio stava per venire. Predicavano per le campagne e le città e costituivano le primizie del loro lavoro apostolico nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. E questo non era nuovo; da molto tempo si era scritto intorno ai vescovi e ai diaconi. Così, infatti, dice la Scrittura: "Stabilirono i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede" (Ai Corinzi, 42,2-4)

“. In nessuna parte si dice che il fatto che Roma fosse la “capitale” dell’impero avrebbe scoraggiato i paganocristiani a ritenere la comunità in essa costituita la più importante”

Senti, se la risposta alle argomentazioni altrui dev’essere “non c’è scritto nel testo di Filoramo” allora è inutile che ci scriviamo. Io non ti ho chiesto cosa ci sia in quel testo, ti sto chiedendo prove di quello che afferma e confutazioni di quello che ti scrivo io: questo è dialogo. Ora io vorrei proprio sapere com’è che una serie di popoli orientali, per giunta occupati di recente come i greci (Pidna dava ancora il sangue alla testa), si possa sognare di dire che il punto di massimo prestigio della loro religione debba coincidere col punto più alto dell’odiato sistema politico. Non è certo un mistero che per i greci i romani sono sempre stati barbari anche dopo che li avevano conquistati, è barbaro infatti chiunque non parli greco, e i greci stessi non si sono mai sognati di imparare latino, e questo perché i romani avevano imparato il greco. Ma queste sono nozioni da ginnasio, io vorrei parlare di cose più serie. I cristiani odiavano l’impero, Babilonia la grande, fautore delle persecuzioni contro di loro.

“I motivi sono effettivamente molteplici, ma quello che comprendo io è che non c’entra proprio nulla Pietro”

E da che fonti antiche l’hai capito? Dove hai trovato un Padre della Chiesa che dia preminenza a Roma perché essa era la capitale dell’impero romano? Al massimo c’è secoli dopo una sorta di teologia della sostituzione, ossia Roma politica è crollata e noi siamo i prosecutori del suo universalismo però in ambito spirituale.

“ma che l’attribuzione anche al “primo” apostolo della comunità non sia altro che uno stratagemma utilizzato al fine di dare un fondamento apostolico di prim'ordine al primato romano”

Ma tu non puoi sapere se sia uno stratagemma o la banale verità. Non puoi fare il processo alle intenzioni di qualcuno che scrive duemila anni fa se non hai neppure un’alternativa basata su dei testi. Io finora ho visto solo testi che attribuiscono il primato di Roma alla tradizione apostolica privilegiata dovuta a Pietro e Paolo, la tua alternativa, cioè quella della preminenza politica, in base alla quale vorresti dichiarare tendenziose le fonti che danno la I versione non è comprovata da alcun testo antico; almeno finora, ognuno ha da imparare dal prossimo e se conosci qualche testo in proposito sono ansioso di leggerlo. Dire che le fonti che ci stanno scomode sono false o tendenziose, e senza disturbarsi a provare ciò, è un procedimento molto comodo per sbarazzarci di pezzi di letteratura che mandano in frantumi le nostre teorie. Inoltre non esiste solo la Chiesa di Roma, che poteva raccontarsela come voleva, il problema è se questo benedetto primato fosse avvertito anche dalle altre chiese.

“. Per dirla tutta è ovvio che la corrente vincente dello scontro Paolo vs Pietro/Giacomo, riscrisse almeno in parte la storia.”

Difficile provare che un testo è stato riscritto che non puoi produrre un’originale diverso. Qui occorre fare dei debiti distinguo, perché sto discutendo con persone diverse di cose diverse. Quella che in genere viene chiamata “grande Chiesa”, cioè colei che discende episcopalmente dagli apostoli nel II secolo, ha le sedi episcopali in mano a gente che con la corrente giudaizzante non c’entravano nulla. Con Teodoro sto discutendo del primato nella Chiesa episcopale che io e lui riteniamo ortodossa in un arco di tempo che va dal II al VI secolo, tu invece vuoi parlare con me dello scontro tra cristiani gentili e giudeocristiani, che a queste date erano già considerati dalla grande chiesa degli eretici. Io non sto discutendo se i giudeo-cristiani fossero nel giusto o meno (cioè più vicini all’insegnamento di Gesù), sto discutendo se in quella che dal II secolo in poi si chiama grande Chiesa, e che coi giudeo-cristiani non c’entra più nulla, ci fosse un primato petrino. In quest’ambito non c’entra lo scontro tra cristiani gentili e giudeo-cristiani ma tra le tendenze universalistiche di Roma e l’autonomia dei vari vescovi locali.

“Difatti gli stessi padri giudicarono eretici i giudeocristiani ancora rimasti quando, invece, molte comunità erano direttametne riconducibili alla predicazione apostolica.”

Questo perché a parere dei Padri non seguivano i vescovi legittimi ma stavano intransigenti nelle loro posizioni giudaizzanti. Il problema in questo caso era l’ortodossia di queste correnti, a loro volta divise in settuncole, alcuni pro e alcuni contro la divinità di Cristo(gli ebioniti), quest’ultimo fu in particolare il punto d’attrito.

“Secondo la logica del martirio allora i cristiani romani potevano vantare ancor di più un primato!”

Ma non è questa la ragione del primato, infatti la persecuzione è giunta ai margini dell’impero. Clemente ad esempio scrive ai Corinzi e nell’incipit parla della persecuzione cui sono sottoposti tutti i cristiani dell’impero.

“Non era un “gradimento” ma sicuramente nei vangeli o scritti indirizzati ai giudeocristiani (vedi Matteo) era improponibile un riferimento del genere”

Matteo non è indirizzato ai giudeo-cristiani ma ai cristiani dell’area gerosolimitana, che aveva già dei gentili come si vede dagli Atti. Date a Cesare quel che è di Cesare ti dice nulla?

Per Teodoro

“Intanto vorrei glossare la nota di poly secondo cui Roma era in odio ai cristiani. Questo è vero solo in parte, infatti tutto ciò che abbiamo di pesantemente negativo su Roma proviene esclusivamente da fonti giudaiche o giudaico-ellenistiche, mentre l'atteggiamento dei cristiani di seconda generazione o provenienti dalle file del paganesimo è quello tipico della cultura del tempo: Roma da una parte, i barbari dall'altra.”

Veramente per qualsiasi greco, che sia pagano o cristiano, funziona il detto: “i greci da una parte, i barbari dall’altra”, e Roma come sappiamo non fa eccezione. Un cristianesimo come quello orientale, di matrice greca, si sentiva occupato da Roma a livello politico-militare. Come è noto l’Apocalisse non è scritta per caso ma per rincuorare le sette chiese dell’Asia minore (e dunque comunità greche) dinnanzi alla persecuzione di Babilonia la grande. Parli di un atteggiamento mutato nella seconda generazione dei cristiani provenienti dalle file del paganesimo, e mi interesserebbe sapere da che testi l’hai evinto perché la seconda generazione è proprio quelle delle persecuzioni di Domiziano.

“A Roma non ci sarà un teologo degno di questo nome fino al IV secolo”

Questo è molto interessante. La domanda è: perché nelle controversi a cavallo tra II e V secolo Roma si pone sempre dalla parte giusta (o almeno con quella che a lungo andare risulterà la prospettiva vincente) dato che i migliori teologi si trovano nell’oriente greco? Nei Dialogi di Anselmo di Havelberg, scritti attorno al 1150, l’interlocutore greco Niceta spiega l’assenza di eresie a Roma, a differenza delle chiese dell’Oriente, con la mancanza di vivacità spirituale e di percezione dei problemi (“nimia negligentia investigandae fidei”), mentre, al contrario, le mote eresie dell’Oriente sarebbero il rovescio della medaglia di un loro atteggiamento mdi domanda, di ricerca, di dibattito intellettuale (Dialogi III, 11, in PL 188, 1223ss.)In senso positivo si potrebbe definire questo atteggiamento di Roma, che rappresenta una costante in quasi tutta la storia della chiesa e che, in ogni caso, si presenta già chiaramente al tempo delle controversie sulla festività della Pasqua e sul battesimo degli eretici, come fedeltà alla tradizione. La Chiesa romana non è direttamente presente nelle lotte spirituali dell’Oriente. Di queste lotte essa viene a conoscenza e si sforza di assumere una posizione, non sempre in modo del tutto felice; non sempre infatti essa comprende tutte le finezze delle controversie. Ma soprattutto essa ha il suo supporto nella tradizione e non nella speculazione- a questo ha certamente contribuito anche il sobri spirito latino, incline piuttosto alla positività. Non sempre da Roma viene la vera riposta teologica; tuttavia la Chiesa di Roma, col suo atteggiamento tradizione, rafforza la resistenza alle eresie. (da K. Schatz, Il primato del papa, Brescia, 1996, Queriniana, pag. 53-54)

“e in tutte le dispute a cavallo tra il terzo ed i quarto è come se non esistesse.”

Scusami ma questa proprio non la capisco. Roma ha preso parte, tra le altre:
-Alla controversia sulla festività della pasqua
-Alla controversia sul battesimo degli eretici
-Alla controversia sulla penitenza (papa Cornelio e scisma di Novaziano)
-La richiesta di Cipriano a papa Stefano perché deponesse il vescovo Marciano di Arles.
-Nella controversia ariana Atanasio ed Eustazio deposti dai detrattori dell’homousios (sinodo di Tiro 335) si appellano a Roma che invece li reintegra (sinodo di Roma 341). Una particolare funzione chiave, come grado della consapevolezza del primato, riveste la lettera di accompagnamento che il vescovo Giulio I di Roma indirizzò ai vescovi orientali in occasione del sinodo romano del 341:
“Se, come dite voi, esisteva un errore, il giudizio doveva essere dato in base al canone ecclesiastico e non nel modo attuatosi. Si sarebbe dovuto scrive a noi tutti, affinché da tutti venisse definito il giusto. Erano vescovi quelli di cui si trattava, e non erano delle chiese qualunque, ma chiese che gli apostoli stessi avevano guidato. Perché non ci è stato scritto nulla, in particolare sulla Chiesa di Alessandria? San sapete che il diritto consuetudinario era di scrivere innanzitutto a noi e così, in base a questo, stabilire il giusto? Se c’era qualcosa da presentare contro il vescovo di Alessandria, questa chiese di cui avrebbe dovuto essere informata. Ma adesso quelli, senza averci informati e dopo aver proceduto a loro arbitrio, vogliono che noi, senza aver investigato su quei fatti, siamo d’accordo con loro. Non sono affatto queste le disposizioni di Paolo, e neppure ciò che i Padri ci hanno tramenato. E’ una modalità estranea, un uso nuovo. Ciò che io scrivo è per il bene di tutti, accoglietelo con animo ben disposto. Poiché ciò che noi abbiamo ricevuto dal beato apostolo Pietro, questo io vi rendo manifesto” (in Atanasio, Apologia contra Arianos 35, in PG 25, 308A/B)
Si nota qui da parte del vescovi di Roma una comprensione della sua responsabilità per la communio
-Quanto alle dispute sulla rimozione dei vescovi il Sinodo di Sardica (oggi Sofia) del 342. Nel canoni di Sardica troviamo quanto segue:
can III “Il vescovo Ossio disse: Se però un vescovo è stato condannato in una causa e tuttavia crede di avere buone ragioni perché ol giudizio debba essere rivisto, onoriamo la memoria, se siete d’accordo, del santo apostolo Pietro: si scriva al vescovo di Roma o da parte di coloro che hanno esaminato il caso, oppure dai vescovi che risiedono nella provincia vicina; se egli (il vescovo di Roma) ha deciso che il giudizio debba essere rivisto, ciò sia fatto, e a lui staa costituire i giudici; ma se egli, nell’esame della questione è pervenuto alla conclusione che il caso è risolto nel senso che ciò che è stato deliberato non venga rimesso in questione, allora ciò che egli ha deciso deve essere confermato.
can IV Il vescovo Gaudenzio disse: A tale deliberato che, come voi l’avete proposto, è sacro, si dovrebbe aggiungere, col vostro assenso, ancora questo: Se un vescovo è stato deposto in forza dl giudizio dei vescovi che hanno giurisdizione sil territorio vicino, ed egli ha comunicato che il caso dovrebbe essere trattato nella città di Roma, allora in nessun caso, in seguito all’appello, si deve eleggere alla sede un altro vescovo al posto di colui che sembra deposto, prima che la causa sia stata decisa in forma definitiva dal giudizio del vescovo di Roma.
Can V In vescovo Ossio disse: C’è accordo sul fatto che se un vescovo è accusato e i vescovi della sua regione, riuniti insieme, hanno pronunciato un giudizio e lo hanno deposto dalla sua dignità ed egli ha interposto una specie di appello ed è ricorso al beato vescovo della chiesa di Roma, e se questi vuole ascoltarlo e ritiene giusto rinnovare l’esame della questione, si degni egli (il vescovo di Roma) di scrivere ai vescovi che vivono nella provincia vicina; costoro devono esaminare con cuira ogni cosa e prendere la decisione definiva in tutta verità. Se però colui che pretende che la sua causa venga di nuovo ascoltata e dietro suo istanza il vescovo di Roma ha anche ceduto ad inviare da parte sua un presbitero, sarà in potere del vescovo (di Roma) fare ciò che vuole o ciò che a lui sembra necessario. Se egli ha deciso di inviare presbiteri che insieme ai vescovi (della provincia vicina) giudicheranno, con l’autorità (di colui) che li ha mandati, così deve avvenire. Se invece pensa che i vescovi possano da soli portare a conclusione la controversia, egli agirà come sembrerà bene alla sua sapientissima volontà.
-Alla controversia antiochena del 379 e al relativo sinodo papa Damaso impone con un diktat le condizioni di communio da lui dettate e le formule di fede da lui elaborate
-Persino nella legge imperiale Teodosio per mettere fine alle controversie nel 380 stabilì che per tutto l’impero dovesse valere la fede annunciata da S. Pietro ai romani ed ora proclamata da Damaso di Roma e da Pietro d’Alessandria.
-Giovanni Cristostomo espulso da Costantinopoli nel 404 si appellò a Roma (PG 47, 11s
-Per finirla col citare casi di vescovi rimossi che si appellano a Roma e sono davvero troppi chiudo col pensiero di Teodoreto che ci spiega dove stia la grandezza di Roma. Essa per il nostro autore consiste nella fede, secondo Rm 1,8 (“La fama della vostra fede si spande in tutto il mondo”) e inoltre nel possesso delle tombe di Pietro e Paolo. Con un paragone molti disuso in oriente eglia ferma che Pietro e Paolo, come il sole, sono sorti in oriente, e tramontati in Occidente, dove oggi, mediate la cattedra del vescovo romano, illuminano la terra. (Lettera 113 Sources Chrétiennes 111, 56-5[SM=g27989]

“Non è un caso se al concilio di Nicea ci sono esclusivamente vescovi orientali, e solo due delegati da occidente.”

Non è esatto, oltre ai due delegati mandati in sua vece da papa Silvestro(i presbiteri Vito e Vincenzo), abbiamo il già citato per Sardica Ossio di di Cordova, Ceciliano di Cartagine. Roma è rappresentata dunque. Ad ogni modo nessuno nega che quattro delle cinque sedi della futura pentarchia siano orientali, questo perché il cristianesimo è nato in Oriente e di fatto all’inizio Roma fu solo la testa di ponte di un cristianesimo tutto orientale, col passare degli anni emerse anche in area latina la chiesa nord africana, la chiesa delle Gallie, e quella spagnola. E’ una costante che il papa non si scomodi per i Concili ecumenici, che essendo tenuti in quella che allora era l’altra parte del globo erano troppo distanti, ciononostante ha sempre mandati dei delegati per parlare in sua vece con delle lettere che di solito hanno dato le linee guida. Roma ha anche fatto sì con la sua costanza che i grandi Concili ecumenici non venissero rovesciati una volta chiusi dagli imperatori e dagli eretici di turno. Anzi, nella patristica ricorre spesso l’affermazione che affinché un concilio ecumenico sia valido doveva essere rappresentata Roma. Ad esempio per il legato Romano Lucenzio a Calcedonia, il crimine di Dioscoro, architetto del celebre “brigantaggio di Efeso” , consisteva nel fatto che “egli ha osato tenere un concilio senza l’autorità della cattedrà apostolica, cosa che non è mai accaduta prima né poteva accadere” (Acta Conciliorum Oecumenicorum II 3 I 40) I Padri Conciliari accolsero la tesi di Lucenzio e nel loro scritto all’inperatore marciano affermarono che Dioscoro aveva “abbaiato contro la cattedra apostolica stessa” e aveva addirittura “tentato” di scomunicare Leone (ivi II, 3 II (9[SM=g27989] 83s.). Prendiamo poi in esame il II Concilio di Nicea che per motivare che il precedente Concilio di Hiera non era valido ha la seguente motivazione formulata dal legato romano Giovanni Diacono. Hiera non ha validità “perché non vi partecipò il papa di Roma e neppure i vescovi a lui vicini, né per mezzo di legati né per mezzo di una lettera, come è legge per i Concili. Ma anche i patriarchi dell’Oriente di Alessandria, Antiochia e della città Santa (Gerusalemme) non furono d’accordo.” (Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio, a cura di G. D. Mansi et al., 13, 208s.)
Si noti la differenza. Da una parte Roma, dall’altra “gli altri”. Roma deve partecipare, gli altri devono essere solo d’accordo. Nelle storia della chiesa greche di Socrate e Sozomeno questa formulazione resa in modo tale che papa Giulio risulta non essere stato convocato al Concilio “contro la legge” essendo contrario ai canoni decidere qualcosa sulle chiese in assenza del vescovo di Roma. (Socrate, Storia Ecclesiastica, II 17 PG 67, 220 A)
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“anche l'espressione divenuta famosa "Roma locuta, causa finita" è un'invenzione (il "causa finita" è stato interpolato)”

A me risulta che sia banalmente una frase di Agostino. “Per tale questione già due concili hanno invitao lettere alla sede apostolica. Di là tornano poi anche i rescritti- ça questione è chiusa (causa finita est).” (PL 38,734) C’è quale codice in cui manca?
Non ci si può certo sognare che Agostino non riconoscesse una preminenza a Roma. E’ noto che Agostino aveva invito gli atti dei concili africani contro i pelagiani a Roma perché avessero conferma, e scriveva al papa: “Noi non riversiamo il nostro piccolo ruscello nella Tua ampia fonte per accrescerla, bensì vogliamo… che da Te venga attestato se anche il nostro sia pur piccolo ruscello nasce dalla medesima corrente del Tuo, tanto copioso, e che possiamo essere consultati della Tua risposta sulla comune partecipazione all’unica grazia” (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 44, 688

“1) Non c'è evidenza per dimostrare che Pietro si stato il primo vescovo della città”

Credo che testimonianza più antica che chiami Roma cattedra di Pietro sia Cipriano, ma su ciò non ho alcuna certezza. Vescovo o no ciò che contava per i Padri non era che Pietro fosse stato o non fosse stato il vescovo di Roma bensì che in quella città ci fosse una tradizione privilegiata in quanto frutto della catechesi di Pietro e Paolo, e, per di più, aveva la tomba di entrambi. Questo è un tema molto importante nei Padri, il misticismo della visita ad limina apostolorum

“2) Non c'è evidenza che Pietro godesse di un primato sugli apostoli di qualche tipo”.

Non solo dai tre passi classici riguardanti Pietro (Mt 16,13-19; Lc 22,31ss; Gv 21,15-17) ma anche da diversi altri testi, compreso quello della prima testimonianza di Pietro sulla risurrezione(1Cor 15,5), emerge la posizione di leader di Pietro nella cerchia dei dodici. Oltre ai 4 testi sopramenzionati e che non sto a citare perché tutti li conosciamo a memoria si possono fare altri rilievi.
Pietro non solo fa parte dei tre discepoli che accompagnano il Salvatore quando opera la risurrezione della figlia di Giairo (Mt 5,37), nella trasfigurazione (Mc 9,1) e nell’agonia degli orti degli Ulivi (Mc 14,33), ma in ognuno di questi casi è citato per primo.
Così pure, egli sta in testa a tutti i cataloghi del collegio apostolico (Mc 3,16-19); Mt 10,2-4;Lc 6,14-16), e nel Vangelo di Matteo è detto espressamente: “il primo, Simone, chiamato Pietro” (non essendo né il più anziano né il primo degli apostoli scelti da Gesù, è probabile che si intenda "primo" in autorità).
Nessuna meraviglia, quindi, se in parecchie circostanze, questo Apostolo occupa il primo posto.
- Quando i discepoli si mettono alla ricerca di Gesù, Marco dice semplicemente: “Simone e i suoi compagni” (Mc 1,36)
-Pietro è ricordato 165 volte nel N.T.
- Quando si tratta di rivolgere domande al Salvatore, spesso è Pietro a prendere l’iniziativa parlando a nome di tutti.
- Gesù gli dà un soprannome simbolico. “Cefa”, che significa “pietra” (Gv 1,42);
- A Cafarnao alloggia nella sua casa (Mc 1,29);
- Sul lago di Tiberiade insegna dalla barca di Pietro (Lc 5,3);
- Lo beneficia di una pesca miracolosa (Lc 5,3-10) che prefigura la pesca miracolosa che Pietro operò il giorno di Pentecoste quando si convertirono oltre tremila persone;
- Gli permette di camminare sui flutti (Mt 14,27-36);
-Quando gli esattori del didramma (pezzo di moneta greca d’argento, del valore di due dracme = al mezzo siclo giudaico) si volgono a Pietro come alla persona più in vista del collegio apostolico, Gesù ne fa un suo associato con un titolo eccezionale, e gli dice: “Và al mare, getta l’amo ed il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te”. (MT 17,24-27).
-Gesù manda Pietro, con Giovanni, a preparare l’ultima cena. (Lc 22,8 ).
Dopo la risurrezione, l’angelo, parlando con le donne, ha un particolare ricordo per lui. Anche in altre occasioni viene distinto dal resto dei dodici: “Ora, andate, dite ai discepoli e a Pietro che Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” (Mc 16,7).
-Gesù lo degna di un’apparizione personale, come si rileva da Lc 24,34 e da 1 Cor 15,5: “…davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone…;” “…e che apparve a Cefa e, quindi, ai dodici”.
- Pietro propone e dirige l'elezione di uno che prenda il posto di Giuda, il traditore (cf Atti 1, 15).
- Pietro è il portavoce ufficiale di tutta la comunità il giorno di Pentecoste. Tutti avevano ricevuto la forza dello Spirito Santo, ma Pietro parla a nome di tutti ai Giudei convenuti a Gerusalemme Primo e secondo discorso di Pietro ai Giudei con la conseguente conversione di migliaia di persone (At 2,14 e ss.)
-Pietro guarisce uno storpio (At 3,1-11);
- Davanti al Sinedrio Pietro parla con coraggiosa franchezza nel nome di Gesù Cristo Nazareno, come nello stesso nome aveva detto allo storpio: “Alzati e cammina” (At 1,15-22);
-Nell’episodio di Anania e Saffira è Pietro che interviene a correggerli e, per le sue parole ispirate, i due coniugi subiscono la punizione della morte subitanea che consente di scuotere ed aprire gli occhi a tutti i fedeli e agli stessi Apostoli presenti al fatto (At 5,1-11);
-Ancora davanti al Sinedrio “Pietro e gli altri Apostoli risposero: bisogna obbedire piuttosto a Dio che agli uomini” (At 5,29). Ennesimo caso di Pietro distinto dal resto dei 12.
- A Simon Mago, Pietro risponde: “Va in perdizione tu ed il tuo denaro” (At 8,18-24);
- A Pietro l’angelo invia il centurione Cornelio e, con la visione di Joppe, Dio gli “ha insegnato a non considerare come profano e immondo nessun uomo” (At 10,2[SM=g27989];
-Ai circoncisi di Gerusalemme Pietro dà istruzioni circa la volontà di Dio di accettare tutti gli uomini nella Chiesa fondata da Cristo. Dopo le parole di Pietro i giudei cristiani “rimasero persuasi e resero gloria a Dio” (At c. 11).
- Nel Cap. 12,1-9 degli Atti è raccontato l’episodio della miracolosa liberazione dalla prigione e l’interesse di tutti i fedeli oranti per Pietro prigioniero;
- Sulla questione della circoncisione sorse una grande discussione tra gli Apostoli e gli Anziani, e fu Pietro che autorevolmente risolse il caso con queste parole: “Fratelli, voi sapete che Dio già da tempo scelse me tra di voi affinché per bocca mia i gentili udissero la parola del Vangelo e credessero...” (Atti 15,1-35).
E’ tale il prestigio di Pietro che la S. Scrittura ci fa notare:
- Che i fedeli ponevano all’ombra del passaggio di Pietro gli ammalati perché fossero guariti (At 5,15);
- Pietro corsero al sepolcro di Gesù, Giovanni (che era più giovane) arrivò per primo ma non entrò, preferì aspettare Pietro, e fu Pietro ad entrare per primo nel sepolcro
-Che Paolo va a rapporto da Pietro. Egli dice: “dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni” (Gal 1,1[SM=g27989].
Inoltre, Pietro ci dice che non è permessa l’interpretazione personale (soggettiva) della S. Scrittura (2 Pt 1,19-20);
- e che ci sono persone ignoranti e poco mature che deformano il significato di alcune cose delle Lettere di Paolo, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina” (2 Pt 3,15-16). www.cristianicattolici.net/course.html

Continua...

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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