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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
24/12/2006 15:22
 
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Comunque sia, rimane il fatto che dogmaticamente l'asse della principalitas di Roma, attorno al quale si devono innestare altri elementi, ma senza trasformarlo o sfigurarlo, è la funzione di memoriale della grande e gloriosa confessione di Pietro e di Paolo, che la rende pietra di
paragone e punto di riferimento della fede apostolica. Soprattutto in questo manifesta il suo primato.
Per questo ho già scritto che non è un errore storico criticare il primato di Roma inteso come primato giuridico, mentre è un errore storico criticarne il primato dottrinale, ed è su questo che lavora il dialogo ecumenico. Altre fonti antiche che manifestano a cosa Roma debba il suo onore le avevo già riportate nel post a Teodoro (senza alcuna pretesa di completezza, perché sono davvero disperse ovunque e andarle a pescare va oltre le mie forse):
-La risposta di Siricio a Imerio di Terragona in cui si dice: “Noi portiamo i pesi di tutti coloro che sono oppressi; o piuttosto in noi li porta il santo apostolo Pietro, che, come noi confidiamo, ci protegge e custodisce in tutto, noi, gli eredi del suo ministerio” (PL 1133 A)
-Il sinodo di Antiochia(341), che pure si opponeva a causa della situazione contingente che ben conosciamo ad un’ingerenza romana, descrive a causa di cosa essa abbia preminenza. Il Concilio scrive “che la Chiesa romana è considerata da tutti gloriosa, per esser stata il domicilio degli apostoli e sin dall’inizio la capitale della pietà, anche se coloro che vi hanno portato la fede erano giunti a lei dall’Oriente” (Sozomeno, Storia della Chiesa, III, 8,5 (PG 67 1054 A-B)
- I Concili ecumenici, a prescindere dal caso particolare del Constantinopolitano II, hanno sempre seguito le indicazioni di Roma. Come già ricordato a Calcedonia non si dice: “Cesare ha parlato per bocca di Leone” ma “Pietro ha parlato per bocca di Leone”. Oltre a seguire le indicazioni di Roma in alcuni casi non hanno risparmiato neppure gli elogi, ad esempio nel Costantinopolitano II. In quel caso i Padri Conciliari accolsero l’epistola di papa Agatone come “scritta dal supremo vertice divino degli apostoli”(Sacrorum Conciliorum Nova et amplissima collectio, a cura di G. D. Mansi et al., 11, 684). Nell’acclamazione conclusiva poi si legge: “Il supremo principe degli apostoli ha combattuto con noi; il suo imitatore e successore sulla cattedra è dalla nostra parte e ci ha spiegato con una lettera il mistero dell’incarnazione divina. La vecchia città di Roma ha presentato una professione di fede scritta da Dio e ha fatto sorgere dall’Occidente la luce del dogma. Sembrava carta ed inchiostro, e attraverso Agatone parlava Pietro” (Ibid., 666)

Quanto ho esposto basantomi sui lavori di Tillard e Schatz è mirabilmente espresso, in forma semplice, da René Beaupère, Fragments du journal du pape Paul VI, in Lumière et vie 133, 1977, 112-116. Ne estraggo i seguenti brani:

“Ciò che è primo, non è il mio primato personale di papa, è il primato della Chiesa di cui sono il pastore. Ma perché questo primato di Roma? Non mi si dica che si tratta qui di un fatto puramente 'politico', che l'ordine civile ha modellato l'ordine ecclesiastico, che la gerarchia delle sedi cristiane è stata ricalcata sulla gerarchia delle metropoli dell'Impero romano. È comunque una storia ben vecchia e da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Tevere: una seconda Roma è sorta sulle rive del Bosforo, e anche una terza sulla riva della Moscova. Stat crux dum volvitur orbis...
Vi sono altri motivi per la scelta di Roma. Certamente, Roma era la capitale e per questo Pietro e Paolo vi sono venuti e vi hanno terminato la loro corsa apostolica. Il fatto che i due apostoli siano stati martirizzati nella nostra città pone un fondamento ben più saldo al suo primato. Mi piace la formulazione di sant'Ireneo, il grande vescovo di Lione. Dice che la chiesa di Roma è stata fondata e costituita dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo e che a motivo di questa 'origine più eccellente' tutte le altre chiese si devono necessariamente accordare con essa (Adv. Naer., III, 3,2). La gloria attribuita da Ireneo a Pietro e Paolo è evidentemente quella del martirio. Non era un gesto privo di significato quello che compivano i nostri primi fratelli quando celebravano l'eucaristia sulla tomba dei martiri. Affermavano con questo il loro convincimento, che è sempre il nostro, che il dono della vita fino all'effusione del sangue per Cristo e, in certa misura, in conformità con lui, è il compimento della perfezione per un cristiano e che si edifica - nel senso più forte del termine - la Chiesa con la realizzazione di questo ideale.
Pietro e Paolo. I due insieme. Pietro, il portavoce ed il corifeo dei Dodici, il capo degli apostoli. Ma anche Paolo, l'outsider, l'aborto ricuperato da Cristo sulla via di Damasco, scelto fuori dai sentieri battuti, l'apostolo 'carismatico'.
Ho l'impressione che, nonostante testimonianze irrefutabili e venerabili di questa presenza di Paolo a Roma, la personalità di Pietro l'abbia un po' oscurato. Rincresce molto.
Mi si chiama il 'successore di Pietro' e così si è fatto di Pietro il primo vescovo di Roma. Ma non sono tanto sicuro che non si debba tornare alla concezione di sant'Ireneo per cui la chiesa di Roma ha avuto Lino come primo vescovo, dopo i fondatori: Pietro e Paolo.
Infatti i due apostoli sono inseparabili. Lo attesta l'iconografia primitiva: guardate nelle catacombe di san Sebastiano, sulla via Appia, le invocazioni rivolte a tutti e due insieme. Pensate che abbiamo conservato fino ad oggi una festa unica dei due apostoli, il 29 giugno, e che, se abbiamo aggiunto una commemorazione di Paolo il giorno successivo 30, ritengo sia per essere certi che la personalità di Pietro non offuschi quella dell'Apostolo delle genti”


Pur con qualche precisazione è un’ottima sintesi


" Può darsi, ma il fatto che in essa non vi siano eresie è dovuto al fatto che fu per primo Paolo a dirigerla. Siccome la corrente vincente del cristianesimo nascente fu proprio quella paolina, è normale che la dove una comunità rispettasse proprio gli schemi dottrinali di Paolo"

Baggianata. La corrente cosiddetta "paolina", cioè di coloro che si rifacevano a Paolo, è quella che ha generato più eresie in assoluto, richiamandosi a lui e mal interpretandolo sono nate le correnti gnostiche antigiudaiche, e Marcione sopratutto. Inoltre di comunità paoline abbonda il mondo, basta citare Efeso e Corinto.

" Ancora ? Da quando la storia la fanno solo le citazioni ? La storia è analisi e interpretazione dei fatti raccontati dai testimoni."

Allora attendo di sapere da quale racconto di quale testimone avresti ricavato che la preminenza dottrinale di Roma dipende dalla sua posizione socio-economica.

" anche perché non lo sostengo io che non sono uno storico, ma chi lo storico di quel periodo lo fa di mestiere. "

Lo sostiene chi e dove. Mai sentito parlare di ricerca e di dibattito accademico? Di monografie e di articoli? La sempliciottaggine con cui tutti pretendono di accostarsi a questi argomenti è sconvolgente, ignorando il dibattito che sta dietro.

"una cosa è dire che Pietro è il primo apostolo, un’altra è dire che Pietro ha fondato o diretto la comunità di Roma, secondo te è la stessa cosa ? "

Ho semplicemente detto che nelle fonti ci si rivolge a Roma perché depositaria perché li morirono e predicarono Pietro e Paolo, ma giacché di apostoli ce ne sono dodici e di comunità ne hanno fondate molte altre, non si capisce perché proprio quel magistero legato all'apostolo Pietro abbia generato la preminenza di Roma a meno che non si postuli, come del resto si evince dal Nuovo testamento, che Pietro era il capo degli apostoli. Anzi gli Atti degli Apostoli sono metà sulla predicazione di Pietro e metà sulla predicazione di Paolo proprio per questo.

" Ed io sto dicendo che non è la sede del magistero petrino, ma di quello paolino"

Tu puoi dire quello che vuoi, ma non hai una conoscenza del mondo antico che ti permetta di dimostrarlo. trovami un padre della Chiesa che si appelli a Roma perché era la sede del magistero "paolino" se ci riesci.

"Io non ne ho ancora visti !"

Documentati, io non so che farci. Puoi trovare un' abbondante documentazione sul riconoscimento del primato nella patristica orientale leggendo l'articolo di E. Testa "Le comunità orientali nei primi secoli e il primato di Pietro", in Rivista Biblica 16,1968 547-555. Si trova in qualunque biblioteca universitaria , e se non puoi procurartelo lo metto io sul forum, ma poi non lamentatevi sul fatto che dovete leggervi i polpettoni in rete. E' inoltre da rilevare che uomini come S. Policarpo, Egesippo, s. Giustino, Abercio, s. Ireneo, Origene, si siano mossi dall'Asia e dall'Egitto per recarsi a Roma, anzi, fin dal II secolo, come attestano Ireneo, Tertulliano e S. Cipriano, vi si recavano gli eretici stessi (Valentino, Cerdone, Marcione, Apelle, Prassea, Florino, Teodoto Bizantino)per ottenere una conferma delle loro dottrine (per questo ed altri aspetti si veda l'Enciclopedia Cattolica, Città del VAticano, 1953, vol. X, pag. 11) Si noti poi che erano spesso territori di recente occupazione, che avevano i loro "centri" altrove. Chi consoce la letteratura latina sa che è vero il contrario di quanto qui si vuol far passare, ossia che erano i giovani romani ad andare in oriente, specie ad Atene e ad Alessandria, perché la civiltà greca era ritenuta il luogo della scienza e della saggezza. Si può dire anzi che un giovane di buon famiglia non potesse non fare il suo viaggio ad Atene. Al contrario i greci mai hanno imparato il latino, come qualunque altra lingua del resto, per la semplice ragione che furono i romani ad imparare il greco. Non si poteva certo chiedere agli elleni di imparare la lingua dei barbari romani, e infatti non lo fecero. Graecia capta ferum, victorem cepit. Non ha nessun senso nel I e del II secolo per chi deriva dal mondo greco andare a Roma in quanto questa città sarebbe il centro sociale dell'impero, questa non è un’affermazione vera né a livello commerciale né a livello culturale, anche perché stabilire dove nebga prodotta la letteratura migliore è qualcosa di molto soggettivo.

"ma non vedo da nessuna parte dove questa nascita sia riconducibile, storicamente, alla fondazione o direzione di tale comunità da parte di Pietro. "

Siccome tutte le fonti sull'appello a Roma fanno "ricorso" in base a questa, e giacché la tua ipotesi socio-politica le ignora completamente per postulare il non suffragato da alcunché, finché cioè qualcuno non mi spiega perché mai ad un cristiano del II secolo dal punto di vista dottrinale per risolvere le sue controversie teologiche dovrebbe importare la posizione socio-polica di una città, anziché la genuinità dell'insegnamento apostolico che è invece il criterio che emerge dalla patristica, finché dicevo tutto ciò non sarà spiegato con argomenti più seri che non siano il puntare i piedi e l'invocare con una petitio principii contesti di sociologia del cristianesimo primitivo anch'essi non dimostrati, il primato di Roma era ed è legato alla Traditio apostolica di quella città che fu il luogo della predicazione e della morte di Pietro e Paolo. Neppure gli ortodossi sarebbero d'accordo con te, per farlo bisognerebbe non aver mai studiato patristica nella propria vita. Infatti anche i teologi ortodossi dal IV secolo in poi, cioè quelli che dopo la costituzione del patriarcato di Costantinopoli e il suo rafforzamento dovuto alla mano dell'imperatore che voleva concentrato in una sola città il potere politico e spirituale, dicevo dunque che neppure questi teologi al servizio di Bisanzio verso il IV-V secolo, pur cercando di far derivare l'autorità di Roma anche dal fatto che era la città imperiale, mai hanno negato l'altra motivazione, questa volta vera, della sua preminenza, cioè la predicazione petrina e paolina. A questo proposito ho trovato una pagina interessante su papa Leone Magno in un sito ortodosso, e anche qui giustamente si riconosceva il primato petrino, e riprendendo nell'incipit il can. 28 di Calcedonia si mette in riga col parere ortodosso, ma non nega il seguito:
"Ai tempi in cui la Chiesa d'Occidente era in comunione con la Chiesa indivisa, il Papa di Roma, in quanto vescovo della capitale dell'impero e patriarca d'Occidente, godeva di una certa priorità nella comunione della Chiesa ed era considerato, da tutti i cristiani, come il custode per eccellenza della tradizione apostolica, facendo da arbitro nelle questioni dogmatiche. Occupando la cattedra romana in una delle epoche più critiche della storia, durante la quale, oltre alla caduta dell'impero d'Occidente, la Chiesa si trovò ad essere minacciata dalle divisioni causate dagli eretici, san Leone seppe proclamare la dottrina della Verità e adoperò tutte le cure possibili per preservare l'unità della santa Chiesa; pertanto esso è venerato, in Occidente come in Oriente, con il nome di san Leone Magno." (http://www.orthodoxia.it/agio_leone.php)
E' estremamente interessante vedere come Costantinopoli, che neppure era sede di predicazione apostolica, diventi grazie all'imperatore la seconda sede della pentarchia e abbia la furbata di far passare i privilegi delle sedi patriarcali come dovuti alla politica in modo da non sentirsi inferiore ad Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.

"alla fondazione o direzione di tale comunità da parte di Pietro"

La più antica testimonianza su questo punto è in Ignazio quando dice che non vuole dare ordini ai Romani perché a loro lì hanno dati Pietro e Paolo. Il verbo è proprio "dare ordini" quindi una qualche direzione c'è stata.

"è che se la mia tesi non incontra i tuoi favori, avrai sempre il modo di ribattere, se esponessi una mia tesi mi risponderesti che non sono informato, se mi informassi in rete, mi diresti che la rete è tutta un’accozzaglia di qualunquismo, se leggessi dei testi divulgativi, mi diresti che i testi divulgativi non servono a nulla"

Fin qui è corretto. Con la precisione che i testi divulgativi non servono a nulla solo per chi voglia poi discutere seriamente di queste cose, per chi invece vuole farsi un'idea e non pretende di dissertare vanno benissimo. Quanto alle monografie il problema non è solo conoscere il dibattito accademico che sta dietro e le correnti, il che è verissimo, bensì capire le monografie stesse, che non sono alla portata di chi non sia antichista.

"se mi laureassi mi diresti che un qualsiasi laureato può dire quel che gli pare perché occorre essere un ricercatore, se diventassi ordinario di storia del cristianesimo, mi diresti che ogni professore ha le sue tesi e dunque il parere di uno vale quello di un altro"

Curioso come salti da "ricercatore" a "ordinario" come se in mezzo non ci fossero i docenti a contratto. Ad ogni modo io non ho mai detto quanto affermi, ho detto che una persona laureata in genere conosce il dibattito accademico che sta dietro ad un problema, se è il suo campo, e dunque non estremizza mai dicendo castronerie. Io infatti non conosco nessuno che dica che la primazia di Roma deriva solo dalla sua posizione socio-politica e non sopratutto dal fatto che il cristianesimo primitivo sapeva che essa era sede apostolica di Pietro e Paolo. Una posizione diffusa ed equilibrata è in chi vede l'intreccio di prestigio politico e di prestigio religioso, la tua tesi invece sto ancora spettando di sapere dove sarebbe sostenuta, perché come ripeto il Filoramo-Menozzi l'ho letto molto prima di te e non me parso che dicesse una cosa simile.

"Ma come si fa a dedurre da quella frase e dal contesto di Clemente che il “presunto” martirio (presunto perché Clemente non lo dice esplicitamente) sia avvenuto proprio a Roma ?"

A Roma perché c'è scritto "fra noi", quindi in mezzo ai romani. Inoltre è martirio perché usa il lessico martiriologico classico, i due vengono chiamati " i gloriosi apostoli" e poi si dice che "resero testimonianza"(martyrein), e tutti sanno che doxa abbinata con martyrein richiama per l'appunto il martirio. "A causa della gelosia e dell’invidia le maggiori e giuste colonne furono perseguitate e lottarono fino alla morte. Poniamo di fronte ai nostri occhi i gloriosi apostoli: Pietro, che per ingiusta invidia dovette subire non uno o due ma molti colpi e così, resa la sua testimonianza, andò al luogo della gloria che gli spettava. A causa della gelosia e dell’invidia. Paolo riportò il combattuto premio della costanza: sette volte fu incatenato, dovette soffrire, fu lapidato, divenne araldo in oriente e in occidente ottenne una sì gran gloria per la sua fede. Dopo aver insegnato a tutto il mondo la giustizia ed essere giunto fino alle estremità occidentali del mondo e aver reso testimonianza dinnanzi ai potenti, fu liberato dal mondo e andò al luogo santo, egli, il maggior esempio di costanza.”
Più chiaro di così si muore. La costanza è quella del perseguitato che non abiura, la gloria (doxa) è quella del martirio, il martire infatti è colui che testimonia la fede. Questa è una combinazione che ricorre ovunque nei martiriologi antichi, basta aprire un lessico di greco patristico. Da notare poi che non solo dice che essi divennero testimonianza "fra di noi", ma per di più c'è sempre, come in Ignazio, la coppia Pietro-Paolo che non si spiega se non con un martirio dei due nella città, perché altrimenti avrebbe potuto citare qualunque altro apostolo morto martire.

" per ricondurre l’avvenimento citato da Clemente al martirio addirittura in Roma, mi sembra davvero piegare i fatti alla nostra visione della storia. "

Io non ho dato certezze, ho semplicemente fatto notare che "propter invidiam" è nella patristica la giustificazione classica di cristiani che ne denunciano altri, e che Clemente, indirizzandosi ad una comunità che per l'appunto aveva questo problema, parla di un episodio simile avvenuto fra di loro e che coinvolse una grande fosse, e guarda caso parlando di questo episodio cita Pietro e Paolo. A ognuno le sue riflessioni.

"Sappiamo che Pietro fu ripreso dalla Chiesa di Gerusalemme per il fatto che cenava con i pagani convertiti che non rispettavano i precetti giudaici. Pietro subito obbedì al richiamo della sua Chiesa distaccandosi da costoro.”

Come? Innanzitutto Pietro non è stato ripreso dalla “Chiesa di Gerusalemme”, non sono menzionati né richiami né ordini, fa tutto da solo per timore di apparire troppo liberale ad un “ambasciata” di giudei che gli era arrivata da parte di Giacomo. Ma non si dice perché questi giudei siano venuti, potevano essere arrivati anche per fargli gli auguri di compleanno per quanto mi riguarda, semplicemente sappiamo che dopo il loro arrivo Pietro per non sembrare troppo filo-pagano dinnanzi a questo tradizionalisti smette di stare a tavola coi pagani. Ma non ci sono prove che questo sia stato causato da un messaggio che portavano da parte di Giacomo, e non invece, come sostengono, da una situazione creatasi dopo il loro arrivo quando gli sbalorditi giudei ortodossi giunti da Gerusalemme vedono il loro fratello a mensa coi disprezzati pagani. Leggiamo il brano di Paolo:

“Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?
Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno».” (Gal 2,11-16)

Per comprendere l’atteggiamento di Pietro verso la legge dobbiamo prima interrogarci sulla sua figura.
Paolo riferisce del riconoscimento tributato della Chiesa di Gerusalemme in base al quale a Pietro era stata affidata la missione presso i circoncisi, mentre a Paolo quella presso i non circoncisi (Gai 2,7). Tuttavia l’esattezza effettiva di questa affermazione di Paolo è oggetto di discussione. I Vangeli Sinottici riconoscono tutti che Pietro era stato dichiarato pubblicamente un “pescatore" e che era stato chiamato Cefa o "Roccia", etichette che non indicano certamente una peculiarità di tipo culturale. Matteo, inoltre, riferisce che Pietro era tra coloro ai quali Gesù aveva ordinato: "andate [...] e fate discepoli tutti i popoli" (28,19). Infatti, sono registrati dei viaggi di Pietro ad Antiochia (Gai 2,11), a Corinto (1Cor 1,12; 9,5) e presumibilmente a Roma (1 Pt 5,13). Si ritiene che abbia scritto delle lettere ai "fedeli che vivono come stranieri" in Asia Minore (l Pt 1,1), che sono evidentemente dei Gentili. Inoltre, gli Atti raccontano che fu Pietro ad accogliere Cornelio tra i discepoli cristiani dopo aver avuto una visione di Dio che purificava il cibo (e la gente) (10,15.28.34). In At 15,7 Pietro sostenne che Dio aveva fatto uso della sua bocca per parlare ai Gentili. Ci sono dunque svariate prove, coerenti e solide, dell’attività svolta da Pietro tra i Gentili. Anche se si potrebbe pensare che, in quanto apostolo tra i circoncisi Pietro avrebbe dovuto rispettare le norme di purità alimentare, nel NT non ci sono riscontri di ciò. Ad Antiochia Pietro mangiava alla tavola comune con ebrei e Gentili senza distinzioni (Gal 2,12), mangiando presumibilmente cibo impuro con gente non osservante, il che non causò nessun problema con Paolo o con gli abitanti di Antiochia. Paolo lo criticò per essersi allontanato da questa tavola aperta quando arrivarono i cristiani ebrei. La questione per noi è complessa, perché marco ricorda come la cerchia più ristretta dei discepoli avesse udito Gesù abolire le restrizioni alimentari(7, 719). Anche Matteo riferisce che Pietro chiese specificatamente a Gesù di spiegargli le sue osservazioni riguardo alla purità (15,15), in modo da renderlo il beneficiario di questa conoscenza straordinaria. Due volte Luca, nelle istruzioni riguardanti le missioni, ricorda come Gesù avesse detto a Pietro e agli altri di ignorare le restrizioni alimentari: "mangiate quello che vi sarà offerto" (10,7[SM=g27989]. Quindi, fatta eccezione per Paolo, il resto del NT concorda sul fatto che Pietro fosse stato autorizzato a svolgere un ruolo missionario nella diffusione del vangelo presso i Gentili, visitandoli e mangiando con loro. Si deve dunque intendere la precisazione paolina come una linea guida che era stata stabilita ma che, nel caso ci si trovasse con pagani che volevano convertirsi, non era certo da osservare in modo intransigente solo perché non si è era gli incaricati ufficiali della macro-missione tra i pagani, affidata a Paolo. ( Per tutto questo si veda Jerome H. Neyrey, lemma Pietro, in “Il Dizionario della Bibbia” a cura di Paul. Achtemeier e della Society of Biblical Literature, Bologna, 2003, Zanichelli, pag. 661)

“Il tipo di cristianesimo che predicava l’apostolo non è affatto chiaro, dalle fonti pare di notare in lui una posizione che sta a metà tra l’estremismo paolino (apertura totale ai gentili escludendo i precetti giudaici) e l’estremismo opposto di Giacomo (totale rispetto della legge e dei riti di purificazione)."

Ma cosa dici? Non è affatto vero che Paolo esclude i precetti giudaici, semplicemente ne fa occasione di opportunità.
Cito da 1Cor 8: “Quanto poi alle carni immolate agli idoli, sappiamo di averne tutti scienza. Ma la scienza gonfia, mentre la carità edifica. Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere. Chi invece ama Dio, è da lui conosciuto. Quanto dunque al mangiare le carni immolate agli idoli, noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c'è che un Dio solo. (…).M a non tutti hanno questa scienza; alcuni, per la consuetudine avuta fino al presente con gli idoli, mangiano le carni come se fossero davvero immolate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com'è, resta contaminata. Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio. Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la scienza, stare a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli? Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello.”

Giacomo allo stesso modo non è per il “totale rispetto della legge e dei riti di purificazione”. Cito il brano con la posizione di Pietro e Giacomo:
“Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse:
«(…) E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore (ai pagani) concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro».
Tutta l'assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro.
Quand'essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:
Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò,
perché anche gli altri uomini cerchino il Signore
e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome,
dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall'eternità.

Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».”(At 15,6-19)

"Mi viene tuttavia da riflettere sul fatto che quando io parlai di contrasti accesi tra giudeocristiani e paganocristiani qualcuno di mia conoscenza mi obiettò che non vi sono prove storiche di tale conflitto, ora tali prove compaiono, ne deduco che almeno abbiamo fatto un passo avanti."

Ancora ti difettano le categorie generali per comprendere quello che intendevo dire. Mi chiedo se hai capito il problema che avevo sollevato nei miei interventi, cioè la totale infondatezza della tesi, che più che dalla Bibbia deriva da Hegel, si una opposizione dialettica tra Paolo Pietro, tra il presunto sostenitore dell'apertura ai pagani e il conservatore della tradizione ebraica. Come già detto tale opposizione non esiste e fu risolta in seno all'ortodossia dal concilio di Gerusalemme, non esiste cioè alcun cristianesimo petrino contrapposto ad uno paolino, non ci sono due filoni dell'ortodossia nascente. La soluzione della chiesa è presto detta: i pagani che diventano cristiani non devono prima passare per il giudaismo, cioè non devono circoncidersi e applicare la legge di Mosè. Lo stesso Giacomo era d'accordo per questa direttiva nei confronti dei pagano-cristiani(At 15,19-219). Quando si parla di giudeo-cristianesimo bisogna dunque sapere che cosa si intende, perché con tale termine ci si può riferire sia alla componete ortodossa del cristianesimo primitivo, che rimaneva ancorata alle usanze giudaiche senza imporle agli altri, sia invece un movimento settario successivo che tra le altre cose rifiutava la visione del cristianesimo così come codificata alla riunione di Gerusalemme. Io non ho affermato che non si siano mai state controversie tra questo tipo di corrente e Poalo, bensì che non ci siano stati contrasti (che poi non siano stati risolti) tra Paolo e la missione giudeo-cristiana che dipendeva da Pietro e Giacomo.

"Questa aggiuntina tra parentesi non ti sembra un modus operandi del tutto fuori da ogni criterio storico ? Quel “per mezzo nostro” sta per i cristiani o i presbiteri in senso generico e non significa la Chiesa di Roma !"

Viene da chiedersi come faccia un gruppo di centinaia di persone ad esigere obbedienza, molto più probabile che in quel caso prevalga la voce dell'autore. Inoltre "Chiesa di Roma" è per l'appunto la comunità di roma, ricordo a tutti che chiesa in greco vuol dire assemblea, e che il primato del vescovo di Roma deriva dalla sua sede apostolica e non dal fatto che lui personalmente è bello.

Per Barnabino

Questo tuo messaggio è un capolavoro di mezze verità, insinuazioni, ipotesi ad hoc, teoremi di colpevolezza fino a prova contraria, un pastiche di metodo astorico.

"Dire "assai probabile" con queste considerazioni mi pare azzardato, diciamo che potrebbe essere al massimo "compatibile" ma dalla lettura di Ignazio in sé non si può evincere nulla"

Al contrario storici anche protestanti sono di parere diverso. Per i motivi già elencati e che non ti sei degnato di commentare:

"Nel cap. 4, 3 di questo scritto leggiamo: “lo non v'impartisco ordini come Pietro e Paolo, quelli (erano) apostoli, io un condannato; quelli liberi, io finora uno schiavo; ma se soffro diventerò un liberto di Gesù Cristo, e risorgerò in lui uomo libero”. Così scrive Ignazio alla comunità di Roma, ed è degno di nota che egli richiami alla memoria proprio di quella comunità gli esempi di Pietro e di Paolo. Poiché Pietro non ha mai scritto leggere ai romani, se ne evince che sia stato a Roma direttamente. (...) Dà da pensare che egli proprio nella lettera ai Romani non si accontenti di un espressione generica ma citi per nome proprio Pietro e Paolo. Non si può assolutamente considerare automatica la giustapposizione di Pietro e di Paolo, quando si menzionavano nomi di apostoli: questo potrebbe infatti valere per il periodo posteriore, ma non certo per quello di Ignazio. Non si può eludere il problema del perché i due apostoli fossero menzionati insieme, benché essi, a parte l'incontro di Gerusalemme e lo scontro di Antiochia, non avessero mai operato insieme e anzi, in base all'accordo di Gerusalemme (Gal. 2, 9), dirigessero due organizzazioni missionarie distinte. (...) Nel passo parallelo della lettera ai Tralliani (3, 3) Ignazio non menziona il nome di alcun apostolo : non aveva alcuna ragione di farlo, scrivendo a una comunità che non aveva ricevuto alcuna visita apostolica. Invece nella lettera agli Efesini, fra i quali Paolo era stato, egli menziona per nome questo apostolo, se pure in tutt'altro contesto (12, 2). Egli chiama gli Efesini “i consacrati di Paolo”, poiché Paolo ha esercitato l'apostolato in Efeso. Analogamente Ignazio menziona Pietro e Paolo nella lettera ai Romani, poiché entrambi erano stati a Roma. Questo passo permette di trarre qualche conclusione anche in merito a un'attività precedente dei due apostoli, in Roma? Il verbo “dare ordini” sembra suggerirlo. Qualcuno ha affermato, è vero, che in tal modo sarebbero semplicemente indicate le istruzioni date da Paolo nella sua lettera ai Romani, ma in tal caso non si comprenderebbe l'accostamento del nome di Pietro" Inoltre come s'è visto il testo di Ignazio parla proprio del martirio di Pietro e Paolo col classico "eleutheroi" legato alla gloria e alla persecuzione, in una lettera ai romani.

"specialmente se confrontate con gli scritti canonici che tacciono perfino la presenza di Pietro a Roma."

Come già detto è falso, ne parla Pietro nella sua prima lettera. Del resto non potremmo aspettarci altro. L'unico testo "storiografico" del Nuovo Testamento, che pretenda di raccontarci la vita della Chiesa, cioè gli Atti, si chiude addirittura prima della morte di Paolo, dunque è inutile cercarvi notizie sul martirio di Pietro. Inoltre la distinzioni tra fonti canoniche o meno è del tutto irrilevante per lo storico, ho portato all'attenzione sulla scia di Cullmann cosa dicano a proposito della morte di Pietro a Roma il fr. Rainer e l'Ascensio Isaiae, entrambe opere apocrife di fine I secolo.

"Per altro sarebbe da capire anche quanto storici siamo gli scritti di Ignazio (a partire dallo strano viaggio per essere messo a morte e dal fatto che nessuna fonte antica ne attesta il martirio a Roma!)"

Iniziano le insinuazioni ingiustificate, col negazionismo a priori in testa. Il viaggio a Roma per subirvi il martirio è assimilabile al viaggio fatto da Paolo stesso, delle sue lettere ci parla per primo Policarpo nella sua lettera ai Filippesi, i quali gli chiedevano una copia delle lettere del vescovo di antiochia. Non me ne intendo di agiografia e dunque non so quali siano le più antiche fonti del martirio di Ignazio a Roma, che tanto per inciso è irrilevante perché nelle sue lettere ovviamente non se ne parla essendo l'autore ancora in vita. Se si scrive di martirio romano è perché l'autore stesso si immagina divorato dalle belve quando sarà giunto nell'Urbe. Comunque non è vero che nessuna fonte antica ne attesta il martirio a Roma, il riferimento più antico che, da non addetto ai lavori, sono riuscito a trovare, è in una fonte ben antica, cioè in Ireneo che ci dice venne condannato ad bestias (Adv. Haeres., V, 28,4) Questa è un'informazione di prima mano perché Ireneo era discepolo di Policarpo, e quest'ultimo era amico di e corrispondente epistolare di Ignazio.

“con la sua esaltazione ed il suo punto di vista che non sappiamo quanto fosse condiviso..."

Punto di vista su che cosa?

"insomma egli rappresenta solo un punto di vista limitato e non la realtà storica del momento che invece sembra essere molto più complessa."

Non mi dici di cosa parli e dunque non posso risponderti. Ad ogni modo Ignazio è il vescovo di Antiochia, quindi a meno che non avesse meno di cinquan'anni non solo era successore di Pietro nella cattedra di quella città ma l'aveva anche conosciuto. Antiochia non è il Bronx, la chiesa siriaca è tra le più importante nei primi secoli, addirittura una delle sedi della pentarchia. Inoltre scrive ai maggiori centri cristiani del tempo, come Efeso, Smirne e Roma, evidentemente era ben informato sulla situazione generale. Ma sappiamo che il tuo negazionismo è puramente a macchinetta dunque non ho alcuna possibilità di farti desistere dalla tua assurda convinzione di conoscere il cristianesimo meglio di un vescovo del primo secolo, per giunta di un vescovo di tradizione petrina.

"A mio parere le sue parole, se lette in modo neutrale, farebbero propendere addirittura per l'assenza di Pietro in quella città, infatti non vi è alcun riferimento diretto al suo martirio"

Anche questo è falso. Ho scritto: "Nella Lettera ai Romani Ignazio parla del martirio che lo aspetta a Roma. Davanti agli occhi spirituali vede l'arena nella quale sarà maciullato dalle fiere: “Lasciatemi diventare cibo delle fiere mediante le quali mi è possibile giungere a Dio... Lusingate piuttosto le fiere, affinché diventino la mia tomba...” Queste parole precedono immediatamente la menzione di Pietro e Paolo. Qui egli gioca con le parole libero e schiavo: fino a questo momento si sente schiavo. Col martirio diventerà liberto di Gesù Cristo perché risorgerà uomo libero in lui. Quando descrive Pietro e Paolo come uomini che sono liberi, Ignazio si riferisce certamente al loro martirio con il quale anche loro hanno raggiunto la libertà definitiva (anche perché dice di essere schiavo “finora”, ma dopo il martirio non lo sarà più). Nella lettera ai cristiani di Efeso Ignazio dichiara esplicitamente di voler essere trovato a seguire le impronte di Paolo sul cammino che porta a Dio, cioè seguire l'apostolo nel martirio. Come la città di Efeso fu per Paolo un passaggio del suo cammino definitivo verso Dio, così sarà anche per lui, Ignazio, che nella traduzione da Antiochia a Roma passa in catene per Efeso. Se Ignazio paragona, anzi mette in parallelo, il proprio destino con quello di Pietro e Paolo, evidentemente sa del loro martirio romano. Come lui sta andando incontro alla morte violenta a Roma, così essi sono già giunti a destino percorrendo il medesimo cammino che porta a Dio."
Rileggiamo il testo: "Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi do ordini come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi,io finora uno schiavo. Ma se soffro sarò affiancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla."
Ignazio è finora uno schiavo, perché quando sarà martirizzato sarà libero, come Pietro e Paolo, morti martiri anch'essi e dunque liberi. Si parla dunque del loro martirio.

"E' certo possibile che cominciassero a nascere delle leggende sulla presenza Pietro a Roma, ma come pie invenzioni e non come fatti storici devono essere considerate"

Abbiamo già discusso della follia metodologica di questo metodo altrove quando contestualizzai il tuo tarocco di O. Cullmann, e ancora non ho avuto risposta, giacché lo storico prende chiaramente posizione su questo punto.
Riproposizione dell'episodio…
Avevi scritto

Oscar Cullmann (pur favorevole alla tesi di Pietro a Roma) deve ammettere: "Questi testi tardivi che affermano, ormai in crescente numero che Pietro è venuto a Roma e vi ha subito il martirio, non presentano alcun interesse storico, se non per chi si occupa di storia dei dogmi, perché a lui mostrano la storia della tradizione" (O. Cullmann, op. cit., p.102)



Risposta che diedi e che aspetta ancora una replica:


Qui ci sono due problemi. In primis hai tagliato quanto scritto prima, ed è ciò che illumina le affermazioni successive. In secondo luogo la traduzione nell’edizione italiana è diversa (hai tradotto direttamente dall’originale o hai una versione italiana diversa? Citazione completa: “non è però corretto attribuire a tali tendenze(il crescere dei particolari N.d.R.) l’invenzione del soggiorno e del martirio di Pietro a Roma: la funzione di esse può essersi limitata a sottolineare e a prolungare tradizioni più correnti. D’altra parte questi testi più tardivi, che con forza e uniformità sempre maggiori attestano che Pietro è stato a Roma e vi è morto martire, dal punto di vista storico possono avere per noi interesse soltanto per ciò che riguarda la storia dei dogmi, in quanto attestano lo sviluppo della tradizione”(pag. 154-155) Quindi non definisce i testi “tardivi” ma solo “più tardivi” degli altri (in riferimento alla crocifissione a testa in giù), il che è una constatazione temporale e non un giudizio, e non si dice che non hanno “alcun interesse storico”, né tanto meno che possano aver inventato tradizioni così dal nulla.



Come già detto, qualunque fatto della storia antica viene amplificato con il passare degli anni, ma il dedurre nell'analizzare fonti di secoli dopo, per il solo fatto che aumentano i particolari, che il nucleo storico non esiste, farebbe crollare tutti i manuali di storia antica. Ho già fatto un esempio a Spirito su questo punto. Prima le informazioni che abbiamo sull'omicidio di Cesare sono scarne, poi invece veniamo addirittura a sapere che la moglie l'aveva sognato la sera prima e l'aveva pregato di non andare in senato. Se dovessimo usare il tuo metodo leggendo questo ridicolo brano di Svetonio sulle idi di Marzo ne dovremmo dedurre che visto il cumulo di particolari leggendari l'assassinio del divo Giulio non sia mai avvenuto:

"La morte imminente fu annunciata a Cesare da chiari prodigi. Egli venne a sapere che le mandrie di cavalli che aveva consacrato, attraversando il Rubicone, al dio del fiume, e aveva lasciato libere di vagare senza guardiano, si rifiutavano con assoluta ostinazione di pascolare e piangevano a dirotto. E mentre faceva un sacrificio, l'aruspice Spurinna lo ammonì di guardarsi dal pericolo, che non si sarebbe protratto oltre le Idi di marzo. In quella notte, poi, che precedette il giorno dell’assassinio, anche Cesare stesso sognò ora di volare al di sopra delle nubi, ora di stringere la mano di Giove; e la moglie Calpurnia sognò che crollava la sommità della casa e che il marito veniva ucciso nel suo grembo; e all’improvviso le porte della camera da letto si aprirono da sole. A causa di questi presagi, ed anche per il cattivo stato di salute, Cesare, a lungo indeciso se restare in casa e differire gli affari che si era proposto di trattare davanti al Senato, alla fine, poiché Decimo Bruto lo esortava a non deludere i senatori accorsi in gran numero e che lo stavano aspettando ormai da un pezzo, verso la quinta ora s’incamminò, e quando gli fu consegnato da uno che gli era venuto incontro un biglietto che denunciava la congiura, lo mise insieme con gli altri biglietti che teneva nella mano sinistra, come se volesse leggerlo più tardi. Dopo aver fatto quindi molti sacrifici, poiché non riusciva ad ottenere auspici favorevoli, entrò in curia incurante di ogni scrupolo religioso, deridendo Spurinna ed accusandolo di dire il falso, perché le Idi erano arrivate senza alcun danno per lui: Spurinna però gli rispose che erano arrivate, sì, ma non erano ancora passate." (Svetonio, Vita di Cesare, 81 passim)

Questo a significare che non bisogna scambiare i particolari di contorno col nucleo duro di una tradizione che invece è ben attestata. Non solo infatti non c'è alcuna altra tradizione concorrente, eppure parliamo del principe degli apostoli, ma per di più è una tradizione riconosciuta anche dall'Oriente.

[Modificato da Polymetis 24/12/2006 15.24]

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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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