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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
06/01/2007 10:44
 
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Dall’Alsazia con amore…

Leggo solo le e-mail quando sono via, e qualcuno ha avuto il buon senso di avvertirmi che in questo forum qualcuno stava giocando a fare l’antichista con profonde dissertazioni di patristica. In riferimento al primo messaggio di Barnabino in questa pagina, quello del 04/01/2007 23.46, ho avuto l’impressione di leggere un messaggio cui avevo già risposto. Barnabino evidentemente non ha letto una sola riga del mio ultimo post a lui indirizzato, visto che le sue obiezioni sono un autentico CLONE a quanto è stato già confutato. Chi volesse trovare smascherate tutte le panzane e gli autentici ERRORI di Barnabino, tanto per fare un esempio la sua fissazione sull’idea errata che in Ireneo si parlerebbe del bollito di Giovanni a Roma (e si confonde con Tertulliano) o che egli sia la prima fonte diretta del martirio di Pietro nell’Urbe, può trovare tutto meticolosamente svolto nel mio post che è stato saltato a piè pari. Sono state ignorate tutte le attestazioni nella letteratura cristiana del I secolo quali l’Ascensio Isaiae o il fr. Rainer che parlano del martirio di Pietro, si è continuati imperterriti a dire che Pietro andò a Babilonia appoggiandosi a Giuseppe Flavio quando bastava leggere il mio post per sapere se nelle Antichità Giudaiche lo storico dice l’esatto contrario, ossia afferma addirittura a chiare lettere che a metà del I secolo gli ebrei non erano a Babilonia in quanto la comunità era migrata in massa dalla città(e se volete le coordinate temo dovrete leggerlo). Si sono dette sciocchezze come il fatto che nella letteratura precedente alla distruzione del tempio non sarebbe attestata un’equivalenza tra Roma e Babilonia quando invece l’uso di questa “metafora” viene proprio dai testi apocalittici giudaici composti prima di Cristo. Insomma una serie di madornali errori dal nostro antichista della domenica, e c’è risposta a ciascuno di essi in quanto avevo scritto. Riporto il mio ultimo post nella parte dedicata a Barnabino, perché come già detto c’è letteralmente la risposta ad ogni sua singola frase del primo intervento di questa pagina, essendo queste una copia di ciò a cui avevo già risposto. Mi auguro davvero come moderatore che una cosa tanto penosa non abbia mai più a ripetersi. Quanto ai suoi interventi successivi, c’è qualche frase nuova, quindi la commenterò in appendice.

Per Barnabino

Questo tuo messaggio è un capolavoro di mezze verità, insinuazioni, ipotesi ad hoc, teoremi di colpevolezza fino a prova contraria, un pastiche di metodo astorico.

"Dire "assai probabile" con queste considerazioni mi pare azzardato, diciamo che potrebbe essere al massimo "compatibile" ma dalla lettura di Ignazio in sé non si può evincere nulla"

Al contrario storici anche protestanti sono di parere diverso. [E quanto segue risponde anche alla lettura secondo cui la frase vorrebbe dire"io non do ordini come lo farei se fossi Pietro e Paolo]. Per i motivi già elencati e che non ti sei degnato di commentare:

"Nel cap. 4, 3 di questo scritto leggiamo: “lo non v'impartisco ordini come Pietro e Paolo, quelli (erano) apostoli, io un condannato; quelli liberi, io finora uno schiavo; ma se soffro diventerò un liberto di Gesù Cristo, e risorgerò in lui uomo libero”. Così scrive Ignazio alla comunità di Roma, ed è degno di nota che egli richiami alla memoria proprio di quella comunità gli esempi di Pietro e di Paolo. Poiché Pietro non ha mai scritto leggere ai romani, se ne evince che sia stato a Roma direttamente. (...) Dà da pensare che egli proprio nella lettera ai Romani non si accontenti di un espressione generica ma citi per nome proprio Pietro e Paolo. Non si può assolutamente considerare automatica la giustapposizione di Pietro e di Paolo, quando si menzionavano nomi di apostoli: questo potrebbe infatti valere per il periodo posteriore, ma non certo per quello di Ignazio. Non si può eludere il problema del perché i due apostoli fossero menzionati insieme, benché essi, a parte l'incontro di Gerusalemme e lo scontro di Antiochia, non avessero mai operato insieme e anzi, in base all'accordo di Gerusalemme (Gal. 2, 9), dirigessero due organizzazioni missionarie distinte. (...) Nel passo parallelo della lettera ai Tralliani (3, 3) Ignazio non menziona il nome di alcun apostolo : non aveva alcuna ragione di farlo, scrivendo a una comunità che non aveva ricevuto alcuna visita apostolica. Invece nella lettera agli Efesini, fra i quali Paolo era stato, egli menziona per nome questo apostolo, se pure in tutt'altro contesto (12, 2). Egli chiama gli Efesini “i consacrati di Paolo”, poiché Paolo ha esercitato l'apostolato in Efeso. Analogamente Ignazio menziona Pietro e Paolo nella lettera ai Romani, poiché entrambi erano stati a Roma. Questo passo permette di trarre qualche conclusione anche in merito a un'attività precedente dei due apostoli, in Roma? Il verbo “dare ordini” sembra suggerirlo. Qualcuno ha affermato, è vero, che in tal modo sarebbero semplicemente indicate le istruzioni date da Paolo nella sua lettera ai Romani, ma in tal caso non si comprenderebbe l'accostamento del nome di Pietro" Inoltre come s'è visto il testo di Ignazio parla proprio del martirio di Pietro e Paolo col classico "eleutheroi" legato alla gloria e alla persecuzione, in una lettera ai romani.

"specialmente se confrontate con gli scritti canonici che tacciono perfino la presenza di Pietro a Roma."

Come già detto è falso, ne parla Pietro nella sua prima lettera. Del resto non potremmo aspettarci altro. L'unico testo "storiografico" del Nuovo Testamento, che pretenda di raccontarci la vita della Chiesa, cioè gli Atti, si chiude addirittura prima della morte di Paolo, dunque è inutile cercarvi notizie sul martirio di Pietro. Inoltre la distinzioni tra fonti canoniche o meno è del tutto irrilevante per lo storico, ho portato all'attenzione sulla scia di Cullmann cosa dicano a proposito della morte di Pietro a Roma il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae, entrambe opere apocrife di fine I secolo.

"Per altro sarebbe da capire anche quanto storici siamo gli scritti di Ignazio (a partire dallo strano viaggio per essere messo a morte e dal fatto che nessuna fonte antica ne attesta il martirio a Roma!)"

Iniziano le insinuazioni ingiustificate, col negazionismo a priori in testa. Il viaggio a Roma per subirvi il martirio è assimilabile al viaggio fatto da Paolo stesso, delle sue lettere ci parla per primo Policarpo nella sua lettera ai Filippesi, i quali gli chiedevano una copia delle lettere del vescovo di antiochia. Non me ne intendo di agiografia e dunque non so quali siano le più antiche fonti del martirio di Ignazio a Roma, che tanto per inciso è irrilevante perché nelle sue lettere ovviamente non se ne parla essendo l'autore ancora in vita. Se si scrive di martirio romano è perché l'autore stesso si immagina divorato dalle belve quando sarà giunto nell'Urbe. Comunque non è vero che nessuna fonte antica ne attesta il martirio a Roma, il riferimento più antico che, da non addetto ai lavori, sono riuscito a trovare, è in una fonte ben antica, cioè in Ireneo che ci dice venne condannato ad bestias (Adv. Haeres., V, 28,4) Questa è un'informazione di prima mano perché Ireneo era discepolo di Policarpo, e quest'ultimo era amico di e corrispondente epistolare di Ignazio.

“con la sua esaltazione ed il suo punto di vista che non sappiamo quanto fosse condiviso..."

Punto di vista su che cosa?

"insomma egli rappresenta solo un punto di vista limitato e non la realtà storica del momento che invece sembra essere molto più complessa."

Non mi dici di cosa parli e dunque non posso risponderti. Ad ogni modo Ignazio è il vescovo di Antiochia, quindi a meno che non avesse meno di cinquant'anni non solo era successore di Pietro nella cattedra di quella città ma l'aveva anche conosciuto. Antiochia non è il Bronx, la chiesa siriaca è tra le più importante nei primi secoli, addirittura una delle sedi della pentarchia. Inoltre scrive ai maggiori centri cristiani del tempo, come Efeso, Smirne e Roma, evidentemente era ben informato sulla situazione generale. Ma sappiamo che il tuo negazionismo è puramente a macchinetta dunque non ho alcuna possibilità di farti desistere dalla tua assurda convinzione di conoscere il cristianesimo meglio di un vescovo del primo secolo, per giunta di un vescovo di tradizione petrina.

"A mio parere le sue parole, se lette in modo neutrale, farebbero propendere addirittura per l'assenza di Pietro in quella città, infatti non vi è alcun riferimento diretto al suo martirio"

Anche questo è falso. Ho scritto: "Nella Lettera ai Romani Ignazio parla del martirio che lo aspetta a Roma. Davanti agli occhi spirituali vede l'arena nella quale sarà maciullato dalle fiere: “Lasciatemi diventare cibo delle fiere mediante le quali mi è possibile giungere a Dio... Lusingate piuttosto le fiere, affinché diventino la mia tomba...” Queste parole precedono immediatamente la menzione di Pietro e Paolo. Qui egli gioca con le parole libero e schiavo: fino a questo momento si sente schiavo. Col martirio diventerà liberto di Gesù Cristo perché risorgerà uomo libero in lui. Quando descrive Pietro e Paolo come uomini che sono liberi, Ignazio si riferisce certamente al loro martirio con il quale anche loro hanno raggiunto la libertà definitiva (anche perché dice di essere schiavo “finora”, ma dopo il martirio non lo sarà più). Nella lettera ai cristiani di Efeso Ignazio dichiara esplicitamente di voler essere trovato a seguire le impronte di Paolo sul cammino che porta a Dio, cioè seguire l'apostolo nel martirio. Come la città di Efeso fu per Paolo un passaggio del suo cammino definitivo verso Dio, così sarà anche per lui, Ignazio, che nella traduzione da Antiochia a Roma passa in catene per Efeso. Se Ignazio paragona, anzi mette in parallelo, il proprio destino con quello di Pietro e Paolo, evidentemente sa del loro martirio romano. Come lui sta andando incontro alla morte violenta a Roma, così essi sono già giunti a destino percorrendo il medesimo cammino che porta a Dio."
Rileggiamo il testo: "Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi do ordini come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi, io finora uno schiavo. Ma se soffro sarò affiancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla."
Ignazio è finora uno schiavo, perché quando sarà martirizzato sarà libero, come Pietro e Paolo, morti martiri anch'essi e dunque liberi. Si parla dunque del loro martirio.

"E' certo possibile che cominciassero a nascere delle leggende sulla presenza Pietro a Roma, ma come pie invenzioni e non come fatti storici devono essere considerate"

Abbiamo già discusso della follia metodologica di questo metodo altrove quando contestualizzai il tuo tarocco di O. Cullmann, e ancora non ho avuto risposta, giacché lo storico prende chiaramente posizione su questo punto.
Riproposizione dell'episodio…
Avevi scritto



Oscar Cullmann (pur favorevole alla tesi di Pietro a Roma) deve ammettere: "Questi testi tardivi che affermano, ormai in crescente numero che Pietro è venuto a Roma e vi ha subito il martirio, non presentano alcun interesse storico, se non per chi si occupa di storia dei dogmi, perché a lui mostrano la storia della tradizione" (O. Cullmann, op. cit., p.102)



Risposta che diedi e che aspetta ancora una replica:


Qui ci sono due problemi. In primis hai tagliato quanto scritto prima, ed è ciò che illumina le affermazioni successive. In secondo luogo la traduzione nell’edizione italiana è diversa (hai tradotto direttamente dall’originale o hai una versione italiana diversa? Citazione completa: “non è però corretto attribuire a tali tendenze(il crescere dei particolari N.d.R.) l’invenzione del soggiorno e del martirio di Pietro a Roma: la funzione di esse può essersi limitata a sottolineare e a prolungare tradizioni più correnti. D’altra parte questi testi più tardivi, che con forza e uniformità sempre maggiori attestano che Pietro è stato a Roma e vi è morto martire, dal punto di vista storico possono avere per noi interesse soltanto per ciò che riguarda la storia dei dogmi, in quanto attestano lo sviluppo della tradizione”(pag. 154-155) Quindi non definisce i testi “tardivi” ma solo “più tardivi” degli altri (in riferimento alla crocifissione a testa in giù), il che è una constatazione temporale e non un giudizio, e non si dice che non hanno “alcun interesse storico”, né tanto meno che possano aver inventato tradizioni così dal nulla.




Come già detto, qualunque fatto della storia antica viene amplificato con il passare degli anni, ma il dedurre nell'analizzare fonti di secoli dopo, per il solo fatto che aumentano i particolari, che il nucleo storico non esiste, farebbe crollare tutti i manuali di storia antica. Ho già fatto un esempio a Spirito su questo punto. Prima le informazioni che abbiamo sull'omicidio di Cesare sono scarne, poi invece veniamo addirittura a sapere che la moglie l'aveva sognato la sera prima e l'aveva pregato di non andare in senato. Se dovessimo usare il tuo metodo leggendo questo ridicolo brano di Svetonio sulle idi di Marzo ne dovremmo dedurre che visto il cumulo di particolari leggendari l'assassinio del divo Giulio non sia mai avvenuto:

"La morte imminente fu annunciata a Cesare da chiari prodigi. Egli venne a sapere che le mandrie di cavalli che aveva consacrato, attraversando il Rubicone, al dio del fiume, e aveva lasciato libere di vagare senza guardiano, si rifiutavano con assoluta ostinazione di pascolare e piangevano a dirotto. E mentre faceva un sacrificio, l'aruspice Spurinna lo ammonì di guardarsi dal pericolo, che non si sarebbe protratto oltre le Idi di marzo. In quella notte, poi, che precedette il giorno dell’assassinio, anche Cesare stesso sognò ora di volare al di sopra delle nubi, ora di stringere la mano di Giove; e la moglie Calpurnia sognò che crollava la sommità della casa e che il marito veniva ucciso nel suo grembo; e all’improvviso le porte della camera da letto si aprirono da sole. A causa di questi presagi, ed anche per il cattivo stato di salute, Cesare, a lungo indeciso se restare in casa e differire gli affari che si era proposto di trattare davanti al Senato, alla fine, poiché Decimo Bruto lo esortava a non deludere i senatori accorsi in gran numero e che lo stavano aspettando ormai da un pezzo, verso la quinta ora s’incamminò, e quando gli fu consegnato da uno che gli era venuto incontro un biglietto che denunciava la congiura, lo mise insieme con gli altri biglietti che teneva nella mano sinistra, come se volesse leggerlo più tardi. Dopo aver fatto quindi molti sacrifici, poiché non riusciva ad ottenere auspici favorevoli, entrò in curia incurante di ogni scrupolo religioso, deridendo Spurinna ed accusandolo di dire il falso, perché le Idi erano arrivate senza alcun danno per lui: Spurinna però gli rispose che erano arrivate, sì, ma non erano ancora passate." (Svetonio, Vita di Cesare, 81 passim)

Questo a significare che non bisogna scambiare i particolari di contorno col nucleo duro di una tradizione che invece è ben attestata. Non solo infatti non c'è alcuna altra tradizione concorrente, eppure parliamo del principe degli apostoli, ma per di più è una tradizione riconosciuta anche dall'Oriente.

"alla stregua del presunto "bollito" che secondo Ireneo fu tentato con Giovanni a Roma"

Digiti a macchinetta fregandotene delle obiezioni che ti vengono fatte?
Avevo scritto:
a)Non so di che testo di Ireneo stai parlando, probabilmente ti confondi con Tertulliano b) Ireneo, vescovo proveniente dall’Asia minore ed in seguito venuto a Roma, è uno dei meglio informati su tradizioni di qualunque tipo grazie al suo legame con Policarpo. c)Io non ho nessun problema a credere che anche Giovanni sia passato per Roma, ma visto che non so neppure di che testo tu stia parlando sospendo il giudizio prima di analizzarlo. Spero che non si riveli un altro caso di Gesù sopravvissuto alla crocifissione e morto a 50 anni, passo inesistente.

"Insomma dagli scritti appare una volontà di "legittimare" Roma in modo via via crescente con gli anni."

Come già detto i primi scritti non hanno nulla a che fare con la legittimazione sono di carattere apocalittico. Inoltre come già detto trovare un movente non vuol dire dimostrare la colpevolezza: stai procedendo in base al paradigma del colpevole fino a prova contraria. Si noti come questa legittimazione di Roma data dal martirio di Pietro non sia mai stata contestata in Oriente, anzi da Dionigi sappiamo che la lettera di Clemente a Corinto fu ricevuta proprio in virtù della comune predicazione petrino-paolina delle due comunità.

"Questa mi pare l'unica conclusione seria e non apologetica"

Allora evidentemente gli studiosi protestanti che oggi non mettono più in dubbio la venuta di pietro a Roma sono tutti poco seri e addirittura apologetici. Se la mia è apologetica la tua che è faziosità e partigianeria da setta fondamentalista americana, che con la scienza non ha nulla a che fare. Nessuno studioso protestante contesta più il martirio di Pietro a Roma, a questo proposito hai saputo citare solo delle mummie che al momento stanno nell'empireo.

"che possiamo trarre da documenti (per di più numerosi!) che nel I secolo non testimoniano la presenza di Pietro"
Anche a questo modo ridicolo di fare storia ho già risposto, Riporto quanto già scritto e ancora in attesa di replica (chi ha letto il mio post a Spirito qui salti pure, il brano è già stato riportato).
Avevi scritto:



“Abbiamo il silenzio totale di una ventina di libri e lettere. Niente male, non credi?”



Mia risposta:


Non se questi scritti parlano di tutt’altro fuorché Roma. Gli argumenta e silentio notoriamente non valgono nulla, valgono qualcosa solo nel caso ci sia un silenzio su qualcosa in un testo che tratta proprio di quell’argomento. Ad esempio se mi dicono che Cesare è il comandante della campagna in Gallia ma in un testo coevo sulla guerra gallica nessuno mi nomina mai Cesare posso pensare che ci sia sotto qualcosa. Ora analizzando la miseria che c’è rimasta dell’epoca apostolica bisogna considerare quali testi avrebbero avuto l’occasione di parlare di Pietro a Roma, perché degli altri è ovvio che l’assenza di menzioni su Pietro a Roma è equivalente all’assenza di menzioni della ricetta per cucinare i cannelloni, giacché semplicemente quell’argomento non c’entra nulla col testo. Si ha occasione di parlare di Pietro a Roma ovviamente se si parla di Roma. Analizziamo dunque nei Padri Apostolici quanti scritti ci siano rimasti che parlino della comunità di Roma o di Roma in generale.
-Ignazio di Antiochia, (otto lettere di una paginetta ciascuna rimaste, parla di Pietro e Paolo proprio nelle lettera ai romani, proprio come in quella agli Efesini che erano depositari dell’insegnamento di Paolo parlo di lui) 8
-Pseudo-Barnaba, (sopravvissuta una lettera di otto paginette su questioni giudaiche, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Erma (Uno scritto rimasto, Il pastore d’Erma, un’opera in visioni che ha tutto fuorché la realtà di cui occuparsi, credo che sarebbe più probabile trovare menzione di Pietro in un libro di oroscopi) 1
-Policarpo di Smirne, (1 lettera di una paginetta rimasta, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Papia di Ierapoli (Rimasti solo frammenti, parla della predicazione di Pietro a Roma e della stesura del Vangelo di Marco su richiesta dei romani che ne derivò, in Eus, op. cit., II, 15, 2) 0
-Anonimo, Didaché(5 paginette,Non parla né di Roma né di Pietro)1
-Clemente Romano (vescovo di Roma, parla del martirio di Pietro e Paolo “fra noi”, ne ho trattato specificatamente in un articolo) 1
-Anonimo, A Diogneto (Sopravvissuta una lettera di 4 paginette, Non parla né di Roma né di Pietro)1
Ho dimenticato qualcuno? Vediamo dunque. Voi amici lettori siete riusciti a contare 20 opere?Io ne ho contate 14, di cui 7 sono lettere di Ignazio scritte ad altre comunità come Efeso o Tralle, ergo ridicolo domandarsi perché non ci parli della comunità di Roma. Delle restanti 7 opere apostoliche nessun altra c’entra qualcosa con Roma o parla di quella chiesa tranne l’epistola di Clemente che parla della comunità romana per confrontarla con quella di Corinto, e infatti saltano fuori Pietro e Paolo, tra le sette rimanenti c’è l’ottava lettera di Ignazio che abbiamo lasciato fuori dal computo precedente, cioè quella ai Romani, della quale abbiamo già discusso. Alla luce dei fatti parandosi dietro una quantità così misera di fonti, fonti brevissime e non storiografiche, e per giunta fonti che parlano di tutt’altro fuorché l’argomento in questione, un argumentum e silentio vale meno di una cicca. Questo signori miei si chiama metodo storco-critico, ed è il motivo per cui oggigiorno i biblisti protestanti non contestano più la venuta di Pietro a Roma.




Avevo aggiunto, ovviamente senza ottenere risposta, le testimonianze nella letteratura apocalittica del I secolo nell'analisi di Cullmann e Gnilka:



E ora vorrei aprire una parentesi su delle nuove fonti, l’attestazione della morte di Pietro a Roma negli apocrifi dei primi due secoli. Il primo passo è tratto da un testo apocrifo del I secolo (per la datazione si veda Cullmann, op.cit. pag. 150), l’Ascensione di Isaia, composto in tre parti e contenente una piccola apocalisse cristiana(Asc. Is. 3,13-4,18 ). Per chi volesse leggerlo in italiano lo potete trovare in M. Erbetta, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, tomo III, 175-204. In questa apocalisse si trova un passo che dovrebbe riferirsi al martirio di Pietro. Si parla di un re ingiusto, di un matricida, nel quale si sarebbe incarnato Beliar(=il diavolo). In una finta profezia si predice che avrebbe perseguitato la piantagione piantata dai dodici apostoli del Diletto (del Figlio Diletto) e che uno dei dodici sarebbe stato dato in sua mano (Asc. Is 4,2 s.). Non c’è alcun dubbio che col re matricida si voglia indicare Nerone,. Questo nome si era attaccato saldamento all’imperatore. (Dione Cassio 62,18,4; Or. Sib. 4,121)Egli ha perseguitato la piantagione del diletto, cioè la Chiesa. Quando, in un siffatto contesto, si menziona uno dei dodici apostoli, non può trattarsi che di Pietro. Paolo non appartiene al gruppo dei dodici apostoli. Se il nome di Pietro non viene fatto esplicitamente ciò è dovuto allo stile apocalittico che procede per riferimenti indiretti. “Dato in mano a qualcuno” è una formulazione già di per sé minacciosa; ma se la mano di un matricida quella in cui si cade, può trattarsi solo del peggio. Merita di osservare che il passo connette ancora una volta la persecuzione della comunità e il destino di Pietro con Nerone. C’è uno stretto nesso tra questo testo e il frammento Rainer dell’Apocalisse di Pietro, anch’esso di fine I secolo (E. Peterson, Das Martyrium des hl. Petrus nach der Petrus-Apocalypse, in Frühkirke, Judentum und Gnosis, Roma, 1959, 88-91; O. Cullmann, op. cit. pag. 151)). Il passo rilevante ai nostri scopi recita: “Ecco, o Pietro, ti ho rivelato e spiegato tutto. Ora va nella città della prostituzione (ovviamente Roma N.d.R.) e bevi il calice che ti ho promesso dalle mani del figlio di colui che si trova nell’Ade. Così la sua distruzione avrà inizio, ma tu sarai invece degno della promessa”. Anche qui collimano nello stesso discorso Nerone, Pietro e l’orizzonte escatologico. Importante è anche la concentrazione su Pietro che contraddistingue questa tradizione. Essa è più antica di quella che pone Pietro e Paolo in parallelo. Dovrebbe essere sorta come tradizione autonoma: essa ci diviene accessibile verso gli anni novanta del I secolo, cioè trent’anni dopo gli eventi. Questa distanza cronologica relativamente breve garantisce l’attendibilità del martirio romano di Pietro. In questa medesima decade rientra la composizione della prima lettera di Clemente, della piccola apocalisse contenuta nell’Ascensione di Isaia, dell’Apocalisse di Giovanni e certamente anche del testo contenuto nel frammento Rainer (da Gnilka, op. cit. pag. 114-115)




"Il fatto stesso che Ignazio non ne faccia riferimento diretto indica che evidentemente poteva facilmente essere smentito."

Siamo al delirio del paralogismo. Adesso Ignazio diventa qualcuno che voleva parlare del martirio di Pietro ma non ne fa riferimento diretto perché poteva essere smentito e dunque vela la questione. La domanda: se il successore di Pietro ad Antiochia sapeva di un suo martirio romano, tu ne sai forse più di lui? Inoltre dire che l'ha detto indirettamente perché aveva paura di essere smentito presuppone la malafede, cioè che sapesse di mentire e dunque celasse quello che voleva dire. Ma sorge la domanda: perché lui che era vescovo di Antiochia dovrebbe mentire sul martirio di Pietro a Roma? Non è un cattolico del XVI secolo intendo a dissertare con un protestante, a lui che Pietro sia morto a Roma non fa né caldo né freddo, non ha un partito ideologico basato su tale Traditio da difendere. Inutile cioè inventarsi qualcosa che non torna utile. E poi, se a tuo dire scrive in modo velato per non essere smentito dai romani, e dunque sa che il martirio è falso se immagina che i romani lo smentirebbero, perché usa questa Tradizione che sa essere falsa? Cosa aveva da guadagnarci? "Cui prodest?" direbbe Cicerone. Poteva essere smentito da chi, dai romani? Perché mai dovrebbe scrivere di un martirio, ma farlo in modo criptico, alla città che quel martirio non l'aveva visto? Sia che non si capisse il linguaggio velato, sia che lo si capisse, in nessun caso avrebbe raggiunto un risultato, infatti nel I caso il suo messaggio non arrivava e nel II caso, da coloro tra i romani che avessero inteso il suo parlare del martirio, sarebbe stato comunque smentito, giacché anch'essi erano romani e dunque testimoni oculari come chi il simbolismo non l'aveva inteso. In definitiva non ha il benché minimo senso quello che hai scritto.

"Se poi come tu sostieni"

Io sostengo? Il mondo accademico sostiene. Ho portato le argomentazioni seguenti:


A ciò si aggiunga la testimonianza dello steso Pietro, o chi per lui, che scrive da Roma “vi saluta la comunità che sta in Babilonia”, che i commentari e la Bibbia stessa nell’Apocalisse identificano con Roma. Sull’identificazione nel tardo giudaismo e nel cristianesimo primitivo di Babilonia con Roma si possono vedere gli Oracoli Sibillini V, 59; Ap. Bar. 11,1; 67,7; e IV Esdra 3,1.18.21. Per il cristiani: Papia e Clemente Alessandrino (in Eus, Storia Ecclesiastica II, 15,2), Tertulliano, Adv. Judeos 9; Adv. Marcionem 3,13, molteplici in Origene ed Agostino, ecc. Per un elenco H. Fuchs, Der geistige Widerstand gegen Rom, 1938, pag 74 ss. E B. Altaner, art. Babylon, in Reallexikon fü Antike und Christentum, I, coll. 1121 ss, e O. Cullmann, op. cit. pag. 111(nota 65). Per i passi nella letteratura rabbinica Strack- Billerbeck, III, 816 e inoltre Num. R. 7; Midr. Ps 121). Ma ovviamente si veda l’Apocalisse, che da sola basta. Su questo lascio la parola al GLNT: la città di cui si profetizza la distruzione esiste già nel presente: Ap 17,18 “he gynê… estin hê (si noti l’articolo determinativo) polis hê megalê hê echousa(al presente!) basileian epi tôn basileôn tês gês, e non può che essere Roma, infatti sta sui sette monti (i sette colli di Roma), si è prostituita coi re della terra, anzi è la loro sovrana, e controlla i traffici commerciali in tutto il mondo. E’ l’impero romano. Tra l’altro il GLNT sulla questione Pietro a Roma ha questa esplicita uscita: la storicità della sia permanenza e del suo martirio in Roma non può più ormai essere messa in dubbio (vol. II, pag 10-12) Si aggiunga poi che apprendiamo da Giuseppe Flavio di come verso la metà del primo secolo gli Ebrei avevano abbandonato Babilonia e si erano trasferiti nella città di Seleucia (Ant. Giud. XVIII,9.8 ), e dunque sebbene abbiamo testimonianze di attività giudaica a Babilonia nei secoli successivi non sono credibili in questo periodo. L’interpretazione di Babilonia nell’epistola petrina come la città mesopotamica, e riferisco gli ipsissima verba di Cullmann visto che mi si accusa di portare solo studiosi cattolici, non è affatto verosimile né si appoggia alla tradizione cristiana posteriore, la quale non conosce in quelle regioni attività missionario di Pietro bensì solo dell’Apostolo Tommaso; si aggiunga il fatto che anche il Talmud babilonese menziona soltanto a partire dal III secolo la presenza di cristiani in questa regione (pag. 113) Di particolare nota, tanto per ricordarci che la comunità di Roma non s’è inventata un mito da sola ma anche le altre comunità Asia sapevano che Pietro era stato là, la lettera di Dionigi di Corinto ai Romani del 170 d.C. riportata da Eusebio, II, 25,8 dove si menziona la predicazione dell’apostolo nell’Urbe.




Ovviamente non ho avuto risposte.

"se nella 1 di Pietro Babilonia sarebbe una maniera criptata per intendere Roma l'uso di un eufemismo"

Non è un eufemismo (parola del tutto inappropriata), e non c'entra nulla con la paura di essere smentiti, semplicemente come ho dimostrato nel lessico del tardo giudaismo e del cristianesimo primitivo Babilonia era un appellativo di Roma a causa dei vizi di questa città, vista come una sorta di Sodoma. Se dunque Pietro o chi per lui scrive Babilonia è perché tutti sapevano cosa intendeva.

"farebbe pensare che quello che tu ritieni un anonimo autore evitasse di scrivere "Roma" in modo chiaro perché poteva essere smentito da quanti sapevano benissimo che Pietro non vi era mai stato."

Siamo al doppiamente ridicolo. 1)In primis se tu sostieni che l'autore sia Pietro ne verrebbe fuori che Pietro mente su dove si trovi per paura di essere smentito. Assurdo! 2)Sostenendo invece che 1Pt non sia opera di Pietro avremmo comunque la testimonianza che nel I secolo la tradizione di Pietro a Roma esisteva già ma il suo autore, sapendo di dire il falso, scriverebbe Babilonia per paura di essere smentito. Anche qui sorge la domanda: che senso ha mettere un messaggio criptato se non vuoi che venga decifrato? E se una volta decifrato porta al tuo sbugiardamento, a che scopo lo hai messo dentro? nella comunità di ricezione sapevano o no che Pietro non era stato a Roma? E se sapevano che non era stato a Roma che senso ha mettere un messaggio velato visto che sia che venga decifrato sia che non venga decifrato tu comunque non hai raggiunto lo scopo di comunicare quello che intendevi. Un'assurdità dietro l'altra, e questo giocare alle ipotesi controfattuali ha dimostrato come il tuo sia il semplice rimanere fisso su una posizione tentando di smontare i ragionamento altri con indimostrate ipotesi ad hoc. Quod gratis adfirmatur, gratis negatur.

“Il fatto che la località fosse "nota" a Clemente ed ai Corinti non indica che fosse Roma. Poteva benissimo essere una qualunque altra località.”

Si è semplicemente voluto rispondere alla tua obiezione ridicola in base alla quale siccome non c’è scritto “è morto proprio qui a Roma” allora paradossalmente per te vorrebbe dire che: “Da questo pezzo io capisco che per Clemente Pietro non è affatto morto a Roma.” Cioè siamo alla conclusione, e non trovo una parola abbastanza offensiva per etichettarla, che se qualcosa non è affermata da un autore allora automaticamente l’autore pensava il contrario. Cioè è l’apoteosi dell’assurdità degli argumenta e silentio. Si è invece voluto far notare con Cullmann di quanto sia strano, se Pietro non fosse morto a Roma come Paolo, che guarda caso proprio Clemente citi lui accanto all’apostolo dei gentili parlando del martirio di entrambi. Perché questo accostamento di Pietro e Paolo visto dai TdG quest’apostolo è uno fra i tanti apostoli? Perché non mettere accanto Giacomo e qualunque altro apostolo morto martire nel I secolo? Caso assurdo che proprio Clemente che è di Roma, in un brano dove si parla di martirio sia petrino che paolino, accosti i due in una lettera ai Corinzi.

“Quello che Clemente dice è molto vago e generico, il che dimostra che non ha alcuna testimonianza di prima mano”

Anche qui bisogna essere fuori del tutto? Ma come si fa a dire che è vago? E’ vago per te che cerchi una scritta stampata a chiare lettere “qui è morto Pietro”. Siccome non era quello lo scopo del suo brano, inutile aspettarsi informazioni che sono importanti per te lettore del XXI secolo ma che per Clemente era irrilevante dare. Non si tiene sul vago dopo aver promesso di fare un trattato sul martirio degli apostoli, lì sì dimostrerebbe scarsezza documentale. Ma non voleva parlare specificatamente di dove sono morti, quello che chi non ha una formazione antichistica si ostina a non capire e che gli autori antichi a meno che non stessero scrivendo un libro di storia non pensavano ai loro lettori dei secoli futuri. Per chi scrive un’epistola esortativa quello che importa è il messaggio che vuole trasmettere, e se qualche informazione in più trapela non saranno altro che allusioni, visto che non era il suo scopo scrivere una documentazione ai Corinzi sul martirio di chicchessia, di come fossero morti Paolo e Pietro era già al corrente ogni cristiano dell’impero. Il suo scopo come già detto era scrivere una lettera parenetica, e se dunque qualche informazione ci arriva non è perché l’autore volesse darcela, bensì dobbiamo essere come mendicanti che raccolgono le briciole che casualmente questi autori accennano parlando magari di tutt’altro.

“Ma è chiaro che tali ordini sono quelli scritti e non quelli dati oralmente dai due apostoli.”

Peccato che Pietro non ha mai scritto una lettera ai romani quindi viene da chiedersi di che ordini scritti tu stia parlando, altre ipotesi ad hoc?

“Siamo ad una testimonianza di seconde per non dire di terza mano. Eusebio è una fonte sospetta a questo riguardo perchè egli vissuto sempre in oriente era un acceso sostenitore della presenza di Pietro a Roma”

Perché una fonte sospetta? Semplicemente cita autori contemporanei ai fatti visto che ne possedeva le opere, e soprattutto le possedeva anche il suo pubblico. Aveva la testimonianza di Papia e l’ha citata, ma se per te i suoi lettori erano tutti scemi accomodati. Sta di fatto che quella testimonianza, secondo suo il vangelo di Marco è la trascrizione della catechesi orale di Pietro a Roma, non solo quadra coi latinismi del Vangelo, ma anche con alcune modifiche ai brani dove ad esempio si specifica che neppure la donna può divorziare, cosa assente in Matteo perché che l’iniziativa del divorzio partisse dalla femmina è diritto romano e non giudaico.
Se tu sai meglio di un autore che nel I secolo respirava dove sono stati composti i Vangeli accomodati pure, alla presunzione non c’è limite.

“Come ti ho già fatto notare si tratta di testimonianze tarde e spesso contradditorie”

ora le fonti del II secolo sarebbero tarde? E dove starebbe la contraddizione tra i quattro che Luigi ti ha citato, cioè Dionigi di Corinto, Origine, Clem. Aless, e Ireneo?

“A Clemente non interessa parlare di "martirio" ma piuttosto di invidie e gelosie”

E infatti il problema è questo. Sta parlando dei delatori che denunciavano i cristiani. L’abbinamento tra martirio e invidia sta lì.

“Di Pietro non sappiamo neppure se morì martire”

Questo ce lo dice il vangelo di Giovanni cap. 21

“fatti a quell'epoca non è ancora confermato l'uso di marturein nel senso di subire il martirio.”

Io non l’ho tradotto così. Ma viene da chiedersi cosa cavolo altro potrebbe voler dire in un brano dove si parla di persecuzione, ceppi e catene, di “lottare fino alla morte”, e che dopo “rese testimonianza” prosegue immediatamente con “andò al luogo della gloria che gli spettava”. Ma ci sei o ci fai? Non occorre aver studiato patrologia per capire che qui come altrove “doxa” è la morte martire.

“Anche qui, è ben strano che in una serie di epistole in cui vuole affermare la monarchicità del vescovo”

Anche qui non hai capito nulla. Non vuol affermare un emerito nulla. Quelle epistole non sono apologetica, non sta cercando di convincere alcuno della sua posizione, semplicemente descrive la situazione che ha davanti, dice di conoscere i vescovi della comunità e che le notizie che gli vengono da quelle chiese lo rallegrano. Non dice: “Cari efesini, lo sapete vero che sebbene voi siate governati da un collegio di presbiteri invece fareste bene a essere governati da un vescovo?”
Nulla di tutto ciò, semplicemente conosce i vescovi delle comunità a cui scrive e fa esortazioni spirituali sull’obbedienza. Non certa di creare una situazione che ancora non esista ma spiega come far andare avanti una sistematizzazione che già c’era.

“Io non ritengo priva di valore la tradizione del III secolo”

La strategia teocratica non attacca. Tu la ritieni senza valore perché come tutte le sette fondamentaliste americane imbevute di libelli antipapali i TdG ritengono che Pietro non sia mai morto a Roma, e questo perché si cibano di propaganda vetero-protestante che a livello di mondo accademico nessuno studioso di qualunque confessione si sogna più di fare. Oggi i biblisti protestanti accettano la presenza di Pietro a Roma, anzi già al tempo in cui fu redatto il GLNT l’autore (protestante) scriva che “la presenza di Pietro non può più essere messa in dubbio” (le coordinate le ho date in un precedente post.)

“Tralascio le tue solite accuse che stanno solo a dimostrare quanto la tua religione sia incapace di educare i suoi seguaci. Ma non puoi una buona volta evitare di fare apprezzamenti sui TdG?”

L’irritazione è la stessa di Striscia la Notizia quando smaschera i medici che praticano senza licenza. Voi pseudo-antichisti settari improvvisati che vi illudente di padroneggiare la materia siete alla strega di chi volesse costruire ponti senza essere un ingegnere ergo evitare di scandalizzarvi per l’indignazione sacrosanta che il vostro comportamento suscita.

“tanto che vi è una scuola talmudica che porta il nome della città.”

Il Talmud Babilonese è di quattro secoli dopo.

“a non vi era ragione di usare un linguaggio di quel tipo in una lettera che, piuttosto, invita al rispetto dell'autorità imperiale.”

Perché tu pensi a uno scrupolo di segretezza, ma non è affatto necessario. Semplicemente Roma era ritenuta a buone ragioni la capitale di ogni lussuria e depravazione, ergo non era probabilmente per essere criptici che si faceva questo scambio ma per puro modo di dire cementato nella mentalità, allo stesso modo in cui il chiamo New York “la grande mela”. Inoltre denunciare la depravazione di una civiltà non ha nulla a che fare col dire che al contempo non è possibile diventare anarchici.


Per Luigi

“Mi chiedevo: fondare una sede, non è collegata ad esserne i “primi” evangelizzatori?
Posso porre delle fondamenta se non ho prima preparato il terreno-evangelizzando?”

Ti sei perso questo passaggio del mio post dove era spiegato il significato di “fondare” in Ireneo:
“Il sigillo che il martirio pone alla parola, la consumazione della testimonianza verbale nella testimonianza del sangue versato, ecco ciò che 'fonda e costituisce' la chiesa di Roma nella sua 'più eccellente origine', nella sua più salda autenticità apostolica, nella sua potentior principalitas. Quando la versione latina di Ireneo adopera il verbo fundare (in Adv. Haer. III, 3,1-2), sembra proprio che traduca il greco themelioô, che Ireneo usa subito dopo là dove possediamo l'originale greco. Ora, tra i vari sensi del termine, è "rendere incrollabile', 'fissare per sempre', 'consolidare con fermezza le fondamenta' quello che qui va ritenuto (dal Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, Stuttgart, t. 3, 64). Pietro e Paolo, con la loro testimonianza di una Parola evangelica suggellata e glorificata nel martirio e nella morte 'gloriosa', hanno dato alla chiesa di Roma incrollabili fondamenta di una qualità particolare. Inoltre, la presenza dei loro “trofei” i loro corpi e le loro tombe - rende permanente, nella mentalità dei primi secoli, la loro appartenenza alla comunità di Roma. La loro testimonianza diventa il bene proprio della Chiesa che celebra l'Eucaristia sulla loro 'confessione'. Essi fondano così la sua potentior principalitas, che si edifica su di loro.”

“quello che volevo sapere, è detto di Pietro: "non essendo né il più anziano".
1)Mi domandavo dove era reperibile la fonte di questa affermazione o se sembra che così faccia intendere la Scrittura, in quali versi?”

Ho concluso che l’elenco non va in ordine d’età per la semplice ragione che quasi all’inizio delle liste apostoliche c’è sempre Giovanni, che invece sappiamo era il più giovane. Né va in ordine di chiamata, in questo caso Andrea andrebbe vicino a Pietro. Invece le liste apostoliche di Mc 3,16 e Mt 10,2 iniziano con la triade Pietro, Giacomo, Giovanni. Vi ricorda nulla questa terna? Sono le tre colonne della Chiesa, così li definisce Luca negli Atti. E guarda caso Pietro è sempre il primo. Non ha senso scrivere che “il primo” voglia semplicemente dire che si sta iniziando un elencazione, in questo caso infatti per quale oscura combinazione della sorte questo apostolo, che presso i TdG è stato ridotto a “mister un apostolo qualunque”, viene guarda caso sempre nominato per primo negli elenchi? Ci sono 12 apostoli, e la probabilità che stendendo un elenco casuale senza basare ad alcunché, casualmente per tre volte la prima persona che viene in mente sia sempre la stessa, è risibile. Secondo voi perché metà degli Atti sono dedicati a Pietro? Iniziate a pensarci.
Inoltre come si fa ad iniziare un elenco con “il primo” e poi non mettere altri numeri ordinali o comunque degli avverbi? Ha certamente senso dire, se elenco gli imperatori di Roma: “Il primo Augusto, il secondo Tiberio, il terzo Caligola, ecc.”, ed ha anche senso dire “il primo Augusto, poi Tiberio, poi Caligola, ecc.”, mentre non sta sintatticamente in piedi né in greco né in italiano dire “Il primo Augusto, Tiberio, Caligola”. Sentite che manca qualcosa.

Ad maiora

[Modificato da Polymetis 06/01/2007 10.47]

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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