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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
06/12/2006 18:39
 
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Le obiezioni dopo, per il momento mi interessa finire l’analisi dei testi (le fonti sono quelle già citate: Cullmann pagg.147 ss., Schatz 40 ss. Gnilka 197 ss.)

PARS II

Presenza e martirio di Pietro e Paolo a Roma secondo Ignazio
.
Nelle sue lettere Ignazio (morto martire nel 107) esorta le altre comunità all'unità, soprattutto all'unità col vescovo («Non fate niente senza il vescovo»), e le mette in guardia contro le eresie, la sua Lettera ai Romani è redatta in tono del tutto diverso: non contiene ammonizioni né insegnamenti, ma soltanto elogi; la chiesa di Roma non ha bisogno di essere istruita, perché è lei che “ha istruito gli altri”. I passaggi decisivi dell'indirizzo di saluto suonano così:
“Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa che ha ricevuto misericordia nella grandezza del Padre Altissimo e di Gesù Cristo, il suo unico figlio, alla chiesa amata e illuminata nella volontà di colui che ha voluto tutte le cose che esistono, secondo la fede e l'amore di Gesù Cristo, il nostro Dio, (alla chiesa) che anchepresiede nel territorio dei romani, degna di Dio, degna d'onore, degna d'esser detta beata, degna di lode, di successo, di santíficazione, che presiede all’agape, ha la legge di Cristo, porta il nome del Padre, e che io anche saluto in nome di Gesù Cristo, figlio del Padre...”

All'inizio del II sec. questo martire, condannato alla esecuzione nel circo di Roma, scrive, durante il suo viaggio di prigioniero, alla comunità cristiana di Roma che sarà presto testimone del suo martirio.
Nel cap. 4, 3 di questo scritto leggiamo: “lo non v'impartisco ordini come Pietro e Paolo, quelli (erano) apostoli, io un condannato; quelli liberi, io finora uno schiavo; ma se soffro diventerò un liberto di Gesù Cristo, e risorgerò in lui uomo libero”. Così scrive Ignazio alla comunità di Roma, ed è degno di nota che egli richiami alla memoria proprio di quella comunità gli esempi di Pietro e di Paolo. Poiché Pietro non ha mai scritto leggere ai romani, se ne evince che sia stato a Roma direttamente. Tuttavia la frase potrebbe semplicemente significare, per Ignazio : “non vi do ordini come se io fossi Pietro e Paolo”. Dà però da pensare che egli proprio nella lettera ai Romani non si accontenti di quest'espressione generica ma citi per nome proprio Pietro e Paolo. Non si può assolutamente considerare automatica la giustapposizione di Pietro e di Paolo, quando si menzionavano nomi di apostoli: questo potrebbe infatti valere per il periodo posteriore, ma non certo per quello di Ignazio. Non si può eludere il problema del perché i due apostoli fossero menzionati insieme, benché
essi, a parte l'incontro di Gerusalemme e lo scontro di Antiochia, non avessero mai operato insieme e anzi, in base all'accordo di Gerusalemme (Gal. 2, 9), dirigessero due organizzazioni missionarie distinte
La risposta più plausibile mi pare essere il fatto che patirono insieme il martirio a Roma, tanto più che si può provare che in un altro passo (3, 1) Ignazio si rifà alla prima lettera di Clemente. Anche nel nostro passo il fatto che i due apostoli siano menzionati insieme si spiega nel modo migliore se consideriamo che Ignazio ricorda ai Romani proprio quegli apostoli che in mezzo a loro perirono martiri, come in qualità di martire egli giunge ora fra loro. Anche se egli sottolinea il distacco esistente fra loro e se stesso, questo paragone negativo ha senso soltanto se l'autore ha, d'altro canto, coscienza di avere qualcosa in comune con loro : non può trattarsi dell'apostolato, bensì del martirio a Roma. Nel passo parallelo della lettera ai Tralliani (3, 3) Ignazio non menziona il nome di alcun apostolo : non aveva alcuna ragione di farlo, scrivendo a una comunità che non aveva ricevuto alcuna visita apostolica. Invece nella lettera agli Efesini, fra i quali Paolo era stato, egli menziona per nome questo apostolo, se pure in tutt'altro contesto (12, 2). Egli chiama gli Efesini “i consacrati di Paolo”, poiché Paolo ha esercitato l'apostolato in Efeso. Analogamente Ignazio menziona Pietro e Paolo nella lettera ai Romani, poiché entrambi erano stati a Roma-
Evidentemente neppure questi testi di Ignazio ci forniscono una certezza assoluta, ma dobbiamo anche (lui concludere che un martirio romano di Pietro e di Paolo è assai probabile.
Questo passo permette di trarre qualche conclusione anche in merito a un'attività precedente dei due apostoli, in Roma? Il verbo “dare ordini” sembra suggerirlo. Qualcuno ha affermato, è vero, che in tal modo sarebbero semplicemente indicate le istruzioni date da Paolo nella sua lettera ai Romani. Ma in tal caso non si comprenderebbe l'accostamento del nome di Pietro Rileggiamo dunque il passo: “Io non vi comando come Pietro e Paolo. Quelli sono apostoli, io un condannato! Quelli sono liberi, io sono ora uno schiavo! Ma quando avrò patito, sarò liberto di Gesù Cristo e risorgerò in lui, un essere libero! E adesso imparo a essere in catene senza desideri» (Ign., Rom. 4,3). Che questo passo sia più recente rispetto ai frammenti apocalittici trattati due messaggi fa, in particolare, anche alla Prima lettera di Clemente risulta evidente dal parallelismo tra Pietro e Paolo che, per così dire, è dato già per scontato, mentre nel fr. Rainer Pietro figurava solo. Mentre gli altri testi parlano soltanto di Pietro, mentre la Prima lettera di Clemente elenca i nomi di Pietro e Paolo uno accanto all'altro, in Ignazio i due apostoli appaiono, in un certo senso, già fusi insieme. Questa è l'ottica che favorì, e forse già presuppone, la concezione che Pietro e Paolo siano stati uccisi contemporaneamente durante la persecuzione neroniana. Pietro viene nominato al primo posto perché è l'apostolo più anziano e quindi anche più importante. Ignazio cita Pietro e Paolo per il loro particolare rapporto con la comunità di Roma: il che significa che essi si recarono a Roma e vi sono morti. Questo rapporto abbastanza stretto con Roma può essere dedotto dall'osservazione statistica che su sette lettere di Ignazio solo in quella ai cristiani di Roma si fanno i nomi dei due apostoli. Come già detto solo in un'altra lettera, quella ai Cristiani di Efeso, viene ancora citato per nome un apostolo, precisamente Paolo – “voi siete coiniziati di Paolo”, sicuramente perché Ignazio sa che Paolo ha operato a Efeso. Era dunque prassi nominare l’apostolo da cui una comunità aveva ricevuto la predicazione, se tale apostolo esisteva.
Nella Lettera ai Romani Ignazio parla del martirio che lo aspetta a Roma. Davanti agli occhi spirituali vede l'arena nella quale sarà maciullato dalle fiere: “Lasciatemi diventare cibo delle fiere mediante le quali mi è possibile giungere a Dio... Lusingate piuttosto le fiere, affinché diventino la mia tomba...” Queste parole precedono immediatamente la menzione di Pietro e Paolo. Qui egli gioca con le parole libero e schiavo: fino a questo momento si sente schiavo. Col martirio diventerà liberto di Gesù Cristo perché risorgerà uomo libero in lui. Quando descrive Pietro e Paolo come uomini che sono liberi, Ignazio si riferisce certamente al loro martirio con il quale anche loro hanno raggiunto la libertà definitiva (anche perché dice di essere schiavo “finora”, mq dopo il martirio non lo sarà più). Nella lettera ai cristiani di Efeso Ignazio dichiara esplicitamente di voler essere trovato a seguire le impronte di Paolo sul cammino che porta a Dio, cioè seguire l'apostolo nel martirio. Come la città di Efeso fu per Paolo un passaggio del suo cammino definitivo verso Dio, così sarà anche per lui, Ignazio, che nella traduzione da Antiochia a Roma passa in catene per Efeso. Se Ignazio paragona, anzi mette in parallelo, il proprio destino con quello di Pietro e Paolo, si può presumere che sappia del loro martirio romano. Come lui sta andando incontro alla morte violenta a Roma, così essi sono già giunti a destino percorrendo il medesimo cammino che porta a Dio.
Già ricordavo che mentre le lettere ai destinatari dell'Asia Minore contengono anzitutto esortazioni all'unità sotto il vescovo e i suoi collaboratori davanti alla minaccia di una eresia che è incombente, nella Lettera ai Romani non si sente nulla di tutto ciò. Ignazio sembra non essere informato sullo stato presente della comunità romana o lo considera buono. La lettera ha l'unico scopo di preparare il suo arrivo a Roma e quindi il suo martirio. Cristiani della Siria lo hanno già preceduto a Roma(10,2)). Non si accenna che anch'essi debbano affrontare un processo. Ignazio non è sicuro se arriverà al traguardo, Roma!
La sua preoccupazione maggiore, comunque, è - per quanto la cosa possa suonare strana ai nostri orecchi - che i romani potrebbero evitargli il martirio. In che modo? Evidentemente intercedendo per lui. Questa idea fissa attraversa tutta la lettera come un cantus frrmus. Gli si lasci la parola: “Ho paura del vostro amore, mi potrebbe danneggiare” (1, 2); “concedetemi il piacere di essere offerto a Dio finché l'altare è ancora pronto” “non impeditemi di guadagnare la vita”; «se soffro, avete avuto buone intenzioni per me” (8,3).
Il suo struggente desiderio di martirio consegue dalla sua concezione del martirio. E questa concezione sta a sua volta in relazione con il suo rapporto con la comunità di Roma. Ignazio sa del soggiorno romano degli apostoli Pietro e Paolo e anche del loro martirio nella città. L'opera degli apostoli, che egli conferma anche per Efeso, qui con riferimento a Paolo, si unisce quindi al ricordo che entrambi gli apostoli sono morti martiri. La loro particolare grandezza sta nell'essere insieme apostoli e martiri, una grandezza che ricade anche sulla comunità nella quale operarono e morirono.
Da qui un fascio di luce cade sull'inizio della lettera. L'alta considerazione della comunità romana appare in chiara evidenza. Si è qui in presenza del più. completo e solenne inizio delle sue sette lettere, seguito dalla Lettera agli Ffesini che è anch'essa, appunto, una lettera diretta a una comunità apostolica. La Lettera ai Romani si rivolge, come tutte le lettere di Ignazio dirette a comunità, all'intera comunità locale. L'indirizzo invero è formulato diversamente dalle altre lettere dove recita: Ignazio alla chiesa a Efeso, a Traili, a Filadelfia; oppure: Saluto la chiesa di Magnesia. Nella Lettera ai Romani si legge invece (lo cito nuovamente per comodità): “Ignazio alla chiesa che esercita la presidenza nel luogo del territorio dei romani”
Che cosa significa quando della comunità si dice che essa “esercita la presidenza nel luogo del territorio dei romani”? La formulazione appare imprecisa e ha dato luogo a qualche malinteso. Ciò dipende dal linguaggio di Ignazio che spesso è inutilmente verboso e tende al pathos, ma potrebbe riflettere il suo stato d'animo in attesa del martirio. “Esercitare la presidenza” è espressione burocratica che Ignazio usa in questo senso altrove parlando del vescovo come di colui che esercita la presidenza al posto di Dio o definisce i detentori di una carica, qui si tratta probabilmente dei presbiteri, semplicemente come coloro che hanno la presidenza: “Siate una cosa sola col vescovo e con coloro che hanno la presidenza”, è la nota formula rivolta alla Chiesa della Magnesia. Il territorio dei romani dev'essere più grande della città di Roma, altrimenti non avrebbe senso dire che la comunità cui si rivolge nella lettera esercita la presidenza. Fin dove si può far arrivare il territorio dei romani? Impossibile dire cosa intendesse. Sul “preside all’agape” s’è già detto in messaggi precedenti, e specie su come agape in Ignazio venga usato altrove come cetonia per “ekklesia”. Per chi se lo fosse perso questa sintesi di Falbo: www.santamelania.it/approf/2005/papers/ignazio.htm

Continua…

[Modificato da Polymetis 06/12/2006 18.42]

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