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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
15/11/2006 03:48
 
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Pars II


3) Non c'è evidenza che questo postulato primato si debba in qualche modo tramandare



A questo vorrei rispondere con due paginette di Ratzinger visto che sei un suo fan.


Il principio della successione in generale

Che il Nuovo Testamento, in tutti i suoi grandi filoni di tradizione, conosca il primato di Pietro è incontestabile. La vera difficoltà sorge non appena si pone la seconda domanda: si può fondare l'idea della successione di Pietro? Ancora più ardua è la terza domanda ad essa collegata: si può giustificare in modo credibile la successione romana di Pietro? Per quanto riguarda la prima di queste due questioni dobbiamo anzitutto constatare che nel Nuovo Testamento non c'è un'esplicita affermazione della successione di Pietro. Non ci si deve meravigliare di questo, in quanto i vangeli, così come le grandi epistole paoline, non affrontano il problema di una Chiesa postapostolica; cosa che, del resto, va vista come un segno della fedeltà alla Tradizione da parte dei vangeli.
D'altra parte, nei vangeli è possibile trovare questo problema in un modo indiretto, se si dà ragione al principio metodologico della storia delle forme, secondo cui è stato riconosciuto come facente parte della Tradizione solo quanto nel corrispettivo ambiente della Tradizione venne avvertito come in qualche modo significativo per il presente. Ciò dovrebbe significare, per esempio, che Giovanni, verso la fine del I secolo, cioè quando Pietro era già morto da tempo, non considerò affatto il suo primato come qualcosa di appartenente al passato, ma come qualcosa che restava attuale per la Chiesa.
Alcuni credono anzi - forse con un po' troppa fantasia - di poter scorgere nella "concorrenza" tra Pietro e "il discepolo amato da Gesù" un'eco delle tensioni tra la rivendicazione romana del primato e l'autocoscienza delle Chiese dell'Asia Minore. Ciò sarebbe in ogni modo una testimonianza molto precoce, e per di più interna alla Bibbia, del fatto che si riteneva che la linea petrina continuasse in Roma. Tuttavia noi non dobbiamo in alcun modo appoggiarci su ipotesi tanto incerte.
Mi sembra giusta, al contrario, l'idea fondamentale secondo cui le tradizioni neotestamentarie non rispondono mai a un mero interesse di curiosità storica, ma portano in sé la dimensione del presente e in questo senso sottraggono sempre le cose al mero passato, senza per questo cancellare l'autorità speciale dell'origine
Del resto proprio quegli studiosi che negano il principio della successione hanno poi proposto ipotesi di successione. O. Cullmann, ad esempio, si pronunciò con grande chiarezza contro l'idea di successione; riteneva tuttavia di poter dimostrare che Pietro sarebbe stato sostituito da Giacomo e che questi avrebbe esercitato il primato di colui che in precedenza era stato il primo degli apostoli (1[SM=g27989]. Bultmann, a partire dalla menzione delle tre colonne in Gal 2,9, crede di poter concludere che da una direzione personale si sarebbe passati a una direzione collegiale e che un collegio sarebbe subentrato nella successione di Pietro (19). Non c'è bisogno di discutere queste e altre ipotesi simili; il loro fondamento è piuttosto debole. Tuttavia si dimostra così che l'idea della successione non può essere elusa, se si considera la parola tramandata davvero come uno spazio aperto al futuro.
Negli scritti del Nuovo Testamento che si collocano nel momento del passaggio alla seconda generazione o che ad essa già appartengono - specialmente gli Atti degli apostoli e le lettere pastorali - il principio della successione assume infatti una forma concreta.

La concezione protestante secondo cui la "successione" si trova solo nella Parola come tale, ma non in "strutture" di qualsiasi genere, si rivela anacronistica, sulla base della forma effettiva della tradizione neotestamentaria. La Parola è legata ad un testimone, il quale garantisce la sua inequivocabilità, che essa non possiede come mera Parola affidata a se stessa. Il testimone tuttavia non è un individuo che sussiste per se stesso e in se stesso.

Egli è tanto poco testimone da se stesso e per la propria capacità di ricordare, quanto poco Simone può essere roccia con le proprie forze. Egli è testimone non in quanto "carne e sangue", ma attraverso il suo legame con lo Spirito, il Paraclito, che è garante della verità e apre la memoria. È lui che, dal canto suo, unisce il testimone a Cristo.

Infatti il Paraclito non parla da se stesso, ma prende dal "suo" (cioè da quello che è di Cristo: Gv 16,13). Tale legame con lo Spirito e col suo modo di essere - " non parlerà da se stesso, ma quanto sentirà dire " - viene chiamato, nel linguaggio della Chiesa, "sacramento ". Il sacramento designa il triplice intrecciarsi di Parola testimone - Spirito Santo e Cristo, che descrive la struttura specifica della successione neotestamentaria.

Dalla testimonianza delle lettere pastorali e degli Atti degli apostoli si può desumere con una certa sicurezza che già la generazione apostolica ha dato a questo reciproco intrecciarsi di persona e parola, nella presenza creduta per fede dello Spirito e di Cristo, la forma dell'imposizione delle mani.

La successione romana di Pietro

La figura neotestamentaria della successione, così costituita, nella quale la Parola viene sottratta all'arbitrio umano proprio attraverso il coinvolgimento in essa del testimone, viene molto presto fronteggiata da un modello essenzialmente intellettuale e antistituzionale, che nella storia conosciamo col nome di gnosi.
Qui viene innalzata a principio la libera interpretazione e lo sviluppo speculativo della parola.
Di fronte alla pretesa intellettuale, avanzata da questa corrente, molto presto non è più sufficiente il rimando a singoli testimoni. Diventarono necessari dei punti di riferimento per la testimonianza, che vennero trovati nelle cosiddette sedi apostoliche, cioè in quei luoghi in cui gli apostoli avevano operato.
Le sedi apostoliche diventano i punti di riferimento della vera communio. All'interno di questi punti di riferimento, tuttavia, si dà ancora un preciso criterio, che riassume in sé tutti gli altri (con chiarezza presso Ireneo di Lione): la Chiesa di Roma, in cui Pietro e Paolo hanno sofferto il martirio.
on essa ogni singola comunità deve essere in accordo, essa è veramente il criterio dell'autentica tradizione apostolica. Del resto Eusebio di Cesarea, nella prima redazione della sua Storia ecclesiastica, ha fatto una descrizione dello stesso principio: il contrassegno della continuità della successione apostolica si concentra nelle tre sedi petrine di Roma, Antiochia e Alessandria, dove Roma, quale luogo del martirio, è ancora una volta, delle tre sedi petrine, quella preminente, quella veramente decisiva (20).

Questo ci porta a una constatazione della massima importanza (21): il primato romano, cioè il riconoscimento di Roma quale criterio della fede autenticamente apostolica, è più antico del canone del Nuovo Testamento, della Scrittura. A tal proposito ci si deve guardare da una quasi inevitabile illusione. La Scrittura è più recente degli scritti da cui è costituita.
Per lungo tempo l'esistenza dei singoli scritti non diede ancora luogo al Nuovo Testamento come Scrittura, come Bibbia. La raccolta degli scritti nella Scrittura è piuttosto opera della Tradizione, che cominciò nel II secolo, ma che solo nel IV e V secolo giunse in qualche misura a conclusione.
Un testimone insospettabile quale Harnack ha segnalato al riguardo che, prima della fine del secondo secolo, si impose in Roma un canone dei "libri del Nuovo Testamento" secondo il criterio dell'apostolicità e cattolicità, criterio che a poco a poco fu seguito anche dalle altre Chiese, "a causa del suo valore intrinseco e della forza dell'autorità della Chiesa romana".
Possiamo quindi affermare: la Scrittura è diventata Scrittura mediante la Tradizione, di cui fa parte come elemento costitutivo, proprio in questo processo, la "potentior principalitas" della cattedra di Roma.
Son così diventati evidenti due punti: il principio della Tradizione, nella sua configurazione sacramentale quale successione apostolica, fu costitutivo per l'origine e la continuazione della Chiesa. Senza questo principio non è assolutamente possibile immaginare un Nuovo Testamento e ci si dibatte in una contraddizione quando si vuole affermare l'uno e negare l'altro.
Abbiamo visto inoltre che a Roma fin dall'inizio venne stabilita e tramandata la lista dei nomi dei vescovi come serie della successione.
Possiamo aggiungere che Roma e Antiochia, quali sedi di Pietro, erano consapevoli di trovarsi nella successione della missione di Pietro e che presto nel gruppo delle sedi petrine fu assunta anche Alessandria come luogo dell'attività di Marco, discepolo di Pietro.
Tuttavia il luogo del martirio appare chiaramente come il detentore principale della suprema autorità petrina e gioca un ruolo preminente nella formazione della nascente tradizione ecclesiale e, in particolare, nella formazione del Nuovo Testamento come Bibbia; esso appartiene alle sue essenziali condizioni di possibilità, sia interne che esterne.

Sarebbe affascinante mostrare come abbia influito in tutto ciò l'idea che la missione di Gerusalemme era passata a Roma, ragion per cui inizialmente Gerusalemme non solo non fu "sede patriarcale" ma non fu mai neppure sede metropolitana: Gerusalemme risiede ora in Roma e il suo titolo di preminenza si è trasferito, con la partenza di Pietro, nella capitale del mondo pagano (22).

Tuttavia una riflessione dettagliata su questo tema ci porterebbe troppo lontano.

Penso però che l'essenziale sia diventato evidente: il martirio di Pietro in Roma fissa il luogo dove la sua funzione continua. Questa consapevolezza si mostra già nel I secolo, attraverso la prima lettera di Clemente; anche se nei particolari lo sviluppo è stato naturalmente lento. (Joseph Ratzinger, La Chiesa, Cinisello Balsamo (MI), 1992, San Paolo, 2 ed., pag 47-52)

Note
18 Cfr. supra nota 2 (O. Cullmann, Petrus – Junger – Apostel – Martyrer, Zurich, 1952, pp.253 e 259)
19 Die Geschichte der synoptischen Tradition, 1981(2), pp. 147-151; cfr. J. Gnilks, op. cit., p. 56.
20 Questo punto è accuratamente esaminato in v. Twomey, Apostolikos Thronos, Münster 1982.
21 Spero di poter sviluppare e motivare più diffusamente in un futuro non troppo lontano la riflessione sulla successione apostolica che qui di seguito cerco di esporre in maniera oltremodo sintetica. Sono debitore di importanti apporti ai lavori di O. Karrer, specialmente: Um die Einheit der Christen. Die Petrusfrage, Frankfurt 1953; Apostolische Nachfolge und Primat, in Feiner - Trutsch - Bockle, Fragen der Theologie heute, Freiburg 1957, pp. 175-206; Das Petrusamtin der Fruhkirche, in Festgabe J. Lortz, Baden-Baden 1958, pp. 507-525; Die biblische und altkirchliche Grundlage des Papsttums, in Lebendiges Zeugnis 1958, pp. 3-24. Importanti anche alcuni contributi nella Festschrift per O. Karrer: Begegnung der Christen, a cura di Roesle-Cullmann, Frankfurt 1959, qui specialmente K. Hofstetter, Das Petrusamt in der Kirche des 1. und 2., Jahrhunderts, pp. 361-372.
22 Cfr. Hofstetter, op. cit.




Non c'è evidenza che l'origine del primato (così come emerge dal lessico conciliare) sia da ricercare nella funzione di Pietro più che nella funzione di Roma in quanto centro dell'ecumene romano.



Ma il lessico conciliare non esprime il primato di Roma in riferimento alla politica bensì il primato della Nuova Roma in riferimento alla politica. Quanto al fatto che la preminenza di Roma sia legata al suo essere sede apostolica petrina e paolina si possono citare diverse testimonianze, alcune:
-“Con questa chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente concordare ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte, essa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli.”(Adversus haereses III, 1-2)
-“Se ti trovi nei paraggi dell'Italia, hai quella Roma, donde anche a noi arriva rapidamente l'autorità.
Questa Chiesa di Roma, quanto è beata! Furono gli apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta. E' la Chiesa, dove Pietro è parificato, nella passione, al Signore; dove Paolo è coronato del martirio di Giovanni [...] Vediamo perciò che cosa essa abbia appreso, che cosa abbia insegnato e che cosa attesti: e con lei che cosa attestino le Chiese d'Africa." Tertulliano, La prescrizione contro gli eretici, 36
- Cipriano parla della Chiesa romana come “cathedra Petri” e chiesa principale, dalla quale è nata l’unità sacerdotale” (Lettera 59,14)
-La lettera di Firmiliano(In Cipriano, lett. 75) in polemica contro papa Stefano per la questione del battesimo degli eretici, lo chiama “colui che si vanta di occupare per diritto di successione la cattedra di Pietro”, Il che, indipendentemente dal fatto che Firmiliano fosse d’accordo o meno con questa pretesa, dimostra che Roma era considerata la cattedra di Pietro.
-La risposta di Siricio a Imerio di Terragona in cui si dice: “Noi portiamo i pesi di tutti coloro che sono oppressi; o piuttosto in noi li porta il santo apostolo Pietro, che, come noi confidiamo, ci protegge e custodisce in tutto, noi, gli eredi del suo ministerio” (PL 1133 A)
-Il sinodo di Antiochia(341), che pure si opponeva a causa della situazione contingente che ben conosciamo ad un’ingerenza romana, descrive a causa di cosa essa abbia preminenza. Il Concilio scrive “che la Chiesa romana è considerata da tutti gloriosa, per esser stata il domicilio degli apostoli e sin dall’inizio la capitale della pietà, anche se coloro che vi hanno portato la fede erano giunti a lei dall’Oriente” (Sozomeno, Storia della Chiesa, III, 8,5 (PG 67 1054 A-B)
- I Concili ecumenici, a prescindere dal caso particolare del Constantinopolitano II, hanno sempre seguito le indicazioni di Roma. Come già ricordato a Calcedonia non si dice: “Cesare ha parlato per bocca di Leone” ma “Pietro ha parlato per bocca di Leone”. Oltre a seguire le indicazioni di Roma in alcuni casi non hanno risparmiato neppure gli elogi, ad esempio nel Costantinopolitano II. In quel caso i Padri Conciliari accolsero l’epistola di papa Agatone come “scritta dal supremo vertice divino degli apostoli”(Sacrorum Conciliorum Nova et amplissima collectio, a cura di G. D. Mansi et al., 11, 684). Nell’acclamazione conclusiva poi si legge: “Il supremo principe degli apostoli ha combattuto con noi; il suo imitatore e successore sulla cattedra è dalla nostra parte e ci ha spiegato con una lettera il mistero dell’incarnazione divina. La vecchia città di Roma ha presentato una professione di fede scritta da Dio e ha fatto sorgere dall’Occidente la luce del dogma. Sembrava carta ed inchiostro, e attraverso Agatone parlava Pietro” (Ibid., 666)
Per la teologia ortodossa di ogni epoca il vescovo di Roma siede sulla cattedra di Pietro. Non ti rendi conto che stai riciclando della polemica anti-papista protestante presentando elementi dottrinali estranei alla teologia ortodossa del I millennio. Se non credi a me, credi al teologo da cui prendi il nome. Da Teodoto Studita: l’autorità della chiesa è data “dagli apostoli e dai loro successori, E chi sono i loro successori? –Quello che siede sulla cattedra di Roma ed è il primo; quello che siede sulla cattedra di Costantinopoli ed è il secondo; e dopo di loro quelli di Alessandria, di Antiochia e Gerusalemme. Questa è la quintuplice autorità della chiesa. A loro spetta la decisione sulle dottrine divine. L’imperatore e l’autorità secolare hanno il dovere di aiutarli e di confermare ciò che essi hanno deciso” (PG 99, 1417)
San Giovanni Crisostomo (autore della liturgia che a quanto so tu usi) chiama esplicitamente il vescovo di Roma "successore di Pietro" (in ep. II ad Timoteum X,3). Dimmi tu come si possa definire teologia ortodossa che il papa di Roma non è il successore di Pietro. Ci sarebbero molti esempi di Padri orientali che fanno la stessa affermazione del Crisostono, tra cui Gregorio Nazianzeno, Teodoreto di Ciro, Eusebio di Cesarea, ecc. ma preferirei chiudere un santo in massima stima tanto ad oriente quanto ad occidente, e che la Chiesa ortodossa celebra il
18 febbraio, colui che a detta dei Padri parlò in vece di Pietro a Calcedonia, parla ovviamente si S. Leone Magno: "Tra gli stessi beatissimi Apostoli, pur in simile onore, vi fu una certa distinzione di potestà: [...] a uno solo fu dato il primato sugli altri. Su questo modello sorse anche la distinzione tra i vescovi, ed è stato provvisto [...] che alcuni vescovi fossero rivestiti di più ampia autorità; e infine, che per il loro tramite confluisse la cura della Chiesa universale nella sola sede di Pietro, dal cui capo nessuno può dissentire" (Ep. XIV ad Atanasio).
Infatti "non cessa di presiedere alla sua sede il beatissimo Pietro, ed è stretto all'eterno Sacerdote in un'unità che non viene mai meno: infatti la saldezza che egli, diventato pietra prese dalla pietra di Cristo, si propaga anche nei suoi eredi" (Sermones V,4)

Per Barnabino

“Per gli storici significa che da tale primato basato sul "rango" politico della città non ne derivava alcuna conseguenza di carattere pratico. Le altre chiese piccole o grandi continuavano ad agire come ritenevano più opportuno. Potevano interpellare Roma ma spesso cercavano altre soluzioni ai loro problemi dottrinali. I vescovi di Roma più ambiziosi cercarono e a volte riuscirono ad indurre altri vescovi a seguire il loro parere ma questo avvenne di rado”

Questa farse è un capolavoro del dire e non dire nulla, anche perché non menzioni alcunché di concreto. Come tutte le posizioni troppo generiche queste tue frasi non significano nulla. Bisogna fare due considerazioni: non c’era internet né la posta prioritaria, per forza di cose il legame tra Roma non poteva essere quello di una direzione giuridica della vita delle altre Chiese: non è questo il senso del primato né sarebbe stato materialmente possibile che una chiesa all’altro capo dell’impero governasse chiese così distanti. La consapevolezza del primato quanto ai contenuti di fede nasce dal bisogno di dare risposta a determinate sfide che emergono in circostanze e contesti particolari nei vari tempo (e ne ho già fatto un elenco sia a te sia a Teodoro), è ovvio che dove Roma non serve perché c’è concordia non c’è ragione di stupirsi che il primato non venga esercitato. Semplicemente non ce n’era bisogno. Per dare una definizione di che cosa fosse il primato in Oriente nel primo millennio vorrei citare (intercalando i commenti di Luigi Sartori), il celebre numero 14 del decreto Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II (steso in buona parte dall’ecumenista p. Emmanuel Lane). In esso sì da una prospettiva di quello che era l’esercizio del primato nel I millennio quando “la sede romana” (non si parla in recto del papa) “moderava”(ossia interveniva con ruolo di guida risolutiva dentro un gruppo attivo; quindi anche con efficacia, ma non si fa cenno esplicito al potere giuridico), “qualora” (NB: quindi non in modo continuativo ed assorbente, ma solo in casi determinati e nel rispetto del principio di “sussidiarietà”) fossero sorti dei dissensi tra le chiese circa la fede e la disciplina”.
Questo è quello che la Chiesa cattolica intende con primato nel dialogo ecumenico cogli ortodossi, ergo non farmi difendere tesi che non sono della mia chiesa.

“Secondo gli storici indipendente la storia della letteratura e della dottrina cristiana indica che Roma non occuppò un ruolo privilegiato nella formazione delle dottrine e dei dogmi”

Parole vuote, visto che ne si citano gli autori, né soprattutto le loro argomentazioni. Viene da chiedersi come secondo costoro si sarebbe riusciti a far prevalere l’ortodossia dell’homousios o come si sarebbe rimediato a Calcedonia alla questione di Cirillo se non ci fosse stato il vescovo di Roma.

“Cipriano nel III secolo sulla questione del doppio battesimo degli eretici di fatto trascurò la diversità di posizione tar la sua chiesa e quella di Roma.”

Alla lunga ha vinto nella Chiesa la tesi di Roma, non sono le levate di testa dei vescovi che possono cambiare i risultati a lunga scadenza. Ancora oggi chi si è battezzato, persino coi protestanti, non dev’essere ribattezzato se entra nella Chiesa cattolica. Dire che siccome un vescovo ha deciso di fare di testa sua il primato non esiste significa affermare che siccome c’è stata la ribellione di Lefèbvre per la questione della messa col rituale di San Pio V allora nel XX secolo il primato non esiste. In primis è utile riconoscere che per Cipriano il primato esiste. Come già citato nel messaggio a Teodoro quando si tratta di destituire il vescovo di Arles per le sue posizioni sulla penitenza, Cipriano si rivolge a Roma perché lo faccia. Alcuni anni prima, in occasione dell’elezione del vescovi di Roma Cornelio, Cipriano definisce la chiesa romana “matrice e radice della Chiesa cattolica”; egli si rivolge così al vescovo di Roma: noi riconosciamo “te come vescovo e la tua comunione con noi indice dell’unità e carità della chiesa cattolica”(Lettera 48,3) In un altro passo parla della Chiesa di Roma come “cathedra Petri” e “chiesa principale, dalla quale è nata l’unione sacerdotale”(Lettera 59,14) Siamo dinnanzi a quello che il dialogo ecumenico coi fratelli ortodossi ha da lungo tempo messo in luce, un primato della Chiesa di Roma quanto ad auctoritas ma non a potestas. Si tratta qui di “riconoscere un’autorità superiore dei successori di pietro, che tuttavia non può essere descritta adeguatamente con concetti giuridici. In linea di principio il vescovo di Roma non aveva poteri maggiori degli altri. Tuttavia, nella gerarchia delle autorità, il suo giudizio occupava il primo posto” (M. Wojtowytsch, Papsttum und Konzile von den Anfängen bis zu Leo I, Stuttgart, 1981, pag 392) Motivo per il quale scrive lettere, tutti si appellano a lui se in difficoltà, si vuole il suo parere, le sue lettere di comunione, ecc. Non è un mio obiettivo inquadrare il primato in categorie giuridiche, quelle verranno dopo come presa di consapevolezza del ruolo romano in un Oriente che si sbriciolava a suon di sinodi creati ad hoc per contraddire i propri avversari cristologici. Roma col suo ruolo chiave esercitato per uscire da questa situazione ha preso coscienza anche canonistica della sua posizione, con l’affermazione raggiunta anche nei Concili orientali che alcuni sinodi precedenti non erano validi perché Roma non vi aveva partecipato.Quello che gli eretici negano è l’esistenza di un primato di autorità dottrinale che esisteva in nuce sin da inizio II secolo (o fine I, Clemente). Di difendere l’esistenza di un primato giurisdizionale non importa niente a nessuno, ergo inutile che mi attacchi su questo punto, perché confonderesti ius e lex, consuetudine e norma.
Tornando alla questione del battesimo fatto dagli eretici non si dimentichi poi che verso Roma Cipriano ha un atteggiamento puramente difensivo. Egli non scomunica il vescovo di Roma. Anzi, scrive a Stefano che lui stesso non vuole imporre a nessuno il suo punto di vista. Ciò è alquanto singolare, perché in questo caso non si trattava soltanto di differenti usanze ecclesiastico, come nella contesa sulla festività della Pasqua, ma vi era in gioco la validità del battesimo. Tuttavia Cipriano non ruppe i rapporti con Roma, neppure quando Stefano non ricevette nemmeno i suoi inviati e non li ammise alla celebrazione eucaristica, né fece dare loro alloggio e assistenza dalla comunità. (Schatz, op. cit, pag.52)

“A me pare esattamente il contrario, ovvero che tu leggi quello che non c'è scritto. Vedi come cambiano i punti di vista quando c'è di mezzo l'emotività. Quella che per te è "chiarezza sconcertante" per altri è "sconcertante chiarezza" nell'assenza di qualunque attestazione di "primato" sulle altre chiese.”

Sentimi bene, Gorgia da Leontini, io leggo questa farse e tu dimmi cosa vuol dire visto che a tuo avviso vuol dire visto che a tuo avviso c’è una sconcertante chiarezza che voglia dire il contrario: “con questa grande chiesa, in ragione della sua origine più eccellente (potentior principalitas=, deve necessariamente essere d’accordo ogni chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte, essa nella quel per tutti gli uomini sempre è stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli”.
Ora sia chiaro che io sto discutendo di cosa pensasse del primato la grande chiesa apostolica, quindi cosa tu che sei un eretico puoi pensare del primato romano poco mi cale, a me interessa storicamente dimostrare che era riconosciuto dall’ecumene cristiano, ed è questa l’unica cosa che interessa in questa discussione. Non voglio sapere se tu sia d’accordo con la teologia ortodossa, voglio sapere cosa pensava la teologia ortodossa del I millennio. E già che ci sei spiegami anche come possa il vescovo di Roma Clemente nel 96 d.C. scrive ad un'altra chiesa apostolica come Corinto una frase del genere se non in virtù del fatto che sentiva su di sé il primato petrino: “Se qualcuno disobbedisce alle parole dette da Lui (Dio) per mezzo nostro (cioè la Chiesa di Roma), sappia che sta per incorrere in una colpa e in un pericolo non lievi… Ci procurerete una grande gioia se ubbidirete a quello che abbiamo scritto sotto la guida dello Spirito Santo.” (1Clem 59 e 63)

“La prova è che SOLO i cattolici vi leggono questa chiarezza e non i PROTESTANTI o gli ORTODOSSI e perfino quelli INDIPENDENTI. O tutti sbagliano oppure, forse, dobbiano esiste un compromesso. Quello proposto dagli studiosi indipendenti e che ti ho riportato mi pare quello più realistico.”

C’è una falsità oltre che un errore di logica. L’errore di logica sta nel fatto che presenti come “prova” il fatto che a tuo dire la maggioranza legga una cosa, ma in teoria nulla vieta che abbia ragione una persona su un milione e che tutti gli altri gli vadano contro, specie se l’accettare la tesi dell’avversario equivarrebbe al cambiar fede. Riconoscere il primato di Pietro da parte di un protestante è una contraddizione in termini. Viene poi da chiedersi come possa esistere un indipendente, quanto poi viene puntualmente additato qualche ateo ex-cattolico col dente avvelenato, magari pure per una scomunica, con la Chiesa di Roma, e dunque desideroso di buttare tutto il fango del caso. Né so come tu possa affermare che gli ortodossi non riconoscono il primato di Pietro quando chiunque come il sottoscritto abiti a 200 metri da una facoltà di teologia ecumenica sa benissimo che le posizioni ortodosse su questo punto divergono moltissimo, da chi è seguace del “primus inter pares” a chi arriva a riconoscere un primato giurisdizionale, cito come esemplare un ortodosso contemporaneo che a mio avviso incarna bene la teologia del primo millennio, Vladimiro Solovev quando diceva a più riprese di riconoscere il vescovo di Roma "come giudice supremo nelle cose ecclesiastiche, colui che riconobbero tale S. Ireneo, Dionigi, Atanasio, Crisostomo, Cirillo, Flaviano, ......"

“Sarà anche un'offesa ma su questo tema ti posso giurare che dopo aver letto uno o due giudizi e senza leggere il nome dell'autore ti posso dire senza sbagliare la sua religione!”

Tu escludi la possibilità logica che avere un coinvolgimento emotivo escluda dall’aver ragione, anch’io non sbaglio certo religione se mi mettono davanti i deliri apocalittici della WTS su Babilonia e la sua distruzione. In questo caso banalmente non può esserci approvazione del papato come primato se non da parte cattolica(in senso lato), perché automaticamente se un protestante riconoscesse il primato petrino dovrebbe diventare cattolico. Ci sono protestanti che hanno studiato la questione e hanno cambiato fede, come l’anglicano Newman, e tempo fa era anche uscito un utile volumetto: Faller A., Protestanti difendono il primato, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1959

“Come ti ho detto gli storici non schierati sono concordi nel sostenere che quelle sono solo rare eccezioni che non dimostrano che Roma avesse un "primato".”

Se quelle sono eccezioni ci si aspetterebbe di vedere quale sia la regola generale, e tu non mi hai ancora mostrato quale sarebbe. Inoltre come già detto è ridicola la richiesta di vedere l’intervento di Roma ogni tre minuti per sapere se esiste un primato, bisogna vedere se questo primato esiste solo nei momenti di crisi dottrinale e di divisioni religiose. Vorrei proprio che tu mi dicessi in qualche crisi teologica Roma non sia intervenuta di peso. Abbiamo un’attestazione sterminata di appelli a Roma sia per pareri su questioni dottrinale, sia per ottenere lettere di comunione in quanto essere in comunione con Roma voleva dire essere in comunione con la Chiesa, sia richieste di vescovi deposti di ogni genere che si appellano a Roma. Ma di questo ho già dato attestazione nel post che ho rivolto a Teodoro.

“In ogni chiesa si vantavano discendenze apostoliche, Pietro (ammesso che la visitasse) non visitò solo Roma ma anche Antiochia e altre città. Lo stesso possiamo dire per Paolo.”

Non ogni chiesa vanta discendenze apostoliche ma solo le sedi apostoliche. Quello che dici in realtà fa tornare solo acqua al mio mulino, perché è noto come funziona il governo della Chiesa prima della pentarchia, cioè con la triade “Antiochia, Roma, Alessandria”, tutti luoghi privilegiati in quanto in essi si conserva la tradizione petrina (ad Alessandria tramite Marco). Questo ben prima che Costantinopoli contasse qualcosa e con Gerusalemme che era già fuori dal gioco grazie all’idea che Pietro si fosse trasferito da lì a Roma. Ma come dici giustamente c’erano altre comunità visitate dagli apostoli, ma allora perché proprio Roma? Non esisteva alcuna Chiesa che quanto a paradosis (Traditio) potesse farle concorrenza, poiché in essa vi erano ad un tempo le tombe di due apostoli, ognuno dei quali sovrastava tutti gli altri in peso e importanza per la tradizione neotestamentaria; tutt’al più, accanto a Pietro e Paolo, poteva essere ancora nominato il discepolo prediletto Giovanni (e infatti richiamandosi a lui Efeso a un certo punto farà valere la sua posizione nei confronti di Roma). Ed anche se senza un’esplicita successione di Pietro era chiaro che l’autorità del primo degli apostoli, la pietra su cui era costruita la chiesa e a cui era conferito il potere delle chiavi, doveva riverberarsi sulla chiesa roma.a A ciò si aggiunge in special modo, nella concezione del cristianesimo primitivo, il valore del martirio di Pietro e Palo per il carisma della comunità romana: nella definitiva testimonianza di fede costituita dal martirio, i due “corifei” Pietro e Paolo ganno trasmesso alla chiesa romana la loro fede (paradosis) che diventa per così dire il lascito pernne sul quale trovare duratura stabilità- La loro testimonianza di fede, definitiva, resa perfetta dal sangue versato, viene tramandata della paradosis; il loro martirio resta presente nella testimonianza della Chiesa romana (Per le testimonianze patristiche di ciò queste dimensioni sono state messe in evidenza da J.-M. Tillard, Il vescovo di Roma, Brescia, 1985). Così per esempio nella lettera del sinodo di Arles al vescovo Silversto di Roma si dice a riguardo dei vescovi romani: “nei quali gli apostoli sono quotidianamente presenti, e il sangue da loro versato testimonia incessantemente la gloria di Dio”(Sacrorum Conciliorum Nova et amplissima collectio, a cura di G. D. Mansi et al. II, 469 C) Se esisteva una qualche chiesa ben protetta dall’eresia, doveva essere questa. (da Schatz op. cit. pag. 44)
Ovviamente non ha nessuna rilevanza che tu giudichi una cosa biblica il mettersi a fare pellegrinaggi sulle tombe dei martiri, le tue accuse di satanismo e di idolatria babilonica sono irrilevanti, ciò che conta non è se tu sia d’accordo col valore del martirio apostolico a garanzia della più retta traditio, ciò che conta è che questa fosse la mentalità dei primi cristiani di ogni luogo dell’impero, perché io non sto indagando che cos’è la Chiesa di Roma per te o per qualche protestante del seicento ma cos’era Roma per i cristiani dei primi quattro secolo. Ergo ti prego risparmiami sin d’ora i tuoi “non è scritturale”, perché ciò che conta non è cosa sia scritturale per te ma quale fosse il parere dei primi cristiani in relazione a quella che è invece una vera e propria mistica, la mistica del viaggio ad limina apostolorum(alle tombe gli apostoli) e della Traditio autoritativa che ne scaturiva. A questo proposito esemplare il già citato Tertulliano: “O davvero privilegiata e felice questa chiesa romana, sulla quale gli apostoli versarono, col loro sangue, il torrente della loro dottrina, dove Pietro soffrì supplizi che si potrebbero paragonare a quelli del Signore; dove Paolo con la sua morte uguale a quella di Giovanni battista acquista la palma del martirio”(De praescriptione haereticorum 36,4)

“E ovvio che Roma vantava una posizione centrale a livello geografico e sociale e in funzione di questa vanta un "rango" maggiore.”

La posizione centrale a livello geografico non so dove tu l’abbia sognata, visto che è invece la testa di ponte in Occidente di un cristianesimo all’inizio tutto Orientale e che ha il suo fulcro all’incirca in Asia minore. Quanto alla sua posizione politica ho già spiegato che al massimo quella depone a suo sfavore, vista la persecuzione che causava ai cristiani di tutto l’impero.

“Solo in un secondo tempo (alla seconda metà del II secolo) si cercò di rafforzare questo "rango" anche con una discendenza apostolica "maggiore" rispetto ad altre città”

Ritorna la tua filologia da bottega, consistente nel credere che i cristiani siano tutti scemi e che dunque una sede così di punto in bianco possa inventarsi discendenze apostoliche quando non ne aveva, specie in un periodo dove ci stavano attenti vista la funzione anti-gnostica della successione apostolica. Ed è tonto Ireneo, che cita la chiesa di Roma tra mille altre, chissà perché, ma anzi dice perché lo fa. E non solo, sarebbe così tonto da darsi la zappa suoi piedi e da citare un esempio che invece a tuo avviso non aveva più valore dagli altri. Inoltre chiama la comunità di Roma “chiesa grandissima e antichissima e da tutti conosciuta, fondata dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo”, che distingue la Chiesa romana da un’esemplarità puramente causale. Ora viene da chiedersi con che logica Ireneo dovrebbe fare questo esempio se a tuo dire l’auditorio invece pensava tutt’altro, a che scopo dire se non era vero che quella chiesa deteneva la potentior principalitas (così il testo non tradotto). Era tonto a dire che citava proprio quella Chiesa perché “grandissima e antichissima e da tutti conosciuta” visto che se non fosse stata con siffatte caratteristiche il suo pubblico l’avrebbe saputo? E’ così difficile svestire i panni del filologo dilettante negazionista a priori e usare il benedetto rasoio di Ockham affermando che se dice quelle cose è banalmente perché sono vere? Mai sentito dire “vero sino a prova contraria”. Tu lanci fango e sospetti inventando che sarebbe una mossa strategica in base a cosa? Se tu puoi screditate le fonti per il semplice fatto che non ti garbano inizierò a fare lo stesso con quelle che vorrai citarmi, e bada che vorrei tu iniziassi a farlo nonostante la tua conoscenza internettiana della patrologia. Va ad attaccarti a qualche bel sito protestante e copia un pacchetto pre-fabbricato di citazioni decontestualizzate così ci divertiamo un po’ fino ad ora è stato il fumo più completo e di citazioni patristiche neppure l’ombra.
Inoltre per provare la preminenza della Chiesa di Roma ci si può rifare anche alla sola letteratura del I secolo. Oltre al già citato ed imperativo Clemente, vorrei citare l’incipit della lettera di Ignazio ai Romani. “Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa che ha ricevuto misericordia nella grandezza del Padre Altissimo e di Gesù Cristo, il suo unico Figlio, alla chiesa amate e illuminata dalla volontà di colui che ha voluto tutte le cose che esistono, secondo la fede e l’amore di Gesù Cristo, il nostro Dio, (alla chiesa) che anche presiede nel territorio di Roma, degna di Dio, degna di onore, degna d’essere detta beata, degna di lode, di successo, di santificazione, che presiede all’agape, ha la legge di Cristo, porta il nome del Padre, e che io anche saluto in nome di Gesù Cristo, Figlio del Padre” (Ignazio di Antiochia, lettera ai Romani 3,1, in I Padri apostolici, Roma 1986, 121)
Qui accade quello che si vedrà in seguito anche con le lettere di Dionigi di Corinto (170) alle altre comunità greche, infatti questo vescovo scriverà anche a Roma, ma mentre le comunità greche sono sempre ammonite per qualcosa, Roma è sempre solo elogiata (in Eus, Storia Ecclesiastica IV,23) Qui con Ignazio troviamo la medesima cosa. Mentre in tutte le sue altre lettere egli esorta le altre comunità all’unità, soprattutto all’unità col vescovo (“Non fate nulla senza il vescovo”), e le mette in guardia contro le eresie, la sua lettera ai Romani è redatta in tono del tutto diverso; non contiene ammonimenti né insegnamenti, ma soltanto elogi: la chiesa di Roma non ha bisogno d’essere istruita, perché è lei che “ha istruito gli altri”, e dunque Ignazio desidera che “resti fermo ciò che ha insegnato” (III, 1). (da Schatz op. cit. pag.40-41) Specialmente pèr l’espressione “prokathêmenê tês agapês” (presiede all’agape) sono stati versati fiumi d’inchiostro, perché spesso nel linguaggio patristico e anche in altre ricorrenze ignaziane agape è sinonimo di comunione ecclesiale, il vincolo della carità quale fondamento trascendentale della Chiesa ne farebbe il centro della communio.Su queste ricorrenze nel testo ignazioano ho già dato il link ad un sito che riporta uno stralcio del libro di Falbo sulla questione. Ma soprattutto importante come Ignazio dica di non voler dare loro ordini perché glieli hanno già dati Pietro e Paolo. Insufficiente la ridicola spiegazione secondo tutti i cristiani avevano ricevuto in qualche modo la dottrina di Pietro e dunque nulla di che stupirsi che essa sia giunta alle orecchie dei romani, in questo caso infatti Ignazio dovrebbe avere quel tono mieloso con tutte le chiese e non dare ordini a nessuno, come si può infatti sostenere che la dottrina di Pietro non fosse arrivata anche alle altre chiese cui scrive come Smirne, Filadelfia, ecc? Solo con Roma a quel tono, e spiega anche perché.
Roma grazie a questa sua Traditio privilegiata è vista come una sorta di regina. A questo proposito vorrei citare un’epigrafe funebre, l’iscrizioni di Abercio, un cristiano dell’Asia minore del 200 d.C., che ben documenta a che livello di misticismo si potesse arrivate verso Roma. Il linguaggio è immaginoso e poetico, tipico simbolismo del cristianesimo primitivo: “Il mio nome è Abercio, sono un discepolo del santo pastore, che pastola i greci per monti e pianure, che vede dappertutto con grandi occhi (=Cristo)… A Roma egli (il pastore) mi ha inviato, per contemplare un regno e vedere una regina in abiti d’oro e calzature d’oro; la ho visto un popolo dallo splendente sigillo… Dovunque trovai confratelli; già avevo Paolo per accompagnatore (le lettere di Paolo che portava con sé nei pellegrinaggi come lettura spirituale). La fede mi guidava dovunque e mi imbandiva sempre come cibo un pesce di sorgente (=Gesù, l’ lCHTHYS), straordinariamente grande e puro, catturato da una pura vergine; e questo pesce essa dava sempre agli amici da mangiare, elargendo vino eccellente, offendo vino miscelato e pane” (LThK 1, 1930, 25; H. Grotz, Die Stellung der Römischen Kirche anhand frühchristlicher Quellen, in Archivum Historiae Pontificiae 13 (1975), pag. 47) (Il pesce ovviamente è Cristo nato dalla vergine che ci viene donato nell’eucaristia, qui ricordata nelle due specie del pane e del vino)
La Chiesa di Roma qui è una “regina in abiti d’oro” e un “popolo dallo splendente sigillo”, il ricordo del suo nome, in un aurea mistico-religiosa, da solo fa battere il suo più forte.

“nel NT non esiste alcuna attestazione che Pietro fosse a Roma. Invece le attestazioni di Ignazio sono insufficienti.”

Peccato che tutti ormai la pensino diversamente su cosa sia sufficiente o meno, ma è ovvio che ai TdG piace il negazionismo sempre e comunque. In ambito extra-biblico l’attività e morte di questi due apostoli accoppiati è testimoniata per la prima volta nella lettera di Clemente del 95 d.C. (1Clem 5-6), a ciò si aggiungono, oltre al già citato testo ignaziano, sempre nel II secolo i riferimenti di due scritti apocrifi (l’Ascensio Isaiae e l’Apocalisse di Pietro). Dell’Apocalisse di Pietro in particolare vi cito il famoso testo di solito chiamato “frammento dell’arciduca Rainer”, che così recita (un’esortazione del Signore a Pietro): “Va’ nella città che domina sull’occidente e bevi il calice che ti ho promesso dalle mani di colui che è nell’Ade, affinché la sua distruzione abbia inizio e tu sia degno della promessa”.(fr. Rainer: 115,237) In ambito biblico, come se ce ne fosse bisogno, il riferimento che Pietro scrive da Babilonia, che nel lessico cristiano primitivo è un nome polemico attribuito a Roma. Per convincersene è sufficiente consultare l’Apocalisse guidati dal discernimento e non dai manuali stampati dagli anonimi dilettanti di Brooklyn. “Babilonia, la grande città” che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino dell’ira della propria prostituzione (Ap 14,[SM=g27989] è Roma, la “grande Babilonia”, il cui nome è un mistero (Ap 17,5) Questa babilonia appare come una meretrice, vestita di porpora e scarlatto, adorna d’oro, pietre preziose e perle (Ap 17,4). Siede su sette mondi (Ap 17,9), allusione a Roma, la città dei sette colli. Su di lei viene decretato il gran giudizio e i potenti e i ricchi le piangeranno la fine (Ap 1[SM=g27989], non a caso con la caduta dell’impero è crollata la protezione romana sui commerci e le vie di transito. Non a caso l’apocalisse è uno scritto di circostanza “destinato a rialzare e rafforzare il morale dei cristiani, forse scandalizzati che una persecuzione così violenta avesse potuto scatenarsi contro la Chiesa di colui che aveva affermato “non temete, io ho vinto il mondo”(Gv 16,23)” (dall’Introduzione all’Apcalisse della Bibbia di Gerusalemme). Questo testo non fa altro che parlare dei martiri che hanno reso candide le loro vesti lavandole nel sangue dell’agnello, anch’essi sacrificati nella persecuzione, infatti di questa prostituta si dice che essa è “ebbra del sangue dei martiri”(6,3). E cosa c’era in quel periodo? La persecuzione di Nerone prima e Domiziano poi, quest’ultima contemporanea alla stesura dell’Apocalisse. Questo è il significato di Babilonia per il Nuovo Testamento e la tradizione apocalittica in generale che ho evidenziato citando quel testo dagli Oracoli Sibillini. Ma la testimonianza principe è quella già citata di Papia(130 d.C.) in Eusebio, il celebre passo in cui apprendiamo che il Vangelo di Marco è la trascrizione della catechesi orale di Pietro a Roma. In definitiva non c’è alcun serio motivo per dubitare della notizia se non il più spudorato negazionismo partigiano aprioristico. Per tutte le altre attestazioni su Roma come Babilonia nel cristianesimo primitivo si veda O. Cullmann, Il primato di Pietro nel pensiero cristiano contemporaneo, Bologna, 1965, Il Mulino, 113 ss. Per inciso ricordo che è un autore protestate, a ricordare quando ho già affermato, oggi che si sia biblisti cattolici o protestanti non si vedono motivi per negare la venuta di Pietro a Roma.

“Non ci vedo nulla di strano infatti Paolo era stato a Roma e Pietro non vi era stato ma era comunque considerato una autorità dai cristiani di origine giudaica. Pietro e Paolo scrivevano lettere e dunque non c'era bisogno che fossero a Roma di persona per dare delle direttiva”

Come già detto allora viene da chiedersi perché Ignazio scriva questa cosa solo a Roma, come se di comunità cristiane dove era giunto il messaggio di Pietro non fosse pieno l’impero tutto. Qualunque lettera scriva da rimproveri e ammonizioni, solo per Roma il disco cambia, e non mi venire a dire che era l’unica comunità dell’impero con dei cristiani provenienti dall’ebraismo!

“Miegge non mi pare un "fondamentalista" eppure era scettico.”

Miegge non era fondamentalista? Morto nel 1961 visse la fase del più fiero antipapismo italiano, quello in cui essere protestanti voleva dire additare Roma col titolo “anticristo”. Ad ogni modo se puoi citare solo biblisti morti ciò è la conferma della mia teoria.

“Il Gibbon (che proprio fondamentalista non era) è del parere che Pietro non fosse a Roma.”

Gibbon chi? Ce ne sono tanti. Edward Gibbon?

“l parere di Harnack che tu citi è quello del primo novecento ma non è del tutto corretto”

La questione è molto semplice, non ho bisogno per dimostrare un teorema di confutare l’esistenza di eventuali eccezioni, mi interessa semplicemente fotografare la situazione generale. Se Harnack che evidentemente l’ambiente delle scienze bibliche protestanti lo conosceva a menadito, anci era il principe della storia del dogma, può arrivare a dire: “Non vi è studioso che attualmente esiti a riconoscere che questo fu un errore”, evidentemente un consenso su questo punto c’era. Poi è ovvio che l’accordo totale da parte di tutti su una qualunque cosa non esisterà mai, qui come già detto si vuole semplicemente dar conto della linea generale e fotografare la battaglia persa dei TdG.

“Guignebert in Francia, Adolf Bauer a Vienna, E. T. Merrill in Inghilterra, H. Dannenbauer e Johannes Haller in Germania.”

Ovviamente avere le coordinate precise è un’utopia, ma non ho difficoltà a crederti visti i tipi citati. Guignebert (1867-1939), ex-cattolico scomunicato e arrabbiato con Roma appartenente alla corrente razionalista. Adolf Bauer (1855-1919), E. T. Merrill (ignoto, non sta sul Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon e nessuna biblioteca italiana, compresa quella del PIB, ha un suo libo), Dannenbauer (idem), Haller, Johannes(1825-1900). Ergo mi citi solo mummie, rappresentanti della vecchia scuola razionalista, che quando Harnack scriveva erano in procinto di crepare. Come sempre fonti aggiornatissime.

“Io qui ti ho citato non opuscoli di propaganda ma pareri di studiosi che ritengo indipendenti,”

E gli indipendenti sarebbero?

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15/11/2006 13:40
 
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Caro Polymetis,

Un consiglio: vedi di dormire la notte!

Per il resto a me sembra che i tuoi argomenti siano estremamnete deboli e forzino quanto i testi e la storia attestano realmente. Gli studiosi indipendenti sono chiaramente schierati contro le tue tesi che sono difese, per altro, solo da storici cattolici. Se vuoi discutere argomenti singoli vedi di essere più sintetico!

Shalom
15/11/2006 14:46
 
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Dimmi, ripetere ciò che ho già analizzato ti fa auto-convicnere che il tuo mantra sia corretto? La sintesi la lascio a chi vive delle semplificazioni, io mi baso sulle fonti.

"Gli studiosi indipendenti sono chiaramente schierati contro le tue tesi che sono difese, per altro, solo da storici cattolici."

Ho analizzato e confutato pure questa pretesa, pregasi leggere, ed, eventualmente, rispondere.

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15/11/2006 15:28
 
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Caro Polymetis,


La sintesi la lascio a chi vive delle semplificazioni, io mi baso sulle fonti



Infatti sono quelle ad essere troppo esigue ed ambigue rispetto all'importanza del tema. Forse tu non te ne accorgi perchè sei emotivamente coinvolto ma chi non lo è oppure lo è in senso opposto vi trae delle conclusioni del tutto differenti.


Ho analizzato e confutato pure questa pretesa, pregasi leggere, ed, eventualmente, rispondere



Non ho letto alcun confutazione convincente. Io continuo a vedere che sono solo gli storici cattolici a sostenere la tua tesi mentre gli altri sono ben più cauti e proprio davanti alle stesse fonti che tu citi.

In ogni caso ti invito a maggiore sinteticità, tratta un tema per volta altrimenti è impossibile fare qualunque discussione.

Shalom

[Modificato da barnabino 15/11/2006 15.30]

15/11/2006 15:42
 
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Pregasi di dire qualcosa di concreto.

“Infatti sono quelle ad essere troppo esigue ed ambigue rispetto all'importanza del tema.”

Aspetto in grazia di sapere quali fonti attestano il contrario di quanto ho scritto sul primato, nella misura in cui io l’ho esplicitato ovviamente

“Non ho letto alcun confutazione convincente.”

Facile parlare senza argomentare.

“Io continuo a vedere che sono solo gli storici cattolici a sostenere la tua tesi mentre gli altri sono ben più cauti e proprio davanti alle stesse fonti che tu citi.”

Come già detto è falso, ho citato addirittura un libro che è un florilegio di studiosi protestanti pro-primato. Quanto agli ortodossi essi non rifiutano il primato petrino, si tratta di finirlo in base a quello che era il modello nel I millennio, e su questo ci sono già stati dei risultati ecumenici. Ergo risparmiami la solfa: “i cattolici contro tutti”, perché è falsa, e, anche se fosse ex ipotesi vera, nulla vieta logicamente che abbia ragione una persona su un milione. C’è poi un’interessante fenomeno, quello della conversione dei protestanti al cattolicesimo, e spesso dopo aver analizzato proprio la questione dell’apostolicità della Chiesa e del primato, come avvenne per l’anglicano Newman. Ciò è la prova che bisogna misurarsi con le fonti, perché anche chi non parte da un coinvolgimento emotivo a aprioristico cattolico può arrivare alle medesime conclusioni. Quando dico che nulla vieta che abbia ragione una persona su un milione mi rifaccio a esempi concreti. I TdG sono pieni di dottrine che affermano solo loro, ad esempio al distruzione di Gerusalemme nel 607, ma questa non è una provava priori che sia una data falsa, per sbugiardarli noi scendiamo sempre nel campo delle fonti. Per di più è utile rimarcare la differenza: mentre ex ipotesi i soli cattolici che difendono il primato hanno tutti nome e cognome con tre lauree, le dottrine della WTS sono difese dai beati anomini che scrivono le loro e non hanno alcun accogliemento nel mondo accademico.

"In ogni caso ti invito a maggiore sinteticità, tratta un tema per volta altrimenti è impossibile fare qualunque discussione. "

Questo è un solo tema. Primato di Pietro, trasmissibilità del primato, ricezione del primato nel resto dell'ecumene.
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(Κ. Καβάφης)
15/11/2006 16:52
 
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Ti ripeto,


Ciò è la prova che bisogna misurarsi con le fonti, perché anche chi non parte da un coinvolgimento emotivo a aprioristico cattolico può arrivare alle medesime conclusioni



Nelle fonti che citi non riesco davvero a vedere il primato petrino, non è che devo "confutare" qualcosa di quello che dici, e proprio non ne leggo gli estremi e come me tanti studiosi non cattolici.

Leggere nelle fonti citate che Pietro fu a Roma, che ne fu vescovo, che trasmise una fantomatica successione apostolica a Lino e che questo rese Roma la "cattedra di Pietro" mi pare davvero oltre ogni possibile lettura equilibrata di quei testi se non altro perchè prima del 180 non ne abbiamo nessuna notizia fondata. Una questione importante come questa che parte dal buio totale su Pietro nelle fonti del I secolo per arrivare ad lentamente ad arricchirsi sempre di più di particolari sempre più vividi sulla la vita e la morte dell'apostolo man mano che passano i decenni ha tutte le connotazioni di una pia favoletta che fu costruita ad hoc.

Lo stesso dicasi di Roma, le fonti sono troppo esigue, frammentarie ed ambigue per poter dire nulla di certo. io propendo per una soluzione intermedia, con Roma certo importante ma senza alcuna posizione "creativa" o "autoritativa" a livello dottrinale. Questa è la posiziione che ha il consensus accademico e quanto evinco dalle fonti.

Shalom



15/11/2006 20:49
 
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Re:

Written by: barnabino 15/11/2006 16.52

Leggere nelle fonti citate che Pietro fu a Roma,



In quanto seguo con piacere questa discussione, intervengo solo per dire, che oggi la stragrande maggioranza indipendentemente dal credo, è concorde sul fatto che Pietro è stato a Roma ed ha subito il martirio.

[Modificato da luigi2 15/11/2006 20.51]

15/11/2006 23:27
 
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Caro Luigi,


oggi la stragrande maggioranza indipendentemente dal credo, è concorde sul fatto che Pietro è stato a Roma ed ha subito il martirio



In realtà gli storici indipendenti, pur non escludono a priori la venuta e la morte di Pietro a Roma, ritengono storicamente non provato che diventassa per lungo o breve tempo "vescovo" di quella città ed il fatto che non si escluda l'ipotesi di una sua venuta a Roma non si basa su prove positive ma dipende dal fatto che non esistono altre tradizioni sul luogo della morte di Pietro. Oscar Cullmann (pur favorevole alla tesi di Pietro a Roma) deve ammettere:

"Questi testi tardivi che affermano, ormai in crescente numero che Pietro è venuto a Roma e vi ha subito il martirio, non presentano alcun interesse storico, se non per chi si occupa di storia dei dogmi, perchè a lui mostrano la storia della tradizione" (O. Cullmann, Il primato di Pietro, p.102)

Dunque più che del Pietro storico ci informano di quello della fede del II-III secolo.

Shalom
16/11/2006 09:40
 
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Caro Polymetis,

“Quello che sto dicendo è che trovare un testo in bibliografia per gli esami di una disciplina ci dice solo che l’impianto dell’opera è buono e che gli autori sono studiosi quotati, non ci dice nulla col fatto che l’autore sia specialistista in questa o quell’altra materia che trovi esposta nel corso di un manuale che analizza 4 secoli”

Certamente, ma questo non significa che le tesi esposte siano diciamo così “eterodosse”, ovvero non in linea con il consensus accademico, ma anzi l’esatto contrario. Non saranno approfondite o adatte a specialisti di settore, ma se nel manuale scorgo che il primato di Roma è dovuto a motivi diversi dalla presenza di Pietro io devo credere a questi studiosi quotati o no ? Io dico di si ! Altrimenti sarebbero stati smentiti ed il loro manuale non sarebbe presente come testo per tutti gli esami di storia del cristianesimo. Tu mi chiedi di non parlare per ipse dixit, ma nel manuale vengono effettivamente argomentate le tesi, cosa devo fare, riportare intere pagine del libro ? Io riporto le conclusioni, altrimenti farei dei post chilometrici, ma se è questo che vuoi lasciami il tempo di organizzare il materiale e risponderò alle tue domande.

Prendo un manuale accreditato da tutte le università italiane, quindi vagliato da tutti gli studiosi del settore, vi scorgo una tesi, la propongo come tesi accreditata e tu mi dici che sono ipse dixit ? vaglielo a dire a Lupieri e Filoramo e a tutti coloro che lo mettono in bibliografia.

“E questo esitto te l’ha reso evidente con delle fonti? “

Come già detto fa tutta un’analisi del contesto storico, letterario, in cui nascono i testi antichi e arriva a queste conclusioni, credi che lui non conosca le fonti ?
O credi che le legga "male" ? Se così fosse non sarebbe nelle bilbiografie di tutte le universotà non credi ?

“Finora io ho visto solo Padri della Chiesa che elogiano Roma per la sua tradizione apostolica privilegiata”

Certamente essendo la tradizione direttamente derivata da Paolo che divenne, come diviene chiaro anche in Atti, ancor più importante di Pietro. Inoltre non basta che una fonte dica una cosa per ritenere che questa cosa sia vera ! Le fonti vanno vagliate per la loro attendibilità storica e tu questo lo sai benissimo. Se gli autori ritengono che alcune fonti non siano attendibili dal punto di vista storico, essendo studiosi seri, io credo loro.

Ciao
Andrea
16/11/2006 12:43
 
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Scusa barnabino pensavo che tu non eri d'accordo sul fatto che Pietro fosse venuto realmente a Roma.

Ciao.
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