È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
Vota | Stampa | Notifica email    
Autore

L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
06/12/2006 02:07
 
Modifica
 
Quota
Post: 9.983
Post: 1.802
Registrato il: 06/06/2005
Sesso: Maschile
Scripta Manent...
Junior Forum
OFFLINE
Premetto che qui non voglio rispondere agli ultimi sviluppi di questa discussione (a Dio piacendo lo farò tra breve). Avevo in programma di fare un riassunto su cosa possiamo sapere della presenza di Pietro e Paolo a Roma da Ignazio e Clemente e dunque questo è lo scopo di questo scritto. Ho tratto le considerazioni che seguono dal già citato libro di Cullmann sul primato petrino (pag. 139 ss.), ma non vi stupite se le frasi che leggerete a volte non sono conformi al pensiero del teologo, ho dovuto fare dei tagli, a volte riassumere, a volte ampliare con materiale bibliografico più aggiornato come i lavori di Gnilka, Schatz e Tillard.

PARS I

Presenza e martirio di Pietro a Roma in Clemente

Il capitolo cinque( in parte quelli precedenti) della lettera di Clemente potrebbe essere intitolato “Le consegue dell’invidia”. Mediate vari esempi si dimostra che l’invidia tra fratelli ha conseguenze disastrose. Si giunge così al passo oggetto di studio e che cito per intero: cap.5 “Ma per lasciare gli esempi del tempo antico, passiamo ora ai lottatori del recente passato. Consideriamo i nobili esempi della nostra generazione. A causa della gelosia e dell’invidia le maggiori e giuste colonne furono perseguitate e lottarono fino alla morte. Poniamo di fronte ai nostri occhi i gloriosi apostoli: Pietro, che per ingiusta invidia dovette subire non uno o due ma molti colpi e così, resa la sua testimonianza, andò al luogo della gloria che gli spettava. A causa della gelosia e dell’invidia. Paolo riportò il combattuto premio della costanza: sette volte fu incatenato, dovette soffrire, fu lapidato, divenne araldo in oriente e in occidente ottenne una sì gran gloria per la sua fede. Dopo aver insegnato a tutto il mondo la giustizia ed essere giunto fino alle estremità occidentali del mondo e aver reso testimonianza dinnanzi ai potenti, fu liberato dal mondo e andò al luogo santo, egli, il maggior esempio di costanza.” Cap 6” A questi uomini dalla vita santa si unì una gran massa di eletti, che a causa dell’invidia patirono onta e sofferenze, divenendo così gli esempi più gloriosi fra noi. A causa dell’invidia donne vennero perseguitate, sopportate sevizie terribili e vergognose in veste di Manaidi e di Dirci, giungendo così alle meta sicura della corsa della loro fede e ricevendo il loro premio glorioso, esse, deboli nel corpo. L’invidia ha estraniato spose ai loro sposi invertendo la parola del padre Adamo: Questa è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Invidia e gelosia hanno distrutti grandi città e rovinato grandi popoli.”

In questo passo di parla col linguaggio tipico del cristianesimo primitivo del martirio di Paolo e Pietro. Di quest’ultimo si dice che “così giunse, dopo aver reso testimonianza, al luogo della gloria che gli aspettava, quel “rendere testimonianza” è “martyrein”, da cui deriva l’italiano “martire”. E’ impensabile per la storia della Tradizione cristiana primitiva raccontare a voce a qualcuno che un apostolo è stato martirizzato e non dire dove è accaduto, se Clemente sa della morte di Pietro sa anche dove è avvenuta, indipendentemente dal fatto che poi lo scriva o meno. Nel nostro passaggio Clemente non ha bisogno di menzionarla, potendo presupporre che fosse nota ai lettori, e specie ai lettori di Corinto. Dionigi di Corinto nel 170 d.C. scriveva infatti ai romani che la predicazione di Pietro e Paolo accomunava entrambe le chiese e dunque erano si può dire sorelle. TESTO
Inoltre Clemente narra solo indirettamente del martirio e lo usa come esempio per narrare le conseguenze dell’odio e della gelosia. Si parla anche di una massa di eletti che sono stati perseguitati, il riferimento è per forza alla persecuzione di Nerone visto che era l’unica massiccia finora capitata (Clemente per descrivere la massa usa un poly plethos, Tacito nel descriverla un altrettanto esplicativo “moltitudo ingens”(Tac. Ann. XV, 84), e poiché Clemente aggiunge “essi divennero un glorioso esempio tra noi” è la conferma definitiva che questa massa di martiri va identificata con la persecuzione della comunità romana condotta da Nerone. Il leitmotiv dell’intera lettera è, come sopra ricordato, la rovina che porta l’invidia e la gelosia fra fratelli, Clemente scrive alla comunità di Corinto lacerata dalle discordie interne a causa di falsi fratelli che una simile invidia ha già rischiato di distruggere la comunità romana, separando addirittura le mogli dai mariti e facendo sì che alcuni cristiani ne denunciassero degli altri.
Che quest'interpretazione sia esatta mi pare ulteriormente confermato se si confronta ciò che Clemente dice dell'invidia con ciò che troviamo, in proposito, nell'epistolario di Paolo. Questo ci riporta anzi al problema di fondo che c'interessa, quello della località nella quale si svolse il martirio. Fino ad ora abbiamo desunto dalla prima lettera di Clemente soltanto l'informazione che Pietro e Paolo sono caduti vittime di una persecuzione pagana in seguito a un contrasto interno fra cristiani, dovuto all'invidia. Ci domandiamo in base alle fonti a nostra disposizione, dove potevano verificarsi fatti del genere qual era la comunità, al tempo di Pietro e di Paolo, nella quale l'invidia poteva portare alla persecuzione e al martirio? Paolo in una sua lettera scrive esplicitamente che odio e invidia regnano nella chiesa nella quale egli si trova in quel momento, e più oltre che egli vi soggiorna come un prigioniero. Nella lettera ai Fil 1,15-17: “Alcuni predicano Cristo per invidia e per spirito di contesa; ma ce ne sono anche altri che lo predicano di buon animo. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono qui (prigioniero) per la difesa del Vangelo, quelli invece per spirito di parte, non sinceramente, credendo di cagionarmi afflizione nelle mie catene”. Salta agli occhi che troviamo qui quasi le stesse parole che in I Clem. 5, in una lettera che Paolo scrive da una località nella quale è prigioniero : invidia, spirito di contesa
Certo, il luogo in cui fu composta la lettera ai Filippesi non è noto con sicurezza, non essendo menzionato nella lettera stessa, ma la ricostruzione cronologica della vita di Paolo fa coincidere questo periodo di prigionia con quello romano. Abbiamo visto che la gran folla di eletti, menzionata in I Clem. 6,1, i quali patirono il martirio a causa dell'invidia, dev'essere sicuramente situata a Roma (“fra noi”). Vedremo più avanti che la lettera ai Romani contiene accenni a contrasti fra il settore giudeocristiano e quello paganocristiano in seno alla comunità romana. Senza cadere in un circolo vizioso, possiamo dunque combinare queste indicazioni e dedurne che a proposito della comunità di Roma sappiamo: 1) vi regnava l'invidia (I Clem. 6, 1); 2) Paolo sembra temere di incontrarvi difficoltà a causa della mescolanza di cristiani di origine giudaica e pagana (Rom. 15, 20); 3) Paolo vi ha soggiornato in qualità di prigioniero dello Stato romano e nel corso della sua prigionia aveva da aspettarsi “tormento” da parte di altri membri della comunità (Fil. 1, 15 s.).
Ricordiamo con che tono acceso Paolo, proprio nella lettera ai Filippesi, attacca i giudeocristiani, i quali probabilmente vanno individuati nella cerchia di coloro che nella lettera ai Galati egli chiama “falsi fratelli” (2, 4). Nella lettera ai Filippesi egli giunge a chiamarli “cani”(3, 2). Questa gente che ovunque, nel corso di tutti i suoi viaggi, gli ha procurato difficoltà, se l'è trovata di fronte anche a Roma. Pietro non era di certo fra loro, in base a I Clem. 5 si deve pensare piuttosto che anche Pietro ebbe da soffrire da parte di quella gente.
Pietro, in quanto dipendente dalla comunità di Gerusalemme, con il suo atteggiamento libero nei confronti della Legge (Gal. 2, 11 ss.) si trovava in una posizione più difficile coi giudeocristiani di quella in cui si trovava invece Paolo; potremmo dunque benissimo considerare le “molte pene” patite a causa dell'invidia (I Clem. 5, 4) come difficoltà di questo genere nei rapporti con i capi di Gerusalemme e con i loro fanatici assistenti.
La lettera di Paolo ai Romani mostra che anche prima sua venuta tali contrasti si verificavano nella città. Paolo deve averne sentito parlare, solo così si spiega la polemica antigiudaica in una lettera indirizzata a una comunità che egli non ha ancora visitato. Si noti quanto egli tenga (15, 20 ss.) a scusarsi del fatto che per una volta, in via del tutto eccezionale, egli intende recarsi in una comunità che non ha fondato. La cosa gli sta tanto a cuore perché in tal modo egli viene meno alla fedeltà a un principio, al quale si è fatto una “questione d'onore” di rimaner sempre fedele, poiché gli pare che risponda allo spirito dell'accordo di Gerusalemme (Gal. 2, 9). L'insistenza con cui egli parla di questo nel cap. 15 mostra che egli si avvia non senza un certo timore verso una comunità probabilmente fondata e curata da giudeocristiani. Se anche nelle comunità da lui fondate egli doveva spesso lottare contro l'opposizione della missione gerosolimitana, quanto più in una comunità come quella di Roma, nella quale egli sarebbe stato considerato a priori come un intruso. Tutto quel passo del cap. 15 rivela una seria preoccupazione, che presuppone dunque una speciale conoscenza della situazione romana, evidentemente dominata dai giudeocristiani. Si spiega così la presentazione singolarmente lunga e accurata della sua persona, nei versetti iniziali, come pure il contenuto caratteristico della lettera
Gli avvenimenti verificatisi poi a Roma mostrano fin troppo quanto fosse giustificato il timore di Paolo.
I contrasti sembrano esservi stati così aspri che anche Pietro, forse venuto in quel periodo nella capitale proprio per appianare le difficoltà nella sua qualità di organizzatore della missione giudeocristiana, a causa del suo atteggiamento troppo conciliante fu attaccato in modo particolarmente aspro e abbandonato da gente della sua stessa cerchia. Pietro, come abbiamo visto, si trovava in una posizione particolarmente difficile bella sua qualità di capo della missione gerosolimitana; a Roma egli fu avversato soprattutto dagli estremisti del partito giudeocristiano.
È dunque possibile che i contrasti, i quali sembrano essersi acuiti dopo l'arrivo di Paolo, siano infine giunti, stando alla lettera ai Filippesi, all'ostilità aperta e che le cose siano andate così oltre che quella gente durante il periodo della persecuzione non esitò a designare all'autorità statale le figure di rilievo della chiesa, quando ne fu richiesta. Quest'ipotesi potrebbe trovare conferma nella fonte profana che riferisce dell'azione di Nerone contro i cristiani: in Tacito (Ann. XV, 44) leggiamo: “I primi (cristiani) arrestati, i quali avevano confessato, furono portati via e sulla base delle loro indicazioni una gran folla... “. Naturalmente non può essere provato che gli invidiosi siano stati proprio fra i “primi arrestati”: si tratta soltanto di un'ipotesi. Essa corrisponderebbe comunque alle parole di Gesù, contenute in Mt 24, 10: “Molti si tradiranno e si odieranno a vicenda…”
E anche possibile che l'attenzione dello Stato sia stata risvegliata diversamente; una cosa è certa, comunque: secondo l'opinione di Clemente questo avvenne a causa dell'invidia che divideva i membri di una comunità, e poiché è impossibile che una tale affermazione, contrastante con ogni tendenza posteriore, sia stata inventata, l'opinione espressa da Clemente doveva corrispondere alla realtà.
Naturalmente rimane teoricamente aperta la possibilità che si verificasse anche altrove ciò che si era verificato a Roma: che, cioè, contrasti interni di una comunità potessero offrire l'occasione all'esecuzione di cristiani da parte dello Stato, sicché non siamo assolutamente costretti a pensare che il quadro del martirio di Pietro sia stato il medesimo di quello di Paolo e della gran folla; tuttavia la cosa è improbabile e in ogni caso la presenza di un'invidia di questo genere è attestata soltanto per Roma da I Clem. 6, 1, quasi sicuramente dalla lettera di Paolo ai Filippesi nonché da quella ai Romani. Perciò l'indicazione “fra noi”, cioè nella comunità di Clemente, vescovo di Roma, (I Clem. 6, 1) vale con ogni probabilità per tutti i martiri cristiani enumerati dall'autore e causati dall'invidia. Non si può accertare se Pietro e Paolo abbiano sofferto il martirio contemporaneamente, nel corso della persecuzione neroniana o invece un poco prima di questa (separatamente); la loro morte è in ogni caso da situare durante il periodo della persecuzione.
Del resto è logico che Clemente, ad ammonimento dei Corinzi divisi, ricordasse loro, accanto alle fazioni che un tempo avevano smembrato la loro comunità (cap. 47), proprio quegli esempi di invidia e di gelosia che egli poteva citare dalla vita della comunità romana.
Qualcuno ha pure affermato che in Mar. 15, 10 l'evangelista avrebbe aggiunto, riecheggiando gli eventi romani: “Pilato sapeva che i capi sacerdoti glielo (Gesù) avevano consegnato per invidia”; Marco avrebbe infatti scritto il suo Evangelo a Roma)secondo Papia) e sarebbe stato testimone di quei fatti. (La tesi è di A. Fridrichsen)
Infine una traccia ulteriore di questi avvenimenti incresciosi pare essersi conservata nelle tarde leggende degli Atti di Pietro. Possiamo infatti leggervi che Pietro è stato giustiziato per aver invitato nobili romane ad abbandonare i loro sposi: il motivo dell'invidia gelosa potrebbe costituire almeno il nocciolo storico di questa leggenda(Actus Vercellenses, 33 ss)
Colpiscono però ancor più due passi degli Atti di Paolo: si tratta di narrazioni leggendarie nelle quali Paolo appare chiaramente vittima dell'invidia, a Corinto, dove un uomo afferrato dallo
Spirito avrebbe predetto a Paolo che sarebbe morto a Roma vittima dell’invidia (di nuovo il ritornello del “propter invidiam” legato a Roma). (Acta Pauli secondo il papiro della biblioteca di Amburgo, edito da Schmidt del 1936, P. 6 riga 27 del papiro)
Troviamo certamente combinati qui elementi di I Cor. 15, 32 e di I Clem. 5. In ogni caso sia gli Atti di Pietro che quelli di Paolo hanno conservato giustamente l'indicazione fornita da I Clem. 5, in base alla quale la morte dei due apostoli fu causata dall'invidia, anche se tali passi si figuravano quest'invidia nella forma assai primitiva della gelosia di un coniuge pagano nei confronti della moglie cristiana e ignoravano il pensiero della gelosia fra membri della comunità, di un “pericolo fra falsi fratelli” (II Cor. 11, 26), in quanto contraddiceva completamente alla loro tendenza.
Ecco dunque la conclusione: l'analisi della prima lettera di Clemente mostra, se non con certezza almeno con grande verosimiglianza, che Pietro patì il martirio a Roma all'epoca della persecuzione neroniana, mentre si verificavano divisioni nella comunità di quella città.
Questioni d’appendice sono le seguenti: chi è l’autore della lettera, che tipo di autorità ha sulla Chiesa di Corinto.
Quanto all’autore la lettera incomincia così: “La comunità di Dio che abita all’estero a Roma, alla comunità di Dio che abita all’estero a Corinto, ai chiamati, santificato secondo la volontà di Dio mediante nostro Signore Gesù Cristo”
“All’estero” contiene ovviamente l’idea che la patria della comunità cristiana non è sulla terra (cf. 1Pt 1,1 e 17; Fil 3,20), ad ennesima conferma che i primi cristiani non si sognavano di attribuire privilegi a Roma in qualità in virtù del suo posto nell’impero, bensì sulla base del martirio di Pietro e Paolo. La Chiesa di Roma scrive alla Chiesa di Corinto, ma ciò non esclude ancora che l’autore sia uno, è normale infatti che qualcuno si faccia portavoce della comunità, anzi è materialmente impossibile scrivere una lettera in decine di persone contemporaneamente. L’attribuiscono a Clemente: Erma, Pastor, Vis, II, 4,3 (questa citazione è in forse, non si menziona il nome dello scritto ma solo che Clemente mandava lettere alle altre città); Egesippo (In Eusebio Hist. Eccl., IV, 23, 11);Dionigi vescovo di Corinto (ibid, IV, 23,11); Clemente Alessandrino (Stromata, I, 7; IV, 17-18; VI, 8 ); Origene (De principiis, II, 3, 6; In Ezech., 8,3; 51,1; In Iohann., VI, 54; Eusebio (Hist. Eccl. III, 16, 38 ). Essendo questa lettera del 96 d.C., cioè praticamente del II secolo, avere testimonianze della medesima epoca quali Erma, Egesippo, Dionigi, tutti del II secolo, rende l’attribuzione molto forte. Questa lettera ha il carattere della correzione fraterna, ma questo non è il punto del contendere. Per sapere se la Chiesa di Roma esercitasse un primato a fine I secolo è opportuno sapere se tale correzione sia fatta col tono di un benevolo ammonimento fraterno o in maniera impositivo. Il primato da questa lettera risulta splendidamente, sia perché Roma prende l’iniziativa su una regione orientale, di tradizione apostolica, e dunque su una delle Chiese più in vista dell’ecumene, sia perché nella lettera si esige l’obbedienza e si minacciano i disobbedienti. Un esempio esplicativo: “Se qualcuno disobbedisce alle parole dette da Lui (Dio) per mezzo nostro (cioè la Chiesa di Roma), sappia che sta per incorrere in una colpa e in un pericolo non lievi… Ci procurerete una grande gioia se ubbidirete a quello che abbiamo scritto sotto la guida dello Spirito Santo.” (1Clem 59 e 63, cf. anche 65,1). Il risultato (Eus, Hist. eccl. IV 23, 11) mostra che tale autorità fu completamente riconosciuta, e dalla testimonianza di Dionigi, che era vescovo a Corinto 70 anni dopo i fatti, e dunque di sicuro non aveva 14 anni nel 170 ma come minimo 50, veniamo anche a sapere che tale lettera veniva conservata dalla comunità di Corinto e spesso letta all’assemblea.
Risponderò alle domande cronologiche che mi ha fatto Luigi nel mio prossimo intervento, spero sempre in settimana, dove analizzeremo cosa può dirci Ignazio di Antiochia su Pietro a Roma e sul suo martirio.

Continua…

[Modificato da Polymetis 06/12/2006 2.16]

Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 14:29. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com