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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
24/12/2006 15:12
 
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ULTIMA RATIO SUL PRIMATO

"Agricolae, caementarii, fabri, metallorum lignorum que caesores, lanarii quoque et fullones et ceteri, qui variam supellectilem et vilia opuscula fabricantur, absque doctore non possunt esse, quod cupiunt. Sola scripturarum ars est, quam sibi omnes passim vindicent: scribimus indocti docti que poemata passim. Hanc garrula anus, hanc delirus senex, hanc soloecista verbosus, hanc universi praesumunt, lacerant, docent, antequam discant […] et, ne parum hoc sit, quadam facilitate verborum, immo audacia disserunt aliis, quod ipsi non intellegunt. Taceo de meis similibus, qui si forte ad scripturas sanctas post saeculares litteras venerint […] sed ad sensum suum incongrua aptant testimonia, quasi grande sit et non vitiosissimum dicendi genus depravare sententias et ad voluntatem suam scripturam trahere repugnantem […] Puerilia sunt haec et circulatorum ludo similia, docere, quod ignores, immo, et cum clitomacho loquar, nec hoc quidem scire, quod nescias." (Epistula LIII ad Paulinum presbyterum, 7)

Per Spirito Libero

"inoltre mi dovresti spiegare questo passaggio, già evidenziato da Teodoro, del concilio ecumenico (infallibile ?) di Calcedonia (451)"

Io non posso che risponderti che se vuoi discutere con me devi leggere quello che scrivo. Io e Teodoro avevamo già trattato di questo passo, trovi la mia risposta in proposito alla fine di pagina quattro. Teodoro aveva scritto: "in un tempo in cui da parecchio Roma non era più la capitale, nei concili non si fa alcun mistero che il motivo del nuovo prestigio acquistato dalla sede costantinopolitana non risiedeva nella fondazione apostolica (di recente invenzione) ma nel fatto che Costantinopoli era la "nuova Roma".”
La mia risposta fu:
"Ma qui il clima è totalmente cambiato, l’impero d’Oriente da persecutore è diventato garante dei cristiani, dunque c’è una sorta di unione tra trono e altare, quello che poi la storiografia chiama cesaropapismo bizantino"
Qui sì la legittimazione politica di Costantinopoli è palese, ma questo fattore non spiega la preminenza di Roma, giacché nei primi tre secoli un simile tipo di legittimazione al massimo può giocare un effetto contrario, sia per ideologica separazione dei cristiani rispetto al secolo (nel mondo, non del mondo), sia perché Roma era la persecutrice, Babilonia la grande.

"del concilio ecumenico (infallibile ?)"

Questi sono problemi da manuale. La Chiesa di Roma non ha mai riconosciuto il canone 28. Roma basa questo suo rifiuto sui seguenti punti:
Non fu decretato autentico da tutti i 500 Padri del Concilio ma solo da 200 circa, ed in una sessione non presieduta dai legati romani.(ergo non si può dire ecumenico)
Costoro, il girono dopo, nella XVI sessione, elevarono contro il decreto una decisa protesta che vollero inserita negli atti; Papa Leone I, malgrado le insistenti sollecitazioni dei firmatari, di Marciano e del vescovo Anatolio, l'abrogò esplicitamente (Ep. 105 ad Pulcheriam Augustam; PL 54, 1000)
Roma non aveva mai basato la sua preminenza sulla politica né ha senso far derivare diritti divini come quelli i un vescovo dall'impero. Il canone ventotto manca nelle collezioni canoniche orientali prima dell'VIII secolo, forse per effetto della protesta di Roma, che in seguito venne ignorata. (Su tutto questo basta aprire l'Enciclopedia Cattolica alla voce "Costantinopoli" per conoscere il parere della Chiesa di Roma su questo punto)

"Centro delle attività, luogo centrale e più importante da diversi punti di vista, come te lo devo dire ? Tutti andavano a Roma per vari motivi, dunque la comunità romana era di gran lunga la più cosmopolita dell’impero."

In primis tu hai in mente New York del XX secolo e non Roma, non si viaggiava abitualmente da una parte all'altra dell'impero perché richiedeva settimane se non mesi (dipendeva dal mare sopratutto), il modello greco e orientale è basato sulla struttura della polis e in età ellenistica sul modello dei regni dei diadochi, ogni regione aveva il suo centro, la sua metropoli. Non ha senso dire "tutti andavano a Roma", presuppone una mobilità della massa che nel mondo antica non c'era: si viaggiava per affari militari, istruzione (frequentare qualche scuola filosofica), commercio. Non è abituale per un suddito dell'impero del primo secolo dell'Asia minore finire a Roma, per nulla. Anxi per un orientale i punti di riferimento, anche più cosmopoliti di Roma, sono città come Alessandria d'Egitto (che tanto per inciso a livello di traffico commerciale era molto più in auge di Roma in quanto città). Inoltre devi ancora provarmi con qualsivoglia fonte cosa c'entri tutto ciò con la dottrina, ossia perché mai dovrebbe venire in mente ad un cristiano, che come ripeto si vanta ideologicamente di essere distaccato dal secolo e paragona i lussi di Roma a quelli di Babilonia, di proclamare una città dell'altro capo del globo di preminenza quanto a fede in base a questi criteri del tutto mondani (che al contrario sono attestati come detestati).

"Ti sto dicendo che la preminenza è iniziata prima del IV secolo, in seguito a questo poi nel IV l’autorità romana si inizia a consolidare ufficialmente."

Se vuoi attestazioni a livello di diritto canonico della preminenza di Roma nei primi quattro secoli hai sbagliato interlocutore, non mi interessa produrli ed è storicamente infondato sia cercarli che richiederli. La Chiesa antica non aveva un corpo di leggi scritte, non esiste un codice di diritto canonico nei primi secoli. Qui bisogna ricordare con Kelsen la differenza tra ius e lex. le dottrine dobbiamo trovarle nei Padri che ne parlano dal punto di vista dottrinale, inutile cercare una legislazione ecclesiastica che a quel tempo non esisteva e che inizierà appunto grazie alla raccolta dei canoni di sinodi e Concili.

"E paradossalmente anche per questo che venne ritenuta tra le comunità cristiana più importanti. I cristiani di Roma erano considerati di gran lunga i più “fedeli”, giacché abitavano proprio nel “cuore della bestia”."

Ma questa non è una risposta. Ciò spiega perché i cristiani di Roma siano onorati, appunto perché abitano in mezzo al male, ma questa constatazione non rivaluta assolutamente quel "male" né ne fa il criterio per scegliere quale sia la Chiesa preminente. Io stesso ho detto che la Chiesa di Roma era preminente per i suoi martiri, ma ciò non implica alcunché sul fatto che una sede sia da ritenere preminente dottrinalmente proprio in virtù delle cose che in lei si odiano.

"Inoltre Roma era perfetta per placare la sete del martirio che investì molti primi cristiani, diversi viaggiavano verso Roma proprio per la ricerca del martirio e per emulare le gesta di Paolo e di altri."

Un cristiano ama la vita. Il martirio può essere desiderato come in Ignazio nel momento in cui sei nel tunnel che ti porterà ad esso, non lo guardi cioè con paura, ma da qui a ricercarlo se prima non sono i persecutori ad averti scovato ne passa. Hai esempi di quanto affermi?

"la comunità fosse stata retta dal capostipite della corrente cristiana dominante (Paolo)"

E perché gli orientali non si sarebbero potuti rivolgere a una delle molte altre comunità paoline come Corinto o l'importantissima Efeso?

"Gli apologeti in seguito, al fine di contrastare le nascenti eresie esterne e interne ebbero bisogno di una struttura gerarchica che mantenesse una ortodossia e dunque anche di un’autorità centrale alla quale riferirsi."

Questo non è il seguito, sono gli Atti degli apostoli, dove c'è già la tripartizione episkopos, presbyteros, diakonos. Con la nota che tutti gli episkopoi sono presbyteroi (come oggi del resto), mentre non tutti i presbyteroi sono episkopoi. I preti oggi ricevano ancora in sequenza i tre gradi dell'ordine. Appare già una predicazione "organizzata", col Concilio di Gerusalemme che stabilità le due missioni. A ciò si aggiunga il famoso passo degli Atti in cui gli apostoli riuniti nel Concilio scrivono ai fratelli convertiti dal paganesimo che coloro che li hanno turbati sono persone a cui "loro non avevano dato alcun incarico", il che è la conferma che si veniva mandati a predicare dal collegio apostolico.

"Per dare il massimo dell’autorevolezza e per fornire la prova che la dottrina fosse rimasta quella predicata da Gesù, si fece risalire la fondazione della comunità romana non solo a Paolo apostolo ma anche a Pietro, il primo degli apostoli."

Veramente la menzione al "solo Pietro" a Roma è più antica della menzione di "Pietro e Paolo" accoppiati insieme (il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae del I secolo che ho analizzato in uno dei miei precedenti post). Ho fatto cioè notare seguendo in questo Cullmann che sono più antichi i passi in cui si parla di un martirio di Pietro a Roma senza citare Paolo che quelle in cui essi vengono accoppiati. Inoltre, come ripeto sempre, trovare un movente non vuol dire trovare un colpevole.

"Questo è confermato dallo studio della patristica, nella quale si ravvede una tendenza alquanto strana, ossia man mano che ci si allontana dalla data della presunta morte di Pietro a Roma, la tradizione si arricchisce sempre più di particolari !"

Ma ciò nulla c'entra con il nocciolo storico del fatto. Su questo punto avevo già contestualizzato una citazione semi-fasulla di Barnabino dal grande teologo protestante Cullmann: “non è però corretto attribuire a tali tendenze l’invenzione del soggiorno e del martirio di Pietro a Roma: la funzione di esse può essersi limitata a sottolineare e a prolungare tradizioni più correnti. D’altra parte questi testi più tardivi, che con forza e uniformità sempre maggiori attestano che Pietro è stato a Roma e vi è morto martire, dal punto di vista storico possono avere per noi interesse soltanto per ciò che riguarda la storia dei dogmi, in quanto attestano lo sviluppo della tradizione”(pag. 154-155) Abbellimento della tradizione, una tradizione solida, non invenzione. Per qualsiasi evento della storia col passare del tempo crescono i particolari leggendari, persino per l'assassinio di Cesare alle Idi di Marzo si registra lo stesso processo, ma ciò non vuol dire che il nucleo originario sia fasullo. Prima neppure sappiamo se se a pugnalarlo sia stato Bruto il figlio illegittimo ma naturale o l'altro Bruto, il figlio adottato, poi invece sappiamo persino chi fu il primo ad mettere a segno il colpo e il numero esatto delle pugnalate, e ciliegina sulla torna veniamo a sapere che l'ex-moglie Calpurnia aveva sognato l'attentato la notte precedente e aveva tentato di avvertire Cesare.

"Clemente 96 d.c. in 1 Corinzi 5, 2-6, 1 non sa praticamente nulla di ciò che accadde a Pietro ne è certo che le espressioni che usa si riferiscano al martirio."

A me sembrano piuttosto eloquenti. "A causa della gelosia e dell’invidia le maggiori e giuste colonne furono perseguitate e lottarono fino alla morte. Poniamo di fronte ai nostri occhi i gloriosi apostoli: Pietro, che per ingiusta invidia dovette subire non uno o due ma molti colpi e così, resa la sua testimonianza, andò al luogo della gloria che gli spettava." Prima si parla del fatto che molti furono perseguitati fino alla morte, poi si fanno degli esempi, ed in uno di questi, Pietro, si dice che "rese testimonianza" (che è il termine tecnico nei martiriologi per dire che qualcuno è morto per fede), e già combinato con l'aggiunta che così ebbe la gloria, doxa, anch'esso termine tipico della morte dei martiri.

"Non ci dice assolutamente nulla sul fatto che abbia fondato e/o diretto la sua stessa Chiesa!"

E perché dovrebbe dirlo? Era quello lo scopo della lettera? Vorrei fosse chiaro che questa gente non scriva per noi, per soddisfare la nostra curiosità, al contrario non venivano scritte le cose date per scontate e occorre affidarsi ad accenni. Gli argumenta e silentio notoriamente non valgono una cicca. Inoltre per confermare il magistero petrino occorre verificare la modalità di ricezione di questa lettera. Da parte dei miei interlocutori si è cercato di descrivere la Chiesa di Roma come una comunità che se la canta e se la suona da sola, che si fa pubblicità inventandosi tradizioni per difendersi dagli eretici, ecc. Al contrario indagando la storia di come fu accolta questa lettera a Corinto notiamo che Roma non inventava alcunché giacché le sue prerogative erano riconosciute anche in Grecia, e per motivi che con l'impero non c'entrano un emerito nulla. Dionigi di Corinto nel 170 scrive al vescovo di Roma, parla della lettera di Clemente informandoci che veniva tenuta come una specie di cimelio dalla comunità e veniva tutt'ora letta. In questa lettera si dice: "Con la vostra ammonizione voi (Romani) avete congiunto Roma e Corinto in due fondazioni che dobbiamo a Pietro e Paolo. Poiché ambedue, venuti nella nostra Corinto hanno piantato e istruito noi, allo stesso modo poi, andati in Italia, insieme vi insegnarono e resero testimonianza" (Dionigi in Eus, Storia Ecclesiastica II, 25) Ora, giacché i vescovi ovviamente non avevano trent'anni, Dionigi può essere nato al massimo qualche decennio dopo che l'epistola di Clemente fu scritta. Ciò è particolarmente utile contro i seguaci del negazionismo ad ogni costo, che evidentemente pensano di sapere chi sia l'autore di una lettera meglio del vescovo della comunità che pochi decenni prima l'aveva ricevuta e fino ad allora leggeva nelle assemblee liturgiche considerandola una specie di reliquia.

"Il vescovo Romano Aniceto alla metà del II secolo rispondendo a Policarpo che si rifaceva a Giovanni in merito alla questione pasquale, non gli rispose affatto riallacciandosi alla sua autorità derivante da Pietro e Paolo ma solo a quella dei presbiteri sui predecessori. (cfr Eusebio Historia Ecl.)"

Anche a questo ho già risposto. Cito "Questa non è una questione dogmatica ma di tradizione ecclesiale, è della stessa importanza del digiuno del venerdì e del giorno di carnevale. Innanzitutto vediamo come questa sia solo l’ennesima conferma del primato d’auctoritas romano, infatti Policarpo va a consultare la Chiesa di Roma. Aniceto e Policarpo non riuscirono a trovare un accordo sulla questione quartodecimana e così riconobbero vicendevolmente valide entrambe le prassi ecclesiali. Il che era una soluzione saggia, nulla vietava che potessero coesistere insieme: celebrarono la comunione eucaristica e si separarono in pace (Dalla lettera di Ireneo a Vittore, in Eus, Storia Ecclesiastica, 24,16). Policarpo in quell’occasione si richiamò a Filippo e a Giovanni, di cui era allievo. Perché Roma non si richiama a Pietro? Aniceto non poteva gloriarsi, come Policarpo, di rapporti diretti con gli apostoli. Inoltre un mancato richiamo agli apostoli di Roma si può facilmente spiegare con la coscienza che la comunità di Roma aveva del fatto che la cerimonia pasquale di domenica era stata introdotta di recente e non risaliva all’età apostolica. (Per tutto questo si veda O. Cullmann, Il primato di Pietro, pag. 153). Non ci si è cioè richiamati a Pietro perché si sapeva che non fu lui l’iniziatore di questa tradizione.

"Solo dopo la metà del secondo secolo si iniziano a scorgere particolari..."
O tu sei pieno di fonti patristiche che trattino di Roma tra la persecuzione di Nerone e il 150 d.C. oppure temo che dovrai accontentarti dei riferimenti indiretti che si sono già miracolosamente pervenuti. Stessa obiezione mi aveva fatto Barnaba, il quale aveva scritto: "Abbiamo il silenzio totale di una ventina di libri e lettere. Niente male, non credi?” Io risposi: "Non se questi scritti parlano di tutt’altro fuorché Roma. Gli argumenta e silentio notoriamente non valgono nulla, valgono qualcosa solo nel caso ci sia un silenzio su qualcosa in un testo che tratta proprio di quell’argomento. Ad esempio se mi dicono che Cesare è il comandante della campagna in Gallia ma in un testo coevo sulla guerra gallica nessuno mi nomina mai Cesare posso pensare che ci sia sotto qualcosa. Ora analizzando la miseria che c’è rimasta dell’epoca apostolica bisogna considerare quali testi avrebbero avuto l’occasione di parlare di Pietro a Roma, perché degli altri è ovvio che l’assenza di menzioni su Pietro a Roma è equivalente all’assenza di menzioni della ricetta per cucinare i cannelloni, giacché semplicemente quell’argomento non c’entra nulla col testo. Si ha occasione di parlare di Pietro a Roma ovviamente se si parla di Roma. Analizziamo dunque nei Padri Apostolici quanti scritti ci siano rimasti che parlino della comunità di Roma o di Roma in generale.
- Ignazio di Antiochia, (otto lettere di una paginetta ciascuna rimaste, parla di Pietro e Paolo proprio nelle lettera ai romani, proprio come in quella agli Efesini che erano depositari dell’insegnamento di Paolo parlo di lui) 8
-Pseudo-Barnaba, (sopravvissuta una lettera di otto paginette su questioni giudaiche, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Erma (Uno scritto rimasto, Il pastore d’Erma, un’opera in visioni che ha tutto fuorché la realtà di cui occuparsi, credo che sarebbe più probabile trovare menzione di Pietro in un libro di oroscopi) 1 -Policarpo di Smirne, (1 lettera di una paginetta rimasta, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Papia di Ierapoli (Rimasti solo frammenti, parla della predicazione di Pietro a Roma e della stesura del Vangelo di Marco su richiesta dei romani che ne derivò, in Eus, op. cit., II, 15, 2) 0
-Anonimo, Didaché(5 paginette,Non parla né di Roma né di Pietro)1
-Clemente Romano (vescovo di Roma, parla del martirio di Pietro e Paolo. Ne abbiamo già discusso) 1
-Anonimo, A Diogneto (Sopravvissuta una lettera di 4 paginette, Non parla né di Roma né di Pietro)1
Ho dimenticato qualcuno? Vediamo dunque. Voi amici lettori siete riusciti a contare le 20 opere menzionate da Barnaba?Io ne ho contate 14, di cui 7 sono lettere di Ignazio scritte ad altre comunità come Efeso o Tralle, ergo ridicolo domandarsi perché non ci parli della comunità di Roma. Delle restanti 7 opere apostoliche nessun altra c’entra qualcosa con Roma o parla di quella chiesa tranne l’epistola di Clemente che parla della comunità romana per confrontarla con quella di Corinto, e infatti saltano fuori Pietro e Paolo, tra le sette rimanenti c’è l’ottava lettera di Ignazio che abbiamo lasciato fuori dal computo precedente, cioè quella ai Romani, della quale abbiamo già discusso. Alla luce dei fatti parandosi dietro una quantità così misera di fonti, fonti brevissime e non storiografiche, e per giunta fonti che parlano di tutt’altro fuorché l’argomento in questione, un argumentum e silentio vale meno di zero. Questo signori miei si chiama metodo storco-critico, ed è il motivo per cui oggigiorno i biblisti protestanti non contestano più la venuta di Pietro a Roma.
"Sembra poi che Tertulliano (fine II secolo ?)dica che Pietro ordinò Clemente quale vescovo romano, ma questo non coincide con la cronologia riportata da Ireneo."

Non esattamente. I passi incriminati sono i seguenti: “Mostrino esse (le chiese eretiche N.d.R.) la successione dei loro vescovi in modo da poter risalire o ad un apostolo o ad un loro discepolo, così come fanno le CHIESE APOSTOLICHE, ad esempio… la Chiesa di Roma che presenta Clemente CONSACRATO DA PIETRO” (32,2) E quello di Ireneo: "I beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell'episcopato; di quel Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo (cf. 2Tm 4, 21). A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l'episcopato Clemente, il quale aveva visto gli apostoli stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la predicazione e davanti agli occhi la loro tradizione. E non era il solo, perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi un'importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli…" (Adversus haereses 3, 3, 2.) Tertulliano non dice che il secondo vescovo fu Clemente, bensì dice che Clemente fu consacrato da Pietro, ma ciò non è in contrasto bensì implementa la testimonianza di Ireneo che ci informa di come il futuro vescovo e i due apostoli si conoscevano.
Un ulteriore elogio a Roma da parte di Tertulliano: “Visita le Chiese apostoliche nelle quali ancora PRESIEDONO GLI APOSTOLI DALLE LORO CATTEDRE…. Quanto fortunata è la Chiesa di Roma in cui Pietro e Paolo profusero la loro dottrina, ove Pietro morì come il Signore, Paolo fu decollato come Giovanni Battista…” (36,3)

"La tradizione del III secolo vedrebbe Pietro a Roma addirittura per 25 anni. (dal 42 al 67 d.C vedi cronaca di Eusebio)."

Prendere informazioni dal sito "cammino cristiano" dà pessimi frutti, perché ci si illude di sapere qualcosa ignorando che quelle pagine sono scritte da gente che di antichistica non sa un emerito nulla. Quell'opera è del IV secolo, non del III, ma, a parte queste imprecisioni da nulla, c'è un errore logico di fondo in quanto segue, e cioè elencare date in quel periodo dove Pietro era altrove, giacché nessuno storico della Chiesa s'è mai sognato di dire che abbia soggiornato a Roma ininterrottamente. Paolo stesso fondava una comunità e poco tempo dopo si spostava lasciandola in mano a gente di fiducia sino al suo ritorno, e se dovessimo metterci a confutare le date dei viaggi di Paolo sono perché l'anno prima la Bibbia stessa lo indica da un'altra parte cadremmo come è evidente in un grosso paralogismo. Quella tradizione riportata da Eusebio, che tra l'altro oggi non ha grandi sostenitori, non si può né provare né confutare, perché si dimentica che Pietro e Paolo in quanto apostoli si muovevano e dunque non è il saperli altrove in tempi vicini che può cambiare le cose. Ad ogni modo al sottoscritto non interessa difendere quella cronologia, non è una dissertazione di date fatta tre secoli dopo che può intaccare il nocciolo del racconto. Ne abbiamo già discusso. La data della morte indicata non è inverosimile, e quanto ad una eventuale prima visita chi può mai smentirla? Si è soliti collocare la morte di Pietro durante la persecuzione di Nerone, dunque dal 64 in poi. L'idea che sia morto nel tredicesimo anno del regno di Nerone (cioè dal 3-10-66 al 12-10-67), è testimoniata altre che nella versione armena della cronaca di Eusebio(corpus berolinese, XXIV, pag. 185) , nel Chronicon Gallicum (Monumenta Germaniae Historica, Auct. Antiquiss., IX, pag. 639) e in Agapio (PO 7,47[SM=g27989], ultimo anno di Nerone (Gir, De viris illustr., I, PL 23,63[SM=g27989] C'è poi l'ipotesi, che ha avuto molta fortuna nel mondo accademico e sostenuta tra gli altri da Cullmann, di un primo viaggio di Pietro a Roma in quanto capo della missione giudeo-cristiana. (Mi baso per l’esposizione su Cullmann pag. 104-105)
Romani. 15, 20 ha infatti un interesse indiretto circa il soggiorno di Pietro a Roma. Abbiamo già considerato in messaggi precedenti che Paolo si scusa qui di fare una cosa che ha finora evitato: rivolgersi a una comunità non fondata da lui; questo, nello spirito dell'accordo di Gerusalemme, era per lui in contrasto con l'insegnamento apostolico. Riferendoci a Gal. 2, 9, possiamo pensare che la parallela missione giudeocristiana di Gerusalemme considerava la comunità di Roma come proprio campo d'azione, poiché questa, sorta probabilmente in modo spontaneo, era costituita in primo luogo da giudeocristiani. La cosa è indubbia, se si considera la forte consistenza della comunità ebraica di Roma, in quel tempo, valutata a 30-40mila unità, e soprattutto se si considera che nel momento in cui Paolo scrive ai Romani i giudeocristiani sono assai fortemente rappresentati accanto ai paganocristiani nella chiesa di Roma. Il grande biblista Lagrange è arrivato a concludere insieme a molti altri che l'intenzione fondamentale dell'epistola fosse quella di istruire i paganocristiani circa il posto occupato dall'Ebraismo nella storia della salvezza e preservarli così da ogni senso di superiorità nei confronti dei giudeocristiani. Questo non fornisce ancora la certezza che Pietro sia stato a Roma né che vi abbia fondato la chiesa; tuttavia dobbiamo chiederci se non è probabile che egli, nella sua qualità di capo della missione gerosolimitana, sia venuto prima o poi in questa comunità di origine giudeocristiana e con così forte composizione giudeocristiana, specie trattandosi della capitale. Se è vero che v'è stata una missione giudeocristiana e che Pietro ne aveva la responsabilità, una sua venuta a Roma, anche se non. dimostrata, è probabile, specie se si considera che ad un certo punto qui affiorano difficoltà interne
Dall'epistolario paolinico non si possono desumere elementi più precisi, né positivi né negativi.

"Ritornando ai coevi di Pietro, nel 57 dc scrivendo ai romani Paolo non dice nulla di Pietro come sarebbe più che logico dato il contesto e non si dica che questo è un argomento ex silentio perché è invece alquanto significativo, infatti come poteva Paolo tacere sul capo degli apostoli ?"

Il problema in primis è la datazione della lettera ai romani, di solito si oscilla tra il 51 e il 57, tu hai scelto la datazione più bassa (il 57). Supponendo che la data di composizione sia il 51-52 Pietro non era ancora nella capitale poiché Paolo non avrebbe certo omesso di salutarlo.
E se invece volessimo sostenere che era già a Roma in quella data? A questo proposito si possono trarre interessanti informazioni dal classico testo di Arialdo Beni, La nostra Chiesa, Firenze, 1976, pag. 477 ss. e da Salvatore Garofalo, La prima venuta di S. Pietro a Roma nel 42, Roma, 1942; a cui anch'io mi rifaccio. Si fa notare innanzitutto che il silenzio di uno, o di pochi, non può mai annullare un coro così potente di voci tutte concordi ed unanimi. Tanto meno, quando ci siano delle ragioni che lo giustifichino appieno. Prima di tutto, se si ammette che Pietro era presente a Roma quando Paolo scriveva, è necessario fare un'osservazione ovvia. Quando Paolo ha inviato la sua lettera alla comunità di Roma, a chi l'ha indirizzata? Alla comunità, naturalmente; ma una lettera non si consegna ad una folla; si consegna ad una persona, la quale, in questo caso, non poteva essere che il capo della Chiesa. E allora che bisogno c'era, in una lettera mandata alla comunità, tramite il capo, di nominare il capo stesso? ( S. Garofalo, op. cit p. 19). Non va dimenticato, d'altra parte, che siamo in tempi calamitosi, in cui è necessario uno spirito di somma discrezione per non arrecar danno alla Chiesa nascente. Ora, se l'eucarestia era una cosa da nascondere, certamente non era meno da nascondere il capo della Chiesa, S. Pietro. Del resto, nell'elogio caloroso della fede dei Romani "celebrata in tutto il mondo " (1, [SM=g27989], nella confessione che Paolo fa di aver come regola di non invadere il campo degli altri "per non edificare su fondamento altrui " (15, 29), nella protesta di voler venire a Roma non per insegnare, ma per consolarsi (1, 11 e 12), per "saziarsi " (15, 24), ecc. Non c'è, forse, tutta una trasparente, allusione ad un fondatore, di quella Chiesa, più importante dell'apostolato stesso dei pagani, una allusione a S. Pietro? Comunque, una risposta più radicale all'obiezione è quella già data all'inizio: Paolo non saluta Pietro, perché costui si trovava momentaneamente assente da Roma.

" Mi sembra che vi siano elementi sufficienti per ritenere plausibile l’ipotesi che solo tardivamente (III sec) si iniziò a far risalire l’autorità della chiesa romana al fatto che il primo apostolo fosse stato il primo vescovo di Roma"

Il che è una sciocchezza, perché il III secolo inizia col 201 d.C. mentre abbiamo testimonianze di consapevolezza ed esercizio del primato almeno già dal II secolo. Come puoi dire una cosa simile, anche qualora conoscessi il solo Ireneo, vescovo originario dell'Asia minore che è per l'appunto è del II secolo, e che afferma "con questa grande chiesa in virtù della sua potentior principalitas deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa".

"Mi chiedevi almeno una testimonianza su Pietro diversa da quelle da te riportate ? eccola: il filosofo Porfirio in un frammento a lui attestato sostiene che Pietro fu crocefisso a Roma dove predicò solo per alcuni mesi. "

E perché questa testimonianza dovrebbe essere diversa da quelle da me riportate o mandare in frantumi i miei piani? Non citi né il frammento né le coordinate, ma, da quello che scrivi, non afferma che Roma sia importante nell'ecumene cristiano perché capitale dell'impero, afferma solo che Pietro sia stato a Roma. Forse quello che ti interessava è l'affermazione da te riportata secondo cui vi predicò "solo per alcuni mesi", ma giacché non riporti il frammento dovrei sospendere il giudizio finché qualcuno non me lo mostrerà in un’edizione critica, o mi dirà le coordinate per trovarlo. Ops, non ti disturbare a darmi le coordinate del frammento fornite dal sito evangelico da cui hai copiato questa bella notizia, che poi sarebbe questo camcris.altervista.org/pietroroma.html, infatti viene citata un’edizione critica tedesca del 1911, una fonte del tutto obsoleta che viene da chiedersi come possa essere reperita. E’ evidente che l’autore della pagina del sito da cui riporti l’informazione, già famoso per le sue scempiaggini quanto parla di storia antica e soprattutto di greco, non è un antichista, altrimenti avrebbe riportato le coordinate da un’edizione critica attualmente in uso in modo che i lettori potessero esaminarla, invece è solo un copiatore di pamphlet d’oltralpe e dunque deve riportare paro paro le coordinate che ha trovato in un testo probabilmente di Harnack, storico tanto grande quanto mummificato. Ad ogni modo ricordo a tutti quali sono le coordinate biografiche di Porfirio, che fu discepolo del divino Plotino: 233-305 d.C ca. Due pesi e due misure dunque, si accusano di falsità, faziosità, partigianeria le fonti del II secolo e si prendono per buone quelle del III.

"Per non parlare del fatto che la successione voluta da Ireneo, sia assolutamente anacronistica perché l’episcopato monarchico era di là da venire quando egli nomina Lino Anacleto e Clemente, sappiamo bene che le singole comunità erano rette dal collegio dei presbiteri e che la figura del Vescovo a capo degli stessi presbiteri e della chiesa nacque solo successivamente per combattere le eresie"

Con calma. Quello che gli studiosi si limitano a dire è che non c'è prova di un episcopato monarchico a Roma prima del 150 d.C., ma ciò non vuol assolutamente dire che non esistesse, semplicemente abbiamo poche fonti di questo periodo e per di più sono intente a parlare di tutt'altro. Dobbiamo ricordare che agli scrittori del I e del II secolo non interessava scrivere una storiografia ecclesiastica né darci informazioni sulla loro contemporaneità, mai si sarebbero sognati che a duemila anni di distanza qualcuno pendesse dalle loro labbra per ricavare qualunque particolare, per avere cioè da loro informazioni che essi non avevano alcuna intenzione di darci, giacché gli scopi dei loro scritti erano altri. Ciononostante, sebbene le fonti in nostro possesso non si occupino quasi mai della struttura della CHiesa di Roma nel I secolo, abbiamo per via di allusioni , di commenti fatti en passant, la prova che l'episcopato monarchico esisteva già nel I secolo in altre comunità. Ignazio che morì nel 107 scrive a diverse chiese, tra le più celebri allora esistenti come Smirne ed Efeso, lettere in cui troviamo chiara attestazione dell'episcopato monarchico. Se questa situazione era diffusa altrove, nulla ci impedisce di pensare che così fosse anche per Roma, come ovviamente nulla ci impedisce di pensare che non fosse così. In ogni caso questo silenzio su Roma non è un valido motivo per dichiarare astorico quanto dice Ireneo, proprio perché non è che abbiamo la descrizione nelle fonti di un modello alternativo all'episcopato, semplicemente non ci sono arrivate testimonianze sull'organizzazione della Chiesa di Roma nel I secolo che non siano tracce, inutili per ricavare alcunché. Da questo silenzio si può dedurre legittimamente sia che, siccome in tutte le altre comunità di cui abbiamo notizia c'era tale episcopato, non si vede perché in base alla statistica Roma debba fare eccezione, oppure si può trasformare il silenzio in un affermazione negativa e dire che sia la prova che tale istituzione non esisteva. A ognuno il suo. Riporto le testimonianze di Ignazio vescovo di Antiochia(la prima cattedra di Pietro) sull'episcopato monarchico nelle altre ecclesiae:

Ignazio agli Efesini.

“Bisogna glorificare in ogni modo Gesù Cristo che ha glorificato voi, perché riuniti in una stessa obbedienza e sottomessi al vescovo e ai presbiteri siate santificati in ogni cosa”. (Ef II,1)

“Conviene procedere d'accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canti a Gesù Cristo”. (IV,1)

“Nessuno s'inganni: chi non è presso l'altare, è privato del pane di Dio. Se la preghiera di uno o di due ha tanta forza, quanto più quella del vescovo e di tutta la Chiesa!”(V,1)

“Quanto più uno vede che il vescovo tace, tanto più lo rispetta. Chiunque il padrone di casa abbia mandato per l'amministrazione della casa bisogna che lo riceviamo come colui che l'ha mandato.”
(VI,1)

“vi riunite in una sola fede e in Gesù Cristo del seme di David figlio dell'uomo e di Dio per ubbidire al vescovo e ai presbiteri in una concordia stabile spezzando l'unico pane che è rimedio di immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere sempre in Gesù Cristo.” (XX,1)

Alla Chiesa della Magnesia:

“Ho avuto l’onore di vedervi in Dama, vostro vescovo degno di Dio, nei degni presbiteri Basso ed Apollonio e nel diacono Zootione, mio conservo, della cui presenza mi auguro sempre di gioire. Egli è sottomesso la vescovo come alla grazia di Dio e al presbitero come alla legge di Gesù Cristo. Conviene che voi non abusiate dell’età del vescovo, ma per la potenza di Dio Padre gli tributiate ogni riverenza. In realtà ho saputo che i vostri santi presbiteri non hanno abusato della giovinezza evidente di lui, ma saggi in Dio sono sottomessi a lui, non a lui, ma al Padre di Gesù Cristo che è il vescovo di tutti. Per il rispetto di chi ci ha voluto bisogna obbedire senza ipocrisia alcuna, poiché non si inganna il vescovo visibile, bensì si mentisce a quello invisibile. Non si parla della carne, ma di Dio che conosce le cose invisibili. Bisogna non solo chiamarsi cristiani, ma esserlo; alcuni parlano sempre del vescovo ma poi agiscono senza di lui. Questi non sembrano essere onesti perché si riuniscono non validamente contro il precetto.” (II- IV,1)

“Nulla sia tra voi che vi possa dividere, ma unitevi al vescovo e ai capi nel segno e nella dimostrazione della incorruttibilità” (VI)

“Come il Signore nulla fece senza il Padre col quale è uno, né da solo né con gli apostoli, così voi nulla fate senza il vescovo e i presbiteri.” (VII,1)

“Siate sottomessi al vescovo e gli uni agli altri, come Gesù Cristo al Padre, nella carne, e gli apostoli a Cristo e al Padre e allo Spirito, affinché l’unione sia carnale e spirituale.” (XIII,2)

“ e siete sottomessi al vescovo come a Gesù Cristo dimostrate che non vivete secondo l'uomo ma secondo Gesù Cristo, morto per noi perché credendo alla sua morte sfuggiate alla morte. È necessario, come già fate, non operare nulla senza il vescovo, ma sottomettervi anche ai presbiteri come agli apostoli di Gesù Cristo speranza nostra, e in lui vivendo ci ritroveremo. Bisogna che quelli che sono i diaconi dei misteri di Gesù Cristo siano in ogni maniera accetti a tutti. Non sono diaconi di cibi e di bevande, ma servitori della Chiesa di Dio. Occorre che essi si guardino dalle accuse come dal fuoco. Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come anche il vescovo che è l'immagine del Padre, i presbiteri come il sinedrio di Dio e come il collegio degli apostoli. Senza di loro non c'è Chiesa. Sono sicuro che intorno a queste cose la pensate allo stesso modo. Infatti ho accolto e ho presso di me, un esemplare della vostra carità nel vostro vescovo, il cui contegno è una grande lezione, come la sua dolcezza una forza. Credo che anche gli atei lo rispettino. Poiché vi amo mi trattengo, potendo scrivere con più severità sulla cosa. Non arriverei col pensiero a tanto da comandarvi come un apostolo essendo, invece, un condannato.” (II- III,3)
“Chi è all'interno del santuario è puro; chi ne è lontano non è puro. Ciò significa che chiunque operi separatamente dal vescovo, dal presbitero e dai diaconi, non è puro nella coscienza.” VII,2 “Siate forti in Gesù Cristo, sottomessi al vescovo, come al comandamento e ai presbiteri. Amatevi l'un l'altro nel cuore unito” (XIII,2)

Ai Tralliani

"Se siete sottomessi al vescovo come a Gesù Cristo dimostrate che non vivete secondo l'uomo ma secondo Gesù Cristo, morto per noi perché credendo alla sua morte sfuggiate alla morte. È necessario, come già fate, non operare nulla senza il vescovo, ma sottomettervi anche ai presbiteri come agli apostoli di Gesù Cristo speranza nostra, e in lui vivendo ci ritroveremo. Bisogna che quelli che sono i diaconi dei misteri di Gesù Cristo siano in ogni maniera accetti a tutti. Non sono diaconi di cibi e di bevande, ma servitori della Chiesa di Dio. Occorre che essi si guardino dalle accuse come dal fuoco." (II, 1-3)

"Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come anche il vescovo che è l'immagine del Padre, i presbiteri come il sinedrio di Dio e come il collegio degli apostoli. Senza di loro non c'è Chiesa" (III,1)

"Ciò sarà possibile non gonfiandovi e non separandovi da Dio Gesù Cristo, dal vescovo e dai precetti degli apostoli. Chi è all'interno del santuario è puro; chi ne è lontano non è puro. Ciò significa che chiunque operi separatamente dal vescovo, dal presbitero e dai diaconi, non è puro nella coscienza." (VII,1)

Alla Chiesa di Filadelfia

"I fedeli sono in uno col vescovo e con i suoi presbiteri e con i diaconi scelti nella mente di Gesù Cristo che, secondo la sua volontà, ha confermati col suo Santo Spirito.”

“State lontani dalle erbe cattive che Gesù Cristo non coltiva, perché non sono piantagione del Padre. Non ho trovato divisione in mezzo a voi, ma selezione. Quanti sono di Dio e di Gesù Cristo, tanti sono con il vescovo. "

"Quando ero in mezzo a voi gridai e a voce alta, con la voce di Dio: state uniti al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi. Quanto a quelli che hanno sospettato che io gridai prevedendo lo scisma di alcuni mi sia testimone colui per il quale sono incatenato che non ne ebbi notizia da carne di uomo. Fu lo spirito che me lo annunziò dicendo: non fate nulla senza il vescovo, custodite la vostra carne come tempio di Dio, amate l'unità, fuggite le faziosità, siate imitatori di Gesù Cristo come egli lo è del Padre suo."

"Dove infatti c'è la fazione e l'ira, Dio non c'è. Il Signore perdona a chi si pente, se si pente per l'unità di Dio, e il sinedrio del vescovo. Confido nella grazia di Gesù Cristo che vi libererà da ogni laccio. "

Agli Smirnesi

"Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli; venerate i diaconi come la legge di Dio. Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l'eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l'agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro." (VIII,1)

"E' saggio del resto ritornare in senno, e sino a quando abbiamo tempo di convertirci a Dio. E' bello riconoscere Dio e il vescovo. Chi onora il vescovo viene onorato da Dio. Chi compie qualche cosa di nascosto dal vescovo serve il diavolo." (IX,1)

"Saluto il vescovo degno di Dio ,'il venerabile presbiterato, i diaconi miei conservi e, uno ad uno, tutti insieme nel nome di Gesù Cristo, nella sua carne e nel suo sangue, nella passione e nella resurrezione corporale e spirituale, in unione a Dio e a voi." (XII,1)

A Policarpo

"Se qualcuno può rimanere nella castità a gloria della carne del Signore, vi rimanga con umiltà. Se se ne vanta è perduto, e se si ritiene più del vescovo si è distrutto. Conviene agli sposi e alle spose di stringere l'unione con il consenso del vescovo, perché le loro nozze avvengano secondo il Signore e non secondo la concupiscenza. Ogni cosa si faccia per l'onore di Dio." (V,2)

" State col vescovo perché anche Dio stia con voi. Offro in cambio la vita per quelli che sono sottomessi al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi e con loro vorrei essere partecipe in Dio." (VI, 1)
(FINIS)

Ignazio, che ripeto morì nel 107, non parla di una situazione in via di formazione ma tratta la cosa come assolutamente ovvia, e non parla di questa struttura in qualche comunità sconosciuta bensì nelle principali comunità del tempo, molte delle quali avevano ricevuto la predicazioni di Pietro e Paolo nonché le loro lettere. Riferisce il nome dei vescovi suoi amici e ne nomina la località: Onesimo di Efeso (1Ef 1,2), Damas di Magnesia (Magn 2,1), Polibio di Tralle (Tall 1,1); Policarpo di Smirne (Ad Polyc, prologo), un ignoto vescovo di Filadelfia (Fhil, II), ed Ignazio stesso è vescovo di Antiochia. Se c’era un’apostasia quando lui scriveva era su scala globale, e ancor prima che tutti i libri del NT fossero scritti. Basta guardare senza preconcetti luterani e piantarla con questa retorica della corruzione, richiamando l’inesistente mito della purezza e dovendo spiegare per chissà quale miracolo sia avvenuta tale apostasia su scala globale così presto. Ignazio è chiaro nel dire che “ove c’è il vescovo, lì c’è la Chiesa”, già nel II secolo infatti abbiamo l’attestazione dei cataloghi che le varie comunità compilavano per redigere le liste dei loro vescovi che le legavano al periodo apostolico. Un altro autore vissuto tra fine I secolo e inizio II, Egisippo, grande storico della Chiesa, ci dice che anche le comunità di Corinto e Roma erano monarchiche (in Eus., Hist. Eccl, IV, 22, 1-3; PG 20, 378-379). Ignazio ci dice che nella Chiesa nulla si fa senza il vescovo, ed Egesippo conferma (op. cit. IV, II; PG 20, 350), insieme ad Ireneo vescovo di Lione (Ad. Haer. III, 3,1; IV 26,2; PG 7,84[SM=g27989], a Tertulliano (De praescriptione haereticorum 22 PL 2, 52-53) e da Cirpiano (Ep., 6,7 Ad Florentium) Si noti poi che costoro non parlavano per sentito dire, quelli che per noi sono mille anni fa per gente come Ignazio o Policarpo era la generazione precedente.

CONTINUA
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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