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L'autorità romana

Ultimo Aggiornamento: 14/02/2007 15:53
24/12/2006 15:26
 
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"alla stregua del presunto "bollito" che secondo Ireneo fu tentato con Giovanni a Roma"

Digiti a macchinetta fregandotene delle obiezioni che ti vengono fatte?
Avevo scritto:
a)Non so di che testo di Ireneo stai parlando, probabilmente ti confondi con Tertulliano b) Ireneo, vescovo proveniente dall’Asia minore ed in seguito venuto a Roma, è uno dei meglio informati su tradizioni di qualunque tipo grazie al suo legame con Policarpo. c)Io non ho nessun problema a credere che anche Giovanni sia passato per Roma, ma visto che non so neppure di che testo tu stia parlando sospendo il giudizio prima di analizzarlo. Spero che non si riveli un altro caso di Gesù sopravvissuto alla crocifissione e morto a 50 anni, passo inesistente.

"Insomma dagli scritti appare una volontà di "legittimare" Roma in modo via via crescente con gli anni."

Come già detto i primi scritti non hanno nulla a che fare con la legittimazione sono di carattere apocalittico. Inoltre come già detto trovare un movente non vuol dire dimostrare la colpevolezza: stai procedendo in base al paradigma del colpevole fino a prova contraria. Si noti come questa legittimazione di Roma data dal martirio di Pietro non sia mai stata contestata in Oriente, anzi da Dionigi sappiamo che la lettera di Clemente a Corinto fu ricevuta proprio in virtù della comune predicazione petrino-paolina delle due comunità.

"Questa mi pare l'unica conclusione seria e non apologetica"

Allora evidentemente gli studiosi protestanti che oggi non mettono più in dubbio la venuta di pietro a Roma sono tutti poco seri e addirittura apologetici. Se la mia è apologetica la tua che è faziosità e partigianeria da setta fondamentalista americana, che con la scienza non ha nulla a che fare. Nessuno studioso protestante contesta più il martirio di Pietro a Roma, a questo proposito hai saputo citare solo delle mummie che al momento stanno nell'empireo.

"che possiamo trarre da documenti (per di più numerosi!) che nel I secolo non testimoniano la presenza di Pietro"
Anche a questo modo ridicolo di fare storia ho già risposto, Riporto quanto già scritto e ancora in attesa di replica (chi ha letto il mio post a Spirito qui salti pure, il brano è già stato riportato).
Avevi scritto:

“Abbiamo il silenzio totale di una ventina di libri e lettere. Niente male, non credi?”


Mia risposta:

Non se questi scritti parlano di tutt’altro fuorché Roma. Gli argumenta e silentio notoriamente non valgono nulla, valgono qualcosa solo nel caso ci sia un silenzio su qualcosa in un testo che tratta proprio di quell’argomento. Ad esempio se mi dicono che Cesare è il comandante della campagna in Gallia ma in un testo coevo sulla guerra gallica nessuno mi nomina mai Cesare posso pensare che ci sia sotto qualcosa. Ora analizzando la miseria che c’è rimasta dell’epoca apostolica bisogna considerare quali testi avrebbero avuto l’occasione di parlare di Pietro a Roma, perché degli altri è ovvio che l’assenza di menzioni su Pietro a Roma è equivalente all’assenza di menzioni della ricetta per cucinare i cannelloni, giacché semplicemente quell’argomento non c’entra nulla col testo. Si ha occasione di parlare di Pietro a Roma ovviamente se si parla di Roma. Analizziamo dunque nei Padri Apostolici quanti scritti ci siano rimasti che parlino della comunità di Roma o di Roma in generale.
-Ignazio di Antiochia, (otto lettere di una paginetta ciascuna rimaste, parla di Pietro e Paolo proprio nelle lettera ai romani, proprio come in quella agli Efesini che erano depositari dell’insegnamento di Paolo parlo di lui) 8
-Pseudo-Barnaba, (sopravvissuta una lettera di otto paginette su questioni giudaiche, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Erma (Uno scritto rimasto, Il pastore d’Erma, un’opera in visioni che ha tutto fuorché la realtà di cui occuparsi, credo che sarebbe più probabile trovare menzione di Pietro in un libro di oroscopi) 1
-Policarpo di Smirne, (1 lettera di una paginetta rimasta, non parla né di Roma né di Pietro) 1
-Papia di Ierapoli (Rimasti solo frammenti, parla della predicazione di Pietro a Roma e della stesura del Vangelo di Marco su richiesta dei romani che ne derivò, in Eus, op. cit., II, 15, 2) 0
-Anonimo, Didaché(5 paginette,Non parla né di Roma né di Pietro)1
-Clemente Romano (vescovo di Roma, parla del martirio di Pietro e Paolo “fra noi”, ne ho trattato specificatamente in un articolo) 1
-Anonimo, A Diogneto (Sopravvissuta una lettera di 4 paginette, Non parla né di Roma né di Pietro)1
Ho dimenticato qualcuno? Vediamo dunque. Voi amici lettori siete riusciti a contare 20 opere?Io ne ho contate 14, di cui 7 sono lettere di Ignazio scritte ad altre comunità come Efeso o Tralle, ergo ridicolo domandarsi perché non ci parli della comunità di Roma. Delle restanti 7 opere apostoliche nessun altra c’entra qualcosa con Roma o parla di quella chiesa tranne l’epistola di Clemente che parla della comunità romana per confrontarla con quella di Corinto, e infatti saltano fuori Pietro e Paolo, tra le sette rimanenti c’è l’ottava lettera di Ignazio che abbiamo lasciato fuori dal computo precedente, cioè quella ai Romani, della quale abbiamo già discusso. Alla luce dei fatti parandosi dietro una quantità così misera di fonti, fonti brevissime e non storiografiche, e per giunta fonti che parlano di tutt’altro fuorché l’argomento in questione, un argumentum e silentio vale meno di una cicca. Questo signori miei si chiama metodo storco-critico, ed è il motivo per cui oggigiorno i biblisti protestanti non contestano più la venuta di Pietro a Roma.



Avevo aggiunto, ovviamente senza ottenere risposta, le testimonianze nella letteratura apocalittica del I secolo nell'analisi di Cullmann e Gnilka:


E ora vorrei aprire una parentesi su delle nuove fonti, l’attestazione della morte di Pietro a Roma negli apocrifi dei primi due secoli. Il primo passo è tratto da un testo apocrifo del I secolo (per la datazione si veda Cullmann, op.cit. pag. 150), l’Ascensione di Isaia, composto in tre parti e contenente una piccola apocalisse cristiana(Asc. Is. 3,13-4,18 ). Per chi volesse leggerlo in italiano lo potete trovare in M. Erbetta, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, tomo III, 175-204. In questa apocalisse si trova un passo che dovrebbe riferirsi al martirio di Pietro. Si parla di un re ingiusto, di un matricida, nel quale si sarebbe incarnato Beliar(=il diavolo). In una finta profezia si predice che avrebbe perseguitato la piantagione piantata dai dodici apostoli del Diletto (del Figlio Diletto) e che uno dei dodici sarebbe stato dato in sua mano (Asc. Is 4,2 s.). Non c’è alcun dubbio che col re matricida si voglia indicare Nerone,. Questo nome si era attaccato saldamento all’imperatore. (Dione Cassio 62,18,4; Or. Sib. 4,121)Egli ha perseguitato la piantagione del diletto, cioè la Chiesa. Quando, in un siffatto contesto, si menziona uno dei dodici apostoli, non può trattarsi che di Pietro. Paolo non appartiene al gruppo dei dodici apostoli. Se il nome di Pietro non viene fatto esplicitamente ciò è dovuto allo stile apocalittico che procede per riferimenti indiretti. “Dato in mano a qualcuno” è una formulazione già di per sé minacciosa; ma se la mano di un matricida quella in cui si cade, può trattarsi solo del peggio. Merita di osservare che il passo connette ancora una volta la persecuzione della comunità e il destino di Pietro con Nerone. C’è uno stretto nesso tra questo testo e il frammento Rainer dell’Apocalisse di Pietro, anch’esso di fine I secolo (E. Peterson, Das Martyrium des hl. Petrus nach der Petrus-Apocalypse, in Frühkirke, Judentum und Gnosis, Roma, 1959, 88-91; O. Cullmann, op. cit. pag. 151)). Il passo rilevante ai nostri scopi recita: “Ecco, o Pietro, ti ho rivelato e spiegato tutto. Ora va nella città della prostituzione (ovviamente Roma N.d.R.) e bevi il calice che ti ho promesso dalle mani del figlio di colui che si trova nell’Ade. Così la sua distruzione avrà inizio, ma tu sarai invece degno della promessa”. Anche qui collimano nello stesso discorso Nerone, Pietro e l’orizzonte escatologico. Importante è anche la concentrazione su Pietro che contraddistingue questa tradizione. Essa è più antica di quella che pone Pietro e Paolo in parallelo. Dovrebbe essere sorta come tradizione autonoma: essa ci diviene accessibile verso gli anni novanta del I secolo, cioè trent’anni dopo gli eventi. Questa distanza cronologica relativamente breve garantisce l’attendibilità del martirio romano di Pietro. In questa medesima decade rientra la composizione della prima lettera di Clemente, della piccola apocalisse contenuta nell’Ascensione di Isaia, dell’Apocalisse di Giovanni e certamente anche del testo contenuto nel frammento Rainer (da Gnilka, op. cit. pag. 114-115)


"Il fatto stesso che Ignazio non ne faccia riferimento diretto indica che evidentemente poteva facilmente essere smentito."

Siamo al delirio del paralogismo. Adesso Ignazio diventa qualcuno che voleva parlare del martirio di Pietro ma non ne fa riferimento diretto perché poteva essere smentito e dunque vela la questione. La domanda: se il successore di Pietro ad Antiochia sapeva di un suo martirio romano, tu ne sai forse più di lui? Inoltre dire che l'ha detto indirettamente perché aveva paura di essere smentito presuppone la malafede, cioè che sapesse di mentire e dunque celasse quello che voleva dire. Ma sorge la domanda: perché lui che era vescovo di Antiochia dovrebbe mentire sul martirio di Pietro a Roma? Non è un cattolico del XVI secolo intendo a dissertare con un protestante, a lui che Pietro sia morto a Roma non fa né caldo né freddo, non ha un partito ideologico basato su tale Traditio da difendere. Inutile cioè inventarsi qualcosa che non torna utile. E poi, se a tuo dire scrive in modo velato per non essere smentito dai romani, e dunque sa che il martirio è falso se immagina che i romani lo smentirebbero, perché usa questa Tradizione che sa essere falsa? Cosa aveva da guadagnarci? "Cui prodest?" direbbe Cicerone. Poteva essere smentito da chi, dai romani? Perché mai dovrebbe scrivere di un martirio, ma farlo in modo criptico, alla città che quel martirio non l'aveva visto? Sia che non si capisse il linguaggio velato, sia che lo si capisse, in nessun caso avrebbe raggiunto un risultato, infatti nel I caso il suo messaggio non arrivava e nel II caso, da coloro tra i romani che avessero inteso il suo parlare del martirio, sarebbe stato comunque smentito, giacché anch'essi erano romani e dunque testimoni oculari come chi il simbolismo non l'aveva inteso. In definitiva non ha il benché minimo senso quello che hai scritto.

"Se poi come tu sostieni"

Io sostengo? Il mondo accademico sostiene. Ho portato le argomentazioni seguenti:


A ciò si aggiunga la testimonianza dello steso Pietro, o chi per lui, che scrive da Roma “vi saluta la comunità che sta in Babilonia”, che i commentari e la Bibbia stessa nell’Apocalisse identificano con Roma. Sull’identificazione nel tardo giudaismo e nel cristianesimo primitivo di Babilonia con Roma si possono vedere gli Oracoli Sibillini V, 59; Ap. Bar. 11,1; 67,7; e IV Esdra 3,1.18.21. Per il cristiani: Papia e Clemente Alessandrino (in Eus, Storia Ecclesiastica II, 15,2), Tertulliano, Adv. Judeos 9; Adv. Marcionem 3,13, molteplici in Origene ed Agostino, ecc. Per un elenco H. Fuchs, Der geistige Widerstand gegen Rom, 1938, pag 74 ss. E B. Altaner, art. Babylon, in Reallexikon fü Antike und Christentum, I, coll. 1121 ss, e O. Cullmann, op. cit. pag. 111(nota 65). Per i passi nella letteratura rabbinica Strack- Billerbeck, III, 816 e inoltre Num. R. 7; Midr. Ps 121). Ma ovviamente si veda l’Apocalisse, che da sola basta. Su questo lascio la parola al GLNT: la città di cui si profetizza la distruzione esiste già nel presente: Ap 17,18 “he gynê… estin hê (si noti l’articolo determinativo) polis hê megalê hê echousa(al presente!) basileian epi tôn basileôn tês gês, e non può che essere Roma, infatti sta sui sette monti (i sette colli di Roma), si è prostituita coi re della terra, anzi è la loro sovrana, e controlla i traffici commerciali in tutto il mondo. E’ l’impero romano. Tra l’altro il GLNT sulla questione Pietro a Roma ha questa esplicita uscita: la storicità della sia permanenza e del suo martirio in Roma non può più ormai essere messa in dubbio (vol. II, pag 10-12) Si aggiunga poi che apprendiamo da Giuseppe Flavio di come verso la metà del primo secolo gli Ebrei avevano abbandonato Babilonia e si erano trasferiti nella città di Seleucia (Ant. Giud. XVIII,9.8 ), e dunque sebbene abbiamo testimonianze di attività giudaica a Babilonia nei secoli successivi non sono credibili in questo periodo. L’interpretazione di Babilonia nell’epistola petrina come la città mesopotamica, e riferisco gli ipsissima verba di Cullmann visto che mi si accusa di portare solo studiosi cattolici, non è affatto verosimile né si appoggia alla tradizione cristiana posteriore, la quale non conosce in quelle regioni attività missionario di Pietro bensì solo dell’Apostolo Tommaso; si aggiunga il fatto che anche il Talmud babilonese menziona soltanto a partire dal III secolo la presenza di cristiani in questa regione (pag. 113) Di particolare nota, tanto per ricordarci che la comunità di Roma non s’è inventata un mito da sola ma anche le altre comunità Asia sapevano che Pietro era stato là, la lettera di Dionigi di Corinto ai Romani del 170 d.C. riportata da Eusebio, II, 25,8 dove si menziona la predicazione dell’apostolo nell’Urbe.



Ovviamente non ho avuto risposte.

"se nella 1 di Pietro Babilonia sarebbe una maniera criptata per intendere Roma l'uso di un eufemismo"

Non è un eufemismo (parola del tutto inappropriata), e non c'entra nulla con la paura di essere smentiti, semplicemente come ho dimostrato nel lessico del tardo giudaismo e del cristianesimo primitivo Babilonia era un appellativo di Roma a causa dei vizi di questa città, vista come una sorta di Sodoma. Se dunque Pietro o chi per lui scrive Babilonia è perché tutti sapevano cosa intendeva.

"farebbe pensare che quello che tu ritieni un anonimo autore evitasse di scrivere "Roma" in modo chiaro perché poteva essere smentito da quanti sapevano benissimo che Pietro non vi era mai stato."

Siamo al doppiamente ridicolo. 1)In primis se tu sostieni che l'autore sia Pietro ne verrebbe fuori che Pietro mente su dove si trovi per paura di essere smentito. Assurdo! 2)Sostenendo invece che 1Pt non sia opera di Pietro avremmo comunque la testimonianza che nel I secolo la tradizione di Pietro a Roma esisteva già ma il suo autore, sapendo di dire il falso, scriverebbe Babilonia per paura di essere smentito. Anche qui sorge la domanda: che senso ha mettere un messaggio criptato se non vuoi che venga decifrato? E se una volta decifrato porta al tuo sbugiardamento, a che scopo lo hai messo dentro? nella comunità di ricezione sapevano o no che Pietro non era stato a Roma? E se sapevano che non era stato a Roma che senso ha mettere un messaggio velato visto che sia che venga decifrato sia che non venga decifrato tu comunque non hai raggiunto lo scopo di comunicare quello che intendevi. Un'assurdità dietro l'altra, e questo giocare alle ipotesi controfattuali ha dimostrato come il tuo sia il semplice rimanere fisso su una posizione tentando di smontare i ragionamento altri con indimostrate ipotesi ad hoc. Quod gratis adfirmatur, gratis negatur.

Ad maiora
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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